Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
La
cultura chimica delle relazioni industriali nasce sulla base di una scelta
strategica forte delle imprese, cioè fare delle relazioni industriali uno
strumento di competitività con il proposito di cogliere questo obiettivo in
modo equilibrato, tenendo sempre in considerazione di dovere mediare tra
esigenze diverse. Avendo fatto un certo tipo di percorso culturale insieme con
il sindacato quest'opera di mediazione ci viene forse più facile. È stata
fortissima negli anni Ottanta e Novanta, credo che abbia toccato il suo massimo
in anni abbastanza complicati per l'ambito sindacale, ma siamo riusciti a
vivere sostanzialmente un clima di pace sociale. Si è un po' inquinata - e
quando lo dico nelle riunioni con il sindacato qualcuno si arrabbia per il
fatto che uso questo termine - in questi ultimi anni per un problema sorto in
casa sindacale, dove ci sono stati molti accorpamenti tra vari settori, anche
culturalmente molto diversi, e questo ha generato qualche problema, qualche
incoerenza di comportamenti sul territorio.
Modello contrattuale
Noi
siamo assolutamente contrari a un contratto unico dell'industria. L'abbiamo
sempre osteggiato. Nella nostra esperienza il contratto è uno strumento utile
agli utenti e coglie le loro esigenze, delle imprese e dei lavoratori. Se
mettiamo insieme esigenze troppo diverse saremo costretti a un livello di
mediazione che non servirà più a nessuno, quindi siamo contrari. Noi pensiamo
che non ci possano essere regole uguali per tutti, ci devono essere delle linee
strategiche uguali, ma poi ciascuno si deve dare da solo, col suo contratto, le
regole migliori per la propria realtà. Se i meccanici portano avanti un'idea
vuol dire che alle loro imprese va bene quell'idea lì. Le nostre imprese non la
condividono. Le nostre imprese sono abituate in un altro modo e quando noi,
quando è partito il dibattito in Confindustria, abbiamo ventilato l'ipotesi di
depotenziare il contratto nazionale e spingere per la contrattazione aziendale,
le imprese, non solo le piccole ma anche le grandi, tutte, ci hanno detto che
non se ne parla.
Durante
il confronto sviluppatosi in occasione della scelta del nuovo presidente di
Confindustria la gran parte delle associazioni si è espressa a favore del
modello contrattuale di Federmeccanica, ma noi abbiamo manifestato un’opinione
diversa e mi risulta che non siamo stati i soli.
Non
credo che il chimico sia l’unico settore che si sia sforzato di fare delle
relazioni industriali uno strumento utile per le imprese, ci sono altri settori
che lo hanno fatto con un certo successo, però se ne parla molto poco, si parla
sempre dei più grossi. E non credo che quella dei meccanici, dal punto di vista
delle relazioni industriali, sia l'esperienza più felice. Il meccanico è sempre
stato il settore più conflittuale. Per altro ci sono aziende metalmeccaniche
che hanno ottime relazioni sindacali, che fanno ottimi accordi anche se
certamente sono in numero limitato. Il vero problema, anche se pochi se ne
rendono conto, è un fatto di cultura. La cultura non si inventa in una notte,
la nostra cultura è stata costruita in decenni, piano piano, giorno per giorno
e i risultati di questo investimento si vedono nel tempo. I risultati da un
giorno all'altro non sono possibili.
L'ultimo
contratto nazionale lo abbiamo rinnovato in una notte. Ora, anche al più
sprovveduto appare chiaro che è impossibile fare un contratto collettivo in una
notte. Solo il nostro metodo di lavoro lo ha reso possibile. Quando abbiamo
firmato nel 2012, un mese dopo abbiamo iniziato a lavorare per il futuro,
usando lo strumento dell'Osservatorio, con un metodo di lavoro creato negli
anni Ottanta. L’Osservatorio è un luogo di confronto che ha un grosso
vantaggio, non è un ambito negoziale, è un ambito di confronto libero, uno
spazio dove uno si può confrontare senza condizionamenti e condividere delle
conoscenze. Questo semplifica molto e quando ci si siede al tavolo per tirare
le somme si sono già esplorate tutte le questioni. L'altro fattore decisivo, su
cui abbiamo lavorato molto, anche se non sempre ci siamo riusciti, è che il
nostro approccio alle relazioni, e quasi sempre anche quello del sindacato, è
assolutamente non ideologico, sempre molto pragmatico anche sui problemi più
scottanti.
Un'altra
caratteristica che devono avere le relazioni industriali è quella che bisogna essere
molto realisti, avere degli obiettivi importanti, ma fare le cose che si
possono realizzare, spingendo per l'innovazione, ma che abbia dei contenuti, e
questo si fa con la cultura. Fare un fondo nazionale a cui si iscrive solo il
5% dei lavoratori a noi non interessa, è solo una bandierina e una bandierina
non serve a nulla, e infatti il nostro è un fondo di successo, con oltre l'80%
dei lavoratori iscritti.
La
possibilità di fare certe scelte discende dal fatto che il livello tecnico, quello
strategico e quello politico in Federchimica hanno una coesione molto forte. C'è
una coerenza assoluta e una solidità che ci permette di procedere anche in
situazioni molto delicate come era quella dell’ottobre scorso. Una volta che
c'è la consapevolezza che si va in una linea che dal punto di vista strategico
è coerente e si fa l'interesse delle imprese, si può procedere. Noi siamo gli
unici che hanno rinnovato il contratto nazionale di lavoro in questa stagione. Avevamo
l'impressione che si stesse perdendo tempo e non volevamo pregiudicare la
nostra situazione.
La
cosa peggiore è quando i temi sindacali vengono strumentalizzati ad altri fini.
Noi abbiamo rinnovato il contratto non sulla base del “decalogo” proposto
inizialmente da Confindustria bensì del “pentalogo”, nel quale non c'era quel
riferimento ai minimi di garanzia che a noi non piace, perché vuol dire
depotenziare dal punto di vista economico il contratto e spingere sulla
contrattazione decentrata. Ma le piccole aziende del chimico non la vogliono
fare. Perché metterle in difficoltà e creare situazioni di conflittualità?
Meglio il contratto nazionale, fatto con determinate caratteristiche, che sia
compatibile dal punto di vista economico, ma che sia integrato tra nazionale e
aziendale. A nostro avviso, nella nostra esperienza i due livelli reggono se
sono assolutamente complementari. Quindi il vero punto su cui bisognerebbe
lavorare a fondo è quello di far sì che la contrattazione sia realmente, e non
solo formalmente, variabile. L'Osservatorio aziendale, se usato bene come
abbiamo fatto a livello nazionale, dovrebbe aiutare moltissimo, anche con il
nostro supporto.
Si
riesce a far accettare alle persone questa variabilità, anche il fatto di non
prendere un soldo se le cose vanno male - come nel caso del premio di
partecipazione che abbiamo fatto 1994 -, se le fai partecipare, se toccano con
mano, se c'è trasparenza. Se sono scelte calate dall'alto non servono a niente.
La fiducia c'è se c'è piena trasparenza.
Responsabili del personale
Quando
nelle aziende arrivano responsabili delle relazioni industriali più giovani noi
ci sforziamo di formare anche loro. Occorre dire che c'è stato un grosso cambiamento
rispetto a quando ho iniziato a fare questo mestiere, che incide in modo
pesante. Negli anni Ottanta il direttore del personale delle multinazionali
erano i numeri due delle aziende, erano uomini forti nell'impresa. In questi
ultimi anni nelle multinazionali c'è stato un accentramento del potere
decisionale nella casa madre e il ruolo del direttore del personale in Italia
delle multinazionali estere non è più quello di una volta, e questo incide.
Negli anni Ottanta queste figure si formavano sul campo, oggi la nuova
generazione ha la fortuna di essere in un settore dove il conflitto è molto
raro e quando questo scoppia non c'è l'abitudine a gestirlo, però hanno anche la
fortuna di avere un'associazione forte che li supporta. Lavoriamo molto sulla
cultura a due vie. Abbiamo fatto la norma contrattuale per la formazione delle
Rsu, ma ai corsi partecipano anche gli uomini delle imprese. Sono percorsi che
aiutano i nuovi.
Contrattazione
I
temi forti su cui abbiamo lavorato in questo ultimo rinnovo contrattuale dal
punto di vista delle relazioni sono tre: la partecipazione, la formazione e la
semplificazione. Sono tre temi che impattano in modo forte sul sistema delle
relazioni industriali e sulla contrattazione. Stiamo cercando di esportare in
modo deciso a livello aziendale il metodo dell'Osservatorio, prima era
facoltativo ora è vincolante, le aziende oltre cinquanta addetti devono attivarlo.
Questa è la nostra via alla partecipazione, perché ha avuto successo a livello
nazionale e pensiamo che lo possa avere anche a livello aziendale. Peraltro ci
sono già esperienze dove si pratica ed è utile.
La
formazione per gli attori sociali è diventata obbligatoria. Per ogni nuovo Rsu
dopo tre mesi dall'elezione, fatta in modo congiunto.
Infine,
il nostro è un buon contratto e lo abbiamo migliorato, lo abbiamo ripulito un
po' dopo tanti anni, semplificato sia formalmente che strutturalmente, e quindi
consegniamo agli attori sociali uno strumento più facile da usare e da capire. Perché
è un problema che abbiamo anche noi, nonostante il contratto da anni abbia dato
un sacco di opportunità alle imprese. Queste opportunità sono poco colte. Anche
in un settore avanti come il nostro sulla contrattazione, la negoziazione
aziendale fa fatica a cogliere tutte le opportunità e quindi stiamo spingendo
perché questo avvenga.
Con
il rinnovo abbiamo aperto spazi importanti alla contrattazione, non con le
chiacchiere ma con le scelte fatte. Abbiamo cancellato dal contratto il vecchio
premio presenza, fatto negli anni Ottanta, che anche allora fu una novità
importante, molto criticata, ma che ha portato nel settore un cambiamento
significativo. Ricordo che quando l'abbiamo fatto c'era un assenteismo a due
cifre e il premio lo ha strutturalmente ridotto. Ora abbiamo detto che il
premio a livello nazionale ha un po' finito il suo ruolo per cui lo abbiamo tolto
e lasciamo che sia gestito a livello aziendale. Per chi non fa contrattazione,
nel nostro contratto già da anni esiste il premio variabile oppure, per chi non
vuole utilizzare neppure quello, c'è l'elemento perequativo.
Il sindacato
Grazie
al nostro modo di fare relazioni industriali abbiamo la fortuna di avere un
sindacato di un certo tipo, però anche il nostro, specie sul territorio, lo
vedo un po' indebolito e a volte un po' assente e non sempre riesce ad avere
gente di qualità a tutti i livelli. Specie in una fase come questa, dove il
ruolo dei corpi intermedi è messo in discussione.
Le
relazioni industriali, come credo debbano essere e come le intendiamo noi,
devono essere un servizio. Si legittima il proprio ruolo se si dà un servizio a
chi si rappresenta e questo vale sia per le imprese che per il sindacato. Se si
perde questo diamo ragione a chi ci spara addosso.
La
fine della Fulc rappresenta un indebolimento, l'unitarietà del sindacato è
stata un altro dei fattori vincenti per la costruzione di relazioni sindacali
partecipative alla quale abbiamo sempre lavorato. Anche dove c'erano delle
fratture noi abbiamo sempre cercato di compattarle, perché nella nostra idea
noi abbiamo bisogno di un sindacato forte non debole. La logica dei rapporti di
forza, per cui se tu sei debole io vinco, non ci appartiene. Un sindacato
unitario a mio avviso è più forte, perché quando ci si divide allora si
inseguono elementi ideologici o ragioni di interesse e si perde la logica di
servizio.
Welfare aziendale
Il
welfare per avere successo deve essere una scelta consapevole e non
strumentale. Con l'ultimo rinnovo abbiamo fatto una cosa importante: abbiamo
espressamente scritto che a livello d'impresa le cifre destinate all'ex premio di
presenza, piuttosto che al premio variabile o all'elemento perequativo, invece
di darle cash si può decidere, con un accordo aziendale, di investirle in
welfare, in parte o tutto a seconda della realtà. È una scelta delle parti.
Nel contratto da tempo abbiamo anche lanciato un'idea, credo molto
interessante, di fare un fondo aziendale finalizzato al welfare, una cosa che però
non ha avuto molta applicazione. Un fondo dove io come lavoratore posso versare
una piccola parte del mio stipendio, con una quota anche dell'azienda, oppure
il conto ore o altro, e gestirlo insieme per far fronte a esigenze individuali
o collettive di welfare. E’ una opportunità che ora potrebbe ritrovare slancio,
essendo diventata anche più vantaggiosa dal punto di vista economico.