martedì 21 luglio 2020

GIGI MASTAGLIA - Flerica, Cisl – Vallecamonica (Bs)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato il 1° agosto 1947 a Odecla, una frazione del Comune di Malonno. Lì ho abitato fino a quando avevo otto anni poi ci siamo trasferiti a Forno D'Allione, il papà lavorava alla Union Carbide che allora si chiamava Elettrograffite. Dopo le elementari ho frequentato la sesta e quindi ho fatto l'avviamento professionale. Ho iniziato a lavorare a sedici anni come “piccolo” in un laboratorio chimico. Dopo il servizio militare ho frequentato i corsi domenicali per lavoratori studenti dell'Esperia di Bergamo, all'istituto Paleocapa. Ho seguito per tre anni il corso di analista chimico e il quarto anno di assistente di laboratorio di chimica. Le materie erano le stesse dei corsi diurni, naturalmente dovevano essere molto concentrate, frequentando solo la domenica e si facevano esami tutti gli anni.
Durante il periodo del fascismo mio padre ha cambiato diversi lavori perché non essendo iscritto al partito faticava a trovare un posto, faceva il carpentiere, è stato anche in Africa a costruire strade, è stato in Liguria. La mamma era a casa. La famiglia era religiosa, cattolica. Il papà era un socialista, però frequentava la chiesa.
Dopo l'avviamento ho lavorato per un anno in nero presso l'ufficio tecnico di un geometra che era anche un insegnante della scuola dove avevo frequentato. Mi aveva preso perché me la cavavo abbastanza bene con il disegno tecnico e sapevo anche scrivere a macchina. Poi ho saputo che cercavano dei giovani alla Union Carbide e il 23 ottobre 1963 sono stato assunto. In quell'azienda lavorava ancora mio padre che è andato in pensione nel 1967. Nel laboratorio chimico inizialmente pulivo gli apparecchi poi mi hanno messo a fare il campionista e più avanti hanno iniziato a farmi fare delle analisi chimiche. A me piaceva questo lavoro, ma non avendo basi teoriche mettevo insieme i diversi componenti senza sapere cosa avveniva effettivamente e così, dopo il servizio militare, mi sono iscritto alla scuola di Bergamo. L’attività era a ciclo continuo e si lavorava su tre turni. Io, però, lavoravo a giornata salvo quando c'era qualche necessità particolare, ad esempio quando arrivavano le materie prime e allora si lavorava su due turni e a volte anche di notte, però raramente.
In quell'azienda sono rimasto fino al 1978. Quell'anno sono uscito a tempo pieno ed è iniziata la mia avventura sindacale come operatore della Cisl in Valle Camonica. Eravamo in una sede unitaria a Erbanno di Darfo e ho dovuto ricostruire tutto perché non c'era un archivio della Cisl, non c'erano documenti né indirizzi dei delegati e il mio impegno era essenzialmente sul piano locale. Ero l’unico operatore della Cisl in Valle, fino al 1980, quando abbiamo fatto l'assemblea costituente del comprensorio, è stato eletto il consiglio provvisorio e ne sono diventato il responsabile. Nel 1981 abbiamo celebrato il congresso e sono stato eletto segretario generale, incarico che ho mantenuto per tre mandati fino al 1993, dopo di che sono andato alla Cisl regionale dove sono rimasto fino al momento della pensione nel 2001. Oggi sono impegnato con i pensionati, faccio parte del direttivo provinciale e dell'esecutivo perché sono coordinatore della media Valle Camonica.

Ho conosciuto il sindacato molto prima di iniziare a lavorare perché mio padre era commissario in fabbrica, è stato uno degli iniziatori della presenza sindacale in azienda, era iscritto alla Cgil e fino al 1959 è stato in commissione interna. Nel 1959 c'è stato un grande sciopero ad oltranza durato 33 giorni, perché l'azienda voleva togliere un premio a tutti i lavoratori, e in quei giorni la casa era diventata un ufficio sindacale dove si riunivano i componenti della commissione e venivano a trovarci le persone impegnate nel sindacato e io ero immerso in queste vicende. Quando ho iniziato a lavorare in Union Carbide la sindacalizzazione degli operai era altissima, oltre il 90%. Tra operai e impiegati erano occupate oltre novecento persone. Appena entrato sono stato contattato sia dal commissario della Cgil che da quello della Cisl per chiedermi di iscrivermi al sindacato. Prima di scegliere ho chiesto consiglio a mio padre e lui mi ha detto che era una scelta che dovevo fare io, ma scegliendo un'organizzazione che non doveva impormi che cosa fare. Questo me lo diceva perché lui spesso faceva discussioni molto violente con i suoi compagni comunisti della Cgil. Nel dubbio, non mi sono iscritto subito e un paio di mesi dopo l'ingresso, dal 2 gennaio 1964, ho scelto la Cisl perché ho ritenuto che fosse la confederazione che mi dava più libertà.
Ho partecipato da subito agli scioperi per il contratto che si stava rinnovando proprio in quel periodo. Gli scioperi sono andati avanti da ottobre ‘63 alla primavera del 1964. Fu un contratto di consolidamento non tanto di nuove conquiste, c'era la crisi e i padroni non volevano mollare e non si è portato a casa molto, e l'assemblea conclusiva è stata abbastanza animata. Era presente Franco Castrezzati, perché eravamo seguiti dalla Fim, mentre per la Cgil se ne occupava la Filcea, il sindacato dei chimici. In quell'occasione sono intervenuto, si vede che mi sono messo un po' in vista e hanno iniziato a sollecitare un mio maggiore impegno. Tornato dal servizio militare nel 1969 un commissario della Cisl mi ha invitato ad un incontro a Brescia. Era la prima volta che partecipavo ad una riunione di quel livello dove c'erano Melino Pillitteri, Castrezzati e l'operatore di zona che veniva dalla Union Carbide, Alberto Ronchi, e da quel momento è iniziato il mio impegno più attivo. I due temi più discussi furono quelli dell'incompatibilità e quello dell’unità sindacale. Sull'incompatibilità non è che tutti fossero d'accordo, c'era una forte corrente contraria. Quel giorno non sono intervenuto, ma ero profondamente a favore dell'incompatibilità tra impegno sindacale e cariche politiche. Ronchi dopo quell'assemblea ha dato le dimissioni proprio perché non era d'accordo sull'incompatibilità e sull'unità sindacale. In fabbrica eravamo tutti in sintonia sull'incompatibilità e ne abbiamo discusso all'interno della Sas. Solo alcuni vecchi commissari, che avevano rapporti di simpatia con dirigenti sindacali con incarichi politici, avanzavano dei dubbi.
Nel 1970, quando abbiamo costituito il consiglio di fabbrica, sono stato eletto delegato di reparto e quindi presidente del consiglio. Avevo 23 anni. Sono stato presidente del consiglio fino a quando sono uscito.

Con l'approvazione dello Statuto dei lavoratori abbiamo organizzato un'assemblea in fabbrica a cui hanno partecipato Castrezzati e, per la Val Camonica, Roberto Ravelli Damioli, che nel frattempo aveva sostituito Ronchi come operatore di zona. Per la Cgil c'era Dino Valseriati. Durante l’assemblea è stato spiegato lo Statuto dei lavoratori e la possibilità di eleggere i delegati e di costituire il consiglio di fabbrica. Per noi giovani era un fatto importante, una novità che consentiva di modificare la situazione, era sentita un po' meno dai vecchi componenti delle commissioni interne. C'è stata un po' di maretta all'interno della Sas della Cisl e anche all'interno della Cgil, perché allora erano le Sas che indicavano i nomi di coloro che dovevano andare in lista per le commissioni interne. Le tensioni furono superate decidendo di eleggere contemporaneamente sia il nuovo consiglio di fabbrica che la commissione interna. La commissione durava in carica quattro anni mentre i consigli due. Alla scadenza, la commissione interna non è più stata rinnovata.

Partecipavo alle riunioni dei gruppi giovanili che erano attivi in Valle e che animavano grandi discussioni che duravano anche tutta la notte. Ho partecipato come rappresentante dei giovani nel comitato per la rinascita della Val Camonica costituito nel 1969. In questo comitato c'erano Cgil-Cisl-Uil, tutti i partiti politici e una rappresentanza giovanile. In quell'ambito abbiamo fatto una piattaforma rivendicativa e organizzato uno sciopero generale. In quel periodo mi sono iscritto al Psiup, che aveva come leader Ugo Calzoni, che poi è diventato braccio destro di Luigi Lucchini. C'erano le elezioni e il Psiup è crollato e allora ho deciso di non iscrivermi più a nessun partito.

Al mio ingresso in fabbrica uno dei problemi più sentiti era quello dell'ambiente di lavoro, non c'era ancora una precisa coscienza dei rischi, ma c'erano reparti dove era impossibile lavorare per più di due ore consecutive vicino ai forni. Si lavorava a contatto con l'amianto, con la polvere di carbone, con i fumi della pece e non sapevamo che erano prodotti cancerogeni, però davano fastidio. Come campionista e poi come analista giravo tutti i reparti e pian piano ho imparato a rendermi conto dei problemi, della fatica, dello sporco, del caldo, degli sbalzi di temperatura.
Tra il 1963 e il 1964 sono stati assunti molti giovani e questi dopo alcuni anni in fabbrica, tra cui mi ci metto anch'io, sono stati quelli che hanno preso coscienza della situazione e che hanno animato l'azione sindacale dal ‘68 in avanti. Si sentiva il nuovo clima che in quegli anni si respirava un po' ovunque. Quasi contemporaneamente alla costituzione dei consigli di fabbrica sono stati costituiti anche i consigli unitari di zona e in quelle riunioni abbiamo cominciato a conoscerci e a stabilire dei rapporti tra i delegati. C'erano molte aziende siderurgiche e diverse aziende tessili e con loro abbiamo cominciato a lavorare sui problemi della Val Camonica. L'iniziativa era nelle mani di Cgil e Cisl, la Uil era scarsamente rappresentata e non c'erano altre organizzazioni.
Nel 1972 l’azienda è passata dai meccanici ai chimici e io sono entrato nella segreteria provinciale della categoria.
Nel 1975 l'azienda intendeva smantellare il reparto del carbide, che era un settore di produzione di alta qualità, ma la qualità era diminuita perché erano stati ridotti i controlli e ad un certo punto hanno chiesto di mettere in cassa integrazione l'intera fabbrica per tre settimane. Noi ci siamo opposti dicendo che era una strumentalizzazione perché non c'era assolutamente bisogno e loro hanno fatto la serrata. Allora abbiamo iniziato il presidio della fabbrica. Era il 1975. Per tre settimane ognuno di noi, in base ai propri turni di lavoro, si recava davanti ai cancelli bloccandoli.
Non avendo accettato la cassa integrazione, in quelle tre settimane non si riceveva nessun stipendio. Riuscire a convincere i lavoratori a fare questa scelta è stata credo un fatto significativo. Alla fine abbiamo vinto a metà. Il 5 novembre, giorno in cui è nato mio figlio, siamo rientrati in azienda grazie all'accordo nel quale siamo riusciti ad ottenere il pagamento delle tre settimane completamente a carico dell'azienda. Il reparto carbide è stato comunque dismesso, però nessuno dei quaranta lavoratori occupati in quel settore ha perso il posto e sono stati ottenuti anche degli investimenti.

L'egualitarismo per noi è stato un cavallo di battaglia, anche rispetto all'unificazione del punto di contingenza, e farlo capire ai lavoratori è stato abbastanza facile perché guadagnavano qualcosa, un po' meno facile per quelli che appartenevano alle categorie più alte, ma non è stato tolto niente a nessuno. Se abbiamo fatto richieste di carattere economico erano certamente per aumenti uguali per tutti, ma in realtà in fabbrica abbiamo fatto poche di queste richieste, noi puntavamo molto sulle categorie, che comunque consentivano aumenti salariali, e sulle indennità per lavoro gravoso. Le uniche richieste di tipo salariale, sempre uguali per tutti, erano quelle per il premio di produzione costruito sulla base di formule che si usavano allora di cui Emanuele Braghini era l'esperto.

Di fronte alle nuove battaglie sindacali l'azienda, essendo una multinazionale americana, non ha reagito in modo particolare e con la dirigenza italiana c'è sempre stato un buon rapporto. Non mi hanno mai impedito niente.

I lavoratori hanno sempre partecipato molto anche alle iniziative di carattere generale. Negli anni Settanta, nell'ambito del consiglio di zona, si discuteva di questioni quali la mancanza di asili nido, di case per i lavoratori, di mense interaziendali e noi riportavamo queste discussioni all'interno delle fabbriche per far sì che le richieste di contributi per la realizzazione di quegli obiettivi entrassero nelle piattaforme aziendali. La sensibilità su questi temi non era molto alta, però mediamente siamo sempre riusciti ad ottenere una partecipazione anche su queste battaglie.
Come consiglio di fabbrica avevamo una grande credibilità tra i lavoratori e ci seguivano sempre e avremmo potuto chiedergli di fare qualunque cosa anche se non ne abbiamo mai approfittato, noi scioperi politici non ne abbiamo fatti. Se c'era uno sciopero da fare lo si faceva e non c'erano problemi, sia per le battaglie nazionali sulla casa, sulla sanità, sia per solidarietà ad altre aziende in difficoltà. Tenevamo sempre informati i lavoratori tramite volantini, assemblee. Dal 1972 abbiamo ottenuto la possibilità di avere un distaccato in azienda nella figura del presidente del consiglio di fabbrica e questo ci consentiva di mantenere continui rapporti con i lavoratori. Quel ruolo era mio e ne approfittavo per girare nei reparti e stare a contatto con tutti i delegati.

La stragrande maggioranza dei lavoratori era per l'unità sindacale e noi come Cisl, pur essendo in grande minoranza, in accordo con la Cgil offrivamo la possibilità ai nuovi arrivati di scegliere la Cisl o la Cgil, ma se il lavoratore chiedeva la tessera unitaria facevamo uno ciascuno alternativamente, tant’è vero che nel giro di poco tempo come Cisl siamo arrivati ad avere lo stesso numero di iscritti della Cgil. Per qualche anno abbiamo avuto la tessera unitaria, prima ancora che venisse creata la Fulc, la Federazione unitaria dei lavoratori chimici, che davamo insieme alla tessera di organizzazione. Come Federchimici abbiamo fatto l'assemblea di scioglimento mentre la Cgil non l'ha mai fatta, ma nonostante questo noi all'interno della fabbrica abbiamo sempre mantenuto un comportamento unitario, tant'è che quando i partiti maggiori Pci, Psi e Dc hanno tentato di costituire delle sezioni all'interno della fabbrica, tutti insieme ci siamo opposti con decisione e nessun partito ha costituito alcun tipo di presenza organizzata. Discussioni particolarmente animate ci sono state all'interno del Partito comunista, ma la Cgil di categoria si è sempre opposta alla costituzione della cellula.

Ho vissuto direttamente il rischio di rottura in casa Cisl al congresso del 1973. Ero decisamente schierato con Storti, sostenendo questa posizione in tutte le occasioni di riunioni della Cisl a cui ho partecipato, una linea condivisa da tutti i cislini in fabbrica perché noi discutevamo di questo anche in azienda e tenevamo informato i lavoratori con i volantini su tutti i temi del dibattito.

In Valle era presente il movimento studentesco, con gruppi di studenti che venivano dalle scuole superiori e ogni tanto si presentavano davanti ai cancelli delle fabbriche. È nato un rapporto tutto sommato produttivo perché siamo riusciti a fargli capire, dopo i primi scontri verbali, che non si poteva stare sempre su posizioni teoriche, ma occorreva calarsi di più nella realtà. Noi forse abbiamo imparato da loro a sognare un pochino di più.
Abbiamo aderito sempre a tutte le iniziative contro il terrorismo, ma da noi non ci sono stati fenomeni di questo genere. In occasione della strage di Piazza della Loggia a Brescia ero presente insieme ad altri tre camuni, abbastanza vicini al punto dell'esplosione. Immediatamente abbiamo cercato di telefonare in Valle anche se c'era la coda al telefono, abbiamo avvisato in fabbrica di far uscire tutti e quando siamo riusciti a partire e siamo arrivati su erano tutti fuori dai cancelli che ci aspettavano per l'assemblea, meno alcuni impiegati. Allora io e Bazzana abbiamo fatto un giro negli uffici e li abbiamo invitati con decisione ad uscire. Alla fine è uscito anche il direttore. Abbiamo fatto l'assemblea e nei giorni successivi abbiamo partecipato con una foltissima delegazione ai funerali a Brescia.

Lavorare nel sindacato è stata un'esperienza personale estremamente positiva. Il tema della fatica che avevo imparato a conoscere fin da bambino con mio padre è sempre stato presente in me e quasi mi vergognavo, lavorando in laboratorio, quando giravo nei reparti. Una sensibilità che è cresciuta attraverso queste esperienze e poi l'impegno sindacale è diventato una scelta di vita. Sono stato in aspettativa sindacale fino al 1994, quando la fabbrica è stata chiusa. È stata un'esperienza totalizzante. Ho affrontato tutti i passaggi della vita sindacale con un po' di timore iniziale, ma con naturalezza. Non ho mai avuto freni particolari dentro l'organizzazione. Ho cominciato a sperimentare che cosa vuol dire la responsabilità per un dirigente già a partire dalla vertenza del 1975 perché non si sapeva come sarebbe andata a finire, se saremmo riusciti a vincere, con il rischio di far mancare tre settimane di stipendio a ottocento famiglie. Era una bella responsabilità. Però ci sono delle decisioni che si devono assumere, come ad esempio in fabbrica quando ho deciso di non oppormi al licenziamento di alcuni assenteisti che avevo avvisato del rischio che correvano se avessero continuato con quel comportamento. Così pure quando ho dovuto allontanare dalla Cisl un operatore che si era impossessato di alcune risorse dell'organizzazione.
La nascita del comprensorio ha rilanciato la voglia di esserci, di fare, ha creato entusiasmi. Contavamo circa quattrocento delegati per quasi 15mila iscritti. L'opposto di quanto accaduto adesso con il suo scioglimento.

Le idee di fondo della Cisl sono diventate patrimonio dell'intero movimento sindacale. Nella mia esperienza ho sempre visto che la Cisl era più avanti della Cgil rispetto a tanti argomenti. Inizialmente avevamo contro la Cgil e a volte anche la Uil, ma poi anche loro sono arrivati sulle nostre posizioni, magari non ammettendolo esplicitamente, ma di fatto accettandole concretamente.

In tanti anni di segretario generale della Val Camonica ho più volte incontrato uomini politici e amministratori locali ma sempre per esigenze di lavoro. Ho cercato di portare la politica sulle nostre posizioni e devo dire che più volte ci sono riuscito. Spesso ci davano ragione, ma poi non si muovevano. La politica locale non ha mai avuto la capacità di condizionare la nostra azione anche se qualche volta ci ha provato.