martedì 11 agosto 2020

GIOVANNI SPUNTON - Cisl - Pavia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato a Pavia il 12 novembre del 1932, ho frequentato solo le scuole elementari. Mio padre era sindaco di Taglio di Po, era amico di Giacomo Matteotti, al tempo del fascismo ha dovuto scappare in Francia, rientrando in Italia si è fermato a Pavia. Lavorava a Vercelli in una drogheria e di fatto abitava là e veniva a Pavia una volta al mese. Mia mamma faceva la cuoca presso la caserma dei carabinieri e io e i miei fratelli non abbiamo mai patito la fame durante la guerra perché lei portava a casa da mangiare dalla caserma. Era una famiglia laica, mio padre era socialista e anticlericale, sono stato io che negli anni ho portato la mia famiglia vicino alla chiesa. Le mie sorelle avevano nomi particolari Saida, Didi, Teller, Alaska.

Finite le elementari per qualche anno non ho fatto niente, si andava lungo i fiumi a giocare perché non c'era niente da fare. A sedici anni sono andato in fabbrica e nel 1949 mi sono iscritto alla Libera Cgil e quando è nata la Cisl mi sono iscritto. Lavoravo alla Vigorelli che fabbricava macchine da cucire, inizialmente sono stato occupato in fonderia, poi alla preparazione e quindi al montaggio delle macchine. In Vigorelli sono rimasto quattordici anni e dieci mesi e nel 1965 sono uscito per andare sei mesi al corso lungo di Firenze. Frequentavo l'oratorio ed ero molto impegnato in quell'ambiente e quindi è stato naturale scegliere la Cisl, ma appena entrato in fabbrica mi hanno consegnato la tessera della Cgil e quella del partito e io le ho rifiutate. In Vigorelli ci lavoravano più di cinquecento persone, poi però c'è stata una grande crisi e siamo rimasti in 220. In quegli anni frequentavo le Acli, poi ho iniziato a partecipare ai corsi di formazione della Cisl e ho conosciuto i dirigenti di Pavia che allora erano Idolo Marcone e Melino Pillitteri e la sera andavo a trovarli in una latteria dove cenavano con pochi soldi, ho conosciuto anche Enzo Friso. In azienda mi sono messo in lista per l'elezione della commissione interna, ma non sono stato votato e per la Cisl è stata votata una persona che non mi piaceva, era un conservatore, vecchio. In un campo scuola della Cisl si era parlato della sezione sindacale aziendale e così ho pensato di crearne una in Vigorelli di cui poi sono diventato il segretario. Ho creato un'organizzazione capillare in fabbrica, con una presenza in tutti i quattordici reparti, pronti a tesserare tutti i nuovi entrati, sapendo da che parte stavano, un'organizzazione che preoccupava i dirigenti dell'azienda. Quando è esplosa la crisi io ero in partenza per un weekend di formazione a Firenze e i miei compagni di lavoro mi hanno telefonato per dirmi che erano arrivate le lettere di licenziamento, allora non sono partito e sono andato in fabbrica, ma quando sono arrivato il direttore mi ha impedito di entrare perché ero in permesso. Non sono entrato ma ho fermato la fabbrica. In quell'occasione ci siamo presi per il collo con il direttore che poi ho incontrato non molto tempo fa quando ero presidente del comitato Inps e abbiamo sorriso di quei ricordi.

Con lui si trattava periodicamente il premio aziendale che era sempre intorno alle sette, ottomila lire. Un anno lui non c'era e ho trattato con il figlio del principale ottenendo un premio di tredicimila lire. Il direttore al suo rientro mi ha detto che se ci fosse stato lui quei soldi non li avremmo presi al che gli ho risposto che se ci fosse stato lui avrebbe discusso con le sedie perché noi ce ne saremmo andati.

Si lavorava molto a cottimo e quella era una delle cose di cui ci occupavamo maggiormente. Anche alcuni capi hanno chiesto di iscriversi al sindacato e c'è stata una discussione perché qualcuno non voleva, ma io ho sostenuto che avremmo dovuto accettarli, magari senza dirlo pubblicamente. Allora si usavano gli assegni in busta per l'iscrizione al sindacato, ma per questi capi il pagamento avveniva direttamente.

La proposta per il distacco me la fece Ugo Ferrero, il segretario generale di Pavia, un uomo eccezionale, che veniva dal Partito comunista e arrivava dal vercellese, amico di Marcone. Quest'uomo aveva avuto una conversione e si era avvicinato alla chiesa e quindi aveva scelto la Cisl. Quando mi è stata fatta la proposta io già collaboravo con la Cisl fuori dalla fabbrica con il sindacato dei metalmeccanici. Con il distacco invece ho seguito l'edilizia e la zona di Voghera. Ho mantenuto questo incarico fino a quando sono diventato segretario generale della Cisl di Pavia. A Voghera eravamo molto impegnati, facevamo di tutto, con i più giovani delle fabbriche della zona facevamo anche il campionato di calcio. A vedere le partite venivano anche i direttori delle aziende e pagavano il biglietto d'ingresso che costava duecento lire. Parliamo delle aziende in cui avevamo la maggioranza, ma complessivamente eravamo ancora molto piccoli rispetto alla Cgil. Ricordo con piacere gli anni trascorsi a Voghera. Oltre ai tornei di calcio facevamo anche il cinecircolo Cisl e stampavamo un opuscolo con i nomi degli animatori. Io non mi mettevo. Andavamo a prendere la pellicola che proiettavamo la sera e poi c'era un attivista che lavorava a Milano che la riportava. Tra un tempo e l'altro veniva il giornalista Antonio Airò, un amico, che era sindaco di un paese del Pavese, a parlare dei problemi del Comune. Un'iniziativa molto riuscita alla quale partecipavano tantissimi giovani.

Nella zona di Broni avevamo un'azienda cementifera con più di mille dipendenti e noi avevamo 140 iscritti mentre la Cgil ne aveva più di cinquecento. Poi c'era anche Stradella dove c'era un'altra azienda del cemento. A Voghera c'era una grossa fabbrica metalmeccanica e poi c'era il commercio. Nella zona collinare a Varzi c'erano aziende tessili, nella maggiore sono stato l'unico ad andare in fabbrica e ho iscritto tutti, anche il direttore. Nelle aziende si discuteva essenzialmente di soldi.

Avevo un amico a Pavia che era un dirigente del Partito comunista ed è venuto a trovarmi a Voghera dicendomi che cominciavamo a dargli fastidio, al che ho risposto che se gli davamo fastidio voleva dire che stavamo facendo un bel lavoro.

Quando sono diventato segretario della Cisl di Pavia non avevamo una sede, occupavamo due locali con un solo telefono per cui abbiamo concentrato i nostri sforzi sulla costruzione della sede. È stato Pillitteri che ha insistito, dicendo di non preoccuparmi e ha lanciato una sottoscrizione a livello regionale, poi avendo Bergamo venduto una sua struttura ha fatto in modo che quei soldi invece di andare al nazionale venissero a noi. Ho ipotecato anche la mia casa per avere i soldi che mancavano e così abbiamo costruito la sede nuova. Nell'ambito della Cisl Pavia contava poco, addirittura quando ero ancora in fabbrica si era parlato di aggregare Pavia a Milano.

Sono rimasto segretario generale della Cisl di Pavia fino a maggio 1985, poi sono entrato nella segreteria regionale dei pensionati e sono rimasto fino al 1994. Con la morte di Carlo Brognoli mi hanno chiesto di tornare a Pavia dove ho fatto il segretario dei pensionati fino al 2003.

 

In casa Cisl mi sono schierato per l'incompatibilità. Diverse volte è venuto Virginio Rognoni, che è stato anche ministro, a propormi di entrare in lista, ma non ho mai accettato anche perché avrei dovuto dare le dimissioni dal sindacato e io non avrei mai lasciato la Cisl per nessun motivo. Era una scelta condivisa da gran parte della Cisl di Pavia, c'era il settore della terra che non era molto d'accordo, ma accettava le scelte che erano quasi di tutti.

 

A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta la partecipazione è cresciuta. Quando sono arrivato in Cisl a Pavia gli iscritti erano circa seimila in tutta la provincia, quando ho lasciato l'incarico di segretario generale avevamo aumentato notevolmente gli iscritti nel settore della terra, tra i metalmeccanici e nell'edilizia. Alla Necchi di Pavia dove lavorava Germani siamo arrivati fino a 980 iscritti, cosa fino a qualche tempo prima impensabile. Non solo iscritti, in quel periodo è cresciuta anche la partecipazione alle manifestazioni e agli scioperi. La gente seguiva il sindacato. Nell'edilizia gli iscritti erano pochi, avevamo tesserati nei cementieri e nel settore del legno. Quando ho cominciato ad occuparmene io di edili ne avevamo sessanta in tutta la provincia, mentre la categoria contava circa settecento iscritti. Io andavo a cercare le piccole aziende non sindacalizzate e riuscivo a far partecipare i lavoratori con scandalo da parte dei piccoli imprenditori. Ricordo un'azienda che faceva infissi a Casteggio. Il principale, dopo che sono riuscito a fare scioperare i suoi dipendenti, si è sparato, ma non è morto. È diventato cieco ed è morto tre anni dopo lasciando una lettera in cui diceva che lui era sempre stato vicino ai lavoratori. Io avevo dei rimorsi, ma i miei amici mi dicevano che non dovevo preoccuparmi perché avevo fatto solo il mio dovere, in particolare mi ha aiutato Airò.

Le aziende maggiori, come l'ospedale di Voghera o la Balma Capoduri, erano tutte in mano alla Cgil e in molte sono riuscito a far diventare la Cisl il primo sindacato grazie ai nuovi delegati giovani che siamo riusciti a creare e che hanno preso il posto degli attivisti più anziani, grazie anche alla nuova voglia di partecipazione e alle nuove opportunità offerte dallo Statuto dei lavoratori.

 

Ho fatto parecchie assemblee in fabbrica e nei luoghi di lavoro non appena ce n'è stata la possibilità. Mi ricordo che c'era un supermercato dove avevo mandato una lettera per fare l'assemblea, ma il direttore non voleva perché non avevo iscritti. Gli ho risposto che gli iscritti li avevo anche se non era vero e l'ho minacciato che se non mi avrebbe fatto fare l'assemblea sarei andato a denunciarlo dai carabinieri. A quel punto ha ceduto, ho fatto l'assemblea e alla fine ho iscritto tutti i lavoratori. La Cgil impazziva dalla rabbia per questo mio risultato. Questo è accaduto anche altrove perché la Cgil tendeva a occuparsi delle aziende maggiori nella pianura mentre io battevo la collina. Per poter incontrare gli edili andavo la domenica al bar e lasciavo un volantino annunciando un incontro per la domenica successiva per controllare le paghe. Le riunioni le facevamo nei bar oppure negli oratori.

 

Rispetto all'unità sindacale io mi sono sempre mosso lealmente con molti dubbi. Non ero convinto, ma se l'organizzazione aveva deciso io sostenevo la scelta della Cisl. In una discussione ristretta con i segretari della Uil e della Cgil, con la Uil che entrava e usciva dalla riunione per i contrasti che c'erano, ho detto che se mi fossi alzato non sarei più tornato. Però è nato un legame forte anche di amicizia con il segretario della Cgil. Quando abbiamo iniziato a fare le manifestazioni insieme a Cgil e Uil, io chiedevo che non ci fossero le bandiere dei partiti e una volta ho dovuto minacciare di andarmene perché in corteo c'era un bello striscione del Partito comunista che poi è stato ammainato. Sul giornale del Pci, un settimanale che usciva il giovedì, sono stato attaccato duramente.

 

Al congresso del 1973 noi eravamo con Storti ma la Cisl di Pavia era molto divisa. Noi avevamo la sede vecchia vicino al Comune, ma l'altro gruppo aveva già affittato un appartamento dove fare la nuova sede. Io gli ho intimato di chiuderla e superata la fase più critica quell'appartamento è stato abbandonato. Si erano organizzati come sindacato della terra e del pubblico impiego. Qui a Pavia è stato uno scontro duro. La prima volta che sono stato eletto sono passato solo per tre voti, poi col tempo il leader della mia opposizione, Maga, il padre dell'attuale segretario generale, l'ho messo in segreteria con me per superare i contrasti.

 

Non ho condiviso le richieste di aumenti uguali per tutti, sono sempre stato convinto che uno il salario se lo deve meritare, si deve garantire a tutti un minimo ma poi il resto va guadagnato. D'altro canto la Cgil aveva una visione troppo ideologica.

 

Negli anni Settanta si è cercato di dare più spazio alle donne dentro l'organizzazione, c'era qualche donna che voleva, ma poi non aveva tempo perché era ancora troppo legata alla famiglia. Allora si veniva in sede alle otto del mattino e si andava a casa alle otto di sera e a volte non ci si andava  neppure. C'era l'idea di un impegno totale e per le donne era complicato. Di delegate donne ce n'erano, ma era difficile per loro assumere ruoli più importanti. Quando sono stato in segreteria di donne non ce n'erano. Ce n’era una di ottant’anni che teneva i conti.

 

Abbiamo avuto alcune persone che negli anni Settanta sono entrate a far parte di gruppi extraparlamentari. Una volta il capo del personale della Necchi chiese di incontrarmi lontano da occhi indiscreti e ci vedemmo all'ospedale di Pavia perché voleva parlarmi di alcuni delegati della sua azienda che avevano compiuto scelte radicali nei gruppi extraparlamentari, ma io ho spiegato che quelle persone ormai non avevano più nulla a che fare con la Cisl. A Voghera c'è un gruppo di giovani contestatori, ma non avevano il coraggio di andare fino in fondo e quando c'era un comizio della Cgil fischiavano e contestavano, ma quando intervenivo io se ne stavano zitti.

 

A metà degli anni Settanta ho avuto una crisi e ho seguito tutta l'esperienza dei preti operai di Torino, che nella grande maggioranza erano unitari, e mi ricordo che una domenica, in una discussione con loro, gli ho detto che non contavano niente perché non erano né Cgil, né Cisl, né Uil e nei congressi non potevano intervenire. Con questi preti ho fatto un'esperienza bellissima e li ho seguiti per cinque anni.

Ho sempre avuto una casa grande ed è sempre stata piena di gente e molti ragazzi la frequentavano e ancora oggi molti di quei rapporti sono vivi.

Mi è sempre piaciuto lavorare molto ma non apparire, anche da ragazzino all'oratorio si organizzavano le recite e io ero quello che stava dietro le quinte senza mai andare sul palco e questo è stato il mio comportamento anche nel sindacato, dove cercavo di apparire il meno possibile e se c'erano delle occasioni mandavo qualcun altro. Col tempo questo atteggiamento ho dovuto modificarlo perché era sempre il segretario generale che doveva essere presente però sono sempre stato schivo, sfuggendo fotografi e telecamere.

 

Per me l'esperienza sindacale è stata formidabile, ho sempre creduto nel sindacato. Il vecchio Ferrero raccontava che se si prendono quattro operai e si mettono intorno a un tavolo, quando parlano dei loro interessi in azienda sono uniti, se parlano di politica sono divisi. Per me questo è sempre stato vero e ho sempre sentito molto il discorso dell'unità sui problemi concreti. Ho sempre creduto nell'autonomia della Cisl e la Cisl è sempre stata autonoma.

 

La Cgil ha sempre osteggiato la contrattazione aziendale anche se poi, quando si convinceva a partecipare, pretendeva di ottenere tutto e subito mentre magari noi pensavamo che si potessero diluire nel tempo alcune richieste. Su questo abbiamo avuto con la Cgil degli scontri duri, anche perché accusavamo la Cgil di essere troppo legata al Partito comunista.

Secondo me i lavoratori hanno compreso che la politica è una cosa e il sindacato un'altra e questa idea si è affermata.