giovedì 6 agosto 2020

SERGIO PIZZI - Agip - Raffineria di Rho (Mi)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Ho iniziato a lavorare a diciotto anni in una piccola fabbrica a Milano che faceva prodotti per la marina, assunto come operaio addetto al controllo dei pezzi. Quando mi sono reso conto che il personale di quell'azienda andava a fare il servizio militare in marina, che era più lungo, mi sono licenziato e sono andato a lavorare in un'altra piccola fabbrica, una torneria che lavorava pezzi metallici. Allora anche se eri preparato ma eri giovane non contavi, ciò che aveva valore era l'esperienza degli anziani.

Fatto il servizio militare a Merano, dopo quattordici mesi sono tornato e sono stato assunto in raffineria, alla Shell italiana di Rho, dove già lavorava mio padre e dove le paghe erano tra il venti e il trenta per cento più alte rispetto alle aziende metalmeccaniche del circondario. Ero vicino a casa, c'era la mensa e poi era una grande ditta e quindi mi sentivo garantito per il futuro. Sono stato assunto come operaio manutentore. Lavoravo in officina, poi piano piano è cresciuta la mia esperienza, sono passato impiegato e verso i quarant'anni ho assunto la responsabilità di due reparti di manutenzione. Sono stato assunto nel 1965 e sono rimasto in raffineria sino alla sua chiusura nel dicembre del 1992. Quando è stata chiusa sono stato trasferito al deposito Agip di Rho dove ho lavorato ancora per quattro anni come responsabile della manutenzione. A 53 anni ho chiuso definitivamente.


L’azienda

Al mio ingresso in raffineria erano occupate circa 750, 800 persone. Si lavoravano quattro milioni di tonnellate all'anno di greggio e si produceva tutta la gamma di prodotti che si possono ottenere dal petrolio, dal bitume a quelli più sofisticati. Nel corso degli anni ci sono stati grandi cambiamenti e innovazioni tecnologiche. Ad esempio siamo passati da un sistema pneumatico di controllo degli impianti ad uno elettronico e la Shell addestrava i lavoratori impegnati sui nuovi impianti, era molto attenta alla preparazione della persona. L'impianto lavorava a ciclo continuo con i turnisti, il settore dov'era occupata la gran parte della manodopera, inoltre c'erano un centinaio di impiegati e un altro centinaio di addetti alle manutenzioni. In raffineria lavoravano anche dei dipendenti di aziende appaltatrici che intervenivano nei momenti di fermata, con altri duecento addetti circa. Le donne erano una cinquantina, occupate essenzialmente in ufficio e qualcuna in laboratorio.

Nel 1975, in seguito alla crisi petrolifera, la Shell ha lasciato la raffineria che è stata acquistata dall'Eni ed è diventata Ip.

La maggioranza dei lavoratori era composta da turnisti che venivano formati dall'azienda per l'attività che dovevano svolgere. Inizialmente erano tutte persone che abitavano nei dintorni poi hanno iniziato ad arrivare lavoratori da La Spezia, dove avevano chiuso un impianto, con situazioni e problemi di inserimento non facili. Così come oltre un centinaio di noi è stato trasferito a Sannazzaro quando hanno chiuso Rho.

In azienda ci sono stati diversi incendi, ma mai catastrofici, altrimenti sarebbe esploso tutto. Però in alcuni incendi ci sono stati dei morti. Una volta sono morte tre persone di un'azienda appaltatrice e come tecnico sono stato coinvolto in due incidenti mortali. Sono eventi che ti segnano per tutta la vita e uno di questi incidenti non ho mai capito perché è successo. La manutenzione era fondamentale, perché appena qualcosa non funzionava oppure ci si distraeva il rischio era elevatissimo.

Nel dicembre del 1992 abbiamo fermato tutto. Ci sono voluti due anni per bonificare la raffineria. Al momento della chiusura ci lavoravano circa cinquecento persone.

Sindacato

Ho conosciuto il sindacato all'età di sedici anni grazie a un sacerdote, don Cesare Sommariva, che ci spiegava che dovevamo interessarci di quello che accadeva nel luogo dove vivevamo e che i problemi dovevamo risolverli insieme e questo voleva dire fare politica. I modi per affrontare i problemi secondo lui erano tre: fare il prete, perché si parla della legge di Dio che è la verità; fare l'insegnante, perché forma le persone; oppure fate il sindacalista e poi andare in politica. Io ho fatto la scelta di risolvere i problemi insieme e quando sono andato in raffineria ho iniziato ad occuparmi di sindacato.

Un giorno ho conosciuto un sindacalista dello Spem, il Sindacato petroliferi e metanieri della Cisl provinciale, che mi ha chiesto di impegnarmi in azienda e così ho iniziato. Il primo sciopero cui ho partecipato è stato quello per il decollo del Sud, uno sciopero nazionale di quattro ore.

In raffineria la maggioranza degli iscritti era della Filcea Cgil, mentre la Cisl aveva solo pochi tesserati, in particolare tra gli impiegati, perché nel passato aveva commesso degli errori. I primi tempi non è stato facile perché la Cgil tendeva a monopolizzare la rappresentanza, però ad un certo punto uno dei loro leader, un certo Bianchi, capì l'importanza di muoversi unitariamente e così iniziammo a lavorare insieme, lui già anziano e io giovane alle prime armi. In occasione della formazione del consiglio di fabbrica suggerì di eleggere i delegati per gruppi omogenei. Fu un successo perché riuscimmo a costruire un consiglio di fabbrica effettivamente rappresentativo di tutti: operai, impiegati e anche quadri, un consiglio di fabbrica moderato su alcuni temi, ma sempre compatto. Il consiglio era composto da una trentina di persone, l'esecutivo di sei o sette. I componenti dell'esecutivo potevano muoversi liberamente e avevano tutti i permessi di cui avevano bisogno.

Io avevo duecento iscritti, la Cgil ne aveva quattrocento o anche di più. Rosario Trefiletti della Federconsumatori era un capoturno della raffineria, della Cgil. Avevamo dieci ore di assemblea all'anno. Quando le facevamo di giorno i turnisti non partecipavano, per cui avevamo solo il venti per cento dei lavoratori e gli stessi giornalieri non partecipavano tutti. Il vero contatto con i lavoratori era durante il lavoro perché, essendo sia io che il leader della Cgil dei manutentori, ci muovevamo tra gli impianti e nei nostri giri parlavamo costantemente con i lavoratori. Era un contatto continuo. Poi c'erano delle assemblee ad hoc per i turnisti a fine turno. I turnisti erano la maggioranza dei lavoratori, erano quelli che contavano e davano forza alle nostre trattative.

Scioperi ne abbiamo fatti molti e forse siamo stati anche imprudenti. Noi fermavamo la raffineria per quattro ore e fermarla era sempre un rischio. Per fermare l'intero impianto ci volevano quasi due giorni e dovevamo mettere tutto in sicurezza. I lavoratori sostenevano le nostre trattative e avevamo una grande forza perché il danno per l'azienda era tremendo. La partecipazione agli scioperi era totale, perché fermando la raffineria era la stessa ditta che una volta messi in sicurezza gli impianti preferiva non ci fosse nessuno in azienda perché la raffineria era più a rischio di quando era in marcia. Secondo me eravamo molto incoscienti, però abbiamo fatto delle conquiste importanti per i lavoratori.

Durante gli anni caldi davanti ai cancelli sono arrivati gli studenti del Movimento studentesco, ma noi non li abbiamo mai accettati e nessuno è riuscito ad organizzare una presenza in azienda anche se qualche tentativo sporadico c'è stato. La stessa società ci ha aiutato a bloccarli. La Uil in azienda è nata grazie alla trasformazione del sindacato autonomo Sapi, molto forte, che per un certo periodo è stato pari alla Cgil.

Nel passaggio da Shell ad Agip, nella costruzione delle piattaforme di gruppo abbiamo avuto degli scontri tra di noi perché si confrontavano esperienze sindacali molto diverse. Agip aveva condizioni economiche inferiori. La Cisl era contenta che la Shell vendesse l'impianto e la raffineria entrasse in un gruppo dove la maggioranza era della Cisl. La Cgil era un po' seccata perché perdeva il predominio. In quel periodo abbiamo fatto degli scioperi per capire come sarebbe avvenuto quel processo. Con la fusione si sono viste le differenze, sia in termini di salari che di professionalità, perché la Shell italiana era molto più avanti rispetto all'Agip petroli. Noi abbiamo mantenuto le nostre condizioni più favorevoli e a parità di categoria io avevo sessanta, settantamila lire in più. In Agip però c'erano alcuni istituti come il Fasen, che c'è ancora, un'assicurazione suppletiva per la sanità e la previdenza.

Relazioni industriali

L'azienda ha sempre ascoltato le nostre richieste perché alle spalle avevamo i turnisti che potevano in ogni momento fermare la raffineria. Inoltre, quando l'azienda è passata sotto il controllo dell'Agip i dirigenti non avevano alcun interesse a inasprire lo scontro con noi. Molti di questi dirigenti erano sostenuti dai partiti politici, ma in genere abbiamo avuto sempre dei buoni responsabili e complessivamente le relazioni sindacali non sono mutate. Il vero scontro su questi aspetti di natura politica noi intuivamo che avvenivano a livello nazionale, a Roma.

Avevamo grande agibilità politica all'interno della fabbrica e avevamo molti permessi per uscire per l'attività sindacale.

Contrattazione

Come consiglio di fabbrica abbiamo deciso di fare l'analisi dei rischi per la salute dei lavoratori all'interno della raffineria, con l'obiettivo di conoscere i pericoli in ogni posizione nei diversi reparti. Fu un lavoro enorme, ma non risultò una grande nocività all'interno della raffineria. Grazie alla sua posizione i venti pulivano l'aria della raffineria e i fumi, con ciminiere alte settanta metri, andavano molto oltre, quindi noi inquinavamo molto lontano da noi. All'interno c'era qualche impianto dove la puzza era molto forte, come ad esempio dove si produceva l'olio. Al carico c'erano gli aspiratori per i vapori. Certamente non era un ambiente dei più salubri, ma non era nemmeno un ambiente così brutto, noi non abbiamo mai avuto malattie professionali. Da quell'indagine emerse che l'incidenza di tumori e di altre malattie tra i lavoratori della raffineria era uguale a quella delle persone che abitavano nel territorio circostante. Noi temevamo che l'incidenza fosse maggiore invece non era così. L'indagine, che è durata più di un anno e ha avuto dei costi significativi, è stata ottenuta attraverso una piattaforma rivendicativa.

In azienda abbiamo teorizzato che una persona doveva fare sempre ed esclusivamente il proprio lavoro, in questo modo, con una parcellizzazione spinta, quando c'erano esigenze nuove aumentavano gli organici. Un secondo aspetto di cui ci siamo occupati con continuità è stato riuscire a far fare sempre meno ore di straordinario ai turnisti, ottenendo l'inserimento di una cinquantina di lavoratori che normalmente erano accoppiati agli altri, ma se mancava qualcuno entravano in turno. Tutto questo l’abbiamo ottenuto non presentando piattaforme, ma con delle trattative continue, procedendo per obiettivi singoli. Quando l'azienda richiedeva degli straordinari noi chiedevamo più personale. Per quanto riguarda l'inquadramento eravamo sempre impegnati a rivendicare i passaggi di categoria. Ogni tanto l'azienda cedeva e ne concedeva qualcuno. La Shell non ha mai concesso aumenti alle singole persone né super minimi, ma solo eventuali passaggi di categoria. Con l'arrivo dell'Agip invece sono stati introdotti gli aumenti ad personam.

Esisteva un contratto integrativo per tutta la Shell italiana che comprendeva Genova, Taranto, Milano e La Spezia per il cui rinnovo si costruiva una piattaforma comune. Questa piattaforma prevedeva richieste per gli aumenti dei premi di produzione, i passaggi di categoria, interventi sulla sicurezza.

Avevamo un premio di produzione probabilmente differenziato per categoria. Con le nostre richieste avevamo appiattito molto, tanto che qualcuno se l’era anche presa con noi per questo e negli anni più recenti abbiamo cercato di cambiare rotta.

Una delle prime battaglie sindacali che ho vissuto e che abbiamo vinto facilmente è stata quella per avere lo stesso trattamento per quanto riguarda le ferie, dato che in quel momento un'impiegata aveva trenta giorni di ferie e chi stava sugli impianti ne aveva solo quindici. Questo era l'egualitarismo, non quello di appiattire le retribuzioni.

L’organizzazione del lavoro era super controllata, avevamo gli organigrammi di ogni reparto con indicati i ruoli e il numero delle persone occupate. Gli organigrammi erano fatti insieme tra azienda e sindacati.

Altro tema su cui insistevamo continuamente con la direzione era quello degli investimenti. Una delle prime richieste importanti che abbiamo fatto fu l'investimento per la realizzazione dell'impianto depurazione acque che non c'era e le acque sporche si riversavano tutte nell'Olona. Abbiamo posto il problema non solo in raffineria ma anche a livello nazionale, l’impianto è stato fatto e anche in questo caso abbiamo ottenuto un aumento di personale.

Il nostro contratto nazionale di lavoro non era un granché, ma noi avevamo i soldi. Avevamo la 14ª mensilità, le cure termali, i permessi retribuiti per le malattie, un periodo di malattia retribuito più lungo, la mensa quasi gratis.

Welfare aziendale

Con la Shell avevamo la quattordicesima, il premio di produzione, i regali a Pasqua e a Natale. L’azienda ha realizzato impianti sportivi gratuiti per tennis, bocce, calcio, tutte cose che la Cgil diceva essere paternalismo, però la gente le utilizzava. Pagava le vacanze per i figli in strutture che affittava e noi come sindacato andavamo a controllare: ad Auronzo, al lido di Venezia. Non avevamo fondi sanitari perché la Cgil sosteneva che tutto dovesse essere pubblico.

Con l'arrivo di Agip petroli siamo entrati a far parte del Fasen e la Cgil diceva ai lavoratori di non aderire. Avevamo un circolo aziendale che finanziava le settimane bianche a prezzo contenuto.

La chiusura

A un certo punto si è decisa la chiusura della raffineria di Rho perché sul piano tecnologico non reggeva più, inoltre sul territorio andavano crescendo le proteste e nel ‘94 scadeva la concessione. A noi interessava una cosa sola e, già quando cominciarono i primi segnali di una possibile chiusura, la parola d'ordine era che noi dovevamo “sapere prima quello che sarebbe avvenuto dopo”, ma nessuno ce lo diceva e pochi lo sapevano perché era un problema politico. La decisione finale fu che su quell'area sarebbe nata la Fiera. Ci furono scontri aspri sul destino dell'area, ma il futuro dei lavoratori non interessava a nessuno.

In un incontro riservato con l'amministratore delegato dell’Eni questi ci disse che la decisione di chiudere la raffineria era stata presa, noi avremmo potuto fare qualunque azione, anche la più dura, ma loro la raffineria l'avrebbero comunque fermata perché non reggeva più: "Sta a voi decidere, se vogliamo fare un patto tra uomini e chiudere senza colpo ferire, oppure fare come hanno fatto altri che si sono opposti con forza ma noi abbiamo chiuso lo stesso". Dopo quell'incontro abbiamo fatto delle assemblee reparto per reparto proponendo di scegliere tra una linea morbida e una linea dura. Abbiamo fatto votare tutti i lavoratori e, tranne una decina, tutti hanno sostenuto la linea morbida. A quel punto abbiamo proceduto senza più convocare i lavoratori, perché in situazioni di crisi la solidarietà sparisce e ognuno pensa per sé. Io l’ho sperimentato. Abbiamo fatto un accordo che prevedeva che nessuno venisse licenziato, nessuno andasse in cassa integrazione ma tutti fossero ricollocati nel giro di un certo tempo. E fu un patto fra uomini, avvenuto con una stretta di mano senza un accordo scritto, che venne rispettato. In occasione della chiusura non ci fu nessuno sciopero. Fu comunque un fatto traumatico. C'erano donne che piangevano perché erano state trasferite da Rho a San Donato, i turnisti furono portati a Sannazzaro. I dieci lavoratori che avevano votato contro sono rimasti otto anni al loro posto nella raffineria ferma senza fare nulla.

Quando è stata chiusa qualcuno ci ha accusato di averla svenduta.