martedì 21 luglio 2020

MARIO IRIDILE 2 - Fisba, Cisl - Mantova

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato a Verona il 27 maggio 1936 e risiedo a Mantova dall'età di otto anni. Ho frequentato la terza media. La mia era una famiglia modesta, mio padre lavorava nell'edilizia e ha fatto tanti lavori, mia madre faceva la domestica. Eravamo quattro fratelli. Mia mamma era molto religiosa e papà lo è diventato soprattutto in età avanzata. Era di area socialista. Ho iniziato a lavorare mentre facevo la terza elementare, il pomeriggio facevo l'apprendista sarto, d'estate aiutavo un commerciante di generi alimentari sui mercati perché mi pagava di più. 

Poi ho cominciato con le Acli, anche in quel caso scuola e lavoro facendo il patronato in parrocchia. Dopo qualche tempo sono andato in seminario, perché avevo voglia di studiare e la famiglia non era assolutamente in grado di mantenermi, ma dopo un po' mi sono reso conto che quella non era la mia strada e ho lasciato. Avevo 17 anni e mi sono iscritto a ragioneria, ma nello stesso anno le Acli mi hanno proposto di tornare al patronato e a quel punto ho lasciato la scuola e sono stato assunto. Sono rimasto alle Acli fino al 1964, nel frattempo ero stato trasferito a Venezia per quattro anni, promosso dirigente. In quel periodo mi sono sposato e ho avuto un figlio. Quell'anno Mario Morra, il segretario di Mantova, mi propose di andare a lavorare in Cisl. Una domenica mattina nel mese di maggio c'era una riunione dei braccianti salariati con il segretario nazionale della Fisba, Amos Zanibelli, e Morra mi ha presentato dicendo che ero pronto per la fare l'operatore della Fisba. Io non sapevo nulla né di Fisba né di salariati agricoli ma il 1° giugno di quell'anno ho iniziato la mia attività in categoria. Ho cominciato a studiare il contratto e a cercare di capire chi fossero i nostri capi lega e i nostri iscritti e al congresso sono diventato segretario provinciale. In quel momento alla Cisl di Mantova eravamo in quattro: Morra segretario generale, Sergio Truzzi vice segretario, io neoassunto e Giuseppe Colautti, un operaio di Monfalcone che arrivava dal Centro studi. C'era da costruire un po' tutto. E abbiamo iniziato. Colautti si occupava dei metalmeccanici, io ho iniziato ad occuparmi anche dei tessili e dell'abbigliamento, lui seguiva il legno e io gli alimentaristi. Abbiamo avviato il reclutamento dei giovani e la Cisl ha iniziato a crescere. In quegli anni il segretario generale si occupava di tutto, con poca attività sindacale classica in termini di proselitismo ad esempio o di assemblee, ma tanto rapporto politico e amministrativo. Era consigliere provinciale ed è diventato presidente dell'ospedale civile di Castiglione dello Stiviere. In quel momento avevamo cinque, seimila iscritti, nell'ottobre del 1988 quando ho lasciato la Cisl eravamo oltre 31mila, con quattordici segretari a tempo pieno. Nel 1977 mi sono proposto come segretario generale al congresso della Cisl di Mantova rivendicando un ricambio generazionale, ma sono stato eletto solo nel 1980. Fino a quel momento ho fatto un po' di tutto, occupandomi anche del pubblico impiego e degli ospedalieri. Mano a mano che aprivamo un nuovo settore individuavamo un responsabile.
In occasione del congresso del 1989 avevo già superato i due mandati ed era mia intenzione lasciare. Segretario generale nazionale era Franco Marini il quale, venuto a conoscenza di questa mia intenzione, mi ha chiamato a Roma chiedendomi di restare. Io però ho mantenuto la mia decisione. Lasciato quell'incarico non ho più avuto nessun altro impegno sindacale e ho iniziato una nuova attività politica che mi ha portato ad essere eletto nel 1990 come consigliere comunale a Mantova.

Quando ho assunto la responsabilità della categoria dei braccianti non c'era alcun dialogo con le altre organizzazioni, in particolare con la Federbraccianti. Nel 1965 c'era da rinnovare il contratto, che allora era provinciale, e non ritenendo giusto muovermi da solo ho preso contatti con il segretario dei braccianti della Cgil e della Uil proponendogli di concordare le richieste. Il risultato è stato la costruzione di una piattaforma unitaria che ognuno ha poi presentato per proprio conto. Allora il tema principale era quello della precarietà perché il bracciante era chiamato a giornata, il salario era legato non all'orario di lavoro ma al carico di bestiame. San Martino era la data in cui si concludevano i rapporti di lavoro e a quel punto i braccianti dovevano rinnovare il contratto con la stessa azienda o cercarne un'altra. Il rinnovo era sempre un po' capestro e non eravamo ancora maturi per superare quella situazione. Il grande salto lo abbiamo fatto nel 1970 ed è partito da Mantova e dalla Cisl, probabilmente grazie anche alla grande spinta dell'autunno caldo. Basta precarietà, basta carico bestiame, l’obiettivo era definire la figura del lavoratore agricolo con un contratto a tempo indeterminato e un salario non più legato al carico di bestiame, ma tutto e solo in denaro e non più parte in natura come era fino a quel momento. Su questa linea, frutto di un lavoro unitario costruito negli anni precedenti, si è mossa poi anche la Lombardia, una linea che ho portato avanti anche durante le trattative nazionali facendo parte del gruppo che partecipava al confronto con le imprese del settore.
La Cisl a Mantova non era mai riuscita a fare una manifestazione pubblica di piazza e a un certo punto, sostenuto da Paolo Sartori, abbiamo deciso di organizzare una grande manifestazione interregionale della Fisba. Per l'occasione ho invitato la banda e le majorettes. Tutti i braccianti provenienti dai diversi paesi marciavano con un cartello col nome della lega, anche se la lega non esisteva. Siamo partiti da piazza Sordello e arrivati fino all'Ariston, che abbiamo riempito con oltre 1.500 persone. C'è stata grande partecipazione e grande entusiasmo. Tenendo conto che la maggioranza dei lavoratori era iscritto alla Cgil, quando andavo a fare le assemblee nelle campagne riuscivo ad iscrivere quasi il 50% dei partecipanti perché emergeva la voglia di partecipare. I nostri non erano abituati a fare lo sciopero e quando si preparava quell'enorme salto di qualità e le resistenze padronali, soprattutto nelle grandi aziende, erano enormi, abbiamo fatto fatica a convincerli, ma alla fine la partecipazione c'è stata.
L'autunno caldo ha lasciato il segno anche nelle campagne e quando sono partite le lotte per le riforme e gli scioperi generali, i braccianti hanno partecipano. Con il contratto del 1970 abbiamo conquistato i diritti sindacali, la possibilità di svolgere le assemblee e non abbiamo avuto problemi a individuare persone disposte a fare i delegati sindacali. L'arrivo dello Statuto dei lavoratori ha confermato i diritti che avevamo conquistato con il contratto.

L'onda lunga dell'autunno caldo è arrivata anche in aree e in settori dove il sindacato non era assolutamente presente, non solo la Cisl, come ad esempio nel settore delle calze e in quello delle calzature nel nord della provincia, dove quando andavamo a distribuire i volantini e a fare presenza le prime volte abbiamo rischiato addirittura di prenderle, senza che i lavoratori ci difendessero. Ma alla fine anche l'alto mantovano è stato coinvolto nelle novità ed è nato anche lì il movimento sindacale.
Alla Om di Suzzara avevamo una forte presenza, ma senza un rappresentante della categoria, alla Marcegaglia non avevamo neppure un iscritto, erano tutti tesserati alla Cgil. Durante l'autunno caldo, mentre ero ancora segretario dei braccianti, mi hanno chiesto di andare a fare un picchettaggio davanti alla fabbrica. Mi sono fatto aiutare dai nuovi attivisti e dai dirigenti che erano arrivati alla Cisl, perché dovevamo impegnarci fortemente in quell'azienda. Abbiamo subito numerosi dispetti e pressioni da parte del signor Steno Marcegaglia, ma insieme al nuovo gruppo di giovani siamo riusciti a imporre lo sciopero. A conclusione della vertenza per il rinnovo del contratto aziendale del 1968 si è arrivati al referendum e noi abbiamo ottenuto il 51%, con mia enorme soddisfazione.

Quando si è iniziato a parlare di unità sindacale, i primi temi che si posero erano quelli dell'autonomia e dell'incompatibilità. Io ero decisamente favorevole, ma la situazione non era facile perché il segretario generale nazionale della categoria era un parlamentare e il segretario generale di Mantova un amministratore provinciale. Ero minoranza, i nuovi inseriti erano tutti sulla mia linea, ma la vecchia guardia era sulle posizioni del segretario generale. Ero in grave difficoltà, difficoltà che venne superata grazie alla scelta dell’incompatibilità ufficializzata nel congresso del 1969. In conseguenza di ciò Zanibelli è rimasto parlamentare lasciando la Cisl, mentre Morra ha lasciato l'incarico di amministratore ed è rimasto segretario generale della Cisl mantovana diventando il più unitario degli unitari, confidando probabilmente sul fatto che, essendo io ancora il segretario della Fisba, pur ricoprendo tanti altri incarichi, mi ponessi sulla linea antiunitaria della categoria nazionale, ma io ho scelto l'unità. Però a quel punto ho cominciato ad essere in difficoltà con la Fisba nazionale. Devo solo alla grande amicizia con Sartori se sono riuscito a non essere espulso, anche se parte della segreteria nazionale della Fisba era perché si nominasse un commissario a Mantova.
Con Paolo Sartori avevamo un ottimo rapporto, avevamo organizzato insieme la grande manifestazione che si era tenuta Mantova, l'ho sostenuto nella sua scalata verso la segreteria generale, abbiamo impostato insieme i temi della contrattazione dandogli sempre più forza e  quando sono nati i problemi a Mantova ha capito la mia situazione, anche perché i rapporti umani che si erano costruiti andavano al di là delle contingenze politiche.
Di problemi ne ho avuti, ma questa vicenda mi ha consentito di essere sempre più riconosciuto tra i lavoratori nelle fabbriche, nelle piazze. Davanti ai cortei, nella stagione delle riforme, insieme ai segretari della Cgil e della Uil c’ero io e non il segretario generale.
In quegli anni andavo in piazza con in testa un colbacco che avevo acquistato in Russia dove ero stato con una delegazione di lavoratori e imprenditori del settore agricolo decisa in seguito alla firma del contratto del ‘70.

In occasione il congresso del ’73 la Cisl ha rischiato la spaccatura sul tema dell'unità sindacale. Io mi ero identificato molto in Pierre Carniti, ero ancora nella Fisba e ho portato la mia categoria di Mantova sulla posizione dell'unità.
Marini è venuto a Mantova per fare un incontro con gli antiunitari e io mi sono impegnato, insieme a tutti coloro che erano disponibili, a boicottare quella manifestazione. Come segreteria abbiamo deciso di cambiare tutte le serrature e ritirare le chiavi degli uffici e delle sedi che abbiamo tenuto in tre: io come segretario generale e altri due, per evitare che potessero esserci dei colpi di mano.

Sui temi dell'egualitarismo non ho una posizione, ho seguito un po' la corrente pur non avendo una opinione precisa, per me era fondamentale che i diritti fossero uguali per tutti. Era un problema soprattutto della grande industria, nella media e piccola non era avvertito e io lo sentivo molto come un tema di carattere nazionale sul quale la periferia non era particolarmente coinvolta. Non ho mai condiviso l'idea del salario come variabile indipendente e le perplessità, anche tra i lavoratori, erano molto forti, e non è casuale che negli anni successivi noi abbiamo vinto il referendum sulla scala mobile.

Sulla questione femminile ci siamo trovati in grande contrasto con la Cgil e il Partito comunista per temi che sono di natura ideologica e culturale. Quando si pose il tema della parità in modo radicale io non condividevo quelle posizioni, però mi sono confrontato con Daniela Culturani, che poi diventerà segretario nazionale della scuola, ma anche lei non era d’accordo con quel modo di porre la questione femminile. In occasione dei referendum sul divorzio e sull'aborto però io, laicamente, ero favorevole, però tenendo fuori la Cisl dalle mie scelte personali.

A Mantova il Partito comunista era fortemente organizzato e quindi riusciva ad assorbire le spinte che i nuovi movimenti politici esprimevano in quegli anni, così gruppi extraparlamentari e movimento studentesco non hanno mai avuto una espressione significativa. La vicenda terroristica, invece, mi ha toccato personalmente. Nel 1969 andavo a fare i picchetti alla Marcegaglia e uscivo di casa molto presto. Una mattina ho trovato la mia macchina con la serratura forzata e il libretto di circolazione distrutto e messo in bell'ordine sul sedile del passeggero. Non ho dato peso a quella vicenda e non ho detto niente a nessuno. Dopo cinque o sei giorni dovevo andare a fare un'assemblea alla Belleli e al mio arrivo sono stato accolto da due persone che mi hanno chiesto delle informazioni e sono rimasti a lungo a parlare e io ho immaginato fossero operai dell'azienda. All'uscita questi due si sono avvicinati ancora chiedendomi cosa pensavo di alcune questioni. Dentro di me ho pensato che fossero persone interessate a venire alla Cisl. Tre o quattro giorni dopo ho trovato di nuovo la serratura della macchina forzata. A quel punto ne ho parlato con Morra il quale mi ha suggerito di fare denuncia. Passato qualche giorno, ho iniziato a ricevere di notte delle strane telefonate che con voce alterata mi chiedevano cosa avrei fatto e se la mattina successiva sarei andato a fare il picchetto. Visto il succedersi dei diversi fatti ho iniziato ad essere un po' preoccupato. Dopo qualche tempo, a pochi passi da casa mia venne arrestato un brigatista che lavorava alla Belleli. Da quel momento non si sono più verificati altri episodi.
A Mantova però il movimento dei lavoratori non ha mai dovuto confrontarsi con problemi di terrorismo.

Governo di unità nazionale. Io ero moroteo. In occasione di un direttivo unitario lombardo - segretario generale della Cgil era Antonio Pizzinato - il tema era il rapporto con il governo e ho fatto un intervento molto istintivo, non preparato, nel quale ho sostenuto che la nostra autonomia non poteva arrivare al punto tale da ignorare che non potevamo risolvere i problemi che portavamo avanti se non c'era un rapporto dialettico positivo con il governo. Pizzinato ha preso nota del mio intervento e ha chiesto immediatamente al segretario della Cisl seduto accanto a lui informazioni su di me. Questa la mia riflessione: avevamo ottenuto importanti aumenti salariali con i rinnovi dei contratti nazionali di lavoro, poi c’era stata la stagione delle riforme con la sanità uguale per tutti, l'egualitarismo, la scala mobile. Dopo tutto questo sono iniziati i primi cedimenti, i processi di ristrutturazione, i problemi si sono fatti acuti e il sindacato ha iniziato a essere un po' nell'angolo. L'unità sindacale non andava avanti e la Federazione aveva il fiato pesante, la Democrazia cristiana non teneva più, le crisi di governo si susseguivano una dietro l'altra. C'era il terrorismo. Come si poteva uscire da questa situazione? Moro è venuto a Mantova e io l’ho incontrato nel suo albergo, la sera lo abbiamo accompagnato a Palazzo della Ragione dove ha fatto il suo intervento in cui ha espresso la necessità che il Partito comunista entrasse nell'area di governo che ho condiviso.
In quella fase si è allentato il rapporto unitario, perché la Cgil era sempre più il braccio operativo del Partito comunista e noi abbiamo cominciamo a sentire che l'unità non era più costruita sull'autonomia, ma subiva il peso della politica. È stato il nostro grande dramma, da un lato la politica che doveva essere in grado di dare delle risposte alla società, dall'altro il sindacato che viveva una stagione dell'unità che si cominciava a sentire che non reggeva più.

Per me il lavoro sindacale è stata una vocazione. A me piace la politica, piace il dibattito, il confronto. Mi sono iscritto alla Democrazia cristiana che avevo 19 anni e non ho più abbandonato. Nel 1961 lavoravo al patronato Acli e sono stato pesantemente punito perché sostenevo l'importanza del rapporto tra Dc e Psi e nel giro di 24 ore sono stato trasferito a Venezia. Mi si disse che era una promozione, ma in effetti io l'ho vissuta come una punizione. Quando nel 1964 la Cisl mi ha chiamato avevo sì l'esigenza di riunire la famiglia, ma c'era soprattutto la volontà di liberarmi dalla routine di una quotidianità in cui ero chiuso. All'inizio sono stati momenti duri perché non avevo la cultura, non sapevo cosa fosse il sindacato, non conoscevo le fabbriche, le leghe. I primi approcci sono avvenuti davanti alla cartiera Burgo di Mantova dove avevamo solo tre iscritti su mille dipendenti. Quell'agosto siamo andati a fare un picchettaggio, siamo stati insultati e sono andato un po' in crisi, però contava di più la gioia di quando incontravo i lavoratori nelle leghe, il rapporto umano, le fatiche dell'uno e i problemi dell'altro, la possibilità che finalmente avevo di aprire un orizzonte collettivo. Questa è stata la mia missione, la mia vita. A questo ho sacrificato tutto me stesso.

Negli anni il mio modo di essere sindacalista è cambiato perché i problemi si sono fatti sempre più complessi. Ad esempio la contrattazione integrativa, che presupponeva che tu avessi informazioni di prima mano e io non ho perso nessuna occasione di aggiornamento, i corsi di formazione regionale, il corso lungo a Firenze, e tutto questo l’ho portato nella mia realtà territoriale con iniziative di formazione e di aggiornamento per tutta la dirigenza locale. Nell'ultimo anno di permanenza alla Cisl mi sono reso conto che era cambiato anche lo scenario internazionale e ho organizzato per la dirigenza un corso di inglese perché era uno strumento che consideravo ormai indispensabile per comprendere la nuova realtà. Il sindacalista deve capire che deve essere sempre aggiornato, deve essere capace di leggere i fenomeni se vuole tentare di governarli. Il lavoro del sindacalista non può diventare un mestiere, il sindacalista non può essere un mestierante.

La contrattazione integrativa è ormai un patrimonio acquisito, oggi possiamo fare un ulteriore passo in avanti perché se il contratto nazionale può essere una cornice, i veri contenuti sia salariali, sia di organizzazione, sia di professione si raggiungono a livello di unità produttiva oppure territoriale. Il discorso della vocazione unitaria, con Susanna Camusso che parla addirittura di dittatura, sembra una possibilità lontana, mentre con Carniti il tema dell'autonomia, quello dei due mandati, erano dei presupposti per immaginare un sindacato non più ideologico, che si confrontava con una realtà in movimento e che tutelava il lavoro dipendente nel cambiamento. Sotto questo profilo credo che abbiano fatto un grande passo indietro.
Nell'autunno caldo e nei primi anni Settanta noi siamo cresciuti. Se negli anni Sessanta ci accusavano di essere il sindacato dei padroni, che stavamo in piedi grazie alle risorse dell'America e alla nave da trasporto, nel decennio successivo l'autonomia e l'incompatibilità sono valori che imponiamo agli altri, che ancora oggi fanno fatica ad accettarli. Il confronto nelle fabbriche ha cominciato ad essere reale, non c'era più la sufficienza con cui eravamo guardati in precedenza.
Noi siamo stati la grande forza del cambiamento. Il discorso della solidarietà e della responsabilità l'abbiamo portato avanti noi, non era nella cultura della Cgil.
Oggi molti dei temi proposti della Cisl sono tornati di grande attualità, ma trovano la Cisl impreparata.