mercoledì 5 agosto 2020

ANDREA PISCITELLI - Dir. relazioni sindacali Federchimica

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

La chimica ha molti settori merceologici e molto eterogenei. Però, se pure siamo così diversi, sui temi sindacali siamo compatti. Tutti i settori che ci compongono e le tipologie di imprese, grandi e piccole, sostengono una impostazione di relazioni industriali partecipative che nasce da un metodo che abbiamo dagli anni Settanta. Tutte le cose che facciamo sul fronte sindacale, sul fronte contrattuale nascono dal basso. C'è un forte coinvolgimento delle imprese attraverso dei comitati, dei gruppi di lavoro. Partiamo dalle esigenze delle imprese, tutto quello che facciamo è da lì che prende avvio, con una capacità di mediare tra esigenze che sono oggettivamente diverse. Credo però che il nostro contratto sia riuscito a soddisfare un po' tutti, anche perché è molto flessibile e lascia molto spazio alla contrattazione aziendale.
E’ un contratto che si preoccupa di dare risposte anche a quelle realtà dove non si fa contrattazione che sono poi le più numerose, anche se è vero che il 30% che la fa rappresenta il 65/70% degli occupati. Le piccole sono una realtà che non bisogna mai trascurare perché hanno forse più bisogno del ruolo associativo.

La cultura chimica delle relazioni industriali nasce sulla base di una scelta strategica forte delle imprese, cioè fare delle relazioni industriali uno strumento di competitività con il proposito di cogliere questo obiettivo in modo equilibrato, tenendo sempre in considerazione di dovere mediare tra esigenze diverse. Avendo fatto un certo tipo di percorso culturale insieme con il sindacato quest'opera di mediazione ci viene forse più facile. È stata fortissima negli anni Ottanta e Novanta, credo che abbia toccato il suo massimo in anni abbastanza complicati per l'ambito sindacale, ma siamo riusciti a vivere sostanzialmente un clima di pace sociale. Si è un po' inquinata - e quando lo dico nelle riunioni con il sindacato qualcuno si arrabbia per il fatto che uso questo termine - in questi ultimi anni per un problema sorto in casa sindacale, dove ci sono stati molti accorpamenti tra vari settori, anche culturalmente molto diversi, e questo ha generato qualche problema, qualche incoerenza di comportamenti sul territorio.

Modello contrattuale

Noi siamo assolutamente contrari a un contratto unico dell'industria. L'abbiamo sempre osteggiato. Nella nostra esperienza il contratto è uno strumento utile agli utenti e coglie le loro esigenze, delle imprese e dei lavoratori. Se mettiamo insieme esigenze troppo diverse saremo costretti a un livello di mediazione che non servirà più a nessuno, quindi siamo contrari. Noi pensiamo che non ci possano essere regole uguali per tutti, ci devono essere delle linee strategiche uguali, ma poi ciascuno si deve dare da solo, col suo contratto, le regole migliori per la propria realtà. Se i meccanici portano avanti un'idea vuol dire che alle loro imprese va bene quell'idea lì. Le nostre imprese non la condividono. Le nostre imprese sono abituate in un altro modo e quando noi, quando è partito il dibattito in Confindustria, abbiamo ventilato l'ipotesi di depotenziare il contratto nazionale e spingere per la contrattazione aziendale, le imprese, non solo le piccole ma anche le grandi, tutte, ci hanno detto che non se ne parla.

Durante il confronto sviluppatosi in occasione della scelta del nuovo presidente di Confindustria la gran parte delle associazioni si è espressa a favore del modello contrattuale di Federmeccanica, ma noi abbiamo manifestato un’opinione diversa e mi risulta che non siamo stati i soli.

Non credo che il chimico sia l’unico settore che si sia sforzato di fare delle relazioni industriali uno strumento utile per le imprese, ci sono altri settori che lo hanno fatto con un certo successo, però se ne parla molto poco, si parla sempre dei più grossi. E non credo che quella dei meccanici, dal punto di vista delle relazioni industriali, sia l'esperienza più felice. Il meccanico è sempre stato il settore più conflittuale. Per altro ci sono aziende metalmeccaniche che hanno ottime relazioni sindacali, che fanno ottimi accordi anche se certamente sono in numero limitato. Il vero problema, anche se pochi se ne rendono conto, è un fatto di cultura. La cultura non si inventa in una notte, la nostra cultura è stata costruita in decenni, piano piano, giorno per giorno e i risultati di questo investimento si vedono nel tempo. I risultati da un giorno all'altro non sono possibili.

L'ultimo contratto nazionale lo abbiamo rinnovato in una notte. Ora, anche al più sprovveduto appare chiaro che è impossibile fare un contratto collettivo in una notte. Solo il nostro metodo di lavoro lo ha reso possibile. Quando abbiamo firmato nel 2012, un mese dopo abbiamo iniziato a lavorare per il futuro, usando lo strumento dell'Osservatorio, con un metodo di lavoro creato negli anni Ottanta. L’Osservatorio è un luogo di confronto che ha un grosso vantaggio, non è un ambito negoziale, è un ambito di confronto libero, uno spazio dove uno si può confrontare senza condizionamenti e condividere delle conoscenze. Questo semplifica molto e quando ci si siede al tavolo per tirare le somme si sono già esplorate tutte le questioni. L'altro fattore decisivo, su cui abbiamo lavorato molto, anche se non sempre ci siamo riusciti, è che il nostro approccio alle relazioni, e quasi sempre anche quello del sindacato, è assolutamente non ideologico, sempre molto pragmatico anche sui problemi più scottanti.

Un'altra caratteristica che devono avere le relazioni industriali è quella che bisogna essere molto realisti, avere degli obiettivi importanti, ma fare le cose che si possono realizzare, spingendo per l'innovazione, ma che abbia dei contenuti, e questo si fa con la cultura. Fare un fondo nazionale a cui si iscrive solo il 5% dei lavoratori a noi non interessa, è solo una bandierina e una bandierina non serve a nulla, e infatti il nostro è un fondo di successo, con oltre l'80% dei lavoratori iscritti.

La possibilità di fare certe scelte discende dal fatto che il livello tecnico, quello strategico e quello politico in Federchimica hanno una coesione molto forte. C'è una coerenza assoluta e una solidità che ci permette di procedere anche in situazioni molto delicate come era quella dell’ottobre scorso. Una volta che c'è la consapevolezza che si va in una linea che dal punto di vista strategico è coerente e si fa l'interesse delle imprese, si può procedere. Noi siamo gli unici che hanno rinnovato il contratto nazionale di lavoro in questa stagione. Avevamo l'impressione che si stesse perdendo tempo e non volevamo pregiudicare la nostra situazione.

La cosa peggiore è quando i temi sindacali vengono strumentalizzati ad altri fini. Noi abbiamo rinnovato il contratto non sulla base del “decalogo” proposto inizialmente da Confindustria bensì del “pentalogo”, nel quale non c'era quel riferimento ai minimi di garanzia che a noi non piace, perché vuol dire depotenziare dal punto di vista economico il contratto e spingere sulla contrattazione decentrata. Ma le piccole aziende del chimico non la vogliono fare. Perché metterle in difficoltà e creare situazioni di conflittualità? Meglio il contratto nazionale, fatto con determinate caratteristiche, che sia compatibile dal punto di vista economico, ma che sia integrato tra nazionale e aziendale. A nostro avviso, nella nostra esperienza i due livelli reggono se sono assolutamente complementari. Quindi il vero punto su cui bisognerebbe lavorare a fondo è quello di far sì che la contrattazione sia realmente, e non solo formalmente, variabile. L'Osservatorio aziendale, se usato bene come abbiamo fatto a livello nazionale, dovrebbe aiutare moltissimo, anche con il nostro supporto.

Si riesce a far accettare alle persone questa variabilità, anche il fatto di non prendere un soldo se le cose vanno male - come nel caso del premio di partecipazione che abbiamo fatto 1994 -, se le fai partecipare, se toccano con mano, se c'è trasparenza. Se sono scelte calate dall'alto non servono a niente. La fiducia c'è se c'è piena trasparenza.

Responsabili del personale

Quando nelle aziende arrivano responsabili delle relazioni industriali più giovani noi ci sforziamo di formare anche loro. Occorre dire che c'è stato un grosso cambiamento rispetto a quando ho iniziato a fare questo mestiere, che incide in modo pesante. Negli anni Ottanta il direttore del personale delle multinazionali erano i numeri due delle aziende, erano uomini forti nell'impresa. In questi ultimi anni nelle multinazionali c'è stato un accentramento del potere decisionale nella casa madre e il ruolo del direttore del personale in Italia delle multinazionali estere non è più quello di una volta, e questo incide. Negli anni Ottanta queste figure si formavano sul campo, oggi la nuova generazione ha la fortuna di essere in un settore dove il conflitto è molto raro e quando questo scoppia non c'è l'abitudine a gestirlo, però hanno anche la fortuna di avere un'associazione forte che li supporta. Lavoriamo molto sulla cultura a due vie. Abbiamo fatto la norma contrattuale per la formazione delle Rsu, ma ai corsi partecipano anche gli uomini delle imprese. Sono percorsi che aiutano i nuovi.

Contrattazione

I temi forti su cui abbiamo lavorato in questo ultimo rinnovo contrattuale dal punto di vista delle relazioni sono tre: la partecipazione, la formazione e la semplificazione. Sono tre temi che impattano in modo forte sul sistema delle relazioni industriali e sulla contrattazione. Stiamo cercando di esportare in modo deciso a livello aziendale il metodo dell'Osservatorio, prima era facoltativo ora è vincolante, le aziende oltre cinquanta addetti devono attivarlo. Questa è la nostra via alla partecipazione, perché ha avuto successo a livello nazionale e pensiamo che lo possa avere anche a livello aziendale. Peraltro ci sono già esperienze dove si pratica ed è utile.

La formazione per gli attori sociali è diventata obbligatoria. Per ogni nuovo Rsu dopo tre mesi dall'elezione, fatta in modo congiunto.

Infine, il nostro è un buon contratto e lo abbiamo migliorato, lo abbiamo ripulito un po' dopo tanti anni, semplificato sia formalmente che strutturalmente, e quindi consegniamo agli attori sociali uno strumento più facile da usare e da capire. Perché è un problema che abbiamo anche noi, nonostante il contratto da anni abbia dato un sacco di opportunità alle imprese. Queste opportunità sono poco colte. Anche in un settore avanti come il nostro sulla contrattazione, la negoziazione aziendale fa fatica a cogliere tutte le opportunità e quindi stiamo spingendo perché questo avvenga.

Con il rinnovo abbiamo aperto spazi importanti alla contrattazione, non con le chiacchiere ma con le scelte fatte. Abbiamo cancellato dal contratto il vecchio premio presenza, fatto negli anni Ottanta, che anche allora fu una novità importante, molto criticata, ma che ha portato nel settore un cambiamento significativo. Ricordo che quando l'abbiamo fatto c'era un assenteismo a due cifre e il premio lo ha strutturalmente ridotto. Ora abbiamo detto che il premio a livello nazionale ha un po' finito il suo ruolo per cui lo abbiamo tolto e lasciamo che sia gestito a livello aziendale. Per chi non fa contrattazione, nel nostro contratto già da anni esiste il premio variabile oppure, per chi non vuole utilizzare neppure quello, c'è l'elemento perequativo.

Il sindacato

Grazie al nostro modo di fare relazioni industriali abbiamo la fortuna di avere un sindacato di un certo tipo, però anche il nostro, specie sul territorio, lo vedo un po' indebolito e a volte un po' assente e non sempre riesce ad avere gente di qualità a tutti i livelli. Specie in una fase come questa, dove il ruolo dei corpi intermedi è messo in discussione.

Le relazioni industriali, come credo debbano essere e come le intendiamo noi, devono essere un servizio. Si legittima il proprio ruolo se si dà un servizio a chi si rappresenta e questo vale sia per le imprese che per il sindacato. Se si perde questo diamo ragione a chi ci spara addosso.

La fine della Fulc rappresenta un indebolimento, l'unitarietà del sindacato è stata un altro dei fattori vincenti per la costruzione di relazioni sindacali partecipative alla quale abbiamo sempre lavorato. Anche dove c'erano delle fratture noi abbiamo sempre cercato di compattarle, perché nella nostra idea noi abbiamo bisogno di un sindacato forte non debole. La logica dei rapporti di forza, per cui se tu sei debole io vinco, non ci appartiene. Un sindacato unitario a mio avviso è più forte, perché quando ci si divide allora si inseguono elementi ideologici o ragioni di interesse e si perde la logica di servizio.

Welfare aziendale

Il welfare per avere successo deve essere una scelta consapevole e non strumentale. Con l'ultimo rinnovo abbiamo fatto una cosa importante: abbiamo espressamente scritto che a livello d'impresa le cifre destinate all'ex premio di presenza, piuttosto che al premio variabile o all'elemento perequativo, invece di darle cash si può decidere, con un accordo aziendale, di investirle in welfare, in parte o tutto a seconda della realtà. È una scelta delle parti.

Nel contratto da tempo abbiamo anche lanciato un'idea, credo molto interessante, di fare un fondo aziendale finalizzato al welfare, una cosa che però non ha avuto molta applicazione. Un fondo dove io come lavoratore posso versare una piccola parte del mio stipendio, con una quota anche dell'azienda, oppure il conto ore o altro, e gestirlo insieme per far fronte a esigenze individuali o collettive di welfare. E’ una opportunità che ora potrebbe ritrovare slancio, essendo diventata anche più vantaggiosa dal punto di vista economico.