domenica 26 luglio 2020

PIERINO NORIS - Filca - Bergamo

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016


Sono nato in una famiglia di contadini: ero il sesto di otto fratelli. Era naturale che ognuno partecipasse al mantenimento della famiglia. Dopo la scuola dell’obbligo e l’avviamento con le Acli, ho iniziato a lavorare, a 13 anni, come garzone dal fornaio del paese; poi ho fatto il meccanico, l’idraulico, il lattoniere.

A 18 anni sono entrato all’Italcementi di Albino, dove ho sentito per la prima volta il “richiamo” del sindacato. Era il 1962 e all’interno della fabbrica c’era la commissione interna: frequentavo alcuni dei membri e da loro ho cominciato a conoscere l’attività del sindacato.

In famiglia, i miei erano sempre attenti a quanto dicevano le Acli a quel tempo. C’era un sacerdote a Gazzaniga che gestiva le attività Acli: faceva riunioni alle quali partecipava mia madre. Al ritorno ne parlava e quindi sentivo parlare di valori e obiettivi.

Dalla commissione, persone legate alla Cisl mi chiedono se voglio partecipare al campo scuola di Ortisei. È stata un’esperienza entusiasmante: eravamo in 300 giovani. Eravamo organizzati in un campeggio militare, per fortuna, il tempo è stato clemente. Ci siamo divertiti: tante ore di studio la mattina, il pomeriggio riposo, poi discussioni, gite e scampagnate.

Lì mi hanno insegnato cos’è la Cisl, cos’è il sindacato. Soprattutto interessanti erano i momenti di confronto con persone che già avevano contatti con la fabbrica, l’esperienza diretta, che conoscevano gli interessi e i problemi, che erano capaci di sentire le persone, di informarle: questo è quello che mi ha sempre affascinato.

Al rientro, ho ripreso a lavorare: collaboravo con la commissione interna.

In questo periodo ho conosciuto Guido Suagher, che poi è stato segretario della Filca di Bergamo. Una persona che ho molto stimato: in Italcementi avevano fatto di tutto per complicargli la vita, era uno che per l’attività sindacale ha pagato di persona. Per le sue idee è stato messo in condizione di lavorare dove avesse il minor contatto con la gente: operaio specializzato, mandato nelle cave, e dalle 4 del pomeriggio alla notte, così che non vedesse più nessuno.

Nel 1966, sono andato a lavorare alla Sacelit di Alzano, sempre del gruppo Italcementi, e qui è partita la mia vera attività sindacale.

Erano gli anni in cui si cominciava a aprire e a allargare la rappresentanza. Ho cominciato a interessarmi sempre di più.

Alla fine degli anni 60, i problemi della fabbrica e del territorio erano sostanzialmente legati ai salari bassi. Poi, si è iniziato a parlare di sicurezza, dal momento che da noi si lavoravano amianto e plastica. Altro problema che abbiamo dovuto affrontare sono stati i turni: molta gente che lavorava nelle fabbriche della zona arrivava dall’agricoltura, faceva cioè il contadino, e quella, nella loro concezione, restava ancora l’attività principale, e voleva che restasse tempo sufficiente per lavorare i campi.

Con gli imprenditori il rapporto era condizionato dall’atteggiamento  strano che spesso assumevano. Solitamente si presentavano in tre: uno faceva il cattivo, uno il buono e poi c’era chi mediava. Abbiamo fatto numerose trattative su salario, turni, tipologie del lavoro, salute e sicurezza. La fortuna del nostro stabilimento era il direttore: molto giovane, spesso ci dava consigli, ci metteva in guardia su molte cose. Rispettava le nostre idee e cercava sempre dialogo e confronto.

Una prima, grossa battaglia l’abbiamo condotta quando alla Sacelit volevano inserire il turno di lavoro domenicale. Si lavorava già 44 ore da lunedì a sabato. Abbiamo contrastato l’azione e ci siamo ritrovati tutti i lavoratori al nostro fianco. Tutti i sindacalisti, allora, erano anche lavoratori dello stabilimento: questo ci permetteva, a differenza degli operatori del territorio, di poter entrare in fabbrica e parlare con i colleghi in ogni momento e per ogni occasione…

Era comunque sempre dura spuntarla, soprattutto all’inizio. Più tardi, con l’approvazione dello Statuto, abbiamo avuto una forza tremenda: ogni sindacalista ha  avuto la possibilità di muoversi in fabbrica, e questo ci ha aiutato dove non avevamo lavoratori sindacalizzati. Io continuavo a lavorare mentre facevo attività sindacale.

In quel periodo sono nati i primi consigli di fabbrica. Da noi  si lavorava bene insieme, anche con la Cgil: mi hanno sempre seguito. Con la persona che c’era ci si stimava reciprocamente. La Cgil aveva la maggioranza in fabbrica, per la provenienza di tutti i lavoratori iscritti dal sindacato unico. Però con l’avvento dello Statuto, e avendo la possibilità di muovermi in fabbrica, ho cominciato a far crescere la Cisl e in pochi anni siamo diventati maggioranza (1973).

Naturalmente, la “grande” politica sindacale la vivevamo in seconda linea. Ho scoperto dopo cosa succedeva nel mondo, ma nel nostro piccolo abbiamo vissuto tutto il fermento della partecipazione, potevamo dire e fare quello che pensavamo. Avevamo le informazioni che ci portavano i sindacalisti che ci seguivano. Andavamo ai convegni e alle riunioni quando ci portavano. Poi abbiamo costituito i consigli di fabbrica: si lavorava bene, si conoscevano tante persone e si “coltivavano” tutti i possibili tesserati.

Poi abbiamo scoperto le grandi rivendicazioni…

Agli inizi degli anni 70, il segretario di Bergamo era Vincenzo Bombardieri. Tutto il dibattito relativo allo “scontro” in atto a livello nazionale, per noi della “periferia”, è avvenuto quasi in sordina, non eravamo certo coinvolti…poi, col tempo ho iniziato a frequentare Bergamo e ho conosciuto i dirigenti.

È stato anche questo un periodo bellissimo. Nel confronto tra le aree di Storti e Scalia, io sono sempre stato vicino a Storti, più vicino alle mie aspirazioni sindacali, quelle di un sindacato libero. C’era chi voleva legarsi alla Dc. Bergamo, invece, era per l’autonomia.

Gli anni 70 hanno consegnato una nuova linfa al sindacato: abbiamo conquistato la settimana corta (dal lunedì al venerdì), senza passare al ciclo continuo. Vedevamo le altre categorie che riducevano l’orario di lavoro e noi le abbiamo seguite. Poi, abbiamo affrontato la discussione sul salario. Da noi, c’era un confronto pesante. Di fronte al nostro stabilimento, c’era la cartiera Pigna: un ambiente più pulito, un lavoro più leggero, uno stipendio maggiore. Nella fattispecie, rendeva le cose ancora più difficili da digerire, il fatto che alla Pigna lavorassero molte mogli degli operai Sacelit. Queste avevano una busta paga più pesante dei mariti, e a quei tempi non era facile passarci sopra…si crearono non pochi problemi in molte famiglie.

Ma in Pigna la sindacalizzazione era più avanti, aveva una storia più lunga. Noi, invece, abbiamo dovuto ripartire da zero, ma col tempo abbiamo in parte ridotto il gap salariale tra mogli e mariti.

In fabbrica, allora, non vivevamo una conflittualità permanente, ma ciclica, sì. Abbiamo fatto vertenze aspre, seguiti da tutti i 250 lavoratori. Grazie al consiglio di fabbrica, su qualsiasi problema, la gente veniva coinvolta. Bastava un fischio e tutti arrivavano. Non c’erano divergenze con la Cgil: gli obiettivi unificavano tutti.

Nel 1973, la valle Seriana ha subito fortemente l’austerity, soprattutto nel tessile, e noi siamo stati coinvolti anche nelle loro manifestazioni. Ogni sciopero generale lo facevamo, ricordo scioperi generali che coinvolgevano tutti, il sindacato era seguito, eravamo creduti. Se avvicinavi qualcuno e parlavi del sindacato, lo facevi con passione. E poi lo si informava e soprattutto si convincevano anche i più reticenti e dubbiosi.

Erano anni in cui si facevano vertenze per qualsiasi argomento utile a cambiare le condizioni del lavoro e dei lavoratori, e abbiamo ottenuto quasi tutto, con gradualità, con mesi di trattative, anche fermando la fabbrica. Qualche volta ottenendo subito tutto.

Fermare la produzione, a quel tempo, voleva dire buttare via cinque sei ore di lavoro, perché ripartire era difficile. Quando lo si faceva, la direzione Italcementi piombava in fabbrica e in un pomeriggio si trovava l’accordo.

Questo ci ha un po’ illuso: siamo andati avanti per un po’ di tempo.

Poi sono partite altre rivendicazioni: abbiamo ripetuto la stessa modalità, ma senza lo stesso effetto…ci abbiamo riprovato ancora: l’azienda ha iniziato a rispondere picche.

La nostra forza giocata così era per loro motivo di non contrattazione, mancava il rispetto delle regole. Dopo l’ennesimo sciopero con presidio dei cancelli, hanno denunciato tutto il consiglio di fabbrica. C’è stata un’udienza urgente del pretore del lavoro, che siamo riusciti a chiudere senza troppi guai, ma ha voluto dire impegnarsi per costruire un’intesa, un accordo nel quale pur ottenendo parte delle nostre richieste, abbiamo dovuto sottoscrivere che non avremmo più utilizzato forme di protesta che potessero fermare l’azienda.

La sentenza diceva che il danno era superiore a tutti i benefici che si potevano ottenere  e metteva in difficoltà l’azienda.

Nonostante questo, o forse perché anche in questa occasione sono riuscito a mantenere un comportamento adeguato agli insegnamenti e agli obiettivi di un sindacalista, nel 1975, sono uscito dalla fabbrica e entrato ufficialmente alla Cisl, anche se con un po’ di preoccupazione (avevo due figli piccoli, non sapevo se avevo le capacità di condurre un altro tipo di attività…). Zonca e Suagher mi hanno convinto a fare esperienza a Gazzaniga, nella sede territoriale, come operatore di zona e come riferimento per tutta una serie di aziende. C’erano ancora tantissime fabbriche non sindacalizzate, in tutti i settori. “Tu vai – mi dissero -, prendi contatto, cerca di parlare con qualcuno e portali al sindacato”. Così ho iniziato a fare questa attività.

Quel periodo ha coinciso anche con le tantissime riunioni per mettere insieme la federazione unitaria. Fu istituito il delegato unitario. Poi si è spaccato tutto molto velocemente, quindi ho fatto l’operatore tessile per la Cisl. Sono poi tornato alla Filca. C’era bisogno di operatori. Suagher era andato via e Pesenti, diventato generale, mi ha portato in segreteria. Era il 1981.

 

Vivevo uno strano rapporto con la politica sindacale, le grandi discussioni, gli scontri tra “correnti. Avevo un forte rapporto con la Cisl, ma il mio lavoro, il mio impegno andava tutto nella contrattazione e nel rapporto con i lavoratori.

Partecipavo, seguivo convegni e consigli generali…ma il primo congresso a cui ho partecipato è stato quello della Cisl del 1977. Mi ricordo delle due linee sindacali, delle grandi battaglie ideologiche e di posizione che si fecero, ma io rimanevo un piccolo operatore di provincia, e quando a Bergamo qualcuno mi chiese di accompagnare un gruppo di iscritti a Lourdes, io ci sono andato…mi interessava di più.

Vivevo il mio lavoro come un servizio, e il clima di quegli anni mi ha certamente aiutato. C’era fermento di novità e cambiamenti in ogni cosa che decidevamo di fare, anche quando, alla fine degli anni 70, la situazione si era fatta più difficile.

Tante conquiste erano state fatte. Adesso, le crisi industriali arrivavano di continuo e mettevano difficoltà... Anche in Val Seriana, la situazione si era fatta complicata: nelle confezioni, nelle piccole aziende, spesso aperte da un ex operaio, si era creato un filo diretta tra lavoratori e datore: convincere allo sciopero lavoratori scelti uno per uno dal “capo”, spesso parenti, o ancora di più convinti che anche loro avrebbero potuto fare il salto in poco tempo, era difficile.

Rimaneva comunque un grande fermento. Nell’edilizia era bello ancora andare nelle fabbriche…parlavi con i lavoratori, andavi a  confrontarti con i datori…ai lavoratori parlavi di cose che loro comprendevano: allora il lavoratore lo avvicinavi personalmente, non come adesso…oggi si lavora sui computer e si scopre che c’è un edile dalle liste delle casse e degli enti bilaterali...noi andavamo di persona a conoscerli, a parlargli. Erano gli anni più belli, perché costruivi un rapporto con il lavoratore, poi i frutti si raccoglievano meglio.

Eravamo portatori di valori richiesti e condivisi. Oggi la solidarietà è più difficile, è cambiato il mondo, è tutto più difficile. Noi il rispetto ce lo meritavamo, per il lavoro continuo che facevamo. Ci vedevano di continuo sui luoghi di lavoro, e lo facevamo dopo che avevamo finito il nostro turno di lavoro. Parlavamo con tutti e a tutti procuravamo risposte.

Di quanto è accaduto e della crisi di rappresentanza, molte colpe le hanno i sindacalisti: si è creduto che il “marchingegno” potesse funzionare all’infinito. Anche la scelta degli operatori ha avuto il suo peso. Prima noi non lasciavamo la fabbrica. Adesso la prima cosa che fanno è lasciare il lavoro per chiudersi negli uffici…manca la predisposizione a “vivere” il territorio.

Io se torno indietro, rifaccio tutto quello che ho fatto, perché ho preso più di quello che ho dato, e ne sono consapevole. Ho incontrato storie sindacali incredibili in tantissime persone; in ogni persona ho incontrato una storia…