martedì 28 luglio 2020

ANTONIO SANTI - Missione operaia S. Pietro e Paolo - Mosca

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato a Roma il 17.7.1943, attualmente vive alla periferia di Mosca nella città di Krasnogorsk. Appartiene alla Missione operaia dei santi Pietro e Paolo, fondata da Jaques Loew, della quale è stato anche il responsabile. Diacono, si è formato nell’ambito di Gs e quindi di Gl, diventandone presidente.

Un’eredità troncata Mio padre è di origine veneta e mia madre lombarda, si sono trasferiti a Milano dove si sono sposati e poi sono partiti in giro per il mondo, sono stati in Brasile dove è nata mia sorella. Sono tornati in Italia quando mio padre ha deciso di arruolarsi volontario per andare in guerra perché era un fascista convinto.

La mia famiglia era formalmente cristiana, ma non lo era veramente. Mia madre frequentava i sacramenti per dovere sociale, in realtà era agnostica, mentre mio padre era un idealista fascista, nazionalista e il cristianesimo non c'entrava. Alla caduta del fascismo ha continuato a militare nella Repubblica sociale, è stato attivo fino alla fine, è sopravvissuto perché era un uomo onesto, però la mia famiglia ha perso tutto.

Io sono cresciuto con l'aiuto dei miei parenti, anche perché mio padre ha sempre inseguito i suoi ideali. I miei genitori si sono separati quando probabilmente l'anima pratica lombarda e l'anima idealista non sono più riuscite a stare insieme. Ho vissuto un'eredità tranciata e non ho ricevuto nulla dalla tradizione familiare. Sono cresciuto attraverso una ricerca individuale, di carattere più teorico. Ho letto la letteratura classica russa e la grande letteratura inglese. Mia madre però mi disse che era necessario che io iniziassi presto a lavorare perché in casa non c'erano soldi e quindi ho dovuto frequentare l'istituto tecnico e ho fatto il perito chimico, che peraltro mi piaceva moltissimo. Ho iniziato a lavorare quando non avevo ancora diciotto anni, al finire della scuola sono entrato alla Montecatini.

Interessato a Dio. Nell'ultimo anno di scuola all'istituto tecnico ho incontrato i giovani di Gioventù studentesca, erano molto attivi e mi hanno coinvolto semplicemente perché non avevo un altro ambiente di riferimento. Avevo frequentato un po' l'oratorio, ma per me era solo un luogo di incontri. Io avevo bisogno di altro. I giovani di Gs mi hanno fatto conoscere un ambiente interessante, tra l’altro c'erano le ragazze che in altre associazioni invece non c'erano, e così ho iniziato a frequentarli e quando sono stato invitato a un incontro a Varigotti sono rimasto impressionato nella mia ricerca profonda, ho incontrato quello che cercavo, perché io, per dirlo in parole semplici, ero interessato a Dio.

Loro, però, erano più attenti all'aspetto comunitario mentre io ero interessato al senso della vita e per questo ero considerato molto strano. Fin da quando avevo quindici anni cercavo la verità. Questa ricerca personale, profonda, faceva sì che fossi indipendente. Dato l'insuccesso della mia famiglia, dei suoi ideali, ero partito con un piede di vantaggio, senza illusioni.

Nel frattempo avevo lasciato l'istituto tecnico e lavoravo nei laboratori della Montecatini a Linate, contemporaneamente continuavo a studiare, proseguivo nella mia ricerca personale che fondamentalmente riguardava l’essenza delle cose, della vita. Leggevo, studiavo per mio conto. Un giorno ho chiesto di parlare con don Giussani, gli ho detto che a me interessava Dio e gli ho chiesto se lui poteva aiutarmi, al che mi ha risposto che non eravamo in tanti a occuparcene e mi ha regalato il libro di Jean Danielou Dio e noi.

Quando ho iniziato a lavorare sono entrato in maniera attiva in Gl, che rappresentava la continuità di coloro che usciti da Gs si inserivano nel mondo del lavoro. Gl non era stata fondata da gente di Gs, ma da persone che provenivano dalle parrocchie e che portavano esperienze vive. Anche in questo caso, pur obbediente alla linea, ho continuato la mia ricerca di Dio perché a me interessava quello. Quando il presidente di Gl ha dato le dimissioni per problemi interni l’ho sostituito io.

Il lavoro. La mia sensibilità sui temi del lavoro è legata profondamente alla ricerca di Dio e allo studio della vita monastica. Il monaco si mantiene con le proprie mani perché il lavoro è parte dell’essenza dell'uomo ed è un elemento indispensabile nella sua vita.

Nel mio processo di maturazione molti elementi si sono aggregati intorno alla ricerca fondamentale di Dio e del vivere secondo la sua conoscenza e anche il lavoro è legato a questa. Le mie radici non si trovano nell'ambito dell'impegno per la giustizia sociale, io sono più mistico e il mio approccio al mondo del lavoro è più distaccato.

Grazie ad alcuni di Gs ho incontrato delle persone che si occupavano della Russia cristiana che mi hanno prospettato la possibilità di andarci. Allora si poteva farlo solo per lavoro e io mi sono reso disponibile perché avrei potuto unire il mio interesse per la Russia all’impegno missionario. Questi miei amici avevano l'idea, che hanno ancora oggi, di portare la verità agli altri, io di fronte a questo messianismo sostenevo che non avevamo la verità, ero per una presenza di compagnia, di amicizia, di ricerca comune. Però andare in Russia mi interessava, così ho cambiato lavoro - in quel momento lavoravo alla Olivetti e studiavo matematica in università -, ho fatto la scelta missionaria e sono tornato alla chimica andando a lavorare all'Eni dove si progettavano impianti che venivano realizzati anche in Russia. Quelli che mi avevano spinto erano degli idealisti mentre la realtà di coloro che per l'Eni si occupavano della Russia era tutt’altra. L’azienda aveva interessi di tipo commerciale e criteri pratici e un tipo come me avrebbe creato più problemi che non aiutato, così mi hanno messo in parcheggio e lasciato a Milano.

La presenza in Eni è diventata una scuola sociale terribile e così ho cominciato a interessarmi del sindacato. Era la metà degli anni ’60, ero presidente di Gl, sindacalista della Cisl dei chimici, giovane, attivo e mi sono fatto una cultura sul sociale, il lavoro, il sindacato. Sono passato a un’altra fase della mia coscienza, da una coscienza orientata sui grandi valori a una da vivere nella quotidianità, nella realtà in cui ero inserito. Dovevo essere attento al sociale e ho fatto tutte le cose necessarie per essere un buon sindacalista.

In questo periodo sono passato dalla ricerca di Dio e della verità a una ricerca sulla giustizia e della sua traduzione pratica. Sono maturato negli anni in cui si preparava il ‘68 dei giovani e degli studenti.

A un certo punto della mia vita mi sono detto “vado con gli ultimi, andrò in Brasile”. Ma quando sono arrivato là non mi sentivo preparato e sono tornato.

In quel periodo, essendo un dirigente dei Giovani lavoratori, sono andato a parlare con il cardinal Colombo e gli ho raccontato delle mie riflessioni nella ricerca di Dio. Stavo lavorando, ero responsabile di un movimento di lavoratori e pensavo ci fosse bisogno di preti di questo tipo. Gli ho chiesto cosa pensasse di un mio ingresso in seminario. Il cardinale mi ha risposto: “Sì, perché no? Ma a Pittsburgh, negli Stati Uniti, non certo qui, qui abbiamo un'altra realtà, di uno come te non ce n'è bisogno”. Lui era il formatore dei preti ambrosiani, era sincero, io al momento ci sono rimasto male, ma in verità mi ha aiutato.

Negli anni ‘65, ‘66 c'era un grande conflitto ideale su come raggiungere il fine, che tutti si ponevano, di costruire una società nuova e io percepivo chiaramente che ciò che proponevano i miei amici era la via sbagliata, perché avevo già fatto questa esperienza quando volevo andare in Russia. Capivo che tutti gli ideali che avevano erano destinati a infrangersi contro la realtà come era già capitato a me. Mi dicevo che coloro che hanno questa posizione nella società sono una minoranza, avranno una funzione profetica ma non avranno una funzione politica reale. Confondere la profezia con la politica non va bene, invece è possibile portare avanti i valori profetici scegliendo la povertà. Povertà che vuol dire condividere la vita degli ultimi e quindi accettare tranquillamente che ci siano i ricchi senza diventare aggressivi e capire invece che è un dono l'essere poveri perché permette di essere a fianco degli ultimi per aiutarli in maniera giusta, che è poi quello che politicamente serve.

Sulla base di queste riflessioni è avvenuta la mia maturazione - che ho condiviso anche con coloro che erano con me in Gl - convinto che si deve accettare la povertà di mezzi e la non violenza, cose che in quel momento non andavano di moda.

Questo cammino ha diviso tutta la Chiesa, c'erano i violenti che volevano fare la rivoluzione, c'erano i conservatori che volevano mantenere i loro ideali, io ero per una via diversa che diceva che la Chiesa doveva cominciare con la donazione, che era meglio avere un atteggiamento da poveri. In quel momento ho trovato Jaques Loew che da anni diceva le stesse cose.

L’incontro. Tutto è nato in seguito al mio viaggio in Brasile. Quando sono andato, essendo un dirigente di Gl sono stato coinvolto in un conflitto epico, la grande discussione all'interno di Gs e Gl sulla Teologia della liberazione e su Comunione e liberazione, che nascevano allora. Avrei dovuto schierarmi, ma io ho elaborato una terza via che sostanzialmente diceva: siamo ragionevoli, evitiamo di sognare, cerchiamo di fare del nostro meglio e affidiamoci a Dio.

Ero forte delle mie idee anche se tra loro ero debole culturalmente, rappresentavo i tecnici, non gli intellettuali, io insistevo sulla via evangelica, sulla via apostolica e mi consideravano un po' strano. Quando sono tornato in Italia Nicoletta Padovani mi ha scritto dal Brasile dicendomi che aveva trovato altri che la pensavano come me: “È un gruppo che sta nella periferia di San Paolo e fa parte di una Missione operaia santi Pietro e Paolo e fanno quello che tu dici” suggerendomi di andare a trovarli.

In quel momento ero molto impegnato con il sindacato e pertanto a trovarli al centro, in Francia a Port-de-Bou, andarono mio fratello Ettore, la sua futura moglie Rosanna e altri amici. Al ritorno mi confermarono che effettivamente la pensavano così e che era un'esperienza molto interessante. Mi hanno portato dei libri che ho letto. Le loro idee erano vicine a quello che cercavo e allora sono andato a incontrarli in Svizzera dove nel frattempo si erano trasferiti.

Tra le persone che professavano quelle idee ho visto però che, come sempre, c'era una certa distanza tra ciò che dicevano e quello che vivevano. Per questo confermai che ero interessato, ma proposi di andare da loro per conoscerli meglio. Così mi trasferii per un anno in Svizzera, lavorando come operaio tra gli immigrati, vivendo in comunità, e cominciai a studiare, a leggere e a entrare nello spirito della tradizione di costoro. Dopo un anno dissi sì, questo faceva per me nonostante una certa differenza tra quello che dicevano e quello che facevano e ancor di più tra il pensiero del fondatore e i suoi seguaci, però la linea era esattamente quella che desideravo. Una vita cristiana profonda, una solidarietà con i lavoratori e i più poveri, l’intento di lavorare per la giustizia, un vangelo vissuto più che predicato. E ho fatto la mia scelta.

La Mopp. Tra le molte caratteristiche che devono possedere i nuovi membri della missione c’è l'assenza della critica permanente. Un'educazione alla libertà che violenta un po' il soggetto educato fa sì che quando questo si trova in frontiera sviluppa un atteggiamento di critica permanente, ma non è la critica alla realtà che incontra, è la critica permanente a quello che ha ricevuto senza volerlo. Questo vuol dire che se sei uscito dal seminario perché non ti trovavi bene non entrare da noi perché creerai dei problemi e questo non serve a nessuno, perché un simile atteggiamento lo porterai sempre dentro di te mentre per stare con i poveri bisogna avere amore e non critica agli altri, è per amore che si fanno queste scelte non per rifiuto.

Queste nostre caratteristiche fanno sì che la Missione non è per niente popolare. Intanto nasce in un punto della Francia che non rappresenta il Paese. Nasce nella Francia del sud che non è quella industriale delle grandi fabbriche, nasce nel porto, in un tipo di lavoro particolare, in un ambiente comunista, da sempre al potere.

Grazie a questa situazione particolare la Missione ritorna alla Chiesa delle origini e si ritrova con tutti quelli che vogliono ricominciare da lì, salvando la storia. Jaques Loew e i suoi sono una minoranza all'interno della Francia e sono una minoranza all'interno della Chiesa perché la maggioranza è una Chiesa stabilita, trionfalista, che immagina di avere la verità. Per questo sviluppare un'esperienza come quella della Missione è molto difficile. Per di più la Chiesa ufficiale dice che gente come noi, missionari al lavoro, con la preoccupazione dei più poveri, va bene nelle periferie più periferie del mondo. Ma se andiamo in queste situazioni non possiamo immaginare di avere dei discepoli che continuino la nostra esperienza, perché in ambienti simili maturano delle vocazioni di tipo sociale, come ad esempio quella dell’ex presidente del Brasile Lula che si è formato a San Paolo nelle comunità vicino a noi. In quelle situazioni si fanno emergere vocazioni di quel genere, sociali. Far crescere delle vocazioni complesse come quelle che noi proponiamo è difficilissimo.

Coloro che si uniscono a noi hanno fatto una ricerca personale nella quale sono arrivati alla conclusione che è un tipo di vita come la nostra quella che vogliono. Non è perché vivono accanto che vengono con noi. E’ la stessa storia di uno che vive accanto al monastero, che non diviene monaco, diventa amico del monaco. È necessaria una maturazione della Chiesa e che sorgano nuove coscienze. Il Signore poi chiama chi vuole.

Attualmente siamo in diciannove. Il maggior numero di noi è in Francia, altri sono in Giappone, Brasile, Svizzera e Russia. In Italia la Missione ha operato dal 1973 al 1985 nei dintorni di Milano.

In missione in Russia sono andato la prima volta nel 1976. Nel 1991 sono arrivato a Mosca. Sono stato responsabile della Mopp e sono lo storico della Missione. In Russia sono da solo, lavoriamo insieme come Chiesa, ma come me siamo un insieme di esemplari unici. Io lavoro ancora, insegno italiano e francese via Internet.

Il nostro fondatore, quando ha capito che la Mopp era un'esperienza che sarebbe venuta a maturazione quando sarebbe stato il suo tempo, ha deciso di inviare i propri seguaci in varie parti del mondo. Lui aveva scelto di essere domenicano e quando decise di fondare la Missione operaia prese come ideale San Domenico. San Domenico agli inizi disperse i suoi pochi compagni nel mondo: se viene dal Signore la comunità continuerà, sennò finirà perché è inutile, non serve a niente, e Loew fece la stessa cosa. Tutti i fondatori dei diversi movimenti hanno fatto le stesse cose disperdendo i primi membri: se viene da Dio continua, altrimenti muore.

Coloro che entrano nella Missione devono avere le stesse motivazioni del fondatore, credere che tutto proviene da Dio. E noi siamo sempre lì, è cinquant'anni che diciamo “se viene da Dio continua, altrimenti muore”. Per ora ci affidiamo a Dio, poi vedremo, però potranno unirsi a noi sempre solo quelli che hanno questa visione. Si entra in una tradizione francese di avanguardia, che è stata rifiutata dagli stessi francesi, una realtà di minoranza. Dio sa se si svilupperà o forse morirà.

La nostra idea è che se dobbiamo proseguire dobbiamo fare propria l'esperienza degli anziani, del fondatore. Al nostro interno abbiamo discusso molto e, dato che la società è cambiata, ci siamo chiesti perché oggi essere ancora Missione operaia: “facciamo solo Missione Pietro e Paolo”. Ora che la centralità del mondo del lavoro è finita non fa più paura a nessuno che si chiami operaia. Io fin all’inizio ho sostenuto che “operaia” in sé non vuol dire niente, Missione operaia significa che chi ne fa parte lavora.

Operai preti. Ho vissuto pienamente il periodo dell’emergere dei preti operai nei luoghi di lavoro italiani e ho seguito la loro esperienza negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta. Le loro posizioni radicali nelle fabbriche hanno posto il problema del ruolo del prete. Spesso il loro era un atteggiamento profondamente clericale. È frutto della formazione che riceve il prete, che quando va a lavorare resta sempre prete.

Ciò che mi ha affascinato dell'approccio di Jaques Loew era il fatto che in Francia erano avanti di vent'anni e loro avevano già scoperto, con la vicenda dei preti che erano andati nel Partito comunista, questo rischio. Quei preti si erano mossi per ragioni sociali, per stare vicini ai poveri sono andati a lavorare scoprendo la miseria e sono diventati dei leader sociali per la rivoluzione. Perché? Perché erano stati formati a essere dei leader e quindi si sono messi a capo degli operai.

Jaques Loew era andato a lavorare per ragioni di solidarietà, aveva già affrontato la questione e per evitare questo rischio aveva detto “noi non diventiamo preti, diventiamo missionari poi viviamo con la gente, tra gli operai e qualora qualcuno matura la vocazione di farsi prete allora diventiamo operai preti e non dei preti operai”. Perché l'operaio prete è uno di loro, chiamato a svolgere questa relazione con Dio rispetto al suo popolo e non un prete prefabbricato che scende ed entra dall'esterno. Questo mi piaceva. Lui diceva che, come nelle missioni, bisogna andare in mezzo alla gente, che innanzitutto si formino le persone ed eventualmente verrà fuori il prete. Così se il mondo operaio è un mondo in qualche modo a sé noi ci mettiamo in mezzo agli operai ed eventualmente loro sceglieranno chi tra di loro può essere prete.

Io per la mia storia personale non ho mai avuto il desiderio di essere prete. Sono un diacono, interessato alla diaconia non come strada per diventare prete, o per essere un quasi prete, un sostituto del prete. Questo mi ha procurato infinite difficoltà e mi sono sempre trovato in mezzo all'atteggiamento clericale, ancora adesso.

L’esperienza francese si era svolta fra gli anni ’50 e ‘55 e aveva portato alla condanna dei preti operai e alla nascita della Mopp nel 1955. Montini è l’unico che capì che Jaques Loew aveva ragione, anche se era solo, perché quella era la via. In Italia invece il problema emergerà vent'anni dopo, nel ‘69, ‘70.

Lasciata la Svizzera e tornato in Italia sono diventato consulente di tutti i nuovi preti operai. Ho cominciato con quelli che ci sono a Napoli, poi ho incontrato quelli di Torino e di Milano. Io sono andato a presentare l'idea della Mopp, innanzitutto bisognava andare a vivere in mezzo alla gente poi eventualmente diventare prete, non catapultare i preti dentro le fabbriche perché l'esperienza ha dimostrato che costoro inevitabilmente, per la formazione che hanno ricevuto, diventeranno capi politici. Non è la funzione del prete. In Francia questo era molto chiaro, in Italia non era chiaro per niente e io mi sono scontrato con questa mentalità clericale, tutti santi uomini, bravissimi ma costruiti con lo stampino e in quell’occasione scoprii che noi non eravamo la risposta per il momento storico, perché eravamo troppo avanti. Vivevamo in una società clericale con un eccesso di preti che avevano bisogno di essere i leader del popolo. L'Italia viveva un ritardo straordinario.

Periferia Italia. Ho girato il mondo e tutte le volte che torno mi rendo conto che questa Italia è di un clericale terribile, l'influenza della Chiesa, positiva e negativa che sia, è eccessiva. C'è una pervasività della Chiesa che non è cattiva, ma è molto resistente alle mutazioni.

L'Italia è una provincia, il mondo è diverso. Il pensiero deve essere contestualizzato. Il pensiero è un pensiero situato. La Chiesa locale pensa nella realtà in cui vive, le realtà italiane non sono le realtà di tutto il mondo. Non bisogna assolutizzare la propria situazione. Se non ci fosse Francesco, che è un latino-americano, gli italiani faticherebbero ancora di più a vedere il mondo in una maniera diversa.

Ci vuole umiltà nell'affrontare ad esempio il tema del lavoro, non possiamo parlarne avendo come unico riferimento il nostro ambiente. È giusto difendere i tuoi diritti nel tuo paese perché sei responsabile della tua realtà, però ti è richiesta l'umiltà di sapere che il mondo non è dappertutto come qui. Se sei in una situazione di degrado sociale devi sapere che non tutto il mondo vive come te.

Il pensiero è una verità limitata al luogo in cui si può applicare, al di fuori ci sono altre condizioni. Non vuol dire che non è vero, vuol dire che è vero lì. Sapendo che il “di fianco” esiste, io devo essere sempre in ascolto dell'altro. Questo del tema del lavoro è una questione grandissima. Però la difficoltà di parlare del lavoro qui oggi è proprio del qui e dell’oggi, perché nelle altre zone non è così.

Nell'Ovest c'è una certezza diffusa che l’Occidente sia più avanti e che quindi l'Est prima o poi diventerà come l'Ovest. La caduta del comunismo è stata interpretata come la conferma di questa visione. All'inizio hanno effettivamente copiato e importato, ma poi hanno cominciato a camminare con le loro gambe, non sono diventati come i paesi occidentali e hanno seguito la loro strada. Allora per l'Occidente sono diventati dei nemici, ma non è così, hanno solo scelto di procedere con i loro criteri.

In Occidente si immagina che il proprio modello di sviluppo debba essere da esempio per tutti, ma questo è profondamente sbagliato.

È la stessa cosa per i movimenti di ispirazione cristiana che danno per scontata la fede, e nel caso specifico del pensiero sociale, danno per scontato che noi siamo il centro del mondo e che tutti diventeranno come noi. Non viviamo in un mondo chiuso. Essere in un mondo aperto non è semplice e non è detto che resterà aperto per molto. Questi ultimi papi sono stati fatti santi perché sono universali, ma non è garantito che quelli che seguiranno lo saranno altrettanto.

Non ci sono delle conquiste permanenti, ci sono dei momenti di apertura poi possono esserci momenti di chiusura e così via.

Parlare ai lavoratori. Ho una grande ammirazione per Paolo VI, mi ricordo che nella mia ricerca una volta, nel giugno del ’63, andai in Duomo alla messa, l’ultima che Montini diceva a Milano, e in quell’occasione si mise a piangere. Ho capito che quell'uomo non solamente soffriva, ma era un uomo di Dio.

Ho letto tutta la corrispondenza tra lui e Jaques Loew, Montini aveva una coscienza universale e quand'era a Milano rispondeva a Jaques Loew che gli raccontava quello che facevano a Marsiglia. Lui gli diceva di andare avanti, sottolineando che doveva essere difficile trovare il linguaggio per parlare agli operai. Loew all'epoca affermava che il linguaggio della Chiesa era assurdo: “bisogna parlare come vivono, con le parole che usano loro, non possiamo usare il nostro linguaggio. Dio ha parlato nel nostro linguaggio”. Loew ha ricercato un linguaggio adeguato agli operai, evidentemente Montini, che viveva a Milano in una realtà profondamente operaia, conosceva benissimo la difficoltà del parlare loro e Loew gli confermava che era estremamente faticoso.

Il cardinale Montini lo ha chiamato a predicare durante il quaresimale perché aveva capito che quello era un esploratore su come parlare di Dio alla gente. Loew aveva compreso che la via era la parabola, cioè che bisogna parlare con gli esempi perché se usi un linguaggio troppo complesso e preciso le persone ti guardano e non capiscono niente.

Francesco parla con la gente semplicemente, c'è chi lo critica per questo perché nella tradizione tutti i suoi discorsi dovrebbero essere controllati dal teologo. Con papa Francesco invece è quasi impossibile perché parla spesso a braccio. Il problema di Montini era che lui stava dentro questa tradizione e non ne è uscito, riteneva che ciò che il Papa dice sia una parola definitiva.

Dottrina sociale. La dottrina sociale è una riflessione della Chiesa sulla società che cambia e quindi si interroga su come vivere il vangelo nella contemporaneità. Cambiando la società la Chiesa aggiorna la sua dottrina sociale, cioè le idee che ha su come sarebbe meglio vivere sapendo poi che non riuscirà mai a viverle fino in fondo. In questi ultimi due secoli la questione sociale è diventata importante e anche la dottrina sociale lo è diventata, però dal punto di vista della Chiesa non c'è niente di nuovo perché la Chiesa da sempre si è preoccupata di vivere secondo il vangelo.

La dottrina sociale è un approccio ragionevole alla fede fondata sui valori evangelici e nel XIX secolo, quando tutte le passioni si sono mosse, la Chiesa ha invitato a essere ragionevoli, sostenendo che si può trovare Dio con la ragione. La dottrina sociale della Chiesa è una valorizzazione dell'uomo con la sua ragione.

Che rapporto c'è tra “dottrina sociale” e “della Chiesa”? Il genitivo “della Chiesa” non vuol dire che è di proprietà della Chiesa o che va vissuta dentro la Chiesa, vuol dire che è nata nell’ambito della Chiesa, è figlia della Chiesa ma va bene anche per gli altri, è umana.

L'associazionismo cattolico fa riferimento ai postulati della dottrina sociale a partire dai quali costruisce la propria azione. Io per natura non ho dei postulati, io ricerco, mentre le Acli e gli altri movimenti di ispirazione cristiana partono da lì e fanno la loro parte. Tutto giusto, tutto buono, il problema è che adesso si stanno ridiscutendo i fondamenti, non perché siano sbagliati, ma per approfondirli. Io mi trovo piuttosto da questa parte, di coloro che dicono: io per vocazione sono più portato all'approfondimento dei postulati che tu ritieni validi. Anche le encicliche sociali vanno lette come un aggiornamento di queste riflessioni.

 

La parrocchia missione. Jacques Lowe pensò che la Chiesa si dovesse fondare su delle piccole comunità reali e le chiamò parrocchie missione. Questa idea ci ha creato molti nemici perché normalmente la parrocchia è fatta di persone che si mettono insieme perché hanno paura a uscire e confrontarsi, che fanno il loro gruppettino chiuso e non vogliono essere disturbati. Questa tendenza a rinchiudersi li porta a diventare impermeabili ai temi del lavoro. È profetico interessarsi del lavoro, ma pensare che la parrocchia non sia indifferente è illusorio.

Parrocchie così, come le sognava Loew, come le sogna Papa Francesco, cioè presenti nella vita quotidiana, normale e nello stesso tempo impegnate sui temi del lavoro sono difficili da costruire. Il fondamento della fede è la fiducia, la fiducia in Dio padre, non la paura, non la fiducia nel proprio gruppo. Se la ragione per cui si partecipa in parrocchia è il solo bisogno di stare insieme, non ne verrà fuori niente. La parrocchia deve essere un ambiente di gioia.

Il cardinal Martini ci capiva e ci ha accolto e anche con me ha avuto una relazione molto paterna, però una rondine non fa primavera. Martini a Milano è stata una rondine, volava alto. Ho visto accanto al Duomo via cardinal Martini e ho pensato che è più facile cambiare il nome di una via che le coscienze.

La domanda è: c’è la fede oggi o non c'è la fede?