martedì 2 giugno 2020

AURELIO CORNEO - Autobianchi - Desio (Mb)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “I motori di Milano. Tute blu per il secolo veloce”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2013 

Sono nato il 6 dicembre 1937, a Seregno, da genitori e nonni brianzoli.
Ho studiato fino alla terza media. Ho incominciato a lavorare a 10 anni come falegname, a 12 sono andato a lavorare come meccanico in un'officina di automobili dove sono rimasto fino a vent'anni, poi ho fatto due anni di militare. Anche in caserma ho lavorato in officina. Quando mi sono congedato ho scelto l'Autobianchi perché a lavorare in officina non si guadagnava molto mentre in Autobianchi pagavano di più. Era un posto di lavoro sicuro e la paga arrivava regolarmente tutti i mesi. Sono entrato in Autobianchi nel 1962 a inizio anno, subito dopo la fine della naia.

Ho fatto domanda di poter fare il mio lavoro di meccanico e sono stato assunto come operaio. Prima di entrare in Autobianchi avevo fatto una prova per essere assunto all'Alfa Romeo al Portello, a Milano, sui motori. All'Alfa mi hanno detto che mi avrebbero assunto perché la prova era andata bene. Però non ci sono andato e ho scelto l'Autobianchi, dove mi hanno messo in produzione, sulla catena di montaggio.

Dopo circa un anno che ero in Autobianchi mi sono ammalato in un modo abbastanza grave e sono stato a casa a lungo in convalescenza. Quando sono tornato dalla malattia ho conosciuto mia moglie. Anche lei lavorava in Autobianchi e anche lei era stata malata, al rientro in fabbrica ci siamo ritrovati in ufficio insieme e siamo stati messi a lavorare nello stesso reparto. Da lì è nato il nostro rapporto e poi il matrimonio. Io mi chiamo Corneo e mia moglie Corno, anche questo è un bel caso della vita. Siamo andati ad abitare vicino alla fabbrica.

Siccome la malattia era stata una cosa seria, sono stato tolto dalla catena di montaggio e sono stato inserito in un reparto dove si producevano gli impianti elettrici da installare sulle vetture. Avevamo una grande maschera come fosse l'automobile, su quella preparavamo i cavi che poi venivano montati sulle macchine. Ho lavorato prevalentemente in quel reparto, anche se qualche volta, quando c'era bisogno, mi hanno spostato in altri reparti oppure sulla linea di montaggio. Sono rimasto in quel posto per 19 anni, poi sono uscito in aspettativa sindacale come responsabile della Cisl di Desio e Brianza e ho fatto il rappresentante della Cisl per circa un anno come operatore di zona della Fim.

Erano gli anni di piombo e fu un periodo difficile, anche nel sindacato, e ne ho passate di tutti i colori, anche nella Cisl. Una volta sono stato minacciato direttamente fuori dalla fabbrica: “se non fai questo sei rovinato”. Io ho pensato alla famiglia, ne ho parlato con mia moglie, con i miei amici e ho deciso di rientrare in fabbrica.

Molti operatori sindacali di allora avevano il brutto vezzo di gridare sempre nelle assemblee, qualcuno minacciava di lasciare e di tornare in fabbrica, ma non ho mai visto nessuno farlo. Io sono tornato in Autobianchi e ho fatto una battaglia nei confronti delle persone che avevano atteggiamenti aggressivi, ma da allora ho tolto il mio numero di telefono dalla guida telefonica.

Al rientro sono stato reinserito nel mio reparto. Era un ambiente prevalentemente femminile. Negli anni il reparto si era trasformato e oltre ai cavi c'era anche la selleria. Io lavoravo un po' sui cavi un po' alla selleria e un po' anche agli impianti frenanti, perché ora si assemblavano anche quelli. Sono rimasto in quel posto fino a quando mi mi hanno fatto andare in pensione nel 1988. Un giorno mi hanno chiamato in direzione e mi hanno detto che dovevo rimanere a casa. Nel frattempo avevo maturato i 37 anni di anzianità. Avrei voluto arrivare a 40, ma mi hanno costretto a lasciare. Sono uscito senza nessuna buonuscita, mentre alcuni sono arrivati anche a 50milioni di lire. Non ho mai fatto carriera e sono sempre rimasto operaio.

Quando sono stato assunto riuscire ad entrare in Autobianchi da queste parti era visto come un fatto molto positivo. Era il periodo dell'immigrazione, arrivavano per lo più veneti e meridionali, a Desio come a Torino. Siamo sempre andati d'accordo e non ci sono mai stati problemi con questi nuovi venuti. Nel 1962, al mio ingresso, in Autobianchi ci lavoravano circa 1200 persone. In quel momento c'erano solamente la catena di montaggio e la verniciatura, le scocche grezze arrivavano dalla Om di Brescia. Successivamente l'Autobianchi allestì anche la lastratura, la fabbrica si è ampliata e sono state assunte nuove persone. Dopo dieci, dodici anni i dipendenti erano più di cinquemila.
Il clima tra di noi lavoratori era buono, ma ben presto sorsero dei contrasti di tipo sindacale politico.

Quando ho cominciato a lavorare non conoscevo il sindacato, però entrando in Autobianchi ho pensato oltre che a lavorare anche a come aiutare gli altri. Del resto cosa devono fare i cristiani? Sono cresciuto negli oratori e ho maturato un senso di servizio che ho trasferito sul lavoro. Appena arrivato in fabbrica sono stato avvicinato da alcuni rappresentanti della Cisl. Emilio Mariani, un impiegato che faceva parte della commissione interna, è venuto da me e mi ha proposto di impegnarmi nel sindacato perché in Autobianchi erano pochi i cattolici disponibili. Al momento della mia assunzione nel sindacato era predominante la Fiom. Non so come mi abbiano individuato e perché sono venuti da me. Io, tra l'altro, frequentava l'oratorio di Seregno dove abitavo e non quello di Desio. Mariani, che abita ancora a Desio ed era componente di commissione interna, mi ha detto che non aveva più voglia di fare il sindacalista e mi ha chiesto di farlo al suo posto. Lui poi si è tolto da tutto. Io per un po' mi sono interrogato se dovevo farlo o meno, ma allora in fabbrica non c'era altro modo per aiutare gli altri e così ho accettato e mi sono candidato per la commissione interna in rappresentanza della Cisl insieme ad altri giovani. I più anziani spingevano perché noi giovani ci impegnassimo. Al momento dell'elezione, però, mi sono trovato da solo. Non avevo alcuna velleità eppure mi hanno votato. Per la Cisl siamo stati eletti in tre, mentre la Cgil ottenne cinque commissari. La Fiom in quel momento aveva circa 300 iscritti. Responsabile esterno della Fim a Desio era Carlo Bramati, in fabbrica gli iscritti erano pochissimi. Abbiamo cominciato a muoverci, staccandoci dalla produzione anche se non avevamo permessi e dopo un paio d’anni siamo riusciti a pareggiare il numero degli iscritti della Fiom. In quel periodo avevamo molta energia e ci impegniamo tantissimo.

Quando i consigli dei delegati hanno sostituito la commissione interna sono stato confermato come delegato. I primi tempi c'erano sia la commissione interna che il consiglio di fabbrica, che era formato dai rappresentanti sindacali e dagli esperti, tutti delegati. Sono stato anche nominato nel coordinamento nazionale della Flm: allora i segretari nazionale dei metalmeccanici erano Carniti, Trentin e Benvenuto. Il nostro referente nazionale in Fim per il settore ha auto era Alberto Gavioli. Io l'ho fatto un po' disperare, eravamo giovani e spingevamo per ottenere risultati sempre più importanti, lui invece doveva fare i conti con l'azienda.

Partecipavo alle riunioni del coordinamento Fiat, ci trovavamo a Torino. Si discuteva soprattutto della contrattazione aziendale. Noi di Desio non contavamo molto nel coordinamento nazionale, anche perché da Torino eravamo visti come gli estremisti. Ci siamo più volte posti il problema di creare un coordinamento del settore auto in Lombardia, ma credo non se ne sia fatto niente e io non ho mai incontrato rappresentanti delle altre fabbriche.
Ho partecipato a numerosi corsi di formazione del sindacato. I primi tempi non  mancavo mai. In un’occasione ho lasciato a casa mia moglie incinta da sola per otto giorni ed è venuta a cercarmi insieme ad un mio cognato, perché per una settimana non mi sono fatto vivo. Eravamo in un paesino del bresciano e non c’era modo di comunicare. Le riunioni le facevamo spesso nelle parrocchie. Sono stato ad incontri a Sirmione, a Loano, ad Ariccia.

All’Autobianchi abbiamo fatto tutte le battaglie degli altri stabilimenti del gruppo Fiat, erano solo diverse le forme della protesta. Qui è nato il salto della scocca, certamente siamo stati i primi nel gruppo Fiat. Torino lo sconsigliava, ma noi siamo andati avanti. Ogni due, tre scocche non si lavorava per cui sulla catena andava avanti una scocca non lavorata così il capo era costretto a fermare la linea per toglierla e a ricaricarla all’inizio della catena.

Il rapporto tra Fim e Fiom in fabbrica è sempre stato teso, anche negli anni dell’unità. Oltre a noi e alla Uilm, in Autobianchi c’erano il Fismic e, negli ultimi anni, l’Ugl.
In casa Fim, negli anni settanta, erano entrati operatori di provenienza extraparlamentare. In fabbrica era presente la cellula del Pci, però i gruppi dirigenti di Fiom e Pci erano diversi. Ho sempre avuto l’impressione che in Fiat ci fosse un rapporto preferenziale dell’azienda con la Fiom.

La Cisl mi aveva indicato come rappresentante sindacale all’ufficio di collocamento, mi distaccavo due ore alla settimana e andavo all’ufficio di collocamento dove mi occupavo delle assunzioni in Autobianchi. In quel periodo dalle mie mani sono passate quasi duemila assunzioni, soprattutto donne. Io agivo correttamente e non chiedevo di fare la tessera della Cisl, mentre in fabbrica gli altri si davano da fare per iscriverle. Così io lavoravo e la Fiom cresceva.

Nei periodi caldi a qualche capo mal visto abbiamo fatto il “funerale”. Un gruppo di delegati ed operai andava in corteo sotto la sua casa con una cassa da morto urlando che quello era il suo destino. Una modalità di lotta che ho sempre condannato. Con uno dei capi vittima del funerale qualche anno dopo mi sono scusato, non so cosa avesse fatto per meritare quella manifestazione. So che i suoi familiari erano rimasti turbati. Era un gesto che non  condividevo, però facevo parte del consiglio di fabbrica e in qualche modo me ne sentivo responsabile.
Nonostante l’asprezza delle lotte in fabbrica, però, fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi di presenza del terrorismo.

Ad un certo punto mi sono stancato. Non ero più giovane e cominciavo a vedere le cose in altro modo, probabilmente con maggiore obiettività e con più distacco. Vedevo che alcune azioni sindacali o lotte che si facevano non avevano come obiettivo il miglioramento delle condizioni di lavoro e la promozione umana, ma avevano soprattutto scopi politici se non partitici.
Ricordo un volta che eravamo a Roma con Trentin e si parlava del nuovo polo siderurgico di Gioia Tauro. Qualcuno di noi aveva delle perplessità, lui ci elencava le opportunità di creazione di posti di lavoro e sviluppo al Sud, e noi ci credevamo. Non se ne è fatto nulla.

Negli ultimi anni la Fiom aveva riconquistato la maggioranza e noi avevamo perso iscritti. Io ero in fabbrica, rientrato dall'esperienza esterna come distaccato per la Fim.
Si facevano sempre lotte molto dure mentre la Fiat minacciava continuamente di chiudere gli impianti. Ma che lotte si fanno se sono fini a se stesse, se hanno solo uno scopo politico? Se poi la fabbrica viene chiusa a cosa servono? Con il rischio di avere contro gli stessi operai che ci accusavano di essere la causa dell’abbandono da parte della Fiat.
Pur essendo stato rieletto ancora delegato, ho iniziato a prendere le distanze da quelle lotte. Capitava che un reparto si fermava e nel mio si lavorava. Sono sorte delle inimicizie nei miei confronti da parte degli altri delegati. E sono arrivate anche delle minacce. Così mi sono detto che in qualche modo avevano ragione anche loro, o resto dentro e mi adeguo, oppure esco e faccio altre cose. Sono andato avanti per un po’ di tempo con questo dubbio. Nel frattempo avevo conosciuto un nuovo gruppo di ragazzi che erano entrati in Autobianchi e che facevano riferimento a Comunione e liberazione e ho iniziato a collaborare con loro. Era il 1982, io non sono di Cl, ma insieme abbiamo organizzato questo gruppo e, pur facendo gli scioperi, abbiamo iniziato a distinguerci sulle parole d’ordine, costruendo nuovamente una buona presenza di delegati Fim. Erano giovani con i loro ideali che difendevano con convinzione, cercando non solo di contrastare ma anche di costruire, e questo ci ha portato a scontrarci con chi la pensava in modo diverso e siamo anche rischiato di essere presi a botte, ma fortunatamente non è successo niente di grave. E’ capitato che qualcuno mi mettesse le mani addosso, ma io non ho reagito e tutto è finito lì. La nostra azione sindacale evidentemente dava fastidio alle altre organizzazioni.

L’ultima azione che ho fatto riguarda la promozione della donna. Pur essendo in un reparto a stragrande maggioranza di donne, io mi comportavo correttamente nei loro confronti, mentre capitava di tutto, dagli operai ai capi. Mentre su molte macchine erano esposte foto di donne nude, io come forma di protesta ho esposto un’immagine dalla madonna di Medjugorje. Qualcuno ha cominciato a lamentarsi, il mio capo mi disse che dovevo toglierla, al che ho risposto che l’avrei tolta quando lui avrebbe fatto togliere tute le foto delle donnine nude. Dopo vari richiami, sono stato convocato in direzione dove mi hanno intimato di togliere l’immagine della madonna. Ho risposto che piuttosto che toglierla mi sarei licenziato. Non ho avuto risposta, ma quando sono tornato in reparto il capo l’aveva tolta: mi avevano fatto andare in direzione per poterla togliere in mia assenza. Quella mia azione non è piaciuta, tant’è vero che poco dopo mi è arrivata una lettera dal sindacato che mi diceva che non avevo più diritto alle ore di permesso come ex membro di commissione interna.

Nell’ultimo periodo della mia presenza in Autobianchi, probabilmente il sindacato aveva già accettato la chiusura dello stabilimento di Desio a favore di Termini Imerese. Già alcuni pezzi delle nostre produzioni andavano in Sicilia. Il sindacato usufruiva ancora dei permessi anche per la commissione interna, oltre a quelli per i delegati. Erano circa tremila ore all’anno. Io utilizzavo quei permessi, che erano personali, legati agli ultimi eletti in commissione. Utilizzando quelle ore ho cominciato ad organizzare delle forme di resistenza alla chiusura. Con il gruppo dei giovani della Fim e con l’aiuto della Pastorale del lavoro abbiamo raccolto circa cinquemila firme di cittadini a difesa dello stabilimento e le abbiamo mandate la cardinal Martini, che era già intervenuto a nostro favore. Nell’autunno del 1984 abbiamo fatto fare anche un’interrogazione parlamentare dall’onorevole Alberto Garocchio della Dc sulle prospettive occupazionali e produttive dell'Autobianchi e sull'iter del piano di ristrutturazione dell'azienda presentato dalla Fiat al Cipi. Siamo andati a Milano, abbiamo parlato con lui e lui ha fatto l’interrogazione. Negli ultimi cinque anni di lavoro in Autobianchi non ero più rappresentante sindacale.

Durante la mia attività sindacale ho sempre fatto riferimento agli insegnamenti del cristianesimo e alla solidarietà. Quando c’erano gli scioperi nazionali io chiedevo che mi fossero fatte le trattenuto sullo stipendio anche quando ero fuori come distaccato.
Quando si è cominciato a parlare prima di divorzio e poi di aborto e il sindacato ha sostenuto le posizioni favorevoli io non ero d’accordo.
Il venerdì Santo c’era l’abitudine di fermare alcuni minuti la produzione, noi avevamo chiesto insistentemente di poter celebrare la messa, ma la Fiat non voleva.

Ho lasciato la fabbrica nell'88. Dopo la mia uscita l'Autobianchi è sopravvissuta ancora per circa cinque anni. Ha chiuso nel ‘92.

Sono Cavaliere della Repubblica, nominato il 2 giugno 1997. Un giorno sono stato convocato dai carabinieri e io mi sono preoccupato. Poi, in caserma, quando ho capito di cosa si trattava al maresciallo ho detto che se c’erano tasse da pagare, io non ero interessato a nessun titolo, ma lui mi ha tranquillizzato: “Non si prende niente, ma non si paga niente” e mi ha consegnato la nomina. Presidente era Oscar Luigi Scalfaro.