lunedì 27 luglio 2020

ZAVERIO PAGANI - Cisl - Bergamo, Lombardia, nazionale

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016


Sono nato in una famiglia benestante, ma solo perché dedita al lavoro. Era naturale, quindi, che a 10 anni, finite le elementari andassi anch’io a lavorare. E mio padre, maestro nell’edilizia e ricercato da ogni impresa in provincia e in Svizzera, mi ha fatto fare esperienza da falegnami, tornitori e artigiani vari, fino a quando, tra lavoro e studi specifici di settore (soprattutto disegno meccanico), non sono arrivato alla Somaschini, azienda metalmeccanica di Trescore, dove ho conosciuto l’attività sindacale.

“A lavorar presto”, tutti qui facevano così: la val Calepio oltre che buon vino, produce buona volontà, manodopera per Milano…

Chi mi ha avvicinato alla esperienza sindacale, un Cantamessa del paese, semplice, cattolico, ha trovato un aclista: la mia esperienza, infatti, nasce nelle Acli, dove ho sviluppato i miei primi contatti politici: ricordo con piacere il mio rapporto con Granelli. Con lui ho trovato la prima passione per la politica e per il sociale.

Alla Somaschini la Cgil ci chiamava baciapile, e questo mi innervosiva. Poi ho incontrato umanamente tante persone e sono riuscito a convincere anche i più duri della bontà della nostra azione. L’azienda era accogliente, intelligente. Avevo un buon rapporto con i titolari, che avevano instaurato una gestione ragionata.

La mia formazione arriva dalla frequentazione con un sacerdote, don Alessandro Ravizza, di Pognano, un intellettuale di grande livello, che mi ha “allevato”.

Un giorno, leggo su “Azione Sociale” che le Acli organizzano un corso di studi per chi volesse inserirsi nelle Acli. Esperienza molto positiva, con docenti di ottimo livello. Si studiava storia sindacale, economia politica, ecc...Finita la scuola, ho superato la selezione per accedere alla scuola della Cisl, a Firenze.

Dopo il ‘58, ho fatto un altro anno a Modena alle Acli. Contemporaneamente iniziavo a occuparmi politicamente nella Cisl, anche se senza incarichi. È stato nel 1960 che entro “ufficialmente” alla Cisl, con l’incarico di operatore della zona di Treviglio. E qui, comincia il periodo più bello della mia vita.

A Treviglio ho imparato come si fa il lavoro. Si faceva di tutto, dal proselitismo ai servizi, dalle vertenze in fabbrica alle manifestazioni…Il periodo, e la classe dirigente di allora, mi hanno permesso, come è successo a molti altri sindacalisti “in erba” di allora, di farsi le ossa, di imparare la passione sindacale e di esprimere le capacità. Chi è cresciuto allora nel sindacato, cresceva come persona prima che come operatore. Ma alla fine diventava per forza un “vero” sindacalista.

Contemporaneamente ero presente alle Acli. Questo mi ha consentito di avere una presenza sul territorio abbastanza ramificata e penetrante nella realtà sociale.

Lo stesso Colleoni, segretario generale della Cisl di Bergamo, era anche nelle Acli.

Avevano una visione ampia, di potere e io ero tra quelli che li mettevano in discussione, perché ritenevo che loro dovessero fare il loro mestiere, o parlamentare o sindacalista…non si parlava ancora di incompatibilità, ma era l’inizio.

 

Anni 60 - il lavoro: le condizioni di lavoro negli anni 60 erano naturalmente penalizzanti per i lavoratori: lo sfruttamento era forte, gli orari più lunghi, i diritti pochi e mal riconosciuti, ma già allora si cominciava a capire che strada si doveva imboccare. Nella nostra provincia, il tessuto sociale era favorevole alla Cisl, complessivamente, perché ci vedevano come un sindacato diverso. La Cisl non era democristiana, ma era stata accettata l’idea di un sindacato diverso dalla Cgil, poi qualche “aiuto” è arrivato anche dalla base politica.

Il nostro lavoro, allora, era quello di far passare l’idea della necessità di una tutela generale e dei diritti individuali: in ogni situazione, si cercava di individuare obiettivi praticabili e raggiungibili in tempi brevi. Così, piano piano si conquistavano diritti.

A Treviglio, nella bassa bergamasca in generale, c’erano tante grandi aziende, e gli scontri più duri li abbiamo avuti con gli imprenditori del settore legno, nel quale pensavo si potesse arrivare a un contratto di settore. C’è stata una battaglia pesante. Avevano addirittura creato, nelle fabbriche, delle barriere per evitare che tra lavoratori e sindacalisti ci potesse essere alcun contatto.

Avevamo dalla nostra un fermento comunque positivo che ci spingeva a non abbandonare il campo, anche se alcune “sconfitte” sono state pesanti.

Alla Same avevamo la maggioranza; la Prandoni era tutta organizzata da noi: c’era una situazione sindacale che ci vedeva sempre più presenti. Ma l’imprenditoria di allora aveva un atteggiamento di chiusura assoluta. Non accettavano l’idea di un sindacalismo che potesse contrattare. E la Cisl “voleva” contrattare. Di fatto, la contrattazione aziendale riesce a conquistarla Maria Belotti, una grande figura di donna e di sindacalista, che ha segnato la nostra esperienza di quegli anni. Lei riesce a costringere aziende e Confindustria a sedersi a un tavolo e a negoziare un contratto aziendale. Riesce in più di un’occasione, anche a seguito di battaglie, scontri e rimostranze di una certa durezza. Maria riesce a far emergere il significato e la forza della contrattazione aziendale…alla Honegger, Crespi, Legler, Bellora, Erba di Treviglio.

A Treviglio gli scontri erano continui, anche se non hanno mai assunto caratteri violenti o pesanti. Dalla nostra avevamo un buon rapporto con i lavoratori, che seguivano abbastanza fedelmente le direttive del sindacato. Ma questo atteggiamento era il frutto di un lavoro e di un rapporto fiduciario che legava le parti dopo tempi di frequentazione e di osservazione: capitava infatti di dover aspettare diverso tempo prima di acquisire la fiducia di una fabbrica o di un gruppo di operai: ti “annusavano”, ti misuravano…iniziavano a chiederti chi eri dopo dieci volte che entravi in fabbrica, ma quando iniziavano a fare riferimento a te, la fiducia era conquistata, e allora il sindacalista diventava “faro”, “guida”. E allora iniziava a assumere una grande responsabilità, perché questi lavoratori erano sicuri che avresti lavorato per loro.

Il proselitismo, allora, si faceva con cose semplici: la pratica di pensione; la soluzione di un problema…ma era soprattutto la serietà, la passione e l’attaccamento al lavoro che veniva valutato dagli iscritti, o comunque dai lavoratori. Il sindacalista doveva essere persona integerrima, onesta e attenta, ma soprattutto presente…dopo qualche tempo, invece, abbiamo pensato che bastasse restare seduti nella sede, perdendo il rapporto diretto con il lavoratore, per rimanere protagonisti.

C’è stato, poi, tutto il periodo dei “movimenti”. I protagonismi del ‘68 hanno fatto presa sulla città e sulla bassa, nelle valli invece non hanno trovato particolare rilievo. Io mi sono sempre battuto perché ogni istanza esterna al sindacato venisse ascoltata: dovevamo confrontarci per capire e questa “politica” ha permesso che molti volti nuovi e diversi entrassero alla Cisl di Bergamo. Nei direttivi, nei consigli generali, allora, si sentiva la differenza di ragionamenti, di problematiche, di istanze. Oggi ci si è dimenticati delle diversità, che hanno prodotto cose positive.

Oggi perdiamo di vista la provenienza delle persone…Il mestiere nostro doveva essere adattivo: spesso andavamo in un ambiente che non conoscevamo. L’idea vincente era quella di entrare con gradualità, non sfidare quello che c’era. Adesso, troppo spesso, ci si adegua al pensiero unico, non si cerca la differenza, anzi, si fa di tutto per evitarla.

 

La Cisl: quando sono arrivato a Bergamo, c’era Calvi segretario organizzativo. Una gran bella persona, stimata per la semplicità. Segretario generale era Colleoni, parlamentare e “primus” dal 1948. Veniva dalla Dalmine. Aveva in mano la categoria e la categoria aveva in mano l’Unione. Il potere della Fim, allora, era assolutamente spropositato rispetto al resto. Pian piano, mentre cambiava la struttura della organizzazione, la Fim perdeva peso, mentre cresceva il protagonismo dei tessili, con Maria Belotti, prima pupilla dell’onorevole Biagi, poi “scaricata” quando ha fatto capire il valore della sua figura. Lei nasce con la Sebina di Sarnico.

Nel 1963 aprì una lunga e tortuosa vertenza con la Sebina, un’azienda tessile del lago di Iseo. A un certo punto della trattativa, la proprietà decise la serrata. Non restavano altre possibilità che occupare la fabbrica. Gran parte dei lavoratori seguirono e l’occupazione ebbe luogo. Non si capì mai bene il perché, ma a un certo punto i Carabinieri “impazziscono” e sparano: ci fu un morto.

Le ripercussioni all’interno dell’organizzazione  non si fecero attendere: la dirigenza locale fece di tutto per estromettere Maria dalla categoria e durante il Congresso, pur eletta, riuscirono a “eliminare” tutti i suoi amici e colleghi più vicini. Lei prese la decisione di dimettersi.

Lo “sciopero di Sarnico” ha però fatto la storia del sindacalismo bergamasco, e non solo, dando una svolta alle modalità delle proteste e alle rivendicazioni. Così facendo, si mette in contrasto con gli “onorevoli”. Noi giovani, invece, ci mettiamo in fila, seguendo Maria.

 

Questa nuova linea metteva in discussione l’assetto di organizzazione voluto dai meccanici. Noi, con Rino Betelli, cominciavamo a lavorare per dare peso anche alle piccole aziende, mentre prima contava soltanto chi proveniva da aziende di grosse dimensioni. Si dava un peso in relazione a quello che siamo, non a quello che diciamo. Con noi, si mette in moto un meccanismo di integrazione e di condivisione con altre aziende. Le carte si mischiano. Così facciamo di questa Cisl qualcosa di nuovo. La Cisl riusciva a rappresentare il mondo del lavoro nelle sue diversità, tenendo conto che una cosa è lavorare in Val Seriana, altro altrove. Bisogna ragionare a seconda delle diversità. Da lì nasce la nuova esperienza di Bergamo, e sono i tessili a giocare un grande ruolo.

Grazie anche a questa nostra “rivoluzione”, Bergamo ha avuto dirigenti di spessore, e ha iniziato a far sentire il suo peso specifico anche ai livelli regionale e nazionale.

Io,  Morotti e Betelli organizziamo i giovani, parliamo, ci confrontiamo, cominciamo a avere un peso nell’organizzazione. Non lo facciamo per obiettivi politici, volevamo favorire un ringiovanimento dell’organizzazione. Facciamo convegni in cui parliamo dei problemi del sindacalismo, facendo diventare protagonisti i giovani.

Dal punto di vista politico interno…noi giovani nei consigli generali vogliamo uno spazio. Per anni siamo stati messi in difficoltà. Non era facile con Colleoni…

A quel punto si pone il problema delle incompatibilità. Che dentro la Cisl allarga un conflitto pesante, che va oltre noi. Nel ‘68, avviene la vicenda della Cecoslovacchia, e Colleoni si pronuncia contro Dubcek, mentre Bombardieri prende posizione pubblica a favore della primavera ceca. Noi ci schieriamo ufficialmente a fianco di Bombardieri. Io e Betelli candidiamo Bombardieri a segretario generale. Lì nasce la nuova Cisl, su un contrasto pesante. Vinciamo il congresso e comincia la “nostra” stagione.

Sono, quelli, anche gli anni dei “grandi Congressi”: Storti è stato un dirigente straordinario, ma la sua idea di “democristianizzare” la Cisl non mi ha mai convinto. Meglio la teoria di “Potere contro Potere”: il sindacato si fa potere non solo contro l’imprenditore, ma anche contro lo Stato. A Bergamo è venuto tante volte, a tentare di convincere a aderire alla sua maggioranza. A noi rimane in mano l’organizzazione.

Noi ci schieriamo, e iniziamo a far pesare Bergamo anche sul piano nazionale.

Bergamo si schiera apertamente anche con Macario. Le nuove leve che hanno assunto un ruolo dentro il sindacato, iniziano a diventare protagoniste.

Intanto, nel ‘69 entro in segreteria. Il lavoro, sul territorio, cambia in maniera incredibile. Anche prima dello Statuto, siamo riusciti a ottenere conquiste interessanti.

Nei primi anni 70, a Bergamo si inizia a sentire il peso della crisi dell’abbigliamento, e l’espansione di nuove attività economiche: nella meccanica e in settori diversi (terziario, commercio). Ma arriva anche il terrorismo e la Cisl assume, anche suo malgrado, un ruolo da protagonista. Siamo infatti nel mirino: veniamo attaccati pesantemente in quel periodo. Nei loro comunicati, venivo identificato come la Volpe. Quel terrorismo era composto in gran parte da figli del ceto medio, la nostra base di rappresentati, e anche al nostro interno l’infiltrazione c’è stata.

Al Processo di Bergamo, siamo stati chiamati anche come testimoni.

Nel ‘76, divento segretario generale, carica che ricoprirò fino al 1984, quando vado a Milano.

Per me è stato un bel periodo, ma non certo un periodo facile, perché non avevo un carattere particolarmente disponibile.

Bergamo cerca spazi a livello nazionale e confederale. Eravamo una forza, quindi i nostri voti hanno iniziato a essere rilevanti. A Spoleto si è realizzato un punto di svolta in quel periodo, Scalia scava e mette in discussione Storti. Noi eravamo inquadrati con Macario. Sono stati numerosi gli abboccamenti che le varie “anime” hanno tentato con Bergamo nei congressi di quel periodo, ma la nostra posizione non è mai stata messa in discussione, neanche quando, prima di un congresso, Marini mi chiama per barattare voti con posti in segreteria. Io ho rifiutato.

D’altronde, in quegli anni, il quadro dirigente bergamasco aveva raggiunto un livello abbastanza buono. Abbiamo avuto molte persone che sono maturate in quel periodo. L’organizzazione viveva di conflitti vivaci e fruttuosi, capaci di far crescere discussione e organizzazione. Cosa che faccio fatica a vedere ora.

Nel 1991, sono chiamato da D’Antoni nella sua segreteria, che lascerò nel 1994, al termine della mia carriera sindacale.

 

Negli anni è cambiato molto: alle origini, quando noi eravamo giovani, c’era tanto studio, tanta passione, ricerca. Gli anni 70, hanno garantito e permesso una espansione continua, che ha generato dirigenti di livello, idee condivisibili, e una grande capacità di farsi capire dagli iscritti e dai lavoratori. Poi, l’ambizione ha rovinato il sindacato, soprattutto quella parte di uomini con grandi ambizioni personali, che pensavano di avere un ruolo storico. È stato un po’ anche il peccato originale dei partiti. Volevano governare i tempi e invece i tempi li hanno governati.

Tutti noi pensavamo di poter cambiare il mondo, ma non andiamo da nessuna parte senza capacità, intelligenza, freschezza.

Ho fatto una carriera in Cisl e sono contento, nonostante i miei limiti. Ma non devo niente a nessuno. Ho sbagliato e indovinato con la mia responsabilità. Oggi vanno tutti in carovana, portando il cervello all’ammasso.

Cosa è rimasto? Niente. O perlomeno, non c’è consapevolezza del limite. Siamo carenti, in grande difficoltà. Persino uno come Renzi può mandarci a quel paese.

Non comprendiamo il tempo che stiamo vivendo. Quella che compone buona parte del sindacato attuale, è tutta gente che si trascina sulle ideologie di ieri. Bisogna ricostruire il sindacato. Ma non vedo personalità in grado di farlo.

Cosa fare? Tornare a scuola, rivedere la formazione degli operatori e dirigenti.

Questa è una società di profittatori e vincitori, mentre mancano testimoni.

Si devono rimettere in discussione. Che cosa siamo, cosa diciamo alla gente…noi eravamo stimati anche quando non venivamo seguiti…

Lo dico con rammarico, con dispiacere…