domenica 21 giugno 2020

ARISTIDE PELAGATTI 2 - Cisl - Mantova

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato il 2 ottobre 1950 a Curtatone, in provincia di Mantova, dove è tornato da adulto. Dopo un lungo percorso nella Cisl, dal sindacato scuola alla segreteria generale dell’Unione di Mantova, al momento della pensione si è iscritto alla facoltà di teologia. Nell’aprile del 2016 è stato ordinato diacono. Oggi è direttore della Fondazione Migrantes diocesana.

Ho iniziato a insegnare agli inizi del 1970, nel ‘74 ho cominciato a lavorare nella commissione incarichi per il personale docente in Provveditorato a Mantova, nel 1976 sono diventato segretario del Sism Cisl scuola, poi sono stato il primo segretario nazionale della Federscuola. Agli inizi degli anni ‘90 ho lasciato il settore scuola per la Cisl di Mantova fino a ricoprire la carica di segretario generale e negli ultimi dieci anni di lavoro sono stato impegnato nella Cisl regionale.
Dopo la pensione, insieme a mia moglie ho deciso di intraprendere il percorso di diaconato. Sono cinque anni di approfondimento e di discernimento. Mi sono iscritto alla facoltà di teologia presso l’Università di Mantova, in tre anni e mezzo ho fatto tutti gli esami e dopo due anni di discussione approfondita e anche un po' animata sono arrivato a scrivere la tesi di laurea che sarà stampata tra poco. Nel frattempo nell'aprile 2016 sono stato ordinato diacono. Inizialmente ho avuto l'incarico di direttore del Centro missionario diocesano e attualmente sono direttore della Fondazione Migrantes che si occupa degli stranieri presenti nel territorio, collaborando con la Caritas e la Pastorale del lavoro.
Sono inserito in una unità pastorale di dodicimila abitanti che comprende tre parrocchie.
La mia è una famiglia religiosa, credente, io arrivo da un percorso tradizionale per il mondo cattolico. Non ho frequentato molto l'oratorio perché la mia famiglia si è spostata più volte, l'unica esperienza l’ho vissuta a Ferrara. Tornato a Mantova, ho frequentato una comunità molto tradizionale e ho iniziato a servire la Chiesa a fine anni ‘70 attraverso una prima esperienza di gruppo familiare. Ho avuto la fortuna in quegli anni di partecipare al primo convegno della Cei sulla famiglia dove erano presenti anche dei laici. Per trentacinque anni abbiamo servito nella diocesi come sposi e girando il territorio in lungo e in largo ci siamo accorti dei grandi limiti esistenti nelle parrocchie sul tema delle famiglie e degli adulti. Vivevamo da vicino la distanza tra i documenti del Concilio e del vescovo con la prassi pastorale.
A metà degli anni ‘80 mi è stata offerta la possibilità di diventare direttore dell'Azione cattolica, che allora era un'organizzazione importante, ma il confronto con il vicario generale portò alla conclusione che due padroni non si possono servire contemporaneamente e con lui abbiamo deciso che era opportuno che io continuassi l'esperienza sindacale pur mantenendo l'impegno dentro la diocesi.
In Cisl ho avuto la fortuna di frequentare forse l'ultimo corso lungo alla scuola di Firenze, particolarmente impegnativo, della durata di sei mesi. In quell'occasione ho avuto la conferma che il lavoro non è soltanto subordinazione, ma è un diritto e un dovere e se il lavoro diventa un capitale da investire nel sistema produttivo allora bisogna far fare un salto di qualità valoriale al lavoro.
La volontà di impegnarmi nel mondo del lavoro è nata dentro la scuola grazie ad alcune testimonianze molto forti. Ho avuto cinque maestri particolarmente importanti, uno è l'ex senatore Dante Bettoni, che è stato un padre fondatore del sindacato scuola, e poi quattro colleghi che mi hanno rapito in classe per portarmi al sindacato. Persone di grande cultura e grandi testimoni di valori. Con queste persone ho fatto tutta la strada ideale dei decreti delegati, con la grande utopia che la scuola pubblica potesse diventare il trampolino di ragazzi di tutte le classi sociali affinché non soltanto i figli dei ricchi potessero occupare posti importanti nella società.
Il mio impegno era alimentato da valori che nascevano sia dall'esperienza del lavoro sia dal mio percorso dentro il mondo cattolico. Percorsi che in parte si integravano e in parte facevano emergere delle contraddizioni. Nel 1981 o ‘82 sono stato chiamato in un paese a intervenire sui temi del lavoro e mentre parlavo della pastorale sociale mi hanno interrotto per chiedermi se ero un attivista del Partito comunista.
Le contraddizioni emergono in modo ancora più forte e si vedono maggiormente all'esterno quando si va nel grande mondo dell'industria, della finanza, del governo dei servizi. Contraddizioni che si sono evidenziate anche nel mondo della scuola, ad esempio a metà degli anni ’90, quando sono emerse le tensioni tra chi aveva vissuto la grande idealità dei decreti delegati, con la partecipazione dei genitori all'esperienza di formazione dei figli, e le nuove classi di insegnanti che sostenevano che fare l’insegnate è la loro professione e non va confusa con il ruolo delle famiglie.
A volte sono stato in difficoltà all'interno del sindacato, non ho potuto esplicitare fino in fondo alcuni temi, lì la mediazione politica diventa un'arte e un dovere perché trovare un punto d'equilibrio per far crescere o conservare i consensi richiede il compromesso. Personalmente non ho mai abdicato, se c'era bisogno dicevo esattamente come la pensavo e poi trovavo la mediazione necessaria.
Rispetto ai tentativi di D'Antoni e di Bonanni di annoverare la Cisl in qualche modo tra le associazioni cattoliche mi sono fatto anche qualche risata. Uno deve fare quello per cui è chiamato, un conto è praticare determinati valori di solidarietà, di accoglienza, di uguaglianza, di sviluppo equo solidale, un conto è pensare di trasformare un organismo sindacale in un organismo para cattolico. Oggi, da diacono, posso richiamare ai valori che i battezzati devono testimoniare nel sindacato, ma da dirigente sindacale questo non avrei mai potuto farlo. In realtà, sono stati tentativi che non hanno avuto molta vita.
I temi della solidarietà e dell'attenzione verso gli ultimi ci sono sempre stati dentro la Chiesa, un tempo la tradizione cattolica li trattava con più discrezione, oggi sono vissuti sulla stampa.
I documenti della Chiesa sono sostanzialmente in linea con l'evoluzione della società, a partire dalla caduta del muro di Berlino, con il primo intervento di Giovanni Paolo II che richiamò l'attenzione sul fatto che il liberismo non è la libertà. Gli ultimi papi, con alcuni documenti importanti, anche se non sempre tradotti in encicliche, i temi del lavoro e della società, dell'ambiente e dello sviluppo, li hanno affrontati in modo adeguato. Il problema è come praticarli, come tradurli nel concreto.
Papa Francesco non ha detto cose fondamentalmente nuove, partendo dai documenti del Concilio Vaticano II, che non è ancora prassi della Chiesa italiana, e prendendo molto da Paolo VI, parecchio da Giovanni Paolo II e discretamente da Benedetto XVI, ha rielaborato un quadro pastorale e dottrinale che va incontro al mondo nuovo. Con la capacità di leggere, forse anche per la sua provenienza, in modo più esplicito ciò che altri pontefici avevano detto.
Questo mi conferma che in tema di elaborazione la Chiesa è al passo dei tempi. La difficoltà è il trasferimento nell'ambito delle comunità cristiane locali. Alcuni anni fa c'è stata una discussione in tutto l'episcopato su come la fede debba essere portata avanti, cioè se vanno ancora bene le parrocchie come strumento della Chiesa nel territorio oppure occorra andare verso i grandi movimenti che possono costruire le condizioni per testimonianze molto forti. Alla fine è prevalsa la strada delle parrocchie, con tutta la difficoltà che queste hanno. La parrocchia oggi è una realtà che può testimoniare nel territorio dove è insediata, deve però superare i suoi limiti burocratici e organizzativi. Il problema è che oggi siamo a un guado dove da una parte sussistono ancora tradizioni forti, dall'altra ci sono bisogni nuovi di comunicazione, prassi e vita dentro la Chiesa. Tutto ciò crea delle difficoltà nel tradurre nella vita pastorale quotidiana i documenti che nascono dall'elaborazione dei vescovi o dei pontefici.
L'esperienza che sto facendo in diocesi parte da un assunto: se chi frequenta la chiesa non viene ricondotto agli elementi essenziali del perché uno è un cristiano - e l'elemento base è la riscoperta del senso del battesimo - si possono fare tutte le omelie, tutte le attività che si vuole, ma se non si costruiscono delle comunità che siano vere testimoni nella realtà contemporanea, la Chiesa fa fatica a procedere. Il sociologo Mauro Magatti, da laico credente, vede molto bene questa esigenza di ricondurre il popolo, che sta camminando con difficoltà, a riscoprire il senso fondante della sua professione di fede. È un percorso lungo da fare con coloro che sono dentro la Chiesa e che probabilmente setaccerà ulteriormente le presenze, perché rompe gli schemi, induce titubanze, crea difficoltà di comprensione.
Anche il percorso formativo dei seminari dovrà essere implementato con i temi sociali. Fanno talmente tanta fatica a formarli teologicamente che aggiungere questi temi è però complicato. Ho questa netta sensazione, ho sollecitato il preside del seminario di Mantova e lui mi testimonia le difficoltà.
Oggi la Chiesa lavora per delega, questo sistema ha fatto sì che uno non sa quello che fa l'altro. Un sistema che fa sì che soprattutto i ministri nelle parrocchie non hanno il senso di Chiesa, della globalità dei servizi che la comunità cristiana è chiamata a prestare. Quando il pontefice dice che la Chiesa deve andare in uscita, ci si domanda per che cosa? dove? in che modo? Quando un vescovo ha chiesto al Papa cosa volesse dire andare in uscita, andare nelle periferie, papa Francesco ha risposto che non c'è un luogo. La periferia della Chiesa è là dove le coscienze non sono formate, là dove le coscienze non conoscono che esiste la Chiesa e là dove le coscienze sono talmente incancrenite che non riescono più a capirla nel linguaggio, nelle prestazioni e nel modo di operare.
C'è un tema centrale oggi per la Chiesa che è quello di come costruire una relazione con il prossimo. La predica dall'ambone non è più sufficiente, l'affermare io so le cose e tu le devi imparare non funziona più. La parola riusciamo a dirla, ma la Chiesa oggi è molto debole nell'ascolto, nell'accettare l'invito e nel camminare accanto agli altri.