Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono
nato a Verona il 27 maggio 1936 e risiedo a Mantova dall'età di otto anni. Ho
frequentato la terza media. La mia era una famiglia modesta, mio padre lavorava
nell'edilizia e ha fatto tanti lavori, mia madre faceva la domestica. Eravamo
quattro fratelli. Mia mamma era molto religiosa e papà lo è diventato soprattutto
in età avanzata. Era di area socialista. Ho iniziato a lavorare mentre facevo
la terza elementare, il pomeriggio facevo l'apprendista sarto, d'estate aiutavo
un commerciante di generi alimentari sui mercati perché mi pagava di più.
Poi
ho cominciato con le Acli, anche in quel caso scuola e lavoro facendo il
patronato in parrocchia. Dopo qualche tempo sono andato in seminario, perché
avevo voglia di studiare e la famiglia non era assolutamente in grado di mantenermi,
ma dopo un po' mi sono reso conto che quella non era la mia strada e ho
lasciato. Avevo 17 anni e mi sono iscritto a ragioneria, ma nello stesso anno
le Acli mi hanno proposto di tornare al patronato e a quel punto ho lasciato la
scuola e sono stato assunto. Sono rimasto alle Acli fino al 1964, nel frattempo
ero stato trasferito a Venezia per quattro anni, promosso dirigente. In quel
periodo mi sono sposato e ho avuto un figlio. Quell'anno Mario Morra, il
segretario di Mantova, mi propose di andare a lavorare in Cisl. Una domenica
mattina nel mese di maggio c'era una riunione dei braccianti salariati con il
segretario nazionale della Fisba, Amos Zanibelli, e Morra mi ha presentato
dicendo che ero pronto per la fare l'operatore della Fisba. Io non sapevo nulla
né di Fisba né di salariati agricoli ma il 1° giugno di quell'anno ho iniziato
la mia attività in categoria. Ho cominciato a studiare il contratto e a cercare
di capire chi fossero i nostri capi lega e i nostri iscritti e al congresso
sono diventato segretario provinciale. In quel momento alla Cisl di Mantova
eravamo in quattro: Morra segretario generale, Sergio Truzzi vice segretario,
io neoassunto e Giuseppe Colautti, un operaio di Monfalcone che arrivava dal Centro
studi. C'era da costruire un po' tutto. E abbiamo iniziato. Colautti si occupava
dei metalmeccanici, io ho iniziato ad occuparmi anche dei tessili e
dell'abbigliamento, lui seguiva il legno e io gli alimentaristi. Abbiamo avviato
il reclutamento dei giovani e la Cisl ha iniziato a crescere. In quegli anni il
segretario generale si occupava di tutto, con poca attività sindacale classica
in termini di proselitismo ad esempio o di assemblee, ma tanto rapporto
politico e amministrativo. Era consigliere provinciale ed è diventato presidente
dell'ospedale civile di Castiglione dello Stiviere. In quel momento avevamo
cinque, seimila iscritti, nell'ottobre del 1988 quando ho lasciato la Cisl eravamo
oltre 31mila, con quattordici segretari a tempo pieno. Nel 1977 mi sono proposto
come segretario generale al congresso della Cisl di Mantova rivendicando un
ricambio generazionale, ma sono stato eletto solo nel 1980. Fino a quel momento
ho fatto un po' di tutto, occupandomi anche del pubblico impiego e degli
ospedalieri. Mano a mano che aprivamo un nuovo settore individuavamo un
responsabile.
In
occasione del congresso del 1989 avevo già superato i due mandati ed era mia
intenzione lasciare. Segretario generale nazionale era Franco Marini il quale,
venuto a conoscenza di questa mia intenzione, mi ha chiamato a Roma chiedendomi
di restare. Io però ho mantenuto la mia decisione. Lasciato quell'incarico non
ho più avuto nessun altro impegno sindacale e ho iniziato una nuova attività
politica che mi ha portato ad essere eletto nel 1990 come consigliere comunale
a Mantova.
Quando
ho assunto la responsabilità della categoria dei braccianti non c'era alcun
dialogo con le altre organizzazioni, in particolare con la Federbraccianti. Nel
1965 c'era da rinnovare il contratto, che allora era provinciale, e non
ritenendo giusto muovermi da solo ho preso contatti con il segretario dei
braccianti della Cgil e della Uil proponendogli di concordare le richieste. Il
risultato è stato la costruzione di una piattaforma unitaria che ognuno ha poi presentato
per proprio conto. Allora il tema principale era quello della precarietà perché
il bracciante era chiamato a giornata, il salario era legato non all'orario di
lavoro ma al carico di bestiame. San Martino era la data in cui si concludevano
i rapporti di lavoro e a quel punto i braccianti dovevano rinnovare il
contratto con la stessa azienda o cercarne un'altra. Il rinnovo era sempre un
po' capestro e non eravamo ancora maturi per superare quella situazione. Il
grande salto lo abbiamo fatto nel 1970 ed è partito da Mantova e dalla Cisl,
probabilmente grazie anche alla grande spinta dell'autunno caldo. Basta
precarietà, basta carico bestiame, l’obiettivo era definire la figura del
lavoratore agricolo con un contratto a tempo indeterminato e un salario non più
legato al carico di bestiame, ma tutto e solo in denaro e non più parte in
natura come era fino a quel momento. Su questa linea, frutto di un lavoro
unitario costruito negli anni precedenti, si è mossa poi anche la Lombardia, una
linea che ho portato avanti anche durante le trattative nazionali facendo parte
del gruppo che partecipava al confronto con le imprese del settore.
La
Cisl a Mantova non era mai riuscita a fare una manifestazione pubblica di
piazza e a un certo punto, sostenuto da Paolo Sartori, abbiamo deciso di
organizzare una grande manifestazione interregionale della Fisba. Per
l'occasione ho invitato la banda e le majorettes. Tutti i braccianti
provenienti dai diversi paesi marciavano con un cartello col nome della lega,
anche se la lega non esisteva. Siamo partiti da piazza Sordello e arrivati fino
all'Ariston, che abbiamo riempito con oltre 1.500 persone. C'è stata grande
partecipazione e grande entusiasmo. Tenendo conto che la maggioranza dei
lavoratori era iscritto alla Cgil, quando andavo a fare le assemblee nelle
campagne riuscivo ad iscrivere quasi il 50% dei partecipanti perché emergeva la
voglia di partecipare. I nostri non erano abituati a fare lo sciopero e quando
si preparava quell'enorme salto di qualità e le resistenze padronali,
soprattutto nelle grandi aziende, erano enormi, abbiamo fatto fatica a
convincerli, ma alla fine la partecipazione c'è stata.
L'autunno
caldo ha lasciato il segno anche nelle campagne e quando sono partite le lotte
per le riforme e gli scioperi generali, i braccianti hanno partecipano. Con il
contratto del 1970 abbiamo conquistato i diritti sindacali, la possibilità di
svolgere le assemblee e non abbiamo avuto problemi a individuare persone disposte
a fare i delegati sindacali. L'arrivo dello Statuto dei lavoratori ha confermato
i diritti che avevamo conquistato con il contratto.
L'onda
lunga dell'autunno caldo è arrivata anche in aree e in settori dove il
sindacato non era assolutamente presente, non solo la Cisl, come ad esempio nel
settore delle calze e in quello delle calzature nel nord della provincia, dove
quando andavamo a distribuire i volantini e a fare presenza le prime volte abbiamo
rischiato addirittura di prenderle, senza che i lavoratori ci difendessero. Ma
alla fine anche l'alto mantovano è stato coinvolto nelle novità ed è nato anche
lì il movimento sindacale.
Alla
Om di Suzzara avevamo una forte presenza, ma senza un rappresentante della
categoria, alla Marcegaglia non avevamo neppure un iscritto, erano tutti tesserati
alla Cgil. Durante l'autunno caldo, mentre ero ancora segretario dei
braccianti, mi hanno chiesto di andare a fare un picchettaggio davanti alla
fabbrica. Mi sono fatto aiutare dai nuovi attivisti e dai dirigenti che erano
arrivati alla Cisl, perché dovevamo impegnarci fortemente in quell'azienda.
Abbiamo subito numerosi dispetti e pressioni da parte del signor Steno Marcegaglia,
ma insieme al nuovo gruppo di giovani siamo riusciti a imporre lo sciopero. A
conclusione della vertenza per il rinnovo del contratto aziendale del 1968 si è
arrivati al referendum e noi abbiamo ottenuto il 51%, con mia enorme
soddisfazione.
Quando
si è iniziato a parlare di unità sindacale, i primi temi che si posero erano
quelli dell'autonomia e dell'incompatibilità. Io ero decisamente favorevole, ma
la situazione non era facile perché il segretario generale nazionale della
categoria era un parlamentare e il segretario generale di Mantova un amministratore
provinciale. Ero minoranza, i nuovi inseriti erano tutti sulla mia linea, ma la
vecchia guardia era sulle posizioni del segretario generale. Ero in grave
difficoltà, difficoltà che venne superata grazie alla scelta dell’incompatibilità
ufficializzata nel congresso del 1969. In conseguenza di ciò Zanibelli è
rimasto parlamentare lasciando la Cisl, mentre Morra ha lasciato l'incarico di
amministratore ed è rimasto segretario generale della Cisl mantovana diventando
il più unitario degli unitari, confidando probabilmente sul fatto che, essendo io
ancora il segretario della Fisba, pur ricoprendo tanti altri incarichi, mi ponessi
sulla linea antiunitaria della categoria nazionale, ma io ho scelto l'unità.
Però a quel punto ho cominciato ad essere in difficoltà con la Fisba nazionale.
Devo solo alla grande amicizia con Sartori se sono riuscito a non essere
espulso, anche se parte della segreteria nazionale della Fisba era perché si
nominasse un commissario a Mantova.
Con
Paolo Sartori avevamo un ottimo rapporto, avevamo organizzato insieme la grande
manifestazione che si era tenuta Mantova, l'ho sostenuto nella sua scalata
verso la segreteria generale, abbiamo impostato insieme i temi della
contrattazione dandogli sempre più forza e
quando sono nati i problemi a Mantova ha capito la mia situazione, anche
perché i rapporti umani che si erano costruiti andavano al di là delle contingenze
politiche.
Di
problemi ne ho avuti, ma questa vicenda mi ha consentito di essere sempre più riconosciuto
tra i lavoratori nelle fabbriche, nelle piazze. Davanti ai cortei, nella
stagione delle riforme, insieme ai segretari della Cgil e della Uil c’ero io e
non il segretario generale.
In
quegli anni andavo in piazza con in testa un colbacco che avevo acquistato in
Russia dove ero stato con una delegazione di lavoratori e imprenditori del
settore agricolo decisa in seguito alla firma del contratto del ‘70.
In
occasione il congresso del ’73 la Cisl ha rischiato la spaccatura sul tema
dell'unità sindacale. Io mi ero identificato molto in Pierre Carniti, ero
ancora nella Fisba e ho portato la mia categoria di Mantova sulla posizione
dell'unità.
Marini
è venuto a Mantova per fare un incontro con gli antiunitari e io mi sono impegnato,
insieme a tutti coloro che erano disponibili, a boicottare quella
manifestazione. Come segreteria abbiamo deciso di cambiare tutte le serrature e
ritirare le chiavi degli uffici e delle sedi che abbiamo tenuto in tre: io come
segretario generale e altri due, per evitare che potessero esserci dei colpi di
mano.
Sui
temi dell'egualitarismo non ho una posizione, ho seguito un po' la corrente pur
non avendo una opinione precisa, per me era fondamentale che i diritti fossero
uguali per tutti. Era un problema soprattutto della grande industria, nella
media e piccola non era avvertito e io lo sentivo molto come un tema di
carattere nazionale sul quale la periferia non era particolarmente coinvolta. Non
ho mai condiviso l'idea del salario come variabile indipendente e le
perplessità, anche tra i lavoratori, erano molto forti, e non è casuale che
negli anni successivi noi abbiamo vinto il referendum sulla scala mobile.
Sulla
questione femminile ci siamo trovati in grande contrasto con la Cgil e il Partito
comunista per temi che sono di natura ideologica e culturale. Quando si pose il
tema della parità in modo radicale io non condividevo quelle posizioni, però mi
sono confrontato con Daniela Culturani, che poi diventerà segretario nazionale
della scuola, ma anche lei non era d’accordo con quel modo di porre la
questione femminile. In occasione dei referendum sul divorzio e sull'aborto
però io, laicamente, ero favorevole, però tenendo fuori la Cisl dalle mie
scelte personali.
A
Mantova il Partito comunista era fortemente organizzato e quindi riusciva ad
assorbire le spinte che i nuovi movimenti politici esprimevano in quegli anni,
così gruppi extraparlamentari e movimento studentesco non hanno mai avuto una
espressione significativa. La vicenda terroristica, invece, mi ha toccato
personalmente. Nel 1969 andavo a fare i picchetti alla Marcegaglia e uscivo di
casa molto presto. Una mattina ho trovato la mia macchina con la serratura
forzata e il libretto di circolazione distrutto e messo in bell'ordine sul
sedile del passeggero. Non ho dato peso a quella vicenda e non ho detto niente
a nessuno. Dopo cinque o sei giorni dovevo andare a fare un'assemblea alla
Belleli e al mio arrivo sono stato accolto da due persone che mi hanno chiesto
delle informazioni e sono rimasti a lungo a parlare e io ho immaginato fossero
operai dell'azienda. All'uscita questi due si sono avvicinati ancora chiedendomi
cosa pensavo di alcune questioni. Dentro di me ho pensato che fossero persone
interessate a venire alla Cisl. Tre o quattro giorni dopo ho trovato di nuovo
la serratura della macchina forzata. A quel punto ne ho parlato con Morra il
quale mi ha suggerito di fare denuncia. Passato qualche giorno, ho iniziato a ricevere
di notte delle strane telefonate che con voce alterata mi chiedevano cosa avrei
fatto e se la mattina successiva sarei andato a fare il picchetto. Visto il
succedersi dei diversi fatti ho iniziato ad essere un po' preoccupato. Dopo
qualche tempo, a pochi passi da casa mia venne arrestato un brigatista che
lavorava alla Belleli. Da quel momento non si sono più verificati altri
episodi.
A
Mantova però il movimento dei lavoratori non ha mai dovuto confrontarsi con
problemi di terrorismo.
Governo
di unità nazionale. Io ero moroteo. In occasione di un direttivo unitario
lombardo - segretario generale della Cgil era Antonio Pizzinato - il tema era
il rapporto con il governo e ho fatto un intervento molto istintivo, non
preparato, nel quale ho sostenuto che la nostra autonomia non poteva arrivare
al punto tale da ignorare che non potevamo risolvere i problemi che portavamo
avanti se non c'era un rapporto dialettico positivo con il governo. Pizzinato ha
preso nota del mio intervento e ha chiesto immediatamente al segretario della
Cisl seduto accanto a lui informazioni su di me. Questa la mia riflessione: avevamo
ottenuto importanti aumenti salariali con i rinnovi dei contratti nazionali di
lavoro, poi c’era stata la stagione delle riforme con la sanità uguale per
tutti, l'egualitarismo, la scala mobile. Dopo tutto questo sono iniziati i
primi cedimenti, i processi di ristrutturazione, i problemi si sono fatti acuti
e il sindacato ha iniziato a essere un po' nell'angolo. L'unità sindacale non andava
avanti e la Federazione aveva il fiato pesante, la Democrazia cristiana non teneva
più, le crisi di governo si susseguivano una dietro l'altra. C'era il
terrorismo. Come si poteva uscire da questa situazione? Moro è venuto a Mantova
e io l’ho incontrato nel suo albergo, la sera lo abbiamo accompagnato a Palazzo
della Ragione dove ha fatto il suo intervento in cui ha espresso la necessità
che il Partito comunista entrasse nell'area di governo che ho condiviso.
In
quella fase si è allentato il rapporto unitario, perché la Cgil era sempre più
il braccio operativo del Partito comunista e noi abbiamo cominciamo a sentire
che l'unità non era più costruita sull'autonomia, ma subiva il peso della
politica. È stato il nostro grande dramma, da un lato la politica che doveva
essere in grado di dare delle risposte alla società, dall'altro il sindacato
che viveva una stagione dell'unità che si cominciava a sentire che non reggeva
più.
Per
me il lavoro sindacale è stata una vocazione. A me piace la politica, piace il
dibattito, il confronto. Mi sono iscritto alla Democrazia cristiana che avevo
19 anni e non ho più abbandonato. Nel 1961 lavoravo al patronato Acli e sono
stato pesantemente punito perché sostenevo l'importanza del rapporto tra Dc e
Psi e nel giro di 24 ore sono stato trasferito a Venezia. Mi si disse che era
una promozione, ma in effetti io l'ho vissuta come una punizione. Quando nel
1964 la Cisl mi ha chiamato avevo sì l'esigenza di riunire la famiglia, ma c'era
soprattutto la volontà di liberarmi dalla routine di una quotidianità in cui
ero chiuso. All'inizio sono stati momenti duri perché non avevo la cultura, non
sapevo cosa fosse il sindacato, non conoscevo le fabbriche, le leghe. I primi
approcci sono avvenuti davanti alla cartiera Burgo di Mantova dove avevamo solo
tre iscritti su mille dipendenti. Quell'agosto siamo andati a fare un
picchettaggio, siamo stati insultati e sono andato un po' in crisi, però contava
di più la gioia di quando incontravo i lavoratori nelle leghe, il rapporto
umano, le fatiche dell'uno e i problemi dell'altro, la possibilità che
finalmente avevo di aprire un orizzonte collettivo. Questa è stata la mia missione,
la mia vita. A questo ho sacrificato tutto me stesso.
Negli
anni il mio modo di essere sindacalista è cambiato perché i problemi si sono
fatti sempre più complessi. Ad esempio la contrattazione integrativa, che
presupponeva che tu avessi informazioni di prima mano e io non ho perso nessuna
occasione di aggiornamento, i corsi di formazione regionale, il corso lungo a
Firenze, e tutto questo l’ho portato nella mia realtà territoriale con
iniziative di formazione e di aggiornamento per tutta la dirigenza locale.
Nell'ultimo anno di permanenza alla Cisl mi sono reso conto che era cambiato
anche lo scenario internazionale e ho organizzato per la dirigenza un corso di
inglese perché era uno strumento che consideravo ormai indispensabile per
comprendere la nuova realtà. Il sindacalista deve capire che deve essere sempre
aggiornato, deve essere capace di leggere i fenomeni se vuole tentare di
governarli. Il lavoro del sindacalista non può diventare un mestiere, il
sindacalista non può essere un mestierante.
La
contrattazione integrativa è ormai un patrimonio acquisito, oggi possiamo fare
un ulteriore passo in avanti perché se il contratto nazionale può essere una
cornice, i veri contenuti sia salariali, sia di organizzazione, sia di
professione si raggiungono a livello di unità produttiva oppure territoriale.
Il discorso della vocazione unitaria, con Susanna Camusso che parla addirittura
di dittatura, sembra una possibilità lontana, mentre con Carniti il tema
dell'autonomia, quello dei due mandati, erano dei presupposti per immaginare un
sindacato non più ideologico, che si confrontava con una realtà in movimento e
che tutelava il lavoro dipendente nel cambiamento. Sotto questo profilo credo
che abbiano fatto un grande passo indietro.
Nell'autunno
caldo e nei primi anni Settanta noi siamo cresciuti. Se negli anni Sessanta ci accusavano
di essere il sindacato dei padroni, che stavamo in piedi grazie alle risorse
dell'America e alla nave da trasporto, nel decennio successivo l'autonomia e
l'incompatibilità sono valori che imponiamo agli altri, che ancora oggi fanno
fatica ad accettarli. Il confronto nelle fabbriche ha cominciato ad essere
reale, non c'era più la sufficienza con cui eravamo guardati in precedenza.
Noi
siamo stati la grande forza del cambiamento. Il discorso della solidarietà e
della responsabilità l'abbiamo portato avanti noi, non era nella cultura della
Cgil.
Oggi
molti dei temi proposti della Cisl sono tornati di grande attualità, ma trovano
la Cisl impreparata.