lunedì 22 giugno 2020

PIERANGELO FARINA 2 - Fim, Cisl - Lecco

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato il 20.12.1938 a Lecco, ho frequentato le medie a 25 anni, più avanti mi sono iscritto all'istituto per geometri ma dopo quindici giorni è arrivato Rino Caviglioli proponendomi di fare il sindacalista e ho smesso. Mio padre lavorava alla Badoni di Lecco, un'azienda di carpenteria con più di 500 dipendenti, dove ci ha lavorato anche mio fratello e poi anch'io. Mia mamma era casalinga.

La mia era una famiglia religiosa, cattolica, io ho frequentato l'oratorio. Il mio primo lavoro è stato a undici anni come garzoncello in un laboratorio che faceva i controlli periodici delle bilance. Poi sono andato a lavorare in una aziendina metalmeccanica che produceva i cardini delle porte e mi sono preso l'asma per la polvere prodotta dalle macchine, perché a conclusione della smerigliatura dovevo togliere i pezzi dalla macchina e ricaricarla e c'era una grandissima polvere. Ho iniziato che avevo tredici anni, quando ho compiuto i quattordici mi hanno messo a libri e a quindici anni sono andato alla Badoni. Ho frequentato la scuola interna dell'azienda, che era gestita dalla figlia del titolare, che mi ha fornito gli elementi per poter entrare nel reparto delle tracciature dove si ricevevano i disegni e si riproducevano, realizzando il primo pezzo che poi passava nei reparti di produzione. Era un lavoro che mi piaceva, ma poi ho scelto il sindacato.
Nel 1968 ho iniziato come operatore a tempo pieno per la Fim, diventando segretario generale nel 1976. Carica che ho ricoperto fino al 1981, quando sono stato eletto segretario generale della Cisl di Lecco. A conclusione della mia esperienza sindacale nel 1989 ho fatto per qualche anno il presidente del Consorzio cooperative lavoratori, una breve transizione perché arrivasse la pensione e quindi nel 1993 sono diventato il segretario dei pensionati e ho lavorato per l'autonomia della categoria, il potenziamento dei servizi, ho costituito Antea e il coordinamento femminile. Ho guidato i pensionati lecchesi fino al congresso del 2001 per passare poi, fino al 2011, alla Fnp regionale. Infine ho fatto l'esperienza nei comitati Inps fino al dicembre 2013.

Un giorno, in fabbrica hanno licenziato un membro della commissione interna dove la maggioranza era della Cgil, io ero giovane e i vecchi della Cgil mi hanno detto di parlare agli operai. Mi hanno fatto salire su un fascio di lamiere e ho fatto il mio primo discorso. La gente è entrata in sciopero e il giorno dopo l'azienda ha fatto la serrata. Noi abbiamo messo un tenda sulla strada che portava in Valsassina bloccando completamente il traffico. Un dirigente d'azienda ha fatto pubblicare su un giornale che i comunisti bianchi erano peggiori dei comunisti rossi perché avevamo mobilitato la città e hanno dovuto ritirare la serrata. Così è iniziato il mio impegno sindacale.
Sia mio padre che mio fratello erano stati nella commissione interna dove c'erano quattro della Cgil e due della Cisl e io ho sostituito mio padre, però probabilmente mi hanno votato perché conoscevano mio papà. Per me dunque l'impegno sindacale è stato un processo quasi naturale, però bisogna ricordare che in quegli anni il mondo sindacale era rappresentato soprattutto dai giovani della Cisl.
Non avevo nessun impegno politico. Lavoravo nove o dieci ore al giorno, poi la sera andavo nella sede del sindacato.

In fabbrica i primi tempi c'era il problema degli operai anziani che erano abituati all'asservimento e non avevano capito che negli anni Sessanta si era sviluppato nelle grandi aziende un nuovo potere sindacale. Il problema era fargli capire che c’era la possibilità di fare delle conquiste e di superare il paternalismo. Il paternalismo produceva l'effetto di far accettare tutto ciò che l'azienda diceva. La Fim ha sviluppato con forza l'idea della rivendicazione. Noi abbiamo conquistato alla Badoni, per primi, il diritto alla ritenuta sindacale, alla sera all'uscita raccoglievamo la firma dei lavoratori per ottenere il diritto alla trattenuta in busta paga. La modalità di contrattazione che applicavamo era quello di realizzare degli accordi nelle grandi fabbriche e poi estenderli a tutte le altre più piccole. La Badoni, insieme alla Sae, era una di queste.
Per parecchi anni ho dovuto occuparmi del cottimo, un sistema che creava le premesse per cui chi guadagnava non era chi lavorava di più, ma chi aveva tempi migliori. Da quando abbiamo conquistato il diritto a contrattare, che non era previsto per la commissione interna, abbiamo iniziato a intervenire sui tempi dei cottimi per cercare di bilanciare i guadagni dei lavoratori. Dai cottimi siamo passati ai premi di produzione collettivi.
In fabbrica si avvertivano i mutamenti che stavano avvenendo nella società, nei movimenti giovanili, anche nei reparti si creava una certa divisione tra i giovani da una parte e gli anziani dall'altra. I giovani erano più propensi a scavalcare le tradizionali divisioni che c'erano tra comunisti e democristiani e si puntava a costruire qualcosa di nuovo. Gli attivisti della Cgil erano in genere più anziani. Nei giovani c'era la spinta al cambiamento, negli anziani c'era la paura. La Fim era all'avanguardia, ma era supportata dalla Cisl e c'erano alcuni dirigenti che, pur faticando a capire ciò che noi volevamo, accettavano questa voglia di cambiare le condizioni e le regole. Alla sera tutti gli attivisti, in particolare delle grandi fabbriche, si trovavano alla sede della Fim e lì si discuteva di questi problemi. Abbiamo iniziato a fare i giornalini aziendali, che era un modo per dare dei messaggi. Io andavo alla sera, ciclostilavo, tentavo di scrivere qualche articolo e si viveva in un clima di cambiamento.

Nella seconda metà degli anni Sessanta per i rinnovi dei contratti nazionali la gente partecipava agli scioperi, per le vertenze aziendali c'era qualche problema in più perché c'era un paternalismo assai presente in molte fabbriche. Ricordo due aziende, la Moto Guzzi e la Vismara, dove a Natale veniva dato il pacco. Fare gli scioperi per conquistare il diritto a contrattare, non per avere un beneficio immediato, era più complicato e per questo abbiamo attuato dei meccanismi di rottura con il passato, ad esempio restituendo il panettone.
Nella zona che seguivo un'azienda molto importante era la Moto Guzzi, che aveva avuto molto successo con i suoi prodotti, ma era difficile sindacalmente. Il mio impegno maggiore era rivolto a rendere effettiva la contrattazione aziendale di modo che poi potesse essere accolta nel contratto nazionale come diritto. Il vero sforzo, prima che fosse acquisito il diritto all'assemblea, era quello di riuscire a parlare alla gente. Si andava a incontrare gli attivisti durante l'intervallo di mensa sul cancello della fabbrica, ma anche sulle strade dove passavano gli operai delle numerose piccole fabbriche per dare volantini e fare informazione.
Quando è arrivato lo Statuto dei lavoratori noi avevamo già acquisito il diritto alla contrattazione in fabbrica e il fatto che le nostre conquiste fossero trasferite dentro lo Statuto ci dava la sensazione che le cose che stavamo facendo ottenevano dei risultati. Ricordo di aver visto sul volto degli operai più anziani la gioia per aver conquistato il diritto di fare le assemblee in fabbrica. Le assemblee venivano fatte in mensa, a volte anche mentre si stava pranzando, e quando queste sono diventate un diritto, con la presenza di sindacalisti esterni, in qualche modo c'era già una consapevolezza anche da parte padronale.
Le manifestazioni per le riforme sono sempre state un grande successo con la presenza anche di segretari nazionali ai comizi. Organizzare la partecipazione era abbastanza facile, si partiva dalle grandi fabbriche: la Sae, la Badoni, il Caleotto che da sole riempivano la piazza.

L'unità sindacale era alla base del mio impegno, quando gli attivisti della Fim si trovavano avevano in mente l'obiettivo di superare le divisioni e costruire l'unità. Con lo svilupparsi delle rivendicazioni quasi naturalmente si sentiva la necessità di essere insieme. Quando abbiamo deciso di fare l'unità dei metalmeccanici a Lecco siamo stati tra i primi a realizzarla, autorizzati dalla sede nazionale, questo passaggio è stato reso più facile dal fatto che la Fiom aveva 8.490 iscritti, noi ne avevamo 8.445, la Uil praticamente non esisteva con 70 iscritti, ma anche la Cisl di Paolo Nardini ha fatto il congresso di scioglimento, però lo scioglimento l'ha fatto solo la Cisl. Poi nelle fabbriche iniziarono le ristrutturazioni, stava cambiando il clima e anche il percorso unitario è andato via via allentandosi per poi finire. Io all'unità ho sempre creduto e ho fatto anche le mie battaglie per costruirla. In tutte le riunioni della Cisl c'erano delle discussioni, Caviglioli spingeva molto perché faceva le battaglie a Lecco, ma anche per far arrivare un messaggio a Roma. Per dieci anni abbiamo gestito tutto unitariamente costruendo anche una sede insieme alla Cgil.

L'idea di passare dall'individuale al collettivo era molto sentita come opportunità per superare i cottimi e la spinta dell'egualitarismo, che era soprattutto una richiesta della Fim, poi diventata unitaria, era abbastanza sentita. Naturalmente c'erano le aree un po' privilegiate, come gli intermedi e gli impiegati, che vivevano negativamente queste richieste, ma siccome la stragrande maggioranza era composta di operai che lavoravano in produzione questa era la logica che si adottava.

Seguivo nella mia zona il Tubettificio ligure, che era di proprietà di un imprenditore di sinistra che tentava di applicare in azienda i contratti prima del rinnovo del contratto nazionale. Era una fabbrica prevalentemente femminile e devo dire che gestire una fabbrica di tutte donne per me era un po' più complicato. Le donne rivendicavano di contare di più perché il ruolo di guida era dei maschi. Io andavo a fare scioperare queste donne per il rinnovo del contratto nazionale anche se loro avevano già avuto tutto ciò che si chiedeva nella piattaforma.

Nella prima metà degli anni Settanta si organizzano gruppi extraparlamentari e anche dentro la Fim di Lecco è nato il Gruppo Gramsci, però li abbiamo gestiti bene, li abbiamo tenuti. Ho avuto un solo caso, più avanti, quando ero segretario della Cisl, una donna del Tubettificio che aveva mostrato delle simpatie con i brigatisti e l'abbiamo espulsa. Poi si è trasferita.

Quando nella Cisl nazionale si è aperto il confronto fra unitari e antiunitari, noi non abbiamo avuto nessun problema, seguivamo il dibattito ma da lontano e tra i lavoratori questo problema non era minimamente sentito.

Probabilmente dopo la conquista del diritto alla contrattazione, dopo i risultati raggiunti nei primi anni Settanta, anche all'interno del sindacato e della Cisl è iniziata una riflessione sulla necessità di un cambiamento dell'azione sindacale, tanto è vero che si sono trasferite le rivendicazioni dal posto di lavoro, dalla fabbrica alle tematiche più generali. Ricordo in quel periodo la battaglia fatta dalla Fim per il diritto alla salute. C'era un bravo medico, Cirla, che aveva bisogno di un sostegno per il suo lavoro e io gliel'ho dato a piene mani per ottenere la possibilità di andare a fare delle indagini sul posto di lavoro e abbiamo costruito un primo nucleo di medicina del lavoro. A fine degli anni Settanta è iniziato lo smembramento delle grandi fabbriche e il decentramento produttivo, prima le attività di servizio e poi singoli reparti e i lavoratori si rendevano conto che stava cambiando l'organizzazione del lavoro. Credo anche che l'area intellettuale vicina alle organizzazioni sindacali, ma coinvolta in questi processi, ne abbia in qualche modo subito l'influsso e così abbiamo assistito anche ad uno spostamento culturale. Il sindacato ha cercato di contrastare questi processi utilizzando gli strumenti di cui disponeva come la cassa integrazione guadagni, il diritto al pensionamento di anzianità, i prepensionamenti che hanno permesso molte riduzioni di personale in modo non traumatico. I problemi si vivevano sulla pelle della gente e quindi il nostro compito era quello di gestirli al meglio, le visioni diverse sulle modalità da utilizzare per affrontare questi cambiamenti hanno creato dei solchi all'interno delle iniziative unitarie. Tra i metalmeccanici, dove la spinta unitaria era ancora forte, siamo sempre riusciti a trovare una sintesi, ma quando sono diventato segretario della Cisl le divisioni sono aumentate.

La Cisl aveva tentato di realizzare i consigli di zona, purtroppo sono naufragati anche perché la gran parte di coloro che partecipavano ai consigli di zona erano gruppettari e questo rischiava di produrre l'effetto contrario rispetto ad un mondo che si stava trasformando in un'altra direzione. Il mondo produttivo stava attraversando un processo di cambiamento radicale. In quel periodo abbiamo avviato anche delle riflessioni comuni con le amministrazioni locali sul tema del lavoro, perché a volte il sindacato non era in grado di affrontare da solo i licenziamenti che c'erano nelle fabbriche. A Lecco c'era un motivo in più, perché le fabbriche erano in città e dovevano spostarsi.

Il processo unitario l’abbiamo compiuto solo noi dei metalmeccanici, perché di fatto nessun’altra categoria l'ha realizzato. Nella seconda metà degli anni Settanta la crisi economica e sociale ha portato alla costituzione dei governi di solidarietà nazionale, ma contemporaneamente si è acuita la divisione tra le organizzazioni sindacali. In quel momento, mentre la Cisl andava orientandosi verso una linea di moderazione sindacale, cresceva il contrasto con la Cgil. Sullo sfondo stava la diversa concezione del rapporto con la politica, mentre la Cisl si faceva forza della propria autonomia la Cgil pensava che i problemi che la società italiana stava vivendo dovessero essere affrontati direttamente dai partiti. Queste però erano riflessioni che arrivavano dai livelli alti della organizzazione, a livello locale noi eravamo sollecitati dai problemi concreti dei processi di ristrutturazione.

Quando ho lasciato la fabbrica per il sindacato ho abbandonato gli studi di geometra e ho accettato uno stipendio inferiore rispetto a quello che avevo alla Badoni, però c'era un grande entusiasmo, eravamo convinti che il mondo si poteva cambiare e che noi eravamo protagonisti di questo processo. Io ero gratificato perché la gente considerava il sindacato un fatto importante e giudicava positivamente il lavoro del sindacalista, inoltre si partecipava ad un mondo di relazioni sociali, politiche, economiche significative. Certo, a volte mi assumevo delle responsabilità che sentivo di non essere in grado di gestire da solo. Quando è stato il momento mi sono messo in disparte lasciando spazio ad altri e credo di aver avuto anche la qualità di scegliere buone persone. Il compito del sindacalista è quello di cercare di dare risposte ai problemi dei lavoratori, avevamo conquistato degli strumenti, ma quel lavoro non si poteva fare da soli e quindi bisognava sapersi circondare da persone che avevano le caratteristiche giuste.

Negli anni Settanta eravamo noi che trascinavamo tutto il movimento sindacale, basta guardare l'età dei dirigenti della Fim rispetto a quelli della Fiom, o della Cisl rispetto alla Cgil. Fino alla gestione di Carniti e poi di Marini la Cisl ha giocato un ruolo determinante, dopo ho l'impressione che invece abbiamo contato un po' meno. Le cose che avevamo rivendicato le avevamo conquistate, avevano trovato un loro sbocco per cui occorreva un salto culturale nuovo che non c'è stato. La concertazione è stata un'idea della Cisl, ma ha favorito una centralizzazione dell'iniziativa sindacale, un'altra idea che la Cisl ha sostenuto è stata quella dell'Europa. Io per conto della Fim sono andato anche ad un convegno in Francia su questi temi.

La politica a livello locale non condizionava l'azione sindacale, i rapporti erano di tipo più personale. Normalmente abbiamo condizionato noi la politica sui problemi dell'occupazione quando abbiamo iniziato a chiedere alle amministrazioni un'azione sui temi del lavoro per non lasciare che tutto si limitasse al rapporto tra lavoratori e imprese. Anche la Cgil tendeva a dimostrare di essere indipendente rispetto al Partito comunista, si tenga presente che qui la Democrazia cristiana era decisamente maggioranza. Dentro la Cisl si sentiva a volte che c'erano delle spinte che nascevano al di fuori dall'organizzazione, ma queste non sono mai arrivate a condizionare le nostre scelte.