Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato il 2
ottobre 1950 a Curtatone, in provincia di Mantova, dove è tornato da adulto.
Dopo un lungo percorso nella Cisl, dal sindacato scuola alla segreteria
generale dell’Unione di Mantova, al momento della pensione si è iscritto alla
facoltà di teologia. Nell’aprile del 2016 è stato ordinato diacono. Oggi è
direttore della Fondazione Migrantes diocesana.
Ho iniziato a insegnare agli inizi del 1970, nel ‘74
ho cominciato a lavorare nella commissione incarichi per il personale docente
in Provveditorato a Mantova, nel 1976 sono diventato segretario del Sism Cisl
scuola, poi sono stato il primo segretario nazionale della Federscuola. Agli
inizi degli anni ‘90 ho lasciato il settore scuola per la Cisl di Mantova fino
a ricoprire la carica di segretario generale e negli ultimi dieci anni di
lavoro sono stato impegnato nella Cisl regionale.
Dopo la pensione, insieme a mia moglie ho deciso di
intraprendere il percorso di diaconato. Sono cinque anni di approfondimento e
di discernimento. Mi sono iscritto alla facoltà di teologia presso l’Università
di Mantova, in tre anni e mezzo ho fatto tutti gli esami e dopo due anni di
discussione approfondita e anche un po' animata sono arrivato a scrivere la
tesi di laurea che sarà stampata tra poco. Nel frattempo nell'aprile 2016 sono
stato ordinato diacono. Inizialmente ho avuto l'incarico di direttore del
Centro missionario diocesano e attualmente sono direttore della Fondazione Migrantes
che si occupa degli stranieri presenti nel territorio, collaborando con la
Caritas e la Pastorale del lavoro.
Sono inserito in una unità pastorale di dodicimila
abitanti che comprende tre parrocchie.
La mia è una famiglia religiosa, credente, io arrivo
da un percorso tradizionale per il mondo cattolico. Non ho frequentato molto
l'oratorio perché la mia famiglia si è spostata più volte, l'unica esperienza
l’ho vissuta a Ferrara. Tornato a Mantova, ho frequentato una comunità molto
tradizionale e ho iniziato a servire la Chiesa a fine anni ‘70 attraverso una
prima esperienza di gruppo familiare. Ho avuto la fortuna in quegli anni di
partecipare al primo convegno della Cei sulla famiglia dove erano presenti
anche dei laici. Per trentacinque anni abbiamo servito nella diocesi come sposi
e girando il territorio in lungo e in largo ci siamo accorti dei grandi limiti
esistenti nelle parrocchie sul tema delle famiglie e degli adulti. Vivevamo da
vicino la distanza tra i documenti del Concilio e del vescovo con la prassi
pastorale.
A metà degli anni ‘80 mi è stata offerta la
possibilità di diventare direttore dell'Azione cattolica, che allora era
un'organizzazione importante, ma il confronto con il vicario generale portò
alla conclusione che due padroni non si possono servire contemporaneamente e
con lui abbiamo deciso che era opportuno che io continuassi l'esperienza
sindacale pur mantenendo l'impegno dentro la diocesi.
In Cisl ho avuto la fortuna di frequentare forse
l'ultimo corso lungo alla scuola di Firenze, particolarmente impegnativo, della
durata di sei mesi. In quell'occasione ho avuto la conferma che il lavoro non è
soltanto subordinazione, ma è un diritto e un dovere e se il lavoro diventa un
capitale da investire nel sistema produttivo allora bisogna far fare un salto
di qualità valoriale al lavoro.
La volontà di impegnarmi nel mondo del lavoro è nata
dentro la scuola grazie ad alcune testimonianze molto forti. Ho avuto cinque
maestri particolarmente importanti, uno è l'ex senatore Dante Bettoni, che è
stato un padre fondatore del sindacato scuola, e poi quattro colleghi che mi
hanno rapito in classe per portarmi al sindacato. Persone di grande cultura e
grandi testimoni di valori. Con queste persone ho fatto tutta la strada ideale
dei decreti delegati, con la grande utopia che la scuola pubblica potesse
diventare il trampolino di ragazzi di tutte le classi sociali affinché non
soltanto i figli dei ricchi potessero occupare posti importanti nella società.
Il mio impegno era alimentato da valori che
nascevano sia dall'esperienza del lavoro sia dal mio percorso dentro il mondo
cattolico. Percorsi che in parte si integravano e in parte facevano emergere
delle contraddizioni. Nel 1981 o ‘82 sono stato chiamato in un paese a
intervenire sui temi del lavoro e mentre parlavo della pastorale sociale mi
hanno interrotto per chiedermi se ero un attivista del Partito comunista.
Le contraddizioni emergono in modo ancora più forte
e si vedono maggiormente all'esterno quando si va nel grande mondo
dell'industria, della finanza, del governo dei servizi. Contraddizioni che si
sono evidenziate anche nel mondo della scuola, ad esempio a metà degli anni
’90, quando sono emerse le tensioni tra chi aveva vissuto la grande idealità
dei decreti delegati, con la partecipazione dei genitori all'esperienza di
formazione dei figli, e le nuove classi di insegnanti che sostenevano che fare
l’insegnate è la loro professione e non va confusa con il ruolo delle famiglie.
A volte sono stato in difficoltà all'interno del
sindacato, non ho potuto esplicitare fino in fondo alcuni temi, lì la
mediazione politica diventa un'arte e un dovere perché trovare un punto
d'equilibrio per far crescere o conservare i consensi richiede il compromesso.
Personalmente non ho mai abdicato, se c'era bisogno dicevo esattamente come la
pensavo e poi trovavo la mediazione necessaria.
Rispetto ai tentativi di D'Antoni e di Bonanni di
annoverare la Cisl in qualche modo tra le associazioni cattoliche mi sono fatto
anche qualche risata. Uno deve fare quello per cui è chiamato, un conto è
praticare determinati valori di solidarietà, di accoglienza, di uguaglianza, di
sviluppo equo solidale, un conto è pensare di trasformare un organismo
sindacale in un organismo para cattolico. Oggi, da diacono, posso richiamare ai
valori che i battezzati devono testimoniare nel sindacato, ma da dirigente
sindacale questo non avrei mai potuto farlo. In realtà, sono stati tentativi
che non hanno avuto molta vita.
I temi della solidarietà e dell'attenzione verso gli
ultimi ci sono sempre stati dentro la Chiesa, un tempo la tradizione cattolica
li trattava con più discrezione, oggi sono vissuti sulla stampa.
I documenti della Chiesa sono sostanzialmente in
linea con l'evoluzione della società, a partire dalla caduta del muro di
Berlino, con il primo intervento di Giovanni Paolo II che richiamò l'attenzione
sul fatto che il liberismo non è la libertà. Gli ultimi papi, con alcuni
documenti importanti, anche se non sempre tradotti in encicliche, i temi del
lavoro e della società, dell'ambiente e dello sviluppo, li hanno affrontati in
modo adeguato. Il problema è come praticarli, come tradurli nel concreto.
Papa Francesco non ha detto cose fondamentalmente
nuove, partendo dai documenti del Concilio Vaticano II, che non è ancora prassi
della Chiesa italiana, e prendendo molto da Paolo VI, parecchio da Giovanni
Paolo II e discretamente da Benedetto XVI, ha rielaborato un quadro pastorale e
dottrinale che va incontro al mondo nuovo. Con la capacità di leggere, forse
anche per la sua provenienza, in modo più esplicito ciò che altri pontefici
avevano detto.
Questo mi conferma che in tema di elaborazione la
Chiesa è al passo dei tempi. La difficoltà è il trasferimento nell'ambito delle
comunità cristiane locali. Alcuni anni fa c'è stata una discussione in tutto
l'episcopato su come la fede debba essere portata avanti, cioè se vanno ancora
bene le parrocchie come strumento della Chiesa nel territorio oppure occorra
andare verso i grandi movimenti che possono costruire le condizioni per
testimonianze molto forti. Alla fine è prevalsa la strada delle parrocchie, con
tutta la difficoltà che queste hanno. La parrocchia oggi è una realtà che può
testimoniare nel territorio dove è insediata, deve però superare i suoi limiti
burocratici e organizzativi. Il problema è che oggi siamo a un guado dove da
una parte sussistono ancora tradizioni forti, dall'altra ci sono bisogni nuovi
di comunicazione, prassi e vita dentro la Chiesa. Tutto ciò crea delle
difficoltà nel tradurre nella vita pastorale quotidiana i documenti che nascono
dall'elaborazione dei vescovi o dei pontefici.
L'esperienza che sto facendo in diocesi parte da un
assunto: se chi frequenta la chiesa non viene ricondotto agli elementi
essenziali del perché uno è un cristiano - e l'elemento base è la riscoperta
del senso del battesimo - si possono fare tutte le omelie, tutte le attività
che si vuole, ma se non si costruiscono delle comunità che siano vere testimoni
nella realtà contemporanea, la Chiesa fa fatica a procedere. Il sociologo Mauro
Magatti, da laico credente, vede molto bene questa esigenza di ricondurre il
popolo, che sta camminando con difficoltà, a riscoprire il senso fondante della
sua professione di fede. È un percorso lungo da fare con coloro che sono dentro
la Chiesa e che probabilmente setaccerà ulteriormente le presenze, perché rompe
gli schemi, induce titubanze, crea difficoltà di comprensione.
Anche il percorso formativo dei seminari dovrà
essere implementato con i temi sociali. Fanno talmente tanta fatica a formarli
teologicamente che aggiungere questi temi è però complicato. Ho questa netta
sensazione, ho sollecitato il preside del seminario di Mantova e lui mi
testimonia le difficoltà.
Oggi la Chiesa lavora per delega, questo sistema ha
fatto sì che uno non sa quello che fa l'altro. Un sistema che fa sì che
soprattutto i ministri nelle parrocchie non hanno il senso di Chiesa, della
globalità dei servizi che la comunità cristiana è chiamata a prestare. Quando
il pontefice dice che la Chiesa deve andare in uscita, ci si domanda per che
cosa? dove? in che modo? Quando un vescovo ha chiesto al Papa cosa volesse dire
andare in uscita, andare nelle periferie, papa Francesco ha risposto che non
c'è un luogo. La periferia della Chiesa è là dove le coscienze non sono
formate, là dove le coscienze non conoscono che esiste la Chiesa e là dove le
coscienze sono talmente incancrenite che non riescono più a capirla nel
linguaggio, nelle prestazioni e nel modo di operare.
C'è un tema centrale oggi per la Chiesa che è quello
di come costruire una relazione con il prossimo. La predica dall'ambone non è
più sufficiente, l'affermare io so le cose e tu le devi imparare non funziona
più. La parola riusciamo a dirla, ma la Chiesa oggi è molto debole
nell'ascolto, nell'accettare l'invito e nel camminare accanto agli altri.