Sindacato
Ben presto in azienda mi sono trovato a
interessarmi dei problemi, prima dei miei colleghi e poi di tutti gli altri
lavoratori e in breve tempo, nel 1971, sono stato eletto delegato di reparto.
Nella raffineria eravamo in circa 270 persone. Da lì è iniziata la mia
avventura sindacale e da allora sono sempre stato eletto delegato fino a quando
sono uscito dalla fabbrica nel 1982 per entrare nella segreteria territoriale
della Cisl di Siracusa. Nel 1993 sono rientrato nella categoria come segretario
generale regionale della Flerica della Sicilia e quindi di Siracusa fino al
2009.
Solo nel marzo del 1972 ho deciso di iscrivermi
a un’organizzazione sindacale, scegliendo di aderire alla Federchimici Cisl.
Due, in particolare, le motivazioni che mi hanno spinto a tale scelta. La prima,
legata alla conoscenza, al dialogo e all’apprezzamento di un dirigente
sindacale, l’allora segretario generale della Federchimici di Siracusa,
Antonino Scalfaro. La seconda, derivante dal fatto che il gruppo di lavoratori
amici che mi stavano vicini in quell’avventura sindacale hanno condiviso la mia
scelta di aderire alla Cisl. Inizialmente furono una trentina, ma in poco tempo
circa duecento addetti della raffineria si sono iscritti alla Cisl. Fino a quel
momento la Uil era maggioritaria e fortissima con oltre il 70% degli iscritti.
Più avanti sono entrato nell'esecutivo del consiglio di fabbrica, composto di
21 persone, in rappresentanza dell'intero Petrolchimico che contava 170
delegati di Cgil Cisl Uil.
Nella seconda metà degli anni Settanta sono
stato nominato dalla Federchimici coordinatore delle strutture sindacali della
Montedison di Priolo, un’azienda che contava allora 6.800 dipendenti, con punte
che hanno superato i settemila. All'inizio erano arrivati in Sicilia tecnici
dagli altri petrolchimici come Mantova, Ferrara e Ravenna, e normalmente erano
i responsabili degli impianti, poi piano piano sono stati sostituiti da
maestranze locali.
Furono anni eccezionali: grande sviluppo
industriale, grandi battaglie con molte conquiste che hanno segnato una svolta
epocale nella cultura delle grandi aziende.
Generalmente con Cgil e Uil abbiamo sempre
lavorato insieme, però non sono mancate le difficoltà tra di noi, a volte si
partiva insieme poi ci divideva, ma alla fine si trovava di nuovo l'unità. Era
un momento di grande sensibilità, i lavoratori si affidavano per tutti i loro
problemi al sindacato e se li chiamavamo a una battaglia provinciale o
nazionale c'era la stessa volontà di partecipazione. Sono sempre stato convinto
che bisogna parlare molto con le strutture sindacali e con i lavoratori, perché
se uno procede da solo nella trattativa è più debole. Se discuti con la base
alla fine, qualunque sia il risultato raggiunto, le persone ti seguono e quando
le chiami sono con te.
Relazioni
industriali
Forse perché il sindacato contava molto, forse
perché il sistema produttivo era rigido, l'azienda era disponibile a discutere.
Io ho sempre cercato di avere un comportamento costruttivo, sia con i
lavoratori che con l'impresa, anche se difficilmente facevo sconti e abbiamo
avuto battaglie molto forti. Ma al di là della rigidità dei momenti, l'indomani
mattina per me continuava il dialogo e l'azienda mi rispettava per questo,
dialogo e costruzione.
Ci incontravamo con dirigenti dell’azienda che
venivano dalla sede di Milano. Abbiamo concordato nuove assunzioni attraverso
la riduzione degli straordinari. L’azienda ci forniva i dati che io elaboravo
per tutta la fabbrica e che poi trasformavamo in quantità di organico. Era un
confronto continuo tra di noi, l'azienda e l'associazione industriali, magari
preceduto da qualche manifestazione, qualche sciopero, avendo sempre al centro
l'attenzione a non demordere sull'occupazione.
Contrattazione
Nel 1977 abbiamo condotto una battaglia molto
forte sulle condizioni di lavoro e la sicurezza presentando una piattaforma con
venti punti tutti legati a questi aspetti, ma l'azienda non ci voleva sentire.
Dopo diversi giorni di incontri e colloqui infruttuosi abbiamo deciso di
iniziare la lotta e in sette settimane abbiamo fatto sette scioperi fermando
gli impianti. I lavoratori mi hanno seguito, ma siamo stati lasciati soli da
Cgil e Uil. Noi avevamo delle posizioni un po' più rigide rispetto ai nostri
colleghi di Ferrara e Ravenna che sostenevano la necessità di non fermare gli
impianti ma di portarli al “minimo tecnico”. Col tempo abbiamo adottato anche
noi quella modalità di protesta, ma con criteri frutto della mediazione tra le
diverse esperienze.
La lotta del ‘77 ha portato dei risultati con
un'inversione di rotta da parte dell'azienda in termini di sicurezza, di
diritti. Risultati che poi sono stati trasferiti a tutta la fabbrica. A me
interessava il risultato, e coinvolgevo gli altri reparti per estenderlo anche
a loro. Con la mia azione volevo anche fare gli iscritti, ma non a tutti i
costi, perché gli iscritti a qualunque costo nel tempo non pagano, la gente
deve essere convinta.
Noi gestivamo la contrattazione aziendale
autonomamente, anche se c'era un confronto in ambito sindacale con gli altri
impianti e con le segreterie nazionali di categoria.
Quella sull'ambiente e la sicurezza è stata una
battaglia che abbiamo condotta con continuità, sempre migliorando e
perfezionando la nostra azione. Abbiamo fatto spendere all'azienda un sacco di
soldi perché per noi era una questione cruciale.
Orari e flessibilità sono stati temi di
contrattazione importantissimi, in modo particolare per quanto riguardava i
turnisti, perché quasi il 45% degli addetti lavorava su turni. Abbiamo ottenuto
tutta una serie di modifiche sull'orario di lavoro. Negli anni Sessanta c'era
una turnistica allucinante, quando qualcuno mancava, era ammalato oppure aveva
dei problemi le sedici ore erano una cosa scontata. A me è capitato di rimanere
sull'impianto per ventidue ore di seguito. Con la nostra azione abbiamo
cambiato il sistema della turnazione. C'è stata la riduzione dell'orario, poi è
arrivata la quinta squadra, il sostituto, incrementando così gli organici e la
sicurezza sul lavoro.
L'inquadramento unico è stata una svolta forte,
abbiamo migliorato la qualifica di quasi la metà dei lavoratori, studiando le
mansioni.
All'inizio degli anni Ottanta ha preso avvio il
primo grande processo di ristrutturazione aziendale. Interventi di
riorganizzazione c'erano sempre stati, con trattative, revisione degli
inquadramenti, ma fino a quel momento erano piccoli processi che rientravano
nella normalità degli aggiornamenti degli impianti e degli adeguamenti delle
strutture. In quel momento con Montedison si fece una trattativa al ministero
del Lavoro che durò un mese, a cui ho partecipato regolarmente, fino a quando i
nostri segretari nazionali ci hanno detto che la vertenza si chiudeva con
l'uscita di 1.200 persone. In quel momento ci fu chi come me, che avevo
partecipato al confronto, voleva continuare la discussione a livello locale per
cercare di evitare quelle uscite e comunque gestire le conseguenze, e coloro
che invece non avevano partecipato alla trattativa nazionale e che erano per la
lotta e basta. Non si voleva avviare un nuovo confronto e si fece una grande
battaglia di sei giorni. Io l’ho seguita fino alla fine anche se non ero
convinto, ma le altre organizzazioni hanno cominciato a cedere già durante il
percorso. Nell'arco di un anno le 1.200 persone hanno lascito gli impianti.
Quello è stato l’inizio delle grandi ristrutturazioni che sono avvenute negli
anni successivi.