mercoledì 29 luglio 2020

MATTEO LATELLA - Montecatini - Castellanza (Va)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono diplomato perito chimico all'Istituto industriale di Reggio Calabria. Appena terminata la scuola sono stato chiamato dalla Montecatini e l’1 gennaio del 1953 sono stato assunto all'Istituto ricerche Polimeri Montecatini di Terni. Mi sono trasferito lì e ho fatto un tirocinio di sei mesi, poi l’1 luglio sono stato mandato a Castellanza. Sono arrivato con la mia valigia pensando di trovare un posto per dormire in uno dei tre alberghi della città, ma non c’era posto in nessuno e nell'ultimo che ho visitato mi hanno suggerito di andare a Legnano. Io non avevo capito che si trattava di un altro paese.

Intanto si erano fatte le sette di sera e ho domandato dove fosse l'albergo Legnano, così mi hanno spiegato il mio errore e ho finalmente trovato un posto dove dormire. Ho trovato una stanza dove stavamo in tre, poi pian piano la Montecatini, che in quel momento assumeva diverse persone, nell'ambito del villaggio dove aveva già costruito delle case per le famiglie dei lavoratori, ha trasformato una di queste case, che avevano quattro appartamenti, in abitazione per gli scapoli, dove ognuno aveva la sua stanza, e ha fatto anche una mensa scapoli. Era una buona sistemazione, anche se voleva dire essere sempre a disposizione dell'azienda nel momento in cui aveva bisogno. Si lavorava anche mezza giornata di sabato.

Al mio arrivo a Castellanza sono stato inserito nel laboratorio di analisi chimiche nell'ambito dell'Istituto ricerche, col tempo sono diventato prima assistente affiancato ad un responsabile laureato e poi sono diventato il responsabile del laboratorio. Eravamo circa venticinque, trenta tra uomini e donne. Nell'Istituto di ricerche dell’azienda complessivamente, tra diplomati e laureati, lavoravano circa duecento persone. In laboratorio realizzavamo degli impianti sperimentali che poi venivano costruiti per l'utilizzo industriale. Uno dei problemi principali a un certo punto divenne la questione ambientale e noi facevamo le analisi dei fumi, dei liquidi, delle acque del fiume Olona. Per quattro mesi sono stato impegnato presso l'Istituto di analisi chimica del professor Natta, quando ancora non aveva vinto il premio Nobel, con il compito di fare delle prove per conto dell'azienda. Sono stato qualche volta all'estero, mi sono occupato del controllo qualità e ho partecipato a incontri per la definizione di norme Uni con tecnici di diversi paesi.

Il 1° luglio del 1992 sono andato in pensione.

Organizzazione del lavoro

L’azienda produceva formaldeide, metanolo, resine ureiche, silocolla.

Il grosso degli operai erano degli specializzati e quando è arrivata l'automazione c'è stato un momento di crisi, con un problema di addestramento degli operai che dovevano lavorare sulle nuove macchine e c'erano persone che venivano in consiglio di fabbrica a dirci che loro non erano in grado di svolgere la nuova attività e quindi chiedevano di essere spostati. Molti avevano alle spalle trent'anni di lavoro manuale e non riuscivano ad adattarsi alle novità.

La fabbrica è arrivata ad un'occupazione massima di 1.499 addetti, che con l'indotto arrivava a circa duemila.

Poi iniziarono a vendere alcuni reparti dello stabilimento ad aziende straniere austriache e svedesi, assicurando il mantenimento degli occupati. Gli austriaci hanno acquistato l'impianto della melammina dove lavoravano circa quaranta persone e che, grazie all'alta pressione, produceva un prodotto di alta qualità, perché in Austria, a Linz, avevano un impianto a bassa pressione e il prodotto non era puro come il nostro. Quando venne l'amministratore delegato austriaco a incontrare anche il consiglio di fabbrica io gli dissi che oltre al contratto nazionale noi avevamo un contratto aziendale e chiedevamo che venisse rispettato e lui confermò anche questo impegno. La conclusione di questa vicenda fu che il nostro impianto venne chiuso e loro portarono i brevetti in Austria.

Anche l'impianto di metanolo che produceva quanto era necessario per l'attività dell'azienda venne chiuso e l’alcol arrivava con le autobotti. Abbiamo fatto una battaglia per difendere quell'impianto, dicendo anche che il trasporto del metanolo con le autobotti era pericoloso, ma abbiamo perso.

Poi arrivò una fabbrica svedese che acquistò un'area dove si producevano delle resine ureiche e ci lavoravano circa 150 persone. Un altro reparto è stato venduto a un’azienda italiana.

La fabbrica di Castellanza è stata venduta pezzo a pezzo. Di fronte allo smantellamento noi facevamo sciopero, facevamo fare interpellanze in Parlamento. La Prealpina, il quotidiano locale, appoggiava la nostra battaglia, ma noi potevamo solo contrapporci perché non c'è mai stata possibilità di confronto su questo punto. In quel periodo facemmo un’assemblea aperta in mensa con Pietro Ingrao, che allora era presidente della Camera, e c'erano circa duemila persone e lui è stato molto attento e disponibile, ma la situazione non è cambiata.

Relazioni industriali

L'azienda ha sempre rispettato i diritti sindacali e non ha mai intralciato la nostra attività. Avevamo i nostri permessi sindacali, facevamo le assemblee. Facevamo quelle generali e anche assemblee specifiche per i turnisti.

La fase dello smantellamento dello stabilimento di Castellanza ha rappresentato un forte trauma per tutti. Un sabato sono arrivate a casa di circa quattrocento persone le lettere per la messa in cassa integrazione senza preavviso. Fino a pochi giorni prima si lavorava con continuità e ora si fermava tutto, ma era il risultato di scelte generali che riguardavano il gruppo Montedison. Avendo scelto di non aver alcun confronto con noi, abbiamo soltanto potuto reagire con una mezza occupazione della fabbrica ma niente di più.

In qualche modo, a partire da metà degli anni Settanta, si sono ripresi il controllo della fabbrica che negli anni caldi gli era un po' sfuggita di mano.

Dove l’azienda capiva che le posizioni erano conflittuali assumeva un atteggiamento di chiusura. Non è escluso che la direzione generale in qualche modo facesse degli esperimenti su di noi di Castellanza per vedere dove saremmo arrivati.

Complessivamente le relazioni con i dirigenti dello stabilimento di Castellanza erano buone anche perché le scelte importanti non le facevano loro, ma a loro volta applicavano decisioni prese da altri. Qualche periodo di sofferenza c'è certamente stato, ma se le valuto oggi, vedendo che non c'è più niente di simile in giro, io posso dire che è stata un'esperienza positiva.

Sindacato

In azienda c'erano i collettori che raccoglievano l'iscrizione al sindacato e sono stato avvicinato per propormi l'iscrizione alla Cisl e invitato ad alcuni incontri fuori dalla fabbrica. Io venivo dalle Acli e in azienda allora contavano. A un certo punto c'erano le elezioni per la commissione interna e mi hanno proposto di fare la lista per gli impiegati che in azienda non c'era mai stata. Io avevo dei dubbi, ma mi hanno detto che mi avrebbe appoggiato anche la Cgil perché l'obiettivo era quello di rompere la consuetudine per cui nessun impiegato era impegnato nel sindacato. A quel punto ho accettato e sono stato eletto con una valanga di voti. La commissione interna era composta di sette persone: cinque rappresentanti degli operai, uno dei tecnici e uno degli impiegati.

Più avanti ho avuto nuovi incarichi nella Federchimici, nel consiglio generale territoriale e poi nel consiglio nazionale e nella commissione quadri nazionale.

Il consiglio di fabbrica era composto di circa trenta delegati e noi come Cisl avevamo tra il 60 e il 65%. Siamo arrivati ad avere 420 iscritti, la Cgil era intorno ai duecento, la Uil era poca cosa.

Ad un certo punto la Cgil si è spaccata ed è nato il gruppo guidato da Luigi Marra che in certi reparti era molto presente e organizzato e ci sapeva fare. Sono rimasti nel consiglio di fabbrica fondando però un sindacato autonomo con la benedizione di Luciana Castellina, che è venuta in azienda. Tornando da Roma, dove eravamo per la trattativa per il rinnovo di un contratto nazionale di lavoro, abbiamo fatto un'assemblea in mensa per informare i lavoratori. Al momento della conclusione è intervenuto uno di loro e ha detto: la nostra assemblea non è terminata e sono andati avanti. Sapevano imporsi. Loro facevano così perché facevano comodo all'azienda e a Marra l'ho detto più volte in assemblea, perché ogni nostra conquista a loro non andava mai bene e forse essere divisi alla direzione faceva comodo. L'azienda gli dava corda e sappiamo che ogni tanto lo stesso Marra telefonava all'amministratore delegato.

Marra lavorava nel laboratorio nella stanza accanto alla mia. Con me invece lavorava la moglie. Un giorno stava facendo delle prove e nel versare dei liquidi in una provetta questa è esplosa rovinandogli entrambe le mani.

Come consigli di fabbrica periodicamente ci trovavamo con Mantova, Marghera e tutti gli altri stabilimenti Montecatini, ma i nostri collegamenti avvenivano sempre attraverso la commissione interna o il consiglio di fabbrica centrale e ci si trovava essenzialmente quando c'erano i contratti nazionali di lavoro o qualche contrattazione di gruppo.

Nelle aree periferiche della fabbrica c'è stato un momento in cui sono comparse delle stelle a cinque punte delle Brigate rosse, ma non è mai stato individuato nessuno. Personalmente ho ricevuto delle minacce e il mio telefono è stato messo sotto controllo, ma non ero il solo, anche altri leader del consiglio di fabbrica subivano queste minacce, però non è mai accaduto nulla.

Contrattazione

A Castellanza siamo stati tutti sconfitti, noi come organizzazioni sindacali e anche Luigi Marra. Un giorno, in una cena riservata a Roma, ci hanno detto che a Castellanza avremmo dovuto produrre come negli altri stabilimenti del gruppo oppure avrebbero chiuso. Noi nel gruppo Montedison eravamo considerati un esempio negativo.

Abbiamo contrattato molto in azienda e i risultati si ottenevano a seconda della forza che avevamo. I risultati sono stati purtroppo la monetizzazione dell'ambiente e della salute e i premi di produzione. Poi c'era il contratto nazionale di lavoro. Le lotte per il contratto erano l'apice dell'azione sindacale, io ho partecipato più volte alle trattative.

Sulla questione dell'inquadramento abbiamo fatto un lavoro enorme, reparto per reparto, studiando con precisione quali erano le mansioni di ogni addetto sugli impianti e quindi avanzando delle proposte di inquadramento molto puntuali.

Le condizioni di lavoro erano brutte. C'era il reparto fenoli, per il quale siamo andati anche in tribunale, dove il turno terminava mezz'ora prima per dare il tempo agli operai di bere il latte e farsi la doccia. Uscivano dal reparto neri e possiamo immaginare cosa inalassero. Su questo abbiamo fatto delle battaglie molto dure. Negli anni ’69, ’70, nell'ambito del consiglio di fabbrica abbiamo istituito il gruppo dei laureati e questi hanno dichiarato uno sciopero per solidarietà ai lavoratori di quell'impianto. Quel giorno sono rimasti fuori tutti perché era evidente che non si poteva andare avanti a lavorare in quel modo. Il risultato della nostra battaglia è stata la chiusura dell'impianto. Per la nostra salute eravamo controllati dal centro medico di Villa Marelli a Milano.

Un aspetto sempre al centro dell'attenzione era quello del rischio di infortuni. Sull'impianto del metanolo fermo per manutenzione abbiamo avuto un incidente con la morte di un ragazzo. Sul tema dell'ambiente e della salute abbiamo fatto molti accordi aziendali. Con la contrattazione in parte siamo riusciti a intervenire e a modificare il livello di pericolosità e la qualità dell'ambiente, però c'è un limite che è insito proprio nelle caratteristiche dell'industria chimica. A volte o chiudi o sei costretto ad accettare un certo livello di pericolo.

Sul problema degli scarichi nell'Olona abbiamo avuto un'ottima collaborazione con il sindaco di Castellanza, Luigi Roveda, che era il capo del personale alla Bayer.

Il premio di produzione era misto, di gruppo e aziendale. Per noi era difficile legare i premi ai risultati per il tipo di produzione che facevamo e perché non potevamo far altro che basarci sui dati che ci forniva l'azienda e quindi non c'è mai stata una vera trattativa su questo.

Sul tema dell'organizzazione del lavoro l'azienda ha sempre rivendicato a sé le scelte e non ha mai accettato di aprire un confronto con i sindacati, date le caratteristiche della nostra produzione. In azienda, grazie anche all'esperienza di Marghera, siamo intervenuti sui turni di lavoro rompendo lo schema dei tre turni per sei giorni e organizzando i turni in modo più conveniente per la vita delle persone.

Welfare aziendale

Avevamo una commissione interna centrale del gruppo Montedison che rappresentava tutti gli stabilimenti dove avevamo la cassa mutua e l’assistenza sanitaria che viveva di contributi sia da parte dei lavoratori che da parte dell'azienda. In quel momento Sergio Cofferati era segretario generale lombardo della Filcea Cgil ed era contrario a queste cose, ma noi come Cisl le sostenevamo e su questi temi c'era contrattazione. L'amministratore delegato della mutua interna della Montecatini Milano era Giovanni Marchiani, espresso dai lavoratori.

C'era il dopolavoro che organizzava delle grandi gite grazie al contributo dell'azienda. Così come quando è stata istituita la mensa degli scapoli, la direzione sosteneva tutte queste cose perché era il momento in cui c'era concorrenza sulla manodopera, infatti ogni tanto c'era qualcuno che lasciava l'azienda perché trovava condizioni migliori in altre fabbriche del territorio.

C'era anche una grande biblioteca proprio sotto la mensa e ha avuto un ruolo positivo per i ragazzi che arrivavano dal Sud perché li ha aiutati a imparare a leggere.

Montecatini aveva una serie di colonie, dalla Sicilia al Lago Maggiore, a Marina di Massa, e c'era un centro della Montecatini a Milano che seguiva tutte le colonie e i figli dei lavoratori che ci andavano e noi avevamo dei permessi per andare a fare i controlli.