Sono nato il 6 dicembre 1937, a Seregno, da genitori e nonni brianzoli.
Ho studiato fino
alla terza media. Ho incominciato a lavorare a 10 anni come falegname, a 12
sono andato a lavorare come meccanico in un'officina di automobili dove sono
rimasto fino a vent'anni, poi ho fatto due anni di militare. Anche in caserma
ho lavorato in officina. Quando mi sono congedato ho scelto l'Autobianchi
perché a lavorare in officina non si guadagnava molto mentre in Autobianchi
pagavano di più. Era un posto di lavoro sicuro e la paga arrivava regolarmente
tutti i mesi. Sono entrato in Autobianchi nel 1962 a inizio anno, subito dopo
la fine della naia.
Ho fatto domanda
di poter fare il mio lavoro di meccanico e sono stato assunto come operaio.
Prima di entrare in Autobianchi avevo fatto una prova per essere assunto
all'Alfa Romeo al Portello, a Milano, sui motori. All'Alfa mi hanno detto che
mi avrebbero assunto perché la prova era andata bene. Però non ci sono andato e
ho scelto l'Autobianchi, dove mi hanno messo in produzione, sulla catena di
montaggio.
Dopo circa un
anno che ero in Autobianchi mi sono ammalato in un modo abbastanza grave e sono
stato a casa a lungo in convalescenza. Quando sono tornato dalla malattia ho
conosciuto mia moglie. Anche lei lavorava in Autobianchi e anche lei era stata
malata, al rientro in fabbrica ci siamo ritrovati in ufficio insieme e siamo
stati messi a lavorare nello stesso reparto. Da lì è nato il nostro rapporto e
poi il matrimonio. Io mi chiamo Corneo e mia moglie Corno, anche questo è un
bel caso della vita. Siamo andati ad abitare vicino alla fabbrica.
Siccome la
malattia era stata una cosa seria, sono stato tolto dalla catena di montaggio e
sono stato inserito in un reparto dove si producevano gli impianti elettrici da
installare sulle vetture. Avevamo una grande maschera come fosse l'automobile,
su quella preparavamo i cavi che poi venivano montati sulle macchine. Ho
lavorato prevalentemente in quel reparto, anche se qualche volta, quando c'era
bisogno, mi hanno spostato in altri reparti oppure sulla linea di montaggio.
Sono rimasto in quel posto per 19 anni, poi sono uscito in aspettativa
sindacale come responsabile della Cisl di Desio e Brianza e ho fatto il
rappresentante della Cisl per circa un anno come operatore di zona della Fim.
Erano gli anni
di piombo e fu un periodo difficile, anche nel sindacato, e ne ho passate di
tutti i colori, anche nella Cisl. Una volta sono stato minacciato direttamente
fuori dalla fabbrica: “se non fai questo sei rovinato”. Io ho pensato alla
famiglia, ne ho parlato con mia moglie, con i miei amici e ho deciso di
rientrare in fabbrica.
Molti operatori
sindacali di allora avevano il brutto vezzo di gridare sempre nelle assemblee,
qualcuno minacciava di lasciare e di tornare in fabbrica, ma non ho mai visto
nessuno farlo. Io sono tornato in Autobianchi e ho fatto una battaglia nei
confronti delle persone che avevano atteggiamenti aggressivi, ma da allora ho
tolto il mio numero di telefono dalla guida telefonica.
Al rientro sono
stato reinserito nel mio reparto. Era un ambiente prevalentemente femminile.
Negli anni il reparto si era trasformato e oltre ai cavi c'era anche la
selleria. Io lavoravo un po' sui cavi un po' alla selleria e un po' anche agli
impianti frenanti, perché ora si assemblavano anche quelli. Sono rimasto in quel
posto fino a quando mi mi hanno fatto andare in pensione nel 1988. Un giorno mi hanno chiamato in direzione e mi
hanno detto che dovevo rimanere a casa. Nel frattempo avevo maturato i 37 anni
di anzianità. Avrei voluto arrivare a 40, ma mi hanno costretto a lasciare.
Sono uscito senza nessuna buonuscita, mentre alcuni sono arrivati anche a
50milioni di lire. Non ho mai fatto carriera e sono sempre
rimasto operaio.
Quando sono
stato assunto riuscire ad entrare in Autobianchi da queste parti era visto come
un fatto molto positivo. Era il periodo dell'immigrazione, arrivavano per lo
più veneti e meridionali, a Desio come a Torino. Siamo sempre andati d'accordo
e non ci sono mai stati problemi con questi nuovi venuti. Nel 1962, al mio
ingresso, in Autobianchi ci lavoravano circa 1200 persone. In quel momento
c'erano solamente la catena di montaggio e la verniciatura, le scocche grezze
arrivavano dalla Om di Brescia. Successivamente l'Autobianchi allestì anche la
lastratura, la fabbrica si è ampliata e sono state assunte nuove persone. Dopo
dieci, dodici anni i dipendenti erano più di cinquemila.
Il clima tra di
noi lavoratori era buono, ma ben presto sorsero dei contrasti di tipo sindacale
politico.
Quando ho
cominciato a lavorare non conoscevo il sindacato, però entrando in Autobianchi
ho pensato oltre che a lavorare anche a come aiutare gli altri. Del resto cosa
devono fare i cristiani? Sono cresciuto negli oratori e ho maturato un senso di
servizio che ho trasferito sul lavoro. Appena arrivato in fabbrica sono stato
avvicinato da alcuni rappresentanti della Cisl. Emilio Mariani, un impiegato
che faceva parte della commissione interna, è venuto da me e mi ha proposto di
impegnarmi nel sindacato perché in Autobianchi erano pochi i cattolici
disponibili. Al momento della mia assunzione nel sindacato era predominante la
Fiom. Non so come mi abbiano individuato e perché sono venuti da me. Io, tra
l'altro, frequentava l'oratorio di Seregno dove abitavo e non quello di Desio.
Mariani, che abita ancora a Desio ed era componente di commissione interna, mi
ha detto che non aveva più voglia di fare il sindacalista e mi ha chiesto di
farlo al suo posto. Lui poi si è tolto da tutto. Io per un po' mi sono
interrogato se dovevo farlo o meno, ma allora in fabbrica non c'era altro modo
per aiutare gli altri e così ho accettato e mi sono candidato per la
commissione interna in rappresentanza della Cisl insieme ad altri giovani. I
più anziani spingevano perché noi giovani ci impegnassimo. Al momento
dell'elezione, però, mi sono trovato da solo. Non avevo alcuna velleità eppure
mi hanno votato. Per la Cisl siamo stati eletti in tre, mentre la Cgil ottenne
cinque commissari. La Fiom in quel momento aveva circa 300 iscritti.
Responsabile esterno della Fim a Desio era Carlo Bramati, in fabbrica gli
iscritti erano pochissimi. Abbiamo cominciato a muoverci, staccandoci dalla
produzione anche se non avevamo permessi e dopo un paio d’anni siamo riusciti a
pareggiare il numero degli iscritti della Fiom. In quel periodo avevamo molta
energia e ci impegniamo tantissimo.
Quando i
consigli dei delegati hanno sostituito la commissione interna sono stato
confermato come delegato. I primi tempi c'erano sia la commissione interna che
il consiglio di fabbrica, che era formato dai rappresentanti sindacali e dagli
esperti, tutti delegati. Sono stato anche nominato nel coordinamento nazionale
della Flm: allora i segretari nazionale dei metalmeccanici erano Carniti,
Trentin e Benvenuto. Il nostro referente nazionale in Fim per il settore ha
auto era Alberto Gavioli. Io l'ho fatto un po' disperare, eravamo giovani e
spingevamo per ottenere risultati sempre più importanti, lui invece doveva fare
i conti con l'azienda.
Partecipavo alle riunioni del
coordinamento Fiat, ci trovavamo a Torino. Si discuteva soprattutto della
contrattazione aziendale. Noi di Desio non contavamo molto nel coordinamento
nazionale, anche perché da Torino eravamo visti come gli estremisti. Ci siamo
più volte posti il problema di creare un coordinamento del settore auto in
Lombardia, ma credo non se ne sia fatto niente e io non ho mai incontrato
rappresentanti delle altre fabbriche.
Ho partecipato a numerosi corsi di
formazione del sindacato. I primi tempi non
mancavo mai. In un’occasione ho lasciato a casa mia moglie incinta da
sola per otto giorni ed è venuta a cercarmi insieme ad un mio cognato, perché
per una settimana non mi sono fatto vivo. Eravamo in un paesino del bresciano e
non c’era modo di comunicare. Le riunioni le facevamo spesso nelle parrocchie.
Sono stato ad incontri a Sirmione, a Loano, ad Ariccia.
All’Autobianchi
abbiamo fatto tutte le battaglie degli altri stabilimenti del gruppo Fiat,
erano solo diverse le forme della protesta. Qui è nato il salto della scocca,
certamente siamo stati i primi nel gruppo Fiat. Torino lo sconsigliava, ma noi
siamo andati avanti. Ogni due, tre scocche non si lavorava per cui sulla catena
andava avanti una scocca non lavorata così il capo era costretto a fermare la
linea per toglierla e a ricaricarla all’inizio della catena.
Il rapporto tra
Fim e Fiom in fabbrica è sempre stato teso, anche negli anni dell’unità. Oltre
a noi e alla Uilm, in Autobianchi c’erano il Fismic e, negli ultimi anni,
l’Ugl.
In casa Fim,
negli anni settanta, erano entrati operatori di provenienza extraparlamentare.
In fabbrica era presente la cellula del Pci, però i gruppi dirigenti di Fiom e
Pci erano diversi. Ho sempre avuto l’impressione che in Fiat ci fosse un
rapporto preferenziale dell’azienda con la Fiom.
La Cisl mi aveva
indicato come rappresentante sindacale all’ufficio di collocamento, mi
distaccavo due ore alla settimana e andavo all’ufficio di collocamento dove mi
occupavo delle assunzioni in Autobianchi. In quel periodo dalle mie mani sono
passate quasi duemila assunzioni, soprattutto donne. Io agivo correttamente e
non chiedevo di fare la tessera della Cisl, mentre in fabbrica gli altri si
davano da fare per iscriverle. Così io lavoravo e la Fiom cresceva.
Nei periodi caldi a qualche capo mal
visto abbiamo fatto il “funerale”. Un gruppo di delegati ed operai andava in
corteo sotto la sua casa con una cassa da morto urlando che quello era il suo
destino. Una modalità di lotta che ho sempre condannato. Con uno dei capi
vittima del funerale qualche anno dopo mi sono scusato, non so cosa avesse
fatto per meritare quella manifestazione. So che i suoi familiari erano rimasti
turbati. Era un gesto che non
condividevo, però facevo parte del consiglio di fabbrica e in qualche
modo me ne sentivo responsabile.
Nonostante l’asprezza delle lotte in
fabbrica, però, fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi di presenza del
terrorismo.
Ad un certo
punto mi sono stancato. Non ero più giovane e cominciavo a vedere le cose in
altro modo, probabilmente con maggiore obiettività e con più distacco. Vedevo
che alcune azioni sindacali o lotte che si facevano non avevano come obiettivo
il miglioramento delle condizioni di lavoro e la promozione umana, ma avevano
soprattutto scopi politici se non partitici.
Ricordo un volta
che eravamo a Roma con Trentin e si parlava del nuovo polo siderurgico di Gioia
Tauro. Qualcuno di noi aveva delle perplessità, lui ci elencava le opportunità
di creazione di posti di lavoro e sviluppo al Sud, e noi ci credevamo. Non se
ne è fatto nulla.
Negli ultimi
anni la Fiom aveva riconquistato la maggioranza e noi avevamo perso iscritti.
Io ero in fabbrica, rientrato dall'esperienza esterna come distaccato per la
Fim.
Si facevano
sempre lotte molto dure mentre la Fiat minacciava continuamente di chiudere gli
impianti. Ma che lotte si fanno se sono fini a se stesse, se hanno solo uno
scopo politico? Se poi la fabbrica viene chiusa a cosa servono? Con il rischio
di avere contro gli stessi operai che ci accusavano di essere la causa
dell’abbandono da parte della Fiat.
Pur essendo
stato rieletto ancora delegato, ho iniziato a prendere le distanze da quelle
lotte. Capitava che un reparto si fermava e nel mio si lavorava. Sono sorte
delle inimicizie nei miei confronti da parte degli altri delegati. E sono
arrivate anche delle minacce. Così mi sono detto che in qualche modo avevano
ragione anche loro, o resto dentro e mi adeguo, oppure esco e faccio altre
cose. Sono andato avanti per un po’ di tempo con questo dubbio. Nel frattempo
avevo conosciuto un nuovo gruppo di ragazzi che erano entrati in Autobianchi e
che facevano riferimento a Comunione e liberazione e ho iniziato a collaborare
con loro. Era il 1982, io non sono di Cl, ma insieme abbiamo organizzato questo
gruppo e, pur facendo gli scioperi, abbiamo iniziato a distinguerci sulle
parole d’ordine, costruendo nuovamente una buona presenza di delegati Fim.
Erano giovani con i loro ideali che difendevano con convinzione, cercando non
solo di contrastare ma anche di costruire, e questo ci ha portato a scontrarci
con chi la pensava in modo diverso e siamo anche rischiato di essere presi a
botte, ma fortunatamente non è successo niente di grave. E’ capitato che
qualcuno mi mettesse le mani addosso, ma io non ho reagito e tutto è finito lì.
La nostra azione sindacale evidentemente dava fastidio alle altre organizzazioni.
L’ultima azione
che ho fatto riguarda la promozione della donna. Pur essendo in un reparto a
stragrande maggioranza di donne, io mi comportavo correttamente nei loro
confronti, mentre capitava di tutto, dagli operai ai capi. Mentre su molte
macchine erano esposte foto di donne nude, io come forma di protesta ho esposto
un’immagine dalla madonna di Medjugorje. Qualcuno ha cominciato a lamentarsi,
il mio capo mi disse che dovevo toglierla, al che ho risposto che l’avrei tolta
quando lui avrebbe fatto togliere tute le foto delle donnine nude. Dopo vari
richiami, sono stato convocato in direzione dove mi hanno intimato di togliere
l’immagine della madonna. Ho risposto che piuttosto che toglierla mi sarei
licenziato. Non ho avuto risposta, ma quando sono tornato in reparto il capo
l’aveva tolta: mi avevano fatto andare in direzione per poterla togliere in mia
assenza. Quella mia azione non è piaciuta, tant’è vero che poco dopo mi è
arrivata una lettera dal sindacato che mi diceva che non avevo più diritto alle
ore di permesso come ex membro di commissione interna.
Nell’ultimo
periodo della mia presenza in Autobianchi, probabilmente il sindacato aveva già
accettato la chiusura dello stabilimento di Desio a favore di Termini Imerese.
Già alcuni pezzi delle nostre produzioni andavano in Sicilia. Il sindacato
usufruiva ancora dei permessi anche per la commissione interna, oltre a quelli
per i delegati. Erano circa tremila ore all’anno. Io utilizzavo quei permessi,
che erano personali, legati agli ultimi eletti in commissione. Utilizzando
quelle ore ho cominciato ad organizzare delle forme di resistenza alla
chiusura. Con il gruppo dei giovani della Fim e con l’aiuto della Pastorale del
lavoro abbiamo raccolto circa cinquemila firme di cittadini a difesa dello stabilimento
e le abbiamo mandate la cardinal Martini, che era già intervenuto a nostro
favore. Nell’autunno del 1984 abbiamo fatto fare anche un’interrogazione
parlamentare dall’onorevole Alberto Garocchio della Dc sulle prospettive occupazionali e produttive dell'Autobianchi e sull'iter del piano di
ristrutturazione dell'azienda presentato dalla Fiat al Cipi. Siamo andati a
Milano, abbiamo parlato con lui e lui ha fatto l’interrogazione. Negli ultimi
cinque anni di lavoro in Autobianchi non ero più rappresentante sindacale.
Durante la mia
attività sindacale ho sempre fatto riferimento agli insegnamenti del
cristianesimo e alla solidarietà. Quando c’erano gli scioperi nazionali io
chiedevo che mi fossero fatte le trattenuto sullo stipendio anche quando ero
fuori come distaccato.
Quando si è
cominciato a parlare prima di divorzio e poi di aborto e il sindacato ha
sostenuto le posizioni favorevoli io non ero d’accordo.
Il venerdì Santo
c’era l’abitudine di fermare alcuni minuti la produzione, noi avevamo chiesto
insistentemente di poter celebrare la messa, ma la Fiat non voleva.
Ho lasciato la
fabbrica nell'88. Dopo la mia uscita l'Autobianchi è sopravvissuta ancora per
circa cinque anni. Ha chiuso nel ‘92.
Sono Cavaliere
della Repubblica, nominato il 2 giugno 1997. Un giorno sono stato convocato dai
carabinieri e io mi sono preoccupato. Poi, in caserma, quando ho capito di cosa
si trattava al maresciallo ho detto che se c’erano tasse da pagare, io non ero
interessato a nessun titolo, ma lui mi ha tranquillizzato: “Non si prende
niente, ma non si paga niente” e mi ha consegnato la nomina. Presidente era
Oscar Luigi Scalfaro.