Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato a Roma il 17.7.1943, attualmente vive alla periferia di Mosca nella città di Krasnogorsk. Appartiene alla Missione operaia dei santi Pietro e Paolo, fondata da Jaques Loew, della quale è stato anche il responsabile. Diacono, si è formato nell’ambito di Gs e quindi di Gl, diventandone presidente.
Un’eredità
troncata Mio padre è di origine veneta e mia madre lombarda,
si sono trasferiti a Milano dove si sono sposati e poi sono partiti in giro per
il mondo, sono stati in Brasile dove è nata mia sorella. Sono tornati in Italia
quando mio padre ha deciso di arruolarsi volontario per andare in guerra perché
era un fascista convinto.
La mia famiglia era formalmente cristiana, ma non lo
era veramente. Mia madre frequentava i sacramenti per dovere sociale, in realtà
era agnostica, mentre mio padre era un idealista fascista, nazionalista e il
cristianesimo non c'entrava. Alla caduta del fascismo ha continuato a militare nella
Repubblica sociale, è stato attivo fino alla fine, è sopravvissuto perché era
un uomo onesto, però la mia famiglia ha perso tutto.
Io sono cresciuto con l'aiuto dei miei parenti, anche perché mio padre ha sempre inseguito i suoi ideali. I miei genitori si sono separati quando probabilmente l'anima pratica lombarda e l'anima idealista non sono più riuscite a stare insieme. Ho vissuto un'eredità tranciata e non ho ricevuto nulla dalla tradizione familiare. Sono cresciuto attraverso una ricerca individuale, di carattere più teorico. Ho letto la letteratura classica russa e la grande letteratura inglese. Mia madre però mi disse che era necessario che io iniziassi presto a lavorare perché in casa non c'erano soldi e quindi ho dovuto frequentare l'istituto tecnico e ho fatto il perito chimico, che peraltro mi piaceva moltissimo. Ho iniziato a lavorare quando non avevo ancora diciotto anni, al finire della scuola sono entrato alla Montecatini.
Interessato
a Dio. Nell'ultimo anno di scuola all'istituto tecnico ho
incontrato i giovani di Gioventù studentesca, erano molto attivi e mi hanno
coinvolto semplicemente perché non avevo un altro ambiente di riferimento.
Avevo frequentato un po' l'oratorio, ma per me era solo un luogo di incontri.
Io avevo bisogno di altro. I giovani di Gs mi hanno fatto conoscere un ambiente
interessante, tra l’altro c'erano le ragazze che in altre associazioni invece
non c'erano, e così ho iniziato a frequentarli e quando sono stato invitato a
un incontro a Varigotti sono rimasto impressionato nella mia ricerca profonda,
ho incontrato quello che cercavo, perché io, per dirlo in parole semplici, ero
interessato a Dio.
Loro, però, erano più attenti all'aspetto
comunitario mentre io ero interessato al senso della vita e per questo ero
considerato molto strano. Fin da quando avevo quindici anni cercavo la verità.
Questa ricerca personale, profonda, faceva sì che fossi indipendente. Dato
l'insuccesso della mia famiglia, dei suoi ideali, ero partito con un piede di
vantaggio, senza illusioni.
Nel frattempo avevo lasciato l'istituto tecnico e
lavoravo nei laboratori della Montecatini a Linate, contemporaneamente
continuavo a studiare, proseguivo nella mia ricerca personale che fondamentalmente
riguardava l’essenza delle cose, della vita. Leggevo, studiavo per mio conto.
Un giorno ho chiesto di parlare con don Giussani, gli ho detto che a me
interessava Dio e gli ho chiesto se lui poteva aiutarmi, al che mi ha risposto
che non eravamo in tanti a occuparcene e mi ha regalato il libro di Jean
Danielou Dio e noi.
Quando ho iniziato a lavorare sono entrato in maniera attiva in Gl, che rappresentava la continuità di coloro che usciti da Gs si inserivano nel mondo del lavoro. Gl non era stata fondata da gente di Gs, ma da persone che provenivano dalle parrocchie e che portavano esperienze vive. Anche in questo caso, pur obbediente alla linea, ho continuato la mia ricerca di Dio perché a me interessava quello. Quando il presidente di Gl ha dato le dimissioni per problemi interni l’ho sostituito io.
Il
lavoro. La mia sensibilità sui temi del lavoro è legata
profondamente alla ricerca di Dio e allo studio della vita monastica. Il monaco
si mantiene con le proprie mani perché il lavoro è parte dell’essenza dell'uomo
ed è un elemento indispensabile nella sua vita.
Nel mio processo di maturazione molti elementi si sono
aggregati intorno alla ricerca fondamentale di Dio e del vivere secondo la sua
conoscenza e anche il lavoro è legato a questa. Le mie radici non si trovano
nell'ambito dell'impegno per la giustizia sociale, io sono più mistico e il mio
approccio al mondo del lavoro è più distaccato.
Grazie ad alcuni di Gs ho incontrato delle persone
che si occupavano della Russia cristiana che mi hanno prospettato la
possibilità di andarci. Allora si poteva farlo solo per lavoro e io mi sono
reso disponibile perché avrei potuto unire il mio interesse per la Russia all’impegno
missionario. Questi miei amici avevano l'idea, che hanno ancora oggi, di
portare la verità agli altri, io di fronte a questo messianismo sostenevo che non
avevamo la verità, ero per una presenza di compagnia, di amicizia, di ricerca
comune. Però andare in Russia mi interessava, così ho cambiato lavoro - in quel
momento lavoravo alla Olivetti e studiavo matematica in università -, ho fatto
la scelta missionaria e sono tornato alla chimica andando a lavorare all'Eni dove
si progettavano impianti che venivano realizzati anche in Russia. Quelli che mi
avevano spinto erano degli idealisti mentre la realtà di coloro che per l'Eni
si occupavano della Russia era tutt’altra. L’azienda aveva interessi di tipo
commerciale e criteri pratici e un tipo come me avrebbe creato più problemi che
non aiutato, così mi hanno messo in parcheggio e lasciato a Milano.
La presenza in Eni è diventata una scuola sociale
terribile e così ho cominciato a interessarmi del sindacato. Era la metà degli
anni ’60, ero presidente di Gl, sindacalista della Cisl dei chimici, giovane,
attivo e mi sono fatto una cultura sul sociale, il lavoro, il sindacato. Sono
passato a un’altra fase della mia coscienza, da una coscienza orientata sui
grandi valori a una da vivere nella quotidianità, nella realtà in cui ero
inserito. Dovevo essere attento al sociale e ho fatto tutte le cose necessarie
per essere un buon sindacalista.
In questo periodo sono passato dalla ricerca di Dio
e della verità a una ricerca sulla giustizia e della sua traduzione pratica. Sono
maturato negli anni in cui si preparava il ‘68 dei giovani e degli studenti.
A un certo punto della mia vita mi sono detto “vado
con gli ultimi, andrò in Brasile”. Ma quando sono arrivato là non mi sentivo
preparato e sono tornato.
In quel periodo, essendo un dirigente dei Giovani
lavoratori, sono andato a parlare con il cardinal Colombo e gli ho raccontato
delle mie riflessioni nella ricerca di Dio. Stavo lavorando, ero responsabile
di un movimento di lavoratori e pensavo ci fosse bisogno di preti di questo
tipo. Gli ho chiesto cosa pensasse di un mio ingresso in seminario. Il
cardinale mi ha risposto: “Sì, perché no? Ma a Pittsburgh, negli Stati Uniti,
non certo qui, qui abbiamo un'altra realtà, di uno come te non ce n'è bisogno”.
Lui era il formatore dei preti ambrosiani, era sincero, io al momento ci sono
rimasto male, ma in verità mi ha aiutato.
Negli anni ‘65, ‘66 c'era un grande conflitto ideale
su come raggiungere il fine, che tutti si ponevano, di costruire una società
nuova e io percepivo chiaramente che ciò che proponevano i miei amici era la
via sbagliata, perché avevo già fatto questa esperienza quando volevo andare in
Russia. Capivo che tutti gli ideali che avevano erano destinati a infrangersi
contro la realtà come era già capitato a me. Mi dicevo che coloro che hanno
questa posizione nella società sono una minoranza, avranno una funzione
profetica ma non avranno una funzione politica reale. Confondere la profezia
con la politica non va bene, invece è possibile portare avanti i valori
profetici scegliendo la povertà. Povertà che vuol dire condividere la vita
degli ultimi e quindi accettare tranquillamente che ci siano i ricchi senza
diventare aggressivi e capire invece che è un dono l'essere poveri perché
permette di essere a fianco degli ultimi per aiutarli in maniera giusta, che è poi
quello che politicamente serve.
Sulla base di queste riflessioni è avvenuta la mia
maturazione - che ho condiviso anche con coloro che erano con me in Gl -
convinto che si deve accettare la povertà di mezzi e la non violenza, cose che
in quel momento non andavano di moda.
Questo cammino ha diviso tutta la Chiesa, c'erano i violenti che volevano fare la rivoluzione, c'erano i conservatori che volevano mantenere i loro ideali, io ero per una via diversa che diceva che la Chiesa doveva cominciare con la donazione, che era meglio avere un atteggiamento da poveri. In quel momento ho trovato Jaques Loew che da anni diceva le stesse cose.
L’incontro.
Tutto è nato in seguito al mio viaggio in Brasile. Quando sono andato, essendo
un dirigente di Gl sono stato coinvolto in un conflitto epico, la grande
discussione all'interno di Gs e Gl sulla Teologia della liberazione e su Comunione
e liberazione, che nascevano allora. Avrei dovuto schierarmi, ma io ho
elaborato una terza via che sostanzialmente diceva: siamo ragionevoli, evitiamo
di sognare, cerchiamo di fare del nostro meglio e affidiamoci a Dio.
Ero forte delle mie idee anche se tra loro ero
debole culturalmente, rappresentavo i tecnici, non gli intellettuali, io
insistevo sulla via evangelica, sulla via apostolica e mi consideravano un po'
strano. Quando sono tornato in Italia Nicoletta Padovani mi ha scritto dal
Brasile dicendomi che aveva trovato altri che la pensavano come me: “È un
gruppo che sta nella periferia di San Paolo e fa parte di una Missione operaia
santi Pietro e Paolo e fanno quello che tu dici” suggerendomi di andare a
trovarli.
In quel momento ero molto impegnato con il sindacato
e pertanto a trovarli al centro, in Francia a Port-de-Bou, andarono mio
fratello Ettore, la sua futura moglie Rosanna e altri amici. Al ritorno mi
confermarono che effettivamente la pensavano così e che era un'esperienza molto
interessante. Mi hanno portato dei libri che ho letto. Le loro idee erano
vicine a quello che cercavo e allora sono andato a incontrarli in Svizzera dove
nel frattempo si erano trasferiti.
Tra le persone che professavano quelle idee ho visto però che, come sempre, c'era una certa distanza tra ciò che dicevano e quello che vivevano. Per questo confermai che ero interessato, ma proposi di andare da loro per conoscerli meglio. Così mi trasferii per un anno in Svizzera, lavorando come operaio tra gli immigrati, vivendo in comunità, e cominciai a studiare, a leggere e a entrare nello spirito della tradizione di costoro. Dopo un anno dissi sì, questo faceva per me nonostante una certa differenza tra quello che dicevano e quello che facevano e ancor di più tra il pensiero del fondatore e i suoi seguaci, però la linea era esattamente quella che desideravo. Una vita cristiana profonda, una solidarietà con i lavoratori e i più poveri, l’intento di lavorare per la giustizia, un vangelo vissuto più che predicato. E ho fatto la mia scelta.
La
Mopp. Tra le molte caratteristiche che devono possedere i
nuovi membri della missione c’è l'assenza della critica permanente.
Un'educazione alla libertà che violenta un po' il soggetto educato fa sì che
quando questo si trova in frontiera sviluppa un atteggiamento di critica
permanente, ma non è la critica alla realtà che incontra, è la critica
permanente a quello che ha ricevuto senza volerlo. Questo vuol dire che se sei
uscito dal seminario perché non ti trovavi bene non entrare da noi perché
creerai dei problemi e questo non serve a nessuno, perché un simile
atteggiamento lo porterai sempre dentro di te mentre per stare con i poveri
bisogna avere amore e non critica agli altri, è per amore che si fanno queste
scelte non per rifiuto.
Queste nostre caratteristiche fanno sì che la Missione
non è per niente popolare. Intanto nasce in un punto della Francia che non
rappresenta il Paese. Nasce nella Francia del sud che non è quella industriale
delle grandi fabbriche, nasce nel porto, in un tipo di lavoro particolare, in
un ambiente comunista, da sempre al potere.
Grazie a questa situazione particolare la Missione
ritorna alla Chiesa delle origini e si ritrova con tutti quelli che vogliono
ricominciare da lì, salvando la storia. Jaques Loew e i suoi sono una minoranza
all'interno della Francia e sono una minoranza all'interno della Chiesa perché
la maggioranza è una Chiesa stabilita, trionfalista, che immagina di avere la
verità. Per questo sviluppare un'esperienza come quella della Missione è molto
difficile. Per di più la Chiesa ufficiale dice che gente come noi, missionari
al lavoro, con la preoccupazione dei più poveri, va bene nelle periferie più
periferie del mondo. Ma se andiamo in queste situazioni non possiamo immaginare
di avere dei discepoli che continuino la nostra esperienza, perché in ambienti
simili maturano delle vocazioni di tipo sociale, come ad esempio quella dell’ex
presidente del Brasile Lula che si è formato a San Paolo nelle comunità vicino
a noi. In quelle situazioni si fanno emergere vocazioni di quel genere,
sociali. Far crescere delle vocazioni complesse come quelle che noi proponiamo
è difficilissimo.
Coloro che si uniscono a noi hanno fatto una ricerca
personale nella quale sono arrivati alla conclusione che è un tipo di vita come
la nostra quella che vogliono. Non è perché vivono accanto che vengono con noi.
E’ la stessa storia di uno che vive accanto al monastero, che non diviene
monaco, diventa amico del monaco. È necessaria una maturazione della Chiesa e
che sorgano nuove coscienze. Il Signore poi chiama chi vuole.
Attualmente siamo in diciannove. Il maggior numero
di noi è in Francia, altri sono in Giappone, Brasile, Svizzera e Russia. In
Italia la Missione ha operato dal 1973 al 1985 nei dintorni di Milano.
In missione in Russia sono andato la prima volta nel
1976. Nel 1991 sono arrivato a Mosca. Sono stato responsabile della Mopp e sono
lo storico della Missione. In Russia sono da solo, lavoriamo insieme come
Chiesa, ma come me siamo un insieme di esemplari unici. Io lavoro ancora,
insegno italiano e francese via Internet.
Il nostro fondatore, quando ha capito che la Mopp
era un'esperienza che sarebbe venuta a maturazione quando sarebbe stato il suo
tempo, ha deciso di inviare i propri seguaci in varie parti del mondo. Lui
aveva scelto di essere domenicano e quando decise di fondare la Missione
operaia prese come ideale San Domenico. San Domenico agli inizi disperse i suoi
pochi compagni nel mondo: se viene dal Signore la comunità continuerà, sennò
finirà perché è inutile, non serve a niente, e Loew fece la stessa cosa. Tutti
i fondatori dei diversi movimenti hanno fatto le stesse cose disperdendo i
primi membri: se viene da Dio continua, altrimenti muore.
Coloro che entrano nella Missione devono avere le
stesse motivazioni del fondatore, credere che tutto proviene da Dio. E noi
siamo sempre lì, è cinquant'anni che diciamo “se viene da Dio continua,
altrimenti muore”. Per ora ci affidiamo a Dio, poi vedremo, però potranno unirsi
a noi sempre solo quelli che hanno questa visione. Si entra in una tradizione
francese di avanguardia, che è stata rifiutata dagli stessi francesi, una
realtà di minoranza. Dio sa se si svilupperà o forse morirà.
La nostra idea è che se dobbiamo proseguire dobbiamo fare propria l'esperienza degli anziani, del fondatore. Al nostro interno abbiamo discusso molto e, dato che la società è cambiata, ci siamo chiesti perché oggi essere ancora Missione operaia: “facciamo solo Missione Pietro e Paolo”. Ora che la centralità del mondo del lavoro è finita non fa più paura a nessuno che si chiami operaia. Io fin all’inizio ho sostenuto che “operaia” in sé non vuol dire niente, Missione operaia significa che chi ne fa parte lavora.
Operai
preti. Ho vissuto pienamente il periodo dell’emergere dei
preti operai nei luoghi di lavoro italiani e ho seguito la loro esperienza
negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta. Le loro posizioni radicali
nelle fabbriche hanno posto il problema del ruolo del prete. Spesso il loro era
un atteggiamento profondamente clericale. È frutto della formazione che riceve
il prete, che quando va a lavorare resta sempre prete.
Ciò che mi ha affascinato dell'approccio di Jaques
Loew era il fatto che in Francia erano avanti di vent'anni e loro avevano già
scoperto, con la vicenda dei preti che erano andati nel Partito comunista,
questo rischio. Quei preti si erano mossi per ragioni sociali, per stare vicini
ai poveri sono andati a lavorare scoprendo la miseria e sono diventati dei
leader sociali per la rivoluzione. Perché? Perché erano stati formati a essere
dei leader e quindi si sono messi a capo degli operai.
Jaques Loew era andato a lavorare per ragioni di
solidarietà, aveva già affrontato la questione e per evitare questo rischio
aveva detto “noi non diventiamo preti, diventiamo missionari poi viviamo con la
gente, tra gli operai e qualora qualcuno matura la vocazione di farsi prete
allora diventiamo operai preti e non dei preti operai”. Perché l'operaio prete
è uno di loro, chiamato a svolgere questa relazione con Dio rispetto al suo
popolo e non un prete prefabbricato che scende ed entra dall'esterno. Questo mi
piaceva. Lui diceva che, come nelle missioni, bisogna andare in mezzo alla
gente, che innanzitutto si formino le persone ed eventualmente verrà fuori il
prete. Così se il mondo operaio è un mondo in qualche modo a sé noi ci mettiamo
in mezzo agli operai ed eventualmente loro sceglieranno chi tra di loro può
essere prete.
Io per la mia storia personale non ho mai avuto il
desiderio di essere prete. Sono un diacono, interessato alla diaconia non come
strada per diventare prete, o per essere un quasi prete, un sostituto del
prete. Questo mi ha procurato infinite difficoltà e mi sono sempre trovato in
mezzo all'atteggiamento clericale, ancora adesso.
L’esperienza francese si era svolta fra gli anni ’50
e ‘55 e aveva portato alla condanna dei preti operai e alla nascita della Mopp
nel 1955. Montini è l’unico che capì che Jaques Loew aveva ragione, anche se era
solo, perché quella era la via. In Italia invece il problema emergerà vent'anni
dopo, nel ‘69, ‘70.
Lasciata la Svizzera e tornato in Italia sono diventato consulente di tutti i nuovi preti operai. Ho cominciato con quelli che ci sono a Napoli, poi ho incontrato quelli di Torino e di Milano. Io sono andato a presentare l'idea della Mopp, innanzitutto bisognava andare a vivere in mezzo alla gente poi eventualmente diventare prete, non catapultare i preti dentro le fabbriche perché l'esperienza ha dimostrato che costoro inevitabilmente, per la formazione che hanno ricevuto, diventeranno capi politici. Non è la funzione del prete. In Francia questo era molto chiaro, in Italia non era chiaro per niente e io mi sono scontrato con questa mentalità clericale, tutti santi uomini, bravissimi ma costruiti con lo stampino e in quell’occasione scoprii che noi non eravamo la risposta per il momento storico, perché eravamo troppo avanti. Vivevamo in una società clericale con un eccesso di preti che avevano bisogno di essere i leader del popolo. L'Italia viveva un ritardo straordinario.
Periferia
Italia. Ho girato il mondo e tutte le volte che torno mi
rendo conto che questa Italia è di un clericale terribile, l'influenza della
Chiesa, positiva e negativa che sia, è eccessiva. C'è una pervasività della
Chiesa che non è cattiva, ma è molto resistente alle mutazioni.
L'Italia è una provincia, il mondo è diverso. Il
pensiero deve essere contestualizzato. Il pensiero è un pensiero situato. La
Chiesa locale pensa nella realtà in cui vive, le realtà italiane non sono le
realtà di tutto il mondo. Non bisogna assolutizzare la propria situazione. Se
non ci fosse Francesco, che è un latino-americano, gli italiani faticherebbero
ancora di più a vedere il mondo in una maniera diversa.
Ci vuole umiltà nell'affrontare ad esempio il tema
del lavoro, non possiamo parlarne avendo come unico riferimento il nostro
ambiente. È giusto difendere i tuoi diritti nel tuo paese perché sei
responsabile della tua realtà, però ti è richiesta l'umiltà di sapere che il
mondo non è dappertutto come qui. Se sei in una situazione di degrado sociale
devi sapere che non tutto il mondo vive come te.
Il pensiero è una verità limitata al luogo in cui si
può applicare, al di fuori ci sono altre condizioni. Non vuol dire che non è
vero, vuol dire che è vero lì. Sapendo che il “di fianco” esiste, io devo
essere sempre in ascolto dell'altro. Questo del tema del lavoro è una questione
grandissima. Però la difficoltà di parlare del lavoro qui oggi è proprio del
qui e dell’oggi, perché nelle altre zone non è così.
Nell'Ovest c'è una certezza diffusa che l’Occidente
sia più avanti e che quindi l'Est prima o poi diventerà come l'Ovest. La caduta
del comunismo è stata interpretata come la conferma di questa visione. All'inizio
hanno effettivamente copiato e importato, ma poi hanno cominciato a camminare
con le loro gambe, non sono diventati come i paesi occidentali e hanno seguito
la loro strada. Allora per l'Occidente sono diventati dei nemici, ma non è
così, hanno solo scelto di procedere con i loro criteri.
In Occidente si immagina che il proprio modello di
sviluppo debba essere da esempio per tutti, ma questo è profondamente
sbagliato.
È la stessa cosa per i movimenti di ispirazione
cristiana che danno per scontata la fede, e nel caso specifico del pensiero
sociale, danno per scontato che noi siamo il centro del mondo e che tutti
diventeranno come noi. Non viviamo in un mondo chiuso. Essere in un mondo
aperto non è semplice e non è detto che resterà aperto per molto. Questi ultimi
papi sono stati fatti santi perché sono universali, ma non è garantito che
quelli che seguiranno lo saranno altrettanto.
Non ci sono delle conquiste permanenti, ci sono dei momenti di apertura poi possono esserci momenti di chiusura e così via.
Parlare
ai lavoratori. Ho una grande ammirazione per Paolo VI,
mi ricordo che nella mia ricerca una volta, nel giugno del ’63, andai in Duomo
alla messa, l’ultima che Montini diceva a Milano, e in quell’occasione si mise
a piangere. Ho capito che quell'uomo non solamente soffriva, ma era un uomo di
Dio.
Ho letto tutta la corrispondenza tra lui e Jaques
Loew, Montini aveva una coscienza universale e quand'era a Milano rispondeva a
Jaques Loew che gli raccontava quello che facevano a Marsiglia. Lui gli diceva
di andare avanti, sottolineando che doveva essere difficile trovare il
linguaggio per parlare agli operai. Loew all'epoca affermava che il linguaggio
della Chiesa era assurdo: “bisogna parlare come vivono, con le parole che usano
loro, non possiamo usare il nostro linguaggio. Dio ha parlato nel nostro
linguaggio”. Loew ha ricercato un linguaggio adeguato agli operai,
evidentemente Montini, che viveva a Milano in una realtà profondamente operaia,
conosceva benissimo la difficoltà del parlare loro e Loew gli confermava che
era estremamente faticoso.
Il cardinale Montini lo ha chiamato a predicare
durante il quaresimale perché aveva capito che quello era un esploratore su
come parlare di Dio alla gente. Loew aveva compreso che la via era la parabola,
cioè che bisogna parlare con gli esempi perché se usi un linguaggio troppo
complesso e preciso le persone ti guardano e non capiscono niente.
Francesco parla con la gente semplicemente, c'è chi lo critica per questo perché nella tradizione tutti i suoi discorsi dovrebbero essere controllati dal teologo. Con papa Francesco invece è quasi impossibile perché parla spesso a braccio. Il problema di Montini era che lui stava dentro questa tradizione e non ne è uscito, riteneva che ciò che il Papa dice sia una parola definitiva.
Dottrina
sociale. La dottrina sociale è una riflessione della Chiesa
sulla società che cambia e quindi si interroga su come vivere il vangelo nella
contemporaneità. Cambiando la società la Chiesa aggiorna la sua dottrina
sociale, cioè le idee che ha su come sarebbe meglio vivere sapendo poi che non riuscirà
mai a viverle fino in fondo. In questi ultimi due secoli la questione sociale è
diventata importante e anche la dottrina sociale lo è diventata, però dal punto
di vista della Chiesa non c'è niente di nuovo perché la Chiesa da sempre si è
preoccupata di vivere secondo il vangelo.
La dottrina sociale è un approccio ragionevole alla
fede fondata sui valori evangelici e nel XIX secolo, quando tutte le passioni
si sono mosse, la Chiesa ha invitato a essere ragionevoli, sostenendo che si
può trovare Dio con la ragione. La dottrina sociale della Chiesa è una
valorizzazione dell'uomo con la sua ragione.
Che rapporto c'è tra “dottrina sociale” e “della
Chiesa”? Il genitivo “della Chiesa” non vuol dire che è di proprietà della
Chiesa o che va vissuta dentro la Chiesa, vuol dire che è nata nell’ambito
della Chiesa, è figlia della Chiesa ma va bene anche per gli altri, è umana.
L'associazionismo cattolico fa riferimento ai
postulati della dottrina sociale a partire dai quali costruisce la propria
azione. Io per natura non ho dei postulati, io ricerco, mentre le Acli e gli
altri movimenti di ispirazione cristiana partono da lì e fanno la loro parte.
Tutto giusto, tutto buono, il problema è che adesso si stanno ridiscutendo i
fondamenti, non perché siano sbagliati, ma per approfondirli. Io mi trovo
piuttosto da questa parte, di coloro che dicono: io per vocazione sono più
portato all'approfondimento dei postulati che tu ritieni validi. Anche le
encicliche sociali vanno lette come un aggiornamento di queste riflessioni.
La
parrocchia missione. Jacques Lowe pensò che la Chiesa si
dovesse fondare su delle piccole comunità reali e le chiamò parrocchie
missione. Questa idea ci ha creato molti nemici perché normalmente la
parrocchia è fatta di persone che si mettono insieme perché hanno paura a
uscire e confrontarsi, che fanno il loro gruppettino chiuso e non vogliono
essere disturbati. Questa tendenza a rinchiudersi li porta a diventare
impermeabili ai temi del lavoro. È profetico interessarsi del lavoro, ma
pensare che la parrocchia non sia indifferente è illusorio.
Parrocchie così, come le sognava Loew, come le sogna
Papa Francesco, cioè presenti nella vita quotidiana, normale e nello stesso
tempo impegnate sui temi del lavoro sono difficili da costruire. Il fondamento
della fede è la fiducia, la fiducia in Dio padre, non la paura, non la fiducia
nel proprio gruppo. Se la ragione per cui si partecipa in parrocchia è il solo
bisogno di stare insieme, non ne verrà fuori niente. La parrocchia deve essere
un ambiente di gioia.
Il cardinal Martini ci capiva e ci ha accolto e
anche con me ha avuto una relazione molto paterna, però una rondine non fa
primavera. Martini a Milano è stata una rondine, volava alto. Ho visto accanto
al Duomo via cardinal Martini e ho pensato che è più facile cambiare il nome di
una via che le coscienze.
La domanda è: c’è la fede oggi o non c'è la fede?