martedì 11 agosto 2020

ALESSANDRO TAVERNA - Raffineria di Sannazaro - Pavia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Ho fatto la terza media, poi ho frequentato la scuola alberghiera e nel 1967 sono stato assunto alla raffineria Eni di Sannazaro de' Burgondi. La scuola alberghiera mi piaceva e ho lavorato sei mesi in Germania in un grande albergo di Francoforte, ma siccome abitavo a Sannazaro ho fatto domanda in raffineria. Tornato a casa per le ferie mi hanno chiamato e così ho scelto di fermarmi. Sono stato assunto come analista in laboratorio, poi siccome dovevo fare ancora il servizio militare, dopo un anno e mezzo sono partito e al rientro sono stato spostato al movimento prodotti, nel reparto dove si caricavano i camion e le ferrocisterne e sono rimasto lì per 34, 35 anni, fino a quando sono andato in prepensionamento nel novembre 2001.

La raffineria ha iniziato a produrre a fine 1962, inizio 1963. Quando sono stato assunto era praticamente un decimo di quello che è oggi, con circa seicento addetti. Negli anni sono stati costruiti nuovi impianti e la raffineria è stata raddoppiata. Le nuove tecnologie hanno portato una riduzione del personale attraverso accordi sindacali, ma anche a nuovi ingressi con una qualificazione maggiore. Alcune attività sono state date in appalto, come ad esempio l'officina meccanica o gli strumentisti. Tutti questi cambiamenti tra nuovi impianti e appalti esterni hanno portato a ridurre il personale a 530 addetti. Negli anni Sessanta la raffineria era Anic, poi è diventata Agip petroli e quindi Eni. Si lavoravano circa quattro milioni di tonnellate annue di materia prima, quantità che col tempo è raddoppiata. Quando sono uscito la raffineria aveva una capacità di otto, otto tonnellate e mezzo di greggio annue. La produzione andava dai prodotti più nobili, cioè la benzina e il carburante per gli aerei, al gasolio, al denso e al nero, zolfo e bitume.

Allora non c'erano stati ancora interventi per migliorare l'ambiente di lavoro, per ridurre gli scarichi e i vapori. L'area di carico era probabilmente la zona più inquinata di tutta la raffineria. C'erano una settantina di punti di carico e ci lavoravano una quarantina di persone che sulle pensiline caricavano tutta la produzione. Sugli impianti si lavorava a contatto con sostanze nocive, però gli addetti inalavano molti meno vapori di benzina e di altri prodotti tossici.

Il lavoro sugli impianti dei turnisti era a ciclo continuo, mentre io lavoravo di giornata. Circa il 70% del personale lavorava di giornata e il 30% erano turnisti. La gran parte dei lavoratori risiedeva a Sannazaro e nei paesi vicini. Quando è partita la raffineria molti arrivavano da altri impianti, con già un’esperienza di lavoro di quel genere, da Cortemaggiore o da altre raffinerie, e generalmente erano coloro che avevano la responsabilità di capo turno. In raffineria lavoravano una ventina di donne, tutte impiegate, occupate negli uffici e qualcuna in laboratorio.

Sindacato

Ho sempre avuto attenzione alle questioni sindacali, però quando sono entrato in fabbrica e subito mi hanno proposto di iscrivermi ho detto di no, in parte per una questione ideologica in parte perché in fondo non lo ritenevo così importante. Dopo qualche tempo, però, nel 1972 o ‘73 mi sono iscritto e ho scelto la Cisl per ragioni squisitamente politiche. In quegli anni in raffineria la maggioranza era della Cgil, la Cisl era la seconda forza sindacale, mentre la Uil è nata qualche tempo dopo e rappresentava una sorta di sindacato corporativo dei turnisti. Dopo l'iscrizione, quando c'è stata l'elezione del consiglio di fabbrica, mi sono proposto e sono stato eletto e da allora lo sono sempre stato fino a quando ho lasciato l'azienda. Con soddisfazione ricordo che sono sempre stato il più votato. Dopo sette o otto anni sono entrato nell'esecutivo del consiglio di fabbrica e alla fine sono diventato il responsabile della Cisl all'interno della raffineria. Col tempo la Cisl è cresciuta diventando il primo sindacato e la Cgil la terza organizzazione, anche dopo la Uil. La raffineria era molto sindacalizzata ed erano quasi tutti iscritti, con una incidenza intorno al 70/80% e la Cisl aveva circa 150 iscritti. A me piaceva il lavoro che facevo e fare sindacato dentro la raffineria. Ho sempre mantenuto rapporti con tutti i livelli dell'organizzazione e molti dirigenti sono venuti in azienda, compreso il segretario generale Sergio D'Antoni. Rimanendo sempre in fabbrica, a un certo punto sono entrato nella segreteria territoriale della Flerica occupandomi del settore energia.

In azienda c'erano presenze di esponenti dei gruppi extraparlamentari e con loro ho avuto anche qualche scontro, dovuto essenzialmente alla mia idea politica di destra. Però sono vicende durate lo spazio di pochi giorni. Non ci sono mai stati episodi di violenza. Alcuni di questi erano delegati e riuscivano a influire sulle scelte sindacali e avevano un certo ascendente sui lavoratori perché chiedevano sempre di più. Però, quando si trattava di fare gli accordi e quelle richieste non potevano essere accolte, pur alzando un po' la voce, alla fine accettavano le intese che si facevano.

Il ruolo del sindacato è di mediazione tra il lavoratore e l'impresa. Ho fatto accordi di una certa rilevanza. In azienda abbiamo fatto trattative anche corpose, si parlava di miliardi di investimenti e a volte mi sono trovato contro non solo quelli a cui non andava mai bene niente ma anche la Cgil e la Uil, essenzialmente perché gli accordi li facevo io come Cisl. Però quando si andava a votare i lavoratori mi sostenevano. La partecipazione alle assemblee c'è sempre stata. Negli anni caldi c'erano scioperi continui e la gente a un certo punto si stufava anche. Comunque, per i temi importanti, come ad esempio il rinnovo dei contratti nazionali o alcune vicende interne come le modifiche dell'organizzazione del lavoro e dei turni, i lavoratori partecipavano.

Allora quando si scioperava si fermavano gli impianti e per l'azienda erano costi enormi, poi abbiamo firmato un accordo che prevedeva un rallentamento della produzione ma non lo stop. L'ultima volta che l'abbiamo minacciato l'azienda ci ha fatto chiamare dal prefetto e poi ci hanno portati in tribunale a Mortara, ma il giudice ci ha dato ragione e noi abbiamo fermato tutti gli impianti. Dopo qualche mese abbiamo fatto l'accordo che credo, visti i costi e la pericolosità della fermata e del riavvio, fosse giusto fare.

Quando hanno avviato Enipower sono andato a parlare con i lavoratori che erano appena stati assunti e che stavano facendo i corsi di formazione per conoscere gli impianti. Erano una trentina, ho preparato un manifesto con scritto “assemblea dei lavoratori” e l’ho affidato a un ragazzo cui avevo dato una mano per farlo assumere. Abbiamo fatto l'assemblea e li ho iscritti tutti quanti. Quando la Cgil e la Uil l’hanno saputo hanno dato i numeri e hanno fatto intervenire le segreterie regionali. Mi ha chiamato Fiorenzo Colombo, ho parlato anche con il segretario generale Gigli che era anche lui informato della vicenda, ma tutto è finito lì. Poi sono arrivati altri 78 lavoratori e la Cgil ne ha iscritti un paio e uno la Uil.

Sicuramente quella sindacale è stata una bella esperienza perché mi ha fatto capire che non bisogna mai dare per scontato niente, anche nel giudicare le persone, perché non sai che cosa ci sia dietro. È stato un percorso che mi ha dato la possibilità di crescere mentalmente, di crescere dentro, di conoscere, di allargare le mie vedute, i miei orizzonti.

Relazioni industriali

Noi trattavamo più con il capo del personale a Roma che non con il responsabile aziendale, anche perché il dirigente locale aveva margini di manovra limitati. Le relazioni industriali erano molto sentite e i nostri capi del personale, che cambiavano ogni cinque o sei anni, avevano la massima attenzione al rapporto con le organizzazioni sindacali. Nonostante qualche scontro i rapporti sono sempre stati di ottimo livello. Occorre dire che dagli anni Settanta fino agli anni Duemila Sannazaro ha sempre espresso all'interno della raffineria sindacalisti di qualità, ottimi delegati preparati, attenti e trasparenti e questo ha favorito la realizzazione di positivi accordi aziendali. Anche le segreterie nazionali di categoria hanno compreso il valore di questa esperienza e non sono mai passati sopra le nostre teste. Tutte le vicende sindacali aziendali sono sempre state gestite unitariamente.

Contrattazione

Per tutto il ciclo della raffinazione, in Agip petroli Sannazaro ha sempre rappresentato il punto di riferimento, sia come investimenti che come accordi sindacali. I contratti che facevamo noi venivano poi trasferiti a Taranto, Livorno, Venezia. A Roma avveniva un confronto tra noi e le altre rappresentanze sindacali delle diverse raffinerie nell'ambito della categoria nazionale.

Sulla flessibilità abbiamo fatto un accordo che riguardava le figure che lavoravano a giornata, in particolare per gli addetti al carico, era lì che all'azienda serviva maggiore flessibilità. In quel momento si aprivano i cancelli alle otto e si chiudevano alle cinque di sera e l'azienda ha chiesto un allargamento della fascia oraria per il carico. Si tenga conto che in quel periodo Sannazaro caricava cinquecento, seicento camion al giorno più due o tre treni cisterna, più avanti sono stati fatti gli oleodotti e quindi i mezzi che uscivano dalla raffineria sono diminuiti. L'azienda ha chiesto di iniziare il carico alle sei del mattino e di portarlo fino alle sei del pomeriggio. Abbiamo fatto un accordo che concedeva la flessibilità e che ha portato un grosso beneficio economico ai lavoratori, tenendo conto che quello era il reparto dove c'erano le categorie più basse e l'ambiente peggiore. Con l'intesa sono stati premiati proprio quei lavoratori. L'intesa non è molto piaciuta ai turnisti, che hanno sollevato qualche problema perché erano stati esclusi dagli aumenti, ma i lavoratori in assemblea l'hanno approvata a larghissima maggioranza.

Sull'ambiente e la sicurezza nel mio reparto sono stati fatti passi da gigante e per ottenere i cambiamenti sono stati fatti anche degli scioperi, minacciando la chiusura dei cancelli. Sono state realizzate pensiline di carico nuove, con investimenti di una certa portata e c'è voluto del tempo perché venissero attuati. È stato fatto tutto senza perdere un giorno di carico e per un anno e mezzo il sabato e la domenica andavo a lavorare per seguire le attività di revamping delle pensiline, con la realizzazione di impianti di recupero vapori che tra l'altro avevano un valore aggiunto, perché invece di disperdersi nell'aria diventavano altra benzina. Con questi interventi l'ambiente è cambiato profondamente ed è migliorato in modo significativo.

La sicurezza è sempre stata un po' il fiore all'occhiello dell'Eni, facevamo dei corsi di aggiornamento, le prove antincendio e non abbiamo mai dovuto aprire vertenze su questa questione e in azienda non ci sono mai stati incidenti.

Il premio di produzione veniva fatto a Roma nel contratto nazionale e a livello locale c'era solo l'applicazione.

L'innovazione tecnologica ha portato a dover intervenire sugli inquadramenti, in particolare per i turnisti, con raggruppamenti di impianti e cambiamenti di mansioni e riduzione di manodopera. Questo obbligava i lavoratori ad accrescere le loro competenze e quindi noi chiedevamo il passaggio di categoria.

Interventi sull'occupazione li facevamo quando c’erano le fermate periodiche per la revisione degli impianti o per la costruzione di nuovi e noi sostenevamo che i lavori dovessero essere affidati ad aziende del posto che quindi potevano assumere del personale anche se per tempi limitati. Su questo venivamo in parte accontentati, ma quando gli interventi erano di maggiore dimensione gli appalti avvenivano a livello europeo e c'era poco spazio per le piccole aziende locali.

Sulla questione occupazionale abbiamo fatto degli accordi per far arrivare a Sannazaro lavoratori di altri impianti Eni che venivano chiusi, come ad esempio la raffineria di Rho, anche se questo ha creato qualche problema in ambito locale perché i giovani che avevano fatto domanda per l’assunzione hanno dovuto lasciare la precedenza agli operai che venivano da altri impianti.

Sannazaro vedeva la presenza di più aziende: Agip, dove caricavano le chilolitriche, cioè le cisterne che portavano la benzina ai distributori, poi c'era la raffineria, c'era la Snam che si occupava degli oleodotti e per ultima è nata Enipower. I dipendenti Agip addetti al carico erano una sessantina circa e si trovavano esattamente al di là del muro del nostro reparto di carico. A un certo punto l'azienda ha chiesto di unire i due reparti, con l'obiettivo di fare un accordo a Sannazaro e quindi trasferirlo negli altri impianti in Italia. Non è stato un passaggio facile, perché si lasciavano delle certezze e io ho condotto direttamente tutta la trattativa che ha portato alla fusione dei reparti, ma anche soldi ai lavoratori, e qualcuno ha dovuto essere trasferito. L'accorpamento è stato fatto e il carico è stato spostato per tutti in raffineria e non più nel deposito. L’accordo è stato applicato ovunque e ho dovuto andare a Taranto a spiegarlo sia ai miei colleghi del sindacato che al direttore dell'impianto.

Welfare aziendale

Noi avevamo il villaggio vacanze di Bocca di Cadore dove sono stato per due anni. Era una realtà stupenda realizzata da Enrico Mattei. C'erano villaggi in Calabria e anche in Sardegna, c'erano queste possibilità e qualcuno in raffineria la domanda la faceva. Tutte le altre cose erano quelle definite contrattualmente.

Avevamo un dopolavoro con vari gruppi organizzati per le attività sportive che si finanziava con i ricavi di un bar aziendale e le macchinette del caffè, con la supervisione delle Rsu.