mercoledì 29 luglio 2020

GIGI PEREGO - Flerica, Milano – Cisl, Lombardia, Monza

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

 

Sono nato il 22 gennaio 1942 a Seregno, ho frequentato la terza media e molti corsi di formazione alle Acli, all'Azione cattolica e il corso di perfezionamento al Centro studi Cisl di Firenze, tramite Vito Scalia, nel periodo in cui ero responsabile nazionale dei giovani della Cisl. Era il 1967, i docenti erano Mario Romani, Sergio Zaninelli, Guido Baglioni, Luca Borgomeo. La mia era una famiglia operaia e ho perso il papà a sette anni, la mamma lavorava al Cotonificio Dell'Acqua a Seregno. Era una famiglia molto religiosa, in modo particolare mia mamma. Io ho fatto per diversi anni il chierichetto.

Ho iniziato a lavorare nel 1963, la mia famiglia era in difficoltà economiche e ho capito che anch'io avrei dovuto contribuire. Avevo due opportunità o alle Acli di Milano o alla Cisl. Alle Acli lavorava un mio carissimo amico, era il periodo di Mario Albani e presidente era Luigi Clerici, che però nel periodo in cui dovevo essere assunto si è ammalato per cui i tempi si sono allungati e allora mi sono orientato sulla Cisl. Nel marzo di quell'anno ho fatto un colloquio con Sandro Pastore, mi ricordo con la tapparella abbassata e con alle spalle una immagine di don Giovanni Minzoni. Dopo un breve incontro mi ha mandato dal professor Baglioni, che già avevo incontrato in occasione di alcuni corsi di formazione, il quale ha chiesto alcune brevi informazioni su di me, mi ha dato dei libri da leggere e mi ha congedato rapidamente. Era un venerdì e io sono tornato a casa senza aver avuto una risposta precisa. Il sabato e la domenica come era mia abitudine sono andato in montagna. La domenica Pastore, insieme ad Alessandro Mariani, che conosceva mia mamma perché era stato operatore nella zona di Seregno, si sono presentati a casa mia cercandomi e dicendo a mia mamma di trovarmi lunedì alla Cisl. Mia mamma tutta agitata mi ha riferito degli orari sbagliati e il lunedì mattina mi sono presentato alla sede di Seregno ma era chiusa. Ho aspettato un po', ma mi è venuto il dubbio che l'appuntamento fosse alla sede di Carate, allora ho preso il tram e sono arrivato una mezz'ora prima di mezzogiorno. Lì ho trovato Pelacchini che con tono abbastanza duro mi ha detto di aspettare fino a quando è tornato con un pacco di volantini e mi ha portato all'Antares di Calò. Senza quasi dire parola mi ha scaricato davanti ai cancelli dell'azienda dicendomi di distribuire i volantini che poi sarebbe ripassato a prendermi e magari saremmo andati a mangiare un panino. Questo è stato il mio ingresso in Cisl.

In zona sono rimasto dal 1963 al 1965 lavorando come Cisl, ero un sindacalista orizzontale, perché la verticalizzazione in quel momento era avvenuta solo per i meccanici e i tessili. Nel ‘65 mi fu offerta la possibilità di andare a Roma all'Ufficio giovani come coordinatore nazionale dei giovani Cisl dove ho preso il posto di Rino Caviglioli. Sono rimasto fino al 1967 quando sono andato a fare il corso specializzazione al Centro studi. Dopo Firenze sono tornato a Milano, inizialmente all'Ufficio provinciale giovani (Upg) della Cisl, poi sono stato trasferito alla sede di Legnano sotto la guida di Pippo Morelli che in quel momento era il responsabile del mandamento Alto milanese e seguiva anche Abbiategrasso. Avevo a disposizione una cinquecento di proprietà della Cisl. A Legnano mi sono impegnato nella costruzione della scuola sindacale dedicata a Luigi Morelli, segretario generale aggiunto della Cisl con Pastore, che morì in un tragico incidente e allora i giornali parlarono anche di un possibile attentato. Da lì sono passato alla categoria dei chimici. Segretario generale a Milano era Egidio Quaglia. Lavoravo nella sede di via Nota, accanto alla Pirelli. Quello della Pirelli è stato un periodo esaltante negli anni ‘68, ‘69 e '70, il periodo caldo.

Nel 1970 sono entrato nella segreteria provinciale dei chimici di Milano diventando poi segretario generale, fino a quando nel 1979 sono passato nella segreteria della Cisl di Milano. Con la nascita dei comprensori nel 1981, in occasione del congresso, ho lasciato la Cisl di Milano per diventare segretario generale della nuova Cisl di Monza insieme a Lorenzo Cantù e a Mario Fumagalli fino al 1992, quando sono entrato nella segreteria regionale dove sono rimasto fino al 1995. Quell'anno mi sono candidato a sindaco di Seregno risultando eletto per due mandati.

Sono stati 32 anni di impegno sindacale e dieci anni di impegno amministrativo.

 

In Pirelli sono venuto a contatto con una realtà nuova, perché la Pirelli erano anni che non scioperava. In occasione del rinnovo del contratto nazionale della gomma nel 1967 i lavoratori avevano ottenuto un aumento salariale del 2% e gli operai avevano accettato questo aumento insignificante senza nessuna reazione. Io sono arrivato in occasione del rinnovo della commissione interna e abbiamo avuto un forte contributo dalla Cisl nazionale per sostenere la campagna elettorale. Ebbi l'idea di mettere le bandiere della Cisl su tutti i pali della luce su viale Sarca che costeggiano la cancellata dall'azienda e ho realizzato un volantino con i volti dei candidati, una cosa assolutamente nuova, e quell'anno la Cisl ebbe un'affermazione notevole soprattutto tra gli operai, cosa non sperata.

Allora in fabbrica oltre alle Cgil c'era una sezione del Pci molto forte con 950 iscritti. Tutte le mattine alle cinque una donnetta si presentava davanti alla portineria operai a diffondere l'Unità e anche il quotidiano ha orientato le lotte, perché molti attivisti e dirigenti della Cgil acquistavano il quotidiano per leggere le indicazioni del Partito comunista.

Abbiamo però sempre lavorato con uno spirito unitario. I giovani della sezione sindacale hanno fatto un giornalino che sosteneva idee più aperte, più avanzate, che veniva distribuito in Pirelli a tutte le dodici portinerie. Era un'organizzazione impegnativa. Sul giornalino abbiamo teorizzato la qualifica unica, facendo scalpore e ricevendo delle pressioni perché all'interno della sezione c'era un dualismo tra vecchi e giovani.

Una sera abbiamo fatto una fiaccolata fino al Corriere della Sera, siamo stati ricevuti dal vice direttore Franco Di Bella e poi siamo tornati stanchi ma contenti per la nostra iniziativa. C'è stata una reazione molto forte da parte di Ponzoni, che era il segretario della Sas, che mi ha accusato di aver organizzato l'iniziativa e che non era certamente spontanea, dato che gli operai all'uscita del turno avevano già la loro fiaccola. In quell'occasione aveva collaborato con me Baricelli, l'operatore della Cgil.

La mia prima assemblea è stata un'emozione forte ed è stata in Pirelli. In fabbrica in quegli anni le assemblee erano continue perché si ripetevano per ognuno dei tre turni. In quella prima occasione eravamo tutti e tre: io, Baricelli e Davino della Uil. Davino dovevamo sempre trascinarlo mentre con Baricelli ho lavorato molto bene nonostante i contrasti fossero molto duri, in particolare sul salario variabile indipendente e sulla qualifica unica. Nonostante i contrasti abbiamo costruito insieme l'unità sindacale.

Quando è nata la federazione unitaria io non l'ho considerata una sconfitta, ma un proseguimento naturale del lavoro che stavamo facendo. Quando abbiamo aperto la sede unitaria all'Umanitaria è stata una grande soddisfazione. Quando ci sono state delle contrapposizioni fra noi e la Cgil, le ho sempre vissute come fattori momentanei che poi avremmo superato e il processo unitario sarebbe andato avanti.

 

I temi oggetto di contrattazione, quando sono arrivato ad occuparmi di Pirelli, erano il salario, le qualifiche e il cottimo. Sul cottimo, che era legato al risultato, in particolare, ci sono state delle lotte articolate. In quei tempi la Pirelli ha introdotto l'isola, raggruppando varie posizioni individuali. All'interno dell'isola c'era una macchina particolare che aumentava di molto la produttività e una squadra riusciva ad ottenere un grande risultato e in quella fase gli operai hanno attuato il salto della scocca, che poi era del pneumatico. Noi come operatori avevamo un ruolo significativo perché tutto veniva deciso nella sezione sindacale. Tra il 1967 e il 1969 la Pirelli assunse cinquemila persone e tra queste ci fu un'infornata di tecnici provenienti dall'Università di Trento.

In quel periodo nacquero i Cub, Comitati unitari di base, risultato di due esperienze successive, infatti si parla di Cub uno e Cub due, che molte volte anticipavano le sezioni sindacali e capitava spesso che lo sciopero fosse guidato dall'interno e le sezioni si trovassero di fronte al fatto compiuto e in quel caso assecondavano la decisione. I Cub erano molto attivi e con loro, soprattutto il primo, gli scontri erano continui. I lavoratori seguivano sostanzialmente le indicazioni di Cgil-Cisl-Uil anche se non sempre era così. Una di queste occasioni è stata la “notte brava”. Era il 1968, un periodo molto duro in cui la Pirelli aveva fatto la serrata ed era intervenuto anche il ministro Donat Cattin che aveva criticato l'azienda, ma dopo la notte brava intervenne duramente anche contro gli operai. C'era un'assemblea di notte che si svolgeva nella grande mensa che conteneva fino a cinquemila persone e mentre si susseguivano gli interventi si notavano dei movimenti strani, al punto tale che ho deciso di non andare a casa e di rimanere a dormire in sede. Verso la fine della discussione è avvenuto un fatto bizzarro: Valenti, uno della Uil, è arrivato con un grande pneumatico e lo ha fatto correre lungo la sala. Molti si sono alzati e lo hanno seguito. Finita l'assemblea, mentre uscivamo abbiamo visto diversi movimenti tra un reparto e l'altro. Poco tempo dopo è esplosa la protesta: le automobili di prova sono state lanciate contro i muri e gli ostacoli presenti, pneumatici vennero infilati sulla cancellata di viale Sarca, ovunque regnava il caos. Qualcuno è venuto subito a chiamarci e noi, fuori dei cancelli, abbiamo visto tutto ciò che stava accadendo tentando di calmare gli animi e di tenere sotto controllo la situazione. Poi, improvvisamente, è calato il silenzio. Gli operai si sono ritirati nei loro reparti lasciando sul terreno i segni della rivolta. In quell'occasione la Pirelli fece scattare una serie di fotografie che ebbi modo di vedere attraverso padre Mario Reina, che allora era ad “Aggiornamenti sociali” ed era molto legato alla Pirelli. Gli animi erano caldi e stabilire l'esatta dinamica dei fatti è stato impossibile.

In quel periodo ci fu anche una marcia sul grattacielo Pirelli, sede dell'azienda, che rimase isolato per tre giorni senza che nessuno potesse né entrare né uscire, con un presidio degli operai organizzato sulla base dei turni di lavoro in azienda. Il blocco è stato promosso dal sindacato ma con il contributo attivo del Cub. In quell’occasione c'è stato un tafferuglio e uno dei loro leader ha preso per il collo un capitano dei carabinieri mentre un altro gli strappava le mostrine e il cappello. Questo materiale l'abbiamo ritrovato all'interno della Bicocca quando, in occasione di uno dei frequenti cortei, hanno portato una bara e sulla bara c'erano le mostrine, il cappello e anche un guanto del capitano. Mi ricordo che al presidio, il primo giorno, con una tensione altissima per la massiccia presenza di polizia e carabinieri, venne portato su una cinquecento da Baricelli il cantautore Franco Trincale e con la sua musica gli animi si sono calmati e tutti si sono seduti ad ascoltare le canzoni.

Nei primi anni Settanta ad un certo punto si è fatta strada una riflessione molto approfondita sul fatto se fosse corretto portare avanti una lotta dura solo in una fabbrica. Il settore della gomma era composto da poche aziende e alcune di queste non avevano subito alcun sciopero, ad esempio la Michelin e la Ceat, che insieme a Pirelli rappresentavano le tre grandi aziende del settore presenti in Italia. Alcuni sostenevano che fosse sbagliato concentrare le rivendicazioni sulla Pirelli e quindi si discuteva di come allargare la lotta unificandola, perché ci siamo resi conto che con la nostra battaglia avevamo caricato la Pirelli di oneri che le altre aziende non avevano. Da qui l'incontro con Emilson della Ces che produsse poi uno sciopero in tutto il settore della gomma in Europa. Facemmo anche una grossa manifestazione nel campo sportivo della Pirelli con un'assemblea degli impiegati e la partecipazione del segretario dei sindacati europei. Da quel momento c'è stata una unione tra operai, tecnici e impiegati che prima non c'era e che aveva portato anche a degli scontri.

Il tema dell'ambiente e della salute in Pirelli venne posto a partire dall'autunno caldo ed era presente anche successivamente, in particolare sulla gravosità del lavoro, nei reparti dov'era faticoso lavorare, come ad esempio la vulcanizzazione, che era massacrante. Tra i lavoratori erano presenti due tendenze: quella che puntava sulla monetizzazione del rischio e quella che invece non voleva più lavorare in quelle condizioni. Se lasciata solo ai lavoratori la scelta sarebbe stata quella della monetizzazione. Noi abbiamo orientato gli operai con lo slogan “la salute non si vende”, ma è stato difficile convincerli, anche se in questo caso avevamo dalla nostra i Cub. Di fronte a salari bassi, per l'operaio avere dei soldi in più in busta paga era più allettante di tutto il resto.

Facemmo fare una ricerca a Enzo Pontarollo sul salario in Bicocca e i risultati hanno fatto scalpore perché hanno messo in evidenza le grandi differenze tra le diverse posizioni e tra operai e impiegati. Sulla base di questa indagine abbiamo costruito le nostre proposte di revisione dei salari, anche se l'ombra del provinciale pesava sempre. Io concordavo sull'idea del salario variabile indipendente, c'erano differenze tra di noi e poi c'erano persone come Ponzoni e Maiocchi che trasferivano all'interno della sezione sindacale le posizioni del provinciale, che non condivideva la nostra idea sul salario. Io sostenevo anche la qualifica unica e per le nostre posizioni eravamo accusati di dare ospitalità ad esponenti extraparlamentari. È importante sottolineare che mentre Gerli della Cgil era puntualmente presente quando c'era qualche problema in Pirelli, Quaglia non c'era mai e io ritenevo che Quaglia avesse un rapporto privilegiato con la Pirelli e che non voleva scontrarsi con l'azienda. Mentre Gerli è venuto molte volte in assemblea con noi, Quaglia mai.

 

La partecipazione era alta anche sulle lotte generali, è stata quasi un'amplificazione dei temi di fabbrica e quindi la lotta si è allargata. I Cub, in particolare, hanno fatto un grosso lavoro di rete con la Breda che era accanto a noi, con la Magneti Marelli, con la Falck.

Un giorno un gruppo di studenti venne in massa davanti ai cancelli della Pirelli distribuendo un volantino che incitava alla lotta, la reazione degli operai nei loro confronti è stata violenta e hanno respinto il loro intervento. Il movimento studentesco e poi i gruppi extraparlamentari agivano in fabbrica attraverso il Cub e per questo gli operai rifiutavano l'alleanza con gli studenti. Nelle tensioni di quegli anni è successo anche che un figlio di Pirelli ha portato dentro l'azienda un'automobile piena di volantini dei gruppi, un fatto che ci ha molto preoccupato, ma i volantini sono stati bruciati dai lavoratori. Anche quando si creava un'alleanza questa era vigile e carica di sospetto.

 

Lo Statuto dei lavoratori ha cambiato il nostro modo di fare sindacato perché fino ad allora, entrando in azienda portati dall'onda degli operai, avevamo preso diverse denunce. Uscivano un centinaio di lavoratori, noi ci mettevamo davanti e loro ci spingevano all'interno, a quel punto le guardie dovevano farsi da parte, ma poi la Pirelli ci denunciava. Personalmente penso di essere stato denunciato sei o sette volte dall'azienda. Noi abbiamo anticipato lo Statuto e alla fine anche le guardie ci tolleravano ed entravamo tranquillamente. La nascita dei consigli di fabbrica ha creato una lotta tra noi e la Cgil sulle modalità di costruzione del consiglio, su come eleggere i delegati, su chi doveva guidare i consigli. Di fatto eravamo sempre noi sindacalisti, anche se c'era un esecutivo e due o tre persone staccate in azienda che tenevano i collegamenti con l'esterno.

 

Una curiosità. In mensa veniva fornito un vino scelto dagli operai, al punto tale che questi uscivano dal lavoro con le bottigliette di vino perché era di buona qualità. Una situazione frutto di un accordo fatto nel 1945.

 

La Pirelli era divisa in tre blocchi: i cavi, la gomma, gli articoli vari. Negli articoli vari erano occupate moltissime donne. Nella Sas vi era una presenza massiccia di donne, in prevalenza impiegate, che portavano avanti la problematica femminile. In Pirelli c'era la mutua aziendale che copriva aree che non erano coperte dal sistema nazionale, su questo versante l'impegno delle donne è stato maggiore.

 

Io ero a favore dell'incompatibilità. Sono stato vittima di questa mia convinzione perché sono stato "licenziato" da Bruno Storti insieme a Sandra Codazzi, che era responsabile femminile, Eraldo Crea, Cesare Del Piano, Rino Caviglioli, Idolo Marcone. Tutte persone che lavoravano in sede nazionale e che sostenevano l'incompatibilità e per questo sono state allontanate da Storti. Per nessuno la motivazione ufficiale era questa e tutti furono destinati ad altri incarichi, ma la ragione vera non detta era quella dell'incompatibilità, perché in quel momento si era aperta la battaglia in confederazione. In quel momento segretario di Storti era Di Napoli che giocava tutte le partite rimanendo in secondo piano e c'era poi l'amministratore Cadario che veniva da Novara ed era ancora quello che aveva portato Giulio Pastore. Il suo ufficio era all'ultimo piano mentre Storti era al primo.

Tra i miei incarichi quand'ero a Roma c'era quello di organizzare il campo scuola in tenda a Ortisei. Allora si riceveva un contributo da parte del ministero degli Interni e io ebbi con Cadario uno dei pochi incontri nel suo ufficio rivendicando la gestione di quei soldi, che erano ben quindici milioni, alla fine ebbi a disposizione tre milioni.

Quando sono arrivato a Milano il segretario generale era Roberto Romei e in segreteria con lui c'erano Mario Colombo, Pippo Morelli e Sandro Pastore. Milano era completamente schierata a favore dell'incompatibilità. In congresso nazionale noi giovani facevamo sentire la nostra voce dalla platea con applausi e urla e il lombardo Paolo Sala prese una sediata in testa da parte di due della Fisba.

 

Non ho mai subito pressioni di tipo politico partitico, ho sempre agito da sindacalista pur avendo un'idea della politica e in particolare dell'azione dei partiti. Ad altri livelli invece penso che i partiti abbiano influenzato le scelte sindacali. La voglia di cambiamento era presente tra i lavoratori e pesava direttamente sui sindacalisti di base più a contatto con loro, poi man mano che si saliva nei livelli di responsabilità si sentiva maggiormente l'esigenza di valutare, di riflettere. Le nostre posizioni erano certamente influenzate dalle condizioni generali del quadro politico, ma nascevano all'interno del sindacato sulla base della nostra esperienza, del nostro impegno e anche dal confronto con i colleghi della Cgil. Noi rispettavamo le loro posizioni, il confronto era nel merito delle questioni. In noi prevaleva l'esigenza del cambiamento che si era innescato negli anni precedenti e che secondo noi doveva continuare, pur tenendo conto dei mutamenti politici che avvenivano.

 

Tra il 1970 il 1972 c'è stato un forte scontro frontale all'interno dei chimici della Cisl milanese. Alla guida della federazione c'era Caprini, noi eravamo in minoranza. In modo inusuale fece il congresso provinciale a Sirmione, impedendo a me e ad altri di partecipare in platea tra i delegati, relegandoci in galleria e alloggiando i delegati nei diversi alberghi in base ai suoi calcoli. Nonostante ciò abbiamo vinto il congresso per cinquecento voti, praticamente un delegato. Questa divisione era presente anche nelle fabbriche al punto tale che in alcune di queste Caprini non poteva andare. Lo scontro ha influenzato anche il nazionale, perché Milano contava in tutte le categorie e noi siamo stati determinanti con la nostra vittoria per favorire una svolta anche a livello nazionale. La Federchimici era guidata da Beretta e noi abbiamo sostenuto Trucchi, che allora era con la sinistra, che sostanzialmente erano i giovani e le nuove leve del sindacato.

Al congresso successivo del 1973 ho partecipato come delegato della Cisl di Milano ed ero schierato a favore di Storti e Carniti e c'era Pastore che controllava la delegazione milanese e ci invitava a stare calmi. La spaccatura presente nel congresso si notava anche fisicamente. Gli interventi dei nostri erano stati tutti confinati nella seduta notturna, ma noi siamo stati sempre presenti tutti quanti. Allora ero nei chimici e la categoria era considerata sdraiata sulle posizioni confederali. Rispetto alla Fim, che aveva una sua identità e la rivendicava, i chimici erano più tranquilli, soprattutto allineati. Questo creava non poche tensioni. A Milano l'industria era compatta, però non a livello nazionale dove, soprattutto con l'arrivo di Domenico Trucchi, si era rotto l'asse tra le categorie industriali. La Fim di Milano nel momento più alto è arrivata a 55mila iscritti, i chimici che erano la seconda categoria a 25mila, poi c'erano i tessili sui 15mila.

 

L'impegno per il sindacato è stato totale. Ho vissuto i 32 anni di sindacato con tensione, passione e ho sacrificato molto a questo ideale. Nel percorso ho maturato atteggiamenti diversi, perché camminavo con il cambiamento. Ho favorito il cambiamento perché penso che sia necessario, sia nella politica che nell'economia, per costruire un reale progresso della società. In questa direzione ho sempre lavorato e mi sono sempre trovato - dico io - sulla sponda giusta e anche nella mia breve esperienza regionale non ho mai rinunciato ad esprimere quello che pensavo correttamente ed onestamente, nel senso che per me non è prevalso nessun tatticismo. Ho vissuto bene questi anni, anche se con alcune amarezze e alcune incomprensioni che ci sono state perché spesso mi sono trovato come un'anima ribelle isolata e al margine dal corpo dell'organizzazione.