lunedì 10 agosto 2020

SEBASTIANO SPAGNA - Petrolchimico di Priolo - Siracusa

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono un perito chimico. Mio padre era un artigiano e io ero indeciso se seguire la sua strada oppure mettermi a studiare, ma poi mi sono iscritto all'Istituto chimico e mi sono diplomato. Nel novembre del 1968 sono stato assunto come impiegato, assistente e poi responsabile tecnico di impianti, nel settore raffinazione dalla Sincat, Società industriale catanese, che più avanti è entrata a far parte di Montedison. L'area è quella di Priolo, Melilli e Augusta. In quei mesi i lavoratori agricoli della provincia di Siracusa intrapresero una lotta per aumentare le loro paghe giornaliere, per eliminare le differenze salariali esistenti nella stessa provincia e per abolire la figura del caporalato. La lotta iniziò il 24 novembre e culminò con i blocchi stradali. La protesta si estese a quasi tutta la provincia provocando non pochi disagi per la viabilità. Erano i miei primi giorni di lavoro e volli comprendere le motivazioni di quelle aspre battaglie. Mi sono fermato con la mia Cinquecento a uno dei posti di blocco e ho iniziato ad ascoltare le ragioni di quei lavoratori e ho compreso che lottavano per l’occupazione e per un giusto salario ma, soprattutto, cercavano di dare dignità al proprio lavoro e alla propria persona.

I fatti di Avola, il 2 dicembre, con due morti e 48 feriti, gli scioperi generali che ne seguirono, la partecipazione e la solidarietà dei lavoratori delle fabbriche, l’autunno caldo del ’69 con le conquiste salariali e normative, con l’abbattimento delle gabbie salariali e lo Statuto dei lavoratori, mi convinsero a partecipare alle lotte. Quando iniziarono gli scioperi io ero uno dei pochi impiegati che si fermava.Ho compreso, in quel momento, che il mio modo di essere già ai tempi della scuola, quando avevo cominciato a misurarmi con i temi sociali e politici, con scioperi e battaglie su vari temi, non era un incidente di percorso, ma una naturale propensione a prendere parte alle battaglie per rivendicare maggiori diritti sociali ed economici.

Sindacato

Ben presto in azienda mi sono trovato a interessarmi dei problemi, prima dei miei colleghi e poi di tutti gli altri lavoratori e in breve tempo, nel 1971, sono stato eletto delegato di reparto. Nella raffineria eravamo in circa 270 persone. Da lì è iniziata la mia avventura sindacale e da allora sono sempre stato eletto delegato fino a quando sono uscito dalla fabbrica nel 1982 per entrare nella segreteria territoriale della Cisl di Siracusa. Nel 1993 sono rientrato nella categoria come segretario generale regionale della Flerica della Sicilia e quindi di Siracusa fino al 2009.

Solo nel marzo del 1972 ho deciso di iscrivermi a un’organizzazione sindacale, scegliendo di aderire alla Federchimici Cisl. Due, in particolare, le motivazioni che mi hanno spinto a tale scelta. La prima, legata alla conoscenza, al dialogo e all’apprezzamento di un dirigente sindacale, l’allora segretario generale della Federchimici di Siracusa, Antonino Scalfaro. La seconda, derivante dal fatto che il gruppo di lavoratori amici che mi stavano vicini in quell’avventura sindacale hanno condiviso la mia scelta di aderire alla Cisl. Inizialmente furono una trentina, ma in poco tempo circa duecento addetti della raffineria si sono iscritti alla Cisl. Fino a quel momento la Uil era maggioritaria e fortissima con oltre il 70% degli iscritti. Più avanti sono entrato nell'esecutivo del consiglio di fabbrica, composto di 21 persone, in rappresentanza dell'intero Petrolchimico che contava 170 delegati di Cgil Cisl Uil.

Nella seconda metà degli anni Settanta sono stato nominato dalla Federchimici coordinatore delle strutture sindacali della Montedison di Priolo, un’azienda che contava allora 6.800 dipendenti, con punte che hanno superato i settemila. All'inizio erano arrivati in Sicilia tecnici dagli altri petrolchimici come Mantova, Ferrara e Ravenna, e normalmente erano i responsabili degli impianti, poi piano piano sono stati sostituiti da maestranze locali.

Furono anni eccezionali: grande sviluppo industriale, grandi battaglie con molte conquiste che hanno segnato una svolta epocale nella cultura delle grandi aziende.

Generalmente con Cgil e Uil abbiamo sempre lavorato insieme, però non sono mancate le difficoltà tra di noi, a volte si partiva insieme poi ci divideva, ma alla fine si trovava di nuovo l'unità. Era un momento di grande sensibilità, i lavoratori si affidavano per tutti i loro problemi al sindacato e se li chiamavamo a una battaglia provinciale o nazionale c'era la stessa volontà di partecipazione. Sono sempre stato convinto che bisogna parlare molto con le strutture sindacali e con i lavoratori, perché se uno procede da solo nella trattativa è più debole. Se discuti con la base alla fine, qualunque sia il risultato raggiunto, le persone ti seguono e quando le chiami sono con te.

Relazioni industriali

Forse perché il sindacato contava molto, forse perché il sistema produttivo era rigido, l'azienda era disponibile a discutere. Io ho sempre cercato di avere un comportamento costruttivo, sia con i lavoratori che con l'impresa, anche se difficilmente facevo sconti e abbiamo avuto battaglie molto forti. Ma al di là della rigidità dei momenti, l'indomani mattina per me continuava il dialogo e l'azienda mi rispettava per questo, dialogo e costruzione.

Ci incontravamo con dirigenti dell’azienda che venivano dalla sede di Milano. Abbiamo concordato nuove assunzioni attraverso la riduzione degli straordinari. L’azienda ci forniva i dati che io elaboravo per tutta la fabbrica e che poi trasformavamo in quantità di organico. Era un confronto continuo tra di noi, l'azienda e l'associazione industriali, magari preceduto da qualche manifestazione, qualche sciopero, avendo sempre al centro l'attenzione a non demordere sull'occupazione.

Contrattazione

Nel 1977 abbiamo condotto una battaglia molto forte sulle condizioni di lavoro e la sicurezza presentando una piattaforma con venti punti tutti legati a questi aspetti, ma l'azienda non ci voleva sentire. Dopo diversi giorni di incontri e colloqui infruttuosi abbiamo deciso di iniziare la lotta e in sette settimane abbiamo fatto sette scioperi fermando gli impianti. I lavoratori mi hanno seguito, ma siamo stati lasciati soli da Cgil e Uil. Noi avevamo delle posizioni un po' più rigide rispetto ai nostri colleghi di Ferrara e Ravenna che sostenevano la necessità di non fermare gli impianti ma di portarli al “minimo tecnico”. Col tempo abbiamo adottato anche noi quella modalità di protesta, ma con criteri frutto della mediazione tra le diverse esperienze.

La lotta del ‘77 ha portato dei risultati con un'inversione di rotta da parte dell'azienda in termini di sicurezza, di diritti. Risultati che poi sono stati trasferiti a tutta la fabbrica. A me interessava il risultato, e coinvolgevo gli altri reparti per estenderlo anche a loro. Con la mia azione volevo anche fare gli iscritti, ma non a tutti i costi, perché gli iscritti a qualunque costo nel tempo non pagano, la gente deve essere convinta.

Noi gestivamo la contrattazione aziendale autonomamente, anche se c'era un confronto in ambito sindacale con gli altri impianti e con le segreterie nazionali di categoria.

Quella sull'ambiente e la sicurezza è stata una battaglia che abbiamo condotta con continuità, sempre migliorando e perfezionando la nostra azione. Abbiamo fatto spendere all'azienda un sacco di soldi perché per noi era una questione cruciale.

Orari e flessibilità sono stati temi di contrattazione importantissimi, in modo particolare per quanto riguardava i turnisti, perché quasi il 45% degli addetti lavorava su turni. Abbiamo ottenuto tutta una serie di modifiche sull'orario di lavoro. Negli anni Sessanta c'era una turnistica allucinante, quando qualcuno mancava, era ammalato oppure aveva dei problemi le sedici ore erano una cosa scontata. A me è capitato di rimanere sull'impianto per ventidue ore di seguito. Con la nostra azione abbiamo cambiato il sistema della turnazione. C'è stata la riduzione dell'orario, poi è arrivata la quinta squadra, il sostituto, incrementando così gli organici e la sicurezza sul lavoro.

L'inquadramento unico è stata una svolta forte, abbiamo migliorato la qualifica di quasi la metà dei lavoratori, studiando le mansioni.

All'inizio degli anni Ottanta ha preso avvio il primo grande processo di ristrutturazione aziendale. Interventi di riorganizzazione c'erano sempre stati, con trattative, revisione degli inquadramenti, ma fino a quel momento erano piccoli processi che rientravano nella normalità degli aggiornamenti degli impianti e degli adeguamenti delle strutture. In quel momento con Montedison si fece una trattativa al ministero del Lavoro che durò un mese, a cui ho partecipato regolarmente, fino a quando i nostri segretari nazionali ci hanno detto che la vertenza si chiudeva con l'uscita di 1.200 persone. In quel momento ci fu chi come me, che avevo partecipato al confronto, voleva continuare la discussione a livello locale per cercare di evitare quelle uscite e comunque gestire le conseguenze, e coloro che invece non avevano partecipato alla trattativa nazionale e che erano per la lotta e basta. Non si voleva avviare un nuovo confronto e si fece una grande battaglia di sei giorni. Io l’ho seguita fino alla fine anche se non ero convinto, ma le altre organizzazioni hanno cominciato a cedere già durante il percorso. Nell'arco di un anno le 1.200 persone hanno lascito gli impianti. Quello è stato l’inizio delle grandi ristrutturazioni che sono avvenute negli anni successivi.