Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono nato a Pavia il 12 novembre del 1932, ho frequentato solo le scuole elementari. Mio padre era sindaco di Taglio di Po, era amico di Giacomo Matteotti, al tempo del fascismo ha dovuto scappare in Francia, rientrando in Italia si è fermato a Pavia. Lavorava a Vercelli in una drogheria e di fatto abitava là e veniva a Pavia una volta al mese. Mia mamma faceva la cuoca presso la caserma dei carabinieri e io e i miei fratelli non abbiamo mai patito la fame durante la guerra perché lei portava a casa da mangiare dalla caserma. Era una famiglia laica, mio padre era socialista e anticlericale, sono stato io che negli anni ho portato la mia famiglia vicino alla chiesa. Le mie sorelle avevano nomi particolari Saida, Didi, Teller, Alaska.
Finite
le elementari per qualche anno non ho fatto niente, si andava lungo i fiumi a
giocare perché non c'era niente da fare. A sedici anni sono andato in fabbrica
e nel 1949 mi sono iscritto alla Libera Cgil e quando è nata la Cisl mi sono
iscritto. Lavoravo alla Vigorelli che fabbricava macchine da cucire,
inizialmente sono stato occupato in fonderia, poi alla preparazione e quindi al
montaggio delle macchine. In Vigorelli sono rimasto quattordici anni e dieci mesi
e nel 1965 sono uscito per andare sei mesi al corso lungo di Firenze.
Frequentavo l'oratorio ed ero molto impegnato in quell'ambiente e quindi è
stato naturale scegliere la Cisl, ma appena entrato in fabbrica mi hanno
consegnato la tessera della Cgil e quella del partito e io le ho rifiutate. In
Vigorelli ci lavoravano più di cinquecento persone, poi però c'è stata una
grande crisi e siamo rimasti in 220. In quegli anni frequentavo le Acli, poi ho
iniziato a partecipare ai corsi di formazione della Cisl e ho conosciuto i
dirigenti di Pavia che allora erano Idolo Marcone e Melino Pillitteri e la sera
andavo a trovarli in una latteria dove cenavano con pochi soldi, ho conosciuto
anche Enzo Friso. In azienda mi sono messo in lista per l'elezione della
commissione interna, ma non sono stato votato e per la Cisl è stata votata una
persona che non mi piaceva, era un conservatore, vecchio. In un campo scuola
della Cisl si era parlato della sezione sindacale aziendale e così ho pensato
di crearne una in Vigorelli di cui poi sono diventato il segretario. Ho creato
un'organizzazione capillare in fabbrica, con una presenza in tutti i quattordici
reparti, pronti a tesserare tutti i nuovi entrati, sapendo da che parte stavano,
un'organizzazione che preoccupava i dirigenti dell'azienda. Quando è esplosa la
crisi io ero in partenza per un weekend di formazione a Firenze e i miei
compagni di lavoro mi hanno telefonato per dirmi che erano arrivate le lettere
di licenziamento, allora non sono partito e sono andato in fabbrica, ma quando
sono arrivato il direttore mi ha impedito di entrare perché ero in permesso. Non
sono entrato ma ho fermato la fabbrica. In quell'occasione ci siamo presi per
il collo con il direttore che poi ho incontrato non molto tempo fa quando ero
presidente del comitato Inps e abbiamo sorriso di quei ricordi.
Con
lui si trattava periodicamente il premio aziendale che era sempre intorno alle
sette, ottomila lire. Un anno lui non c'era e ho trattato con il figlio del
principale ottenendo un premio di tredicimila lire. Il direttore al suo rientro
mi ha detto che se ci fosse stato lui quei soldi non li avremmo presi al che gli
ho risposto che se ci fosse stato lui avrebbe discusso con le sedie perché noi
ce ne saremmo andati.
Si
lavorava molto a cottimo e quella era una delle cose di cui ci occupavamo
maggiormente. Anche alcuni capi hanno chiesto di iscriversi al sindacato e c'è
stata una discussione perché qualcuno non voleva, ma io ho sostenuto che
avremmo dovuto accettarli, magari senza dirlo pubblicamente. Allora si usavano
gli assegni in busta per l'iscrizione al sindacato, ma per questi capi il
pagamento avveniva direttamente.
La
proposta per il distacco me la fece Ugo Ferrero, il segretario generale di
Pavia, un uomo eccezionale, che veniva dal Partito comunista e arrivava dal
vercellese, amico di Marcone. Quest'uomo aveva avuto una conversione e si era
avvicinato alla chiesa e quindi aveva scelto la Cisl. Quando mi è stata fatta
la proposta io già collaboravo con la Cisl fuori dalla fabbrica con il
sindacato dei metalmeccanici. Con il distacco invece ho seguito l'edilizia e la
zona di Voghera. Ho mantenuto questo incarico fino a quando sono diventato
segretario generale della Cisl di Pavia. A Voghera eravamo molto impegnati,
facevamo di tutto, con i più giovani delle fabbriche della zona facevamo anche
il campionato di calcio. A vedere le partite venivano anche i direttori delle
aziende e pagavano il biglietto d'ingresso che costava duecento lire. Parliamo
delle aziende in cui avevamo la maggioranza, ma complessivamente eravamo ancora
molto piccoli rispetto alla Cgil. Ricordo con piacere gli anni trascorsi a
Voghera. Oltre ai tornei di calcio facevamo anche il cinecircolo Cisl e
stampavamo un opuscolo con i nomi degli animatori. Io non mi mettevo. Andavamo
a prendere la pellicola che proiettavamo la sera e poi c'era un attivista che
lavorava a Milano che la riportava. Tra un tempo e l'altro veniva il
giornalista Antonio Airò, un amico, che era sindaco di un paese del Pavese, a
parlare dei problemi del Comune. Un'iniziativa molto riuscita alla quale
partecipavano tantissimi giovani.
Nella
zona di Broni avevamo un'azienda cementifera con più di mille dipendenti e noi
avevamo 140 iscritti mentre la Cgil ne aveva più di cinquecento. Poi c'era
anche Stradella dove c'era un'altra azienda del cemento. A Voghera c'era una
grossa fabbrica metalmeccanica e poi c'era il commercio. Nella zona collinare a
Varzi c'erano aziende tessili, nella maggiore sono stato l'unico ad andare in
fabbrica e ho iscritto tutti, anche il direttore. Nelle aziende si discuteva
essenzialmente di soldi.
Avevo
un amico a Pavia che era un dirigente del Partito comunista ed è venuto a
trovarmi a Voghera dicendomi che cominciavamo a dargli fastidio, al che ho
risposto che se gli davamo fastidio voleva dire che stavamo facendo un bel
lavoro.
Quando
sono diventato segretario della Cisl di Pavia non avevamo una sede, occupavamo
due locali con un solo telefono per cui abbiamo concentrato i nostri sforzi
sulla costruzione della sede. È stato Pillitteri che ha insistito, dicendo di
non preoccuparmi e ha lanciato una sottoscrizione a livello regionale, poi
avendo Bergamo venduto una sua struttura ha fatto in modo che quei soldi invece
di andare al nazionale venissero a noi. Ho ipotecato anche la mia casa per
avere i soldi che mancavano e così abbiamo costruito la sede nuova. Nell'ambito
della Cisl Pavia contava poco, addirittura quando ero ancora in fabbrica si era
parlato di aggregare Pavia a Milano.
Sono
rimasto segretario generale della Cisl di Pavia fino a maggio 1985, poi sono
entrato nella segreteria regionale dei pensionati e sono rimasto fino al 1994. Con
la morte di Carlo Brognoli mi hanno chiesto di tornare a Pavia dove ho fatto il
segretario dei pensionati fino al 2003.
In
casa Cisl mi sono schierato per l'incompatibilità. Diverse volte è venuto
Virginio Rognoni, che è stato anche ministro, a propormi di entrare in lista,
ma non ho mai accettato anche perché avrei dovuto dare le dimissioni dal
sindacato e io non avrei mai lasciato la Cisl per nessun motivo. Era una scelta
condivisa da gran parte della Cisl di Pavia, c'era il settore della terra che
non era molto d'accordo, ma accettava le scelte che erano quasi di tutti.
A
cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta la partecipazione è cresciuta. Quando
sono arrivato in Cisl a Pavia gli iscritti erano circa seimila in tutta la
provincia, quando ho lasciato l'incarico di segretario generale avevamo
aumentato notevolmente gli iscritti nel settore della terra, tra i
metalmeccanici e nell'edilizia. Alla Necchi di Pavia dove lavorava Germani
siamo arrivati fino a 980 iscritti, cosa fino a qualche tempo prima impensabile.
Non solo iscritti, in quel periodo è cresciuta anche la partecipazione alle
manifestazioni e agli scioperi. La gente seguiva il sindacato. Nell'edilizia
gli iscritti erano pochi, avevamo tesserati nei cementieri e nel settore del
legno. Quando ho cominciato ad occuparmene io di edili ne avevamo sessanta in
tutta la provincia, mentre la categoria contava circa settecento iscritti. Io
andavo a cercare le piccole aziende non sindacalizzate e riuscivo a far
partecipare i lavoratori con scandalo da parte dei piccoli imprenditori. Ricordo
un'azienda che faceva infissi a Casteggio. Il principale, dopo che sono
riuscito a fare scioperare i suoi dipendenti, si è sparato, ma non è morto. È
diventato cieco ed è morto tre anni dopo lasciando una lettera in cui diceva
che lui era sempre stato vicino ai lavoratori. Io avevo dei rimorsi, ma i miei
amici mi dicevano che non dovevo preoccuparmi perché avevo fatto solo il mio
dovere, in particolare mi ha aiutato Airò.
Le
aziende maggiori, come l'ospedale di Voghera o la Balma Capoduri, erano tutte
in mano alla Cgil e in molte sono riuscito a far diventare la Cisl il primo
sindacato grazie ai nuovi delegati giovani che siamo riusciti a creare e che
hanno preso il posto degli attivisti più anziani, grazie anche alla nuova
voglia di partecipazione e alle nuove opportunità offerte dallo Statuto dei
lavoratori.
Ho
fatto parecchie assemblee in fabbrica e nei luoghi di lavoro non appena ce n'è
stata la possibilità. Mi ricordo che c'era un supermercato dove avevo mandato
una lettera per fare l'assemblea, ma il direttore non voleva perché non avevo
iscritti. Gli ho risposto che gli iscritti li avevo anche se non era vero e
l'ho minacciato che se non mi avrebbe fatto fare l'assemblea sarei andato a
denunciarlo dai carabinieri. A quel punto ha ceduto, ho fatto l'assemblea e
alla fine ho iscritto tutti i lavoratori. La Cgil impazziva dalla rabbia per
questo mio risultato. Questo è accaduto anche altrove perché la Cgil tendeva a
occuparsi delle aziende maggiori nella pianura mentre io battevo la collina.
Per poter incontrare gli edili andavo la domenica al bar e lasciavo un
volantino annunciando un incontro per la domenica successiva per controllare le
paghe. Le riunioni le facevamo nei bar oppure negli oratori.
Rispetto
all'unità sindacale io mi sono sempre mosso lealmente con molti dubbi. Non ero
convinto, ma se l'organizzazione aveva deciso io sostenevo la scelta della
Cisl. In una discussione ristretta con i segretari della Uil e della Cgil, con
la Uil che entrava e usciva dalla riunione per i contrasti che c'erano, ho
detto che se mi fossi alzato non sarei più tornato. Però è nato un legame forte
anche di amicizia con il segretario della Cgil. Quando abbiamo iniziato a fare
le manifestazioni insieme a Cgil e Uil, io chiedevo che non ci fossero le
bandiere dei partiti e una volta ho dovuto minacciare di andarmene perché in
corteo c'era un bello striscione del Partito comunista che poi è stato
ammainato. Sul giornale del Pci, un settimanale che usciva il giovedì, sono
stato attaccato duramente.
Al
congresso del 1973 noi eravamo con Storti ma la Cisl di Pavia era molto divisa.
Noi avevamo la sede vecchia vicino al Comune, ma l'altro gruppo aveva già
affittato un appartamento dove fare la nuova sede. Io gli ho intimato di
chiuderla e superata la fase più critica quell'appartamento è stato abbandonato.
Si erano organizzati come sindacato della terra e del pubblico impiego. Qui a
Pavia è stato uno scontro duro. La prima volta che sono stato eletto sono passato
solo per tre voti, poi col tempo il leader della mia opposizione, Maga, il
padre dell'attuale segretario generale, l'ho messo in segreteria con me per
superare i contrasti.
Non
ho condiviso le richieste di aumenti uguali per tutti, sono sempre stato
convinto che uno il salario se lo deve meritare, si deve garantire a tutti un
minimo ma poi il resto va guadagnato. D'altro canto la Cgil aveva una visione
troppo ideologica.
Negli
anni Settanta si è cercato di dare più spazio alle donne dentro
l'organizzazione, c'era qualche donna che voleva, ma poi non aveva tempo perché
era ancora troppo legata alla famiglia. Allora si veniva in sede alle otto del
mattino e si andava a casa alle otto di sera e a volte non ci si andava neppure. C'era l'idea di un impegno totale e
per le donne era complicato. Di delegate donne ce n'erano, ma era difficile per
loro assumere ruoli più importanti. Quando sono stato in segreteria di donne
non ce n'erano. Ce n’era una di ottant’anni che teneva i conti.
Abbiamo
avuto alcune persone che negli anni Settanta sono entrate a far parte di gruppi
extraparlamentari. Una volta il capo del personale della Necchi chiese di
incontrarmi lontano da occhi indiscreti e ci vedemmo all'ospedale di Pavia
perché voleva parlarmi di alcuni delegati della sua azienda che avevano
compiuto scelte radicali nei gruppi extraparlamentari, ma io ho spiegato che
quelle persone ormai non avevano più nulla a che fare con la Cisl. A Voghera
c'è un gruppo di giovani contestatori, ma non avevano il coraggio di andare
fino in fondo e quando c'era un comizio della Cgil fischiavano e contestavano,
ma quando intervenivo io se ne stavano zitti.
A
metà degli anni Settanta ho avuto una crisi e ho seguito tutta l'esperienza dei
preti operai di Torino, che nella grande maggioranza erano unitari, e mi
ricordo che una domenica, in una discussione con loro, gli ho detto che non
contavano niente perché non erano né Cgil, né Cisl, né Uil e nei congressi non
potevano intervenire. Con questi preti ho fatto un'esperienza bellissima e li
ho seguiti per cinque anni.
Ho
sempre avuto una casa grande ed è sempre stata piena di gente e molti ragazzi
la frequentavano e ancora oggi molti di quei rapporti sono vivi.
Mi
è sempre piaciuto lavorare molto ma non apparire, anche da ragazzino
all'oratorio si organizzavano le recite e io ero quello che stava dietro le
quinte senza mai andare sul palco e questo è stato il mio comportamento anche nel
sindacato, dove cercavo di apparire il meno possibile e se c'erano delle occasioni
mandavo qualcun altro. Col tempo questo atteggiamento ho dovuto modificarlo
perché era sempre il segretario generale che doveva essere presente però sono
sempre stato schivo, sfuggendo fotografi e telecamere.
Per
me l'esperienza sindacale è stata formidabile, ho sempre creduto nel sindacato.
Il vecchio Ferrero raccontava che se si prendono quattro operai e si mettono
intorno a un tavolo, quando parlano dei loro interessi in azienda sono uniti,
se parlano di politica sono divisi. Per me questo è sempre stato vero e ho
sempre sentito molto il discorso dell'unità sui problemi concreti. Ho sempre
creduto nell'autonomia della Cisl e la Cisl è sempre stata autonoma.
La
Cgil ha sempre osteggiato la contrattazione aziendale anche se poi, quando si
convinceva a partecipare, pretendeva di ottenere tutto e subito mentre magari
noi pensavamo che si potessero diluire nel tempo alcune richieste. Su questo
abbiamo avuto con la Cgil degli scontri duri, anche perché accusavamo la Cgil
di essere troppo legata al Partito comunista.
Secondo
me i lavoratori hanno compreso che la politica è una cosa e il sindacato
un'altra e questa idea si è affermata.