Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
La formazione batte la crisi
Investire sui giovani creando nuova occupazione. E’
la scelta del Gruppo Cremonini, che nel più grande macello bovino d’Europa, a
Ospedaletto Lodigiano, da diversi anni seleziona giovani tra i 18 e i 24 anni
attraverso un percorso di formazione realizzato in azienda. Il corso dura sei
mesi e prevede un primo mese di preparazione teorica e altri cinque di
esperienza pratica nei diversi reparti dello stabilimento. Nel complesso sono
stati 133 i giovani assunti in sei anni su 171 partecipanti, a testimonianza
dell’efficacia di questo strumento formativo per l’avviamento al lavoro. Nel
2007, primo anno di corso, i partecipanti furono dodici e gli assunti sette,
valori poi via via cresciuti.
La gestione dei corsi è affidata allo Ial,
l’Istituto di avviamento al lavoro della Cisl. Un contributo alla formazione
dei giovani è dato anche dai rappresentanti sindacali aziendali.
“A volte vado in aula a parlare con i ragazzi raccontando la mia
esperienza di lavoro e suggerendo le modalità di comportamento – racconta Leo
Cortazzo, delegato della Fai Cisl -, poi cerco di stare loro vicino quando sono
in fabbrica, durante l'apprendimento pratico. Qualcuno di noi è sempre con loro
anche nella pausa caffè. Durante il periodo del corso i ragazzi si comportano
generalmente tutti bene, quando poi iniziano ad essere inseriti nel processo
produttivo si manifesta qualche problema in più e hanno bisogno di qualcuno più
anziano che gli stia vicino, perché fanno fatica ad adattarsi. Certo i giovani
sono diversi, hanno altre esigenze rispetto agli adulti, magari alla sera
escono e stanno fuori fino a tardi per cui la mattina dopo arrivano un po' in
ritardo. Devono imparare.
Generalmente – prosegue Cortazzo - i giovani sono accolti bene, tra gli
anziani non c'è la paura che questi arrivino a portare via il loro lavoro
perché finora è sempre stata occupazione aggiuntiva o sostitutiva di persone
che se ne erano andate per loro scelta. Questa azienda ha interesse a tenersi
le persone e a farle crescere perché c'è bisogno”.
Qualche preoccupazione c'è stata il primo anno, quando gli operai non
conoscevano bene le modalità di svolgimento dei corsi e non capivano che
sbocchi avrebbero avuto, qualcuno si lamentava dicendo: “ma come, prendono i
soldi che prendiamo noi che siamo qui da tanto tempo” e così via, ma dato che i
corsi si ripetono ormai da diversi anni, i lavoratori più anziani hanno capito
che non avevano nulla da temere e non c'è più stata alcuna preoccupazione.
Le nuove leve oggi sono inserite con contratto di apprendistato, mentre
in precedenza il primo contratto era a tempo determinato per la durata di un
anno, poi il 90% di loro veniva confermato con contratto definitivo. È capitato
che alcuni non venissero assunti, ma si è trattato di pochi casi in cui i
ragazzi non erano in grado di svolgere il lavoro o di reggere l'attività.
“Certo l'impatto al primo momento non è bello – spiega ancora Cortazzo -,
bisogna abituarsi, perché vedere la bestia viva che poi viene uccisa con uno
sparo non è gradevole, si vede il sangue, ma alla fine ci si abitua, come in
tutti i lavori del resto”.
Non tutti ce la fanno. C'è chi, giunto a metà del corso, lascia perché
non si trova, oppure alcuni giovani dopo un anno di lavoro se ne vanno perché
trovano un altro posto. Quando l'azienda ha iniziato l'attività a Ospedaletto
Lodigiano è partita con personale già professionalizzato, si trattava di circa
cento lavoratori, con età compresa tra i quaranta e i cinquant'anni, e parte di
questi lavoratori è andata in pensione o si sta avvicinando a quel momento.
Inalca è cresciuta continuamente e per i giovani che frequentano i corsi c'è
sempre stato spazio, non hanno semplicemente sostituito i pochi che hanno
lasciato.
Le domande normalmente sono più dei posti disponibili, per cui c'è una
selezione. Nell’autunno 2013 gli iscritti erano quarantadue, quattro si sono
ritirati ma gli altri 38 stanno effettuando il periodo di tirocinio formativo e
a conclusione, a maggio 2014, saranno con ogni probabilità assunti. I ragazzi ricevono
500 euro al mese più la mensa, per cinque o sei ore al giorno di impegno. Sono
seguiti dai tutor e vengono preparati specificatamente per la mansione nella
quale dovranno essere inseriti. Alla fine del corso normalmente vengono tutti
assunti in azienda.
Quello del macellaio è un lavoro dispendioso dal punto di vista fisico,
però chi ha imparato il mestiere ha molte opportunità di occupazione, ad
esempio nei supermercati, nei ristoranti, nelle piccole macellerie, oppure
mettendosi in proprio. Gli addetti al disosso, ad esempio, imparano anche a
sezionare la carne in base ai diversi tagli: roastbeef, filetto, scamone, ecc.
Quindi, se qualcuno non regge alle condizioni ambientali, ha comunque delle
buone possibilità di occupazione. È una professionalità richiesta e un
macellaio, se è bravo, trova sempre lavoro.
In Inalca sono rappresentate tantissime nazionalità, soprattutto
marocchini, molti egiziani, senegalesi, il flusso più recente è di ragazzi
romeni, c'è anche un gruppo di cinesi, ci sono i brasiliani, arrivati quando
nella proprietà del gruppo per un certo periodo c'è stata anche la Jbs, una
società brasiliana. Mancano gli indiani, che sono presenti nella zona e
lavorano in agricoltura occupandosi delle mucche, ma non vengono a lavorare al
macello. “Bisogna però ricordare – tiene a sottolineare Cortazzo - che i
ragazzi, che hanno famiglie immigrate da tutti questi paesi, in realtà sono
italiani perché sono nati, cresciuti e hanno fatto le scuole qui”.
Gli allievi italiani sono pochi, ma negli ultimi anni il numero di
coloro che si iscrivono ai corsi per entrare in azienda è cresciuto. Molto
probabilmente si tratta di una conseguenza della crisi e i giovani ora si
adattano a fare un lavoro che fino a qualche anno fa non volevano più fare.
“C'è anche una scarsa conoscenza di qual è il lavoro in un macello – aggiunge
il nostro interlocutore -, si immagina che sia chissà che cosa, in realtà è
un'attività come un'altra e probabilmente ce ne sono molte peggiori di questa,
dove però gli occupati sono in gran parte italiani. Ci sono parecchie macchine
sulle linee che aiutano il lavoro, non è come un tempo quando la bestia si
doveva portare sulle spalle, oggi il quarto arriva davanti all'operaio in modo
automatico e questi svolge il suo lavoro nella postazione in cui si trova”.
Pantaleo Cortazzo, detto Leo, abita a San Nicolò,
in provincia di Piacenza, e tutte le mattine raggiunge il suo posto di lavoro
nel lodigiano. E’ originario della provincia di Salerno, ma è nato in Germania
perché in quel momento i suoi genitori lavoravano là. 42 anni, ragioniere,
sposato con due figli, uno di tredici anni e uno di otto, una femminuccia e un
maschietto, è entrato nel settore delle carni nel 1995 in un'azienda di
Piacenza e poi, quando l'Inalca ha aperto il nuovo impianto di Ospedaletto, ci
è andato. Lavora a giornata ed è responsabile di un reparto che si occupa di
disosso.
Egli descrive una realtà aziendale dove la crisi
non si è fatta sentire, ma dove i segnali delle difficoltà che vive il mondo
del lavoro si sono manifestati con maggiore evidenza in questo ultimo periodo,
oltre che con l’aumento del numero di giovani italiani che chiedono di
partecipare ai tirocini formativi, anche con la crescita delle richieste di
assunzione da parte di persone che hanno perso il posto.
“Inalca fa parte del gruppo Cremonini, la maggiore società privata in
Europa nella produzione di carni bovine. L'azienda nasce a Modena, la sede
centrale è a Castelvetro, ed è presente in varie parti del mondo con
stabilimenti in Angola, Russia e Polonia. Ne stanno aprendo uno anche in Arabia
Saudita. In Italia ci sono altri impianti a Modena, Rieti e Avellino.
Complessivamente il gruppo impiega oltre 12mila dipendenti.
Il mercato è praticamente tutto il mondo, si lavora molto con l'Europa,
con la Russia e con settori diversi come
supermercati o carne in scatola. Possiede il marchio Montana. Tutti i
ristoranti McDonald in Italia utilizzano la carne proveniente dall'Inalca.
I bovini sono essenzialmente italiani fin dove sono disponibili, perché
questo stabilimento è in grado di macellare mille bestie al giorno e a volte
manca la materia prima. Per il disosso invece arrivano animali già macellati da
paesi esteri: in particolare Polonia, Germania e Francia.
L’intero processo produttivo, che va dalla macellazione al disosso, al
confezionamento, al lavaggio e alla sanificazione, fin dal 1999 era affidato a
tre cooperative. Queste dall’1 settembre 2013 si sono unite in un'unica realtà
con 550 addetti che si chiama ‘Consorzio euro 2000’, mentre in Inalca ci sono circa
110 persone che si occupano degli ordini e dell'amministrazione.
Questo è uno stabilimento che lavora tutti i giorni e la crisi noi non
l'abbiamo sentita. C'è un piccolo calo fisiologico che si ripete tutti gli anni
e che va generalmente da inizio febbraio ad aprile, dovuto essenzialmente alla
carenza di animali da macellare, ma in questo caso raramente si è fatto ricorso
alla cassa integrazione.
Ultimamente in azienda è arrivato anche qualche curriculum di lavoratori
che hanno perso il lavoro altrove e quindi cercano un'occupazione qui. Nello
stabilimento ci sono anche delle donne, circa un centinaio, nel reparto
confezionamento, nel sottovuoto e qualcuna anche nella macellazione. In questo
caso le donne abbattono l'animale sparandogli alla testa, puliscono le
frattaglie, fanno i prelievi del midollo, tutte attività che richiedono meno
forza fisica.
Un aspetto importante del lavoro è la sanificazione degli ambienti e per
questo, promosso dalla Cisl insieme alla direzione, è stato fatto un corso di
formazione per undici ragazzi che al termine del percorso sono stati tutti
inseriti in azienda e ora si occupano della pulizia dei reparti. C'erano già
degli addetti alla pulizia, ma non era mai stata fatta della formazione
specifica per questo tipo di funzione che invece in un'azienda come il macello
è importantissima. L'igiene è al primo posto, vanno seguite precise procedure
di pulizia e servono persone preparate.
C'è un controllo anche sul benessere delle bestie, le mucche non devono
soffrire, vanno scaricate in modo corretto, ci sono delle regole da rispettare
e gli animali non vanno picchiati. Le mucche si rendono conto che sono
destinate alla morte e ancora prima di superare i cancelli dell'azienda si
agitano, anche per questo quando arrivano con i camion devono essere fatte
scendere e portate immediatamente alla macellazione. L'intero processo dura 50
minuti”.
Cortazzo si è impegnato nel sindacato della Cisl fin dal primo giorno,
quando l'azienda ha aperto ed è stato assunto. Con altri suoi colleghi si è immediatamente
attivato, hanno fatto tutto il percorso fino ad arrivare alla prima elezione
delle rappresentanze sindacali, partecipando anche ad alcuni corsi di
formazione sindacale fuori dallo stabilimento.
“Nella nostra azienda si applica il contratto nazionale del settore
della trasformazione alimentare e non ci sono differenze tra i dipendenti della
cooperativa e gli altri lavoratori – spiega -. Uno dei principali problemi di
cui ci dobbiamo occupare è la sicurezza sul lavoro. La preoccupazione maggiore è
il microclima perché si lavora al freddo, poi ci sono i coltelli, le seghe
elettriche, i muletti. C'è un bell'impegno e siamo sempre sul chi va là, però
facciamo molti corsi di formazione, mediamente una volta ogni due mesi vengono
riprese e ricordate le precauzioni che si devono seguire per la propria
incolumità. Il responsabile della sicurezza è tutto il giorno nei reparti a
controllare che i lavoratori seguano le norme, ma devo dire che da parte loro
c'è sempre molta attenzione. Nonostante le situazioni di rischio, infatti,
fortunatamente gli infortuni non sono stati molti.
Nel mio impegno sindacale ho un buon rapporto con i lavoratori, noi
cerchiamo sempre di coinvolgerli e di affiancarli per ogni loro problema,
facciamo sindacato attraverso il rapporto diretto con le persone, ogni volta
che c’è qualcosa che non va se ne parla insieme. Io mi attivo verificando la
situazione e quindi ne discuto con i responsabili e, se necessario, si va
avanti nella procedura puntando sempre a risolvere le questioni. Ovviamente
questo è un impegno di tutti i delegati non solo mio, cerchiamo sempre di
gestire insieme tutti i problemi che si presentano. La maggioranza degli
iscritti è della Cisl, ma lavoriamo bene anche con i nostri colleghi della Cgil
e non ci sono mai state tensioni particolari per questioni interne”.
Un modo di intendere il fare sindacato che non vive di ideologia e
conflittualità, ma sa spendersi per assicurare lavoro e tutele sempre più
raffinate, attente ai bisogni dei lavoratori e alle necessità dell’impresa.
“Abbiamo tentato di istituire un premio di produzione per obiettivi
legato alle quantità di animali macellati e alla presenza – racconta ancora il
delegato Fai -, ma anche in accordo con il nostro operatore ci siamo resi conto
che non era possibile introdurlo perché mentre al disosso si lavora su due
turni, alla macellazione a volte manca il lavoro a causa delle ripetute carenze
di materia prima, per cui abbiamo ripiegato su un premio uguale per tutti in
buoni benzina del valore di 250 euro ciascuno.
Ci sono alcuni reparti particolarmente difficili, come ad esempio quello
della trippa, dove si aprono le pance delle bestie. È un lavoro pesante e tra
l'altro non c'è rotazione, quando un lavoratore viene assunto per quel reparto
rischia di rimanerci per sempre. Stiamo parlando di 20, 25 persone in tutto.
Per compensare in qualche modo questo lavoro circa due anni fa abbiamo chiesto
e ottenuto per tutti loro un passaggio di categoria con un aumento di
stipendio. In questo caso è stata fatta una piccola contrattazione aziendale.
Le nuove leve entrano in azienda con un grado di cultura già abbastanza
buono, inizialmente si dedicano essenzialmente al lavoro e non sono molti
coloro che si iscrivono al sindacato, ma credo che sia così perché sono ancora
piccoli. Da noi non ci sono mai stati scioperi aziendali, abbiamo sempre fatto
quelli per il rinnovo del contratto nazionale, che però nel settore alimentare
sono pochi.
Purtroppo non abbiamo alcun rapporto sindacale con i lavoratori delle
aziende estere, e neppure con le aziende italiane del gruppo”.
Nella gestione della cooperativa sono presenti anche dei rappresentanti
della Cisl, ma questo sembra non creare problemi con i delegati. “Ognuno cerca
di rispettare il ruolo dell'altro, ma c'è un buon affiatamento e così andiamo
avanti bene, perché se ci fossero dei conflitti questa cosa non andrebbe bene
per nessuno, né per chi li propone né per chi deve risolverli”.
Per il futuro Leo Cortazzo è ottimista. “Siamo molto fiduciosi perché
dal 1999 ad oggi si sono fatti grandi passi, l'azienda è cresciuta bene e molto
velocemente e si presuppone che per altri dieci anni faccia lo stesso”.