martedì 2 giugno 2020

CLAUDIO CORTESI - Valtellina Spa - Gorle (Bg)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Difendere il futuro dell’azienda
Uno sciopero dove non se ne erano mai fatti. Operai profondamente attaccati al lavoro e alla loro azienda che incrociano le braccia per la prima volta. Una partecipazione come non si era mai vista. Con un unico obiettivo: difendere il futuro dell’azienda e garantire i posti di lavoro. Anche se questo per alcuni comporta una significativa perdita di salario.

La società Valtellina occupa circa mille dipendenti, ma come risultato di successive acquisizioni 400 di questi sono ex edili e 600 metalmeccanici. Il costo del lavoro degli ex edili è maggiore di quello dei metalmeccanici. L’intesa raggiunta parifica tutti i compensi al contratto nazionale dei metalmeccanici, tagliando le buste paga dei lavoratori provenienti dall’edilizia, ma salvando trecento posti di lavoro. I lavoratori capiscono il valore dell’accordo e lo approvano a larga maggioranza con il 75% dei voti, la Fiom non lo firma.
Una vertenza che ha fatto emergere la maturità di un sindacato che sa scegliere tra conflitto, partecipazione e responsabilità, capace di utilizzare i diversi strumenti di cui dispone, ma con l’unico intento di tutelare al meglio i lavoratori e difendere il futuro delle imprese.
Lo sviluppo della vertenza ce lo racconta Claudio Cortesi, delegato prima Filca e poi Fim della Valtellina Spa, azienda oggi metalmeccanica con sede a Gorle, in provincia di Bergamo.
“Sono nato e vivo a Seriate, in provincia di Bergamo, con la famiglia. Ho quasi sessant'anni, ho due figli e la femmina si sposa a luglio di quest’anno. Ho frequentato il liceo classico, poi a 19 anni sono rimasto orfano, ero l'ultimo dei fratelli e sono andato subito a lavorare. Un mio fratello occupato in Telecom conosceva il direttore della Valtellina, mi ha presentato e sono stato assunto. Intanto mi ero iscritto all'università a Giurisprudenza, ma ho dovuto abbandonare perché il lavoro prevedeva anche delle trasferte e non sono più riuscito a continuare gli studi.
Ho iniziato in azienda nel 1973 e dopo un anno e mezzo ho cominciato ad uscire sui cantieri come assistente tecnico, si lavorava fino a sabato pomeriggio. La Valtellina aveva come unico cliente Telecom. Nel 1980 l’azienda dei telefoni ha avuto un po' di problemi e ha allungato tantissimo i tempi di pagamento, allora il titolare ha cercato nuovi clienti e abbiamo iniziato a lavorare per Enel e per le aziende che realizzano acquedotti. Il lavoro mi piaceva perché ero a contatto con le persone, però avevo intenzione di sposarmi, volevo cambiare e migliorare la mia condizione, così mi sono iscritto a un corso di informatica a Bergamo e nel 1981 sono andato a lavorare a Milano, alla Plasmon, nel centro elettronico dell'azienda. Dai cantieri ai biscotti.
Ci sono rimasto fino al 1987, quando sono iniziati dei problemi perché la sezione è stata smantellata, in parte inviando alcuni tecnici nei diversi reparti e in parte esternalizzando dei lavori. Proprio nel momento in cui ho iniziato a guardarmi in giro per cercare altre soluzioni il signor Gianpietro Valtellina mi ha chiamato perché anche loro avevano iniziato a lavorare con il cad. In un primo momento ho detto di no, perché cercavo un'occupazione in un posto più grande, ho fatto domanda in Mondadori a Milano e alla Legler di Ponte San Pietro, per fortuna che non ci sono andato visto come è andata a finire. Alla fine ho accettato la proposta della mia vecchia azienda e nell'agosto del 1987 sono tornato alla Valtellina dove abbiamo installato un nuovo servizio cartografico, con un gruppo di giovani, con l'obiettivo di informatizzare tutte le cartografie per Telecom. Si lavorava su due turni con una decina di ragazzi, perché di lavoro ce n'era tantissimo. Sono rimasto in quel settore per sette anni fino a che nel 1994 sono passato nell'area informatica dove sono occupato anche oggi.
Ho iniziato a partecipare alle attività sindacali alla Plasmon, dove si facevano delle manifestazioni e mi sono anche iscritto, ma senza particolare impegno. Dal ritorno in Valtellina invece ho cominciato ad occuparmi più assiduamente delle vicende sindacali, anche se sono stato scelto come delegato solo nel 2004, perché fino ad allora c'era una persona che aveva sempre svolto questo compito. La nostra categoria era la Filca, quella degli edili, e sono sempre stato iscritto.
La ditta non è molto sindacalizzata, è una classica azienda padronale con tutto il bene e il male che questo comporta, ma direi soprattutto bene, perché avere una persona con cui confrontarsi direttamente non può che essere positivo. Prima di diventare delegato in alcune occasioni ho affiancato chi mi ha preceduto, ho partecipato a qualche congresso, ma poco altro. In sede esiste un solo delegato e quindi devo fare tutto da solo, poi ce n'è uno a Pavia, che è una sede distaccata, e tre a Napoli. Con Pavia c'è collaborazione, ma con Napoli no. Come Cisl contiamo circa cento iscritti, ci sono anche alcuni iscritti Cgil, ma non hanno nessun referente. Io mi sono rapportato anche con gli operatori della Cgil che addirittura mi hanno chiesto se non trovavo qualcuno disposto a fare il delegato per loro. Qui il sindacato non è ben visto e i lavoratori evitano di essere identificati con Fim o Fiom. Quando negli anni scorsi sono nati i fondi per la pensione complementare e abbiamo trasferito parte del nostro Tfr il titolare diceva che quei soldi erano suoi e noi glieli portavamo via.
L'azienda è nata come impresa edile, quando nell'87 sono stati assunti i ragazzi per il cad gli è stato addirittura applicato il contratto del commercio, ma in quell'occasione io mi sono battuto e alla fine sono riuscito a riportarli all'interno del contratto edile.
Inizialmente la Valtellina operava in Lombardia e in Piemonte, poi ha acquisito un'azienda a Rimini, in Emilia-Romagna, che aveva il contratto dei metalmeccanici, e nel 2001 ha preso il controllo di un'altra azienda di Napoli, anch'essa con il contratto dei metalmeccanici. Anche questa lavorava per Telecom e aveva una presenza anche a Parma e Modena, oltre che in Campania e in Puglia. Per alcuni anni in azienda abbiamo avuto due contratti: quello degli edili e quello dei metalmeccanici.
I dipendenti sono quasi un migliaio. In Lombardia, oltre alla sede di Gorle, abbiamo cantieri a Brescia, Mantova, Milano e Pavia. Complessivamente gli occupati nella nostra regione sono quasi cinquecento, il resto è distribuito nelle varie sedi in Italia. Anche in questi anni di crisi non abbiamo praticamente mai fatto cassa integrazione e non c'è stata nessuna riduzione di manodopera.
L'azienda è cresciuta sotto la pressione di Telecom, che ad un certo punto ha chiesto che ci fosse una aggregazione tra i suoi fornitori, ma allo stesso tempo che fossero attivi cantieri in più regioni d'Italia. Ecco perché abbiamo una presenza in regioni diverse: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Campania e Puglia. Attualmente la Valtellina è assai diversificata, oltre che per Telecom si lavora molto per la posa degli impianti a fibra ottica per più aziende, per gli acquedotti e per Enel. Si è aperta anche una attività nuova nell’ambito delle energie rinnovabili e in azienda ci sono due automobili elettriche con le centraline per la ricarica.
Oggi la forza della ditta è proprio quella della diversificazione, anche se Telecom rappresenta ancora circa il 55% dell'attività. Da qualche anno l'azienda si è internazionalizzata, ha iniziato con la Romania, con una impresa che lavora con Telecom Romania, il responsabile è un italiano della nostra direzione, ma il personale è tutto romeno. Poi la presenza all'estero si è allargata all'America Latina, a partire dall'Argentina. Anche lì si è iniziato a lavorare per la Telecom locale, presentati dalla Telecom italiana, poi è seguito il Brasile e quindi il Costa Rica.
Nel 2012 i bilanci sono stati positivi e anche all'inizio del 2013 il titolare confermava il buon andamento dell'attività, prevedendo un'annata positiva che di fatto avrebbe visto un ulteriore aumento del bilancio. Allo stesso tempo, però, è iniziata ad emergere la necessità di ridurre i costi, soprattutto a causa della necessità di partecipare a un numero sempre maggiore di gare d'appalto che si combattono sul filo del prezzo, dove il costo maggiore è dato dalla manodopera, perché la Valtellina è un'azienda di servizio e non mette in campo grandi mezzi, ma persone e competenze.
Già nel 2011 era stato chiesto agli edili di passare al contratto dei metalmeccanici, dato che quello dei metalmeccanici è meno costoso e poi in questo modo si semplificava tutta l'amministrazione. Per gli impiegati la differenza era di circa il 30% in meno mentre per gli operai era tra il 20 e il 25%, capitava anche che due persone che facevano lo stesso lavoro nello stesso ufficio avessero stipendi molto diversi tra di loro. A chi come me proveniva dal settore edile venne assicurato che sarebbero state mantenute le paghe in essere e così nel novembre di quell'anno siamo diventati tutti metalmeccanici, ma sulla nostra busta paga è stata creata una voce ‘indennità ex edile’ che manteneva quello che era il vantaggio del precedente contratto.
Al momento del cambio di contratto alcune aziende edili della zona hanno protestato perché per loro i costi della manodopera rimanevano più alti, ma in realtà ormai quel tipo di attività in Valtellina si è ridotta tantissimo. Ci sono stati discussioni anche tra le associazioni imprenditoriali e un po' di maretta all'interno di Confindustria, perché gli iscritti alla Cassa edile della Valtellina erano parecchi e questo ha creato problemi con il passaggio a Federmeccanica, mentre la Cassa edile perdeva i contributi di oltre trecento persone. Per dirimere la questione ci fu anche un incontro con la partecipazione dei rappresentanti nazionali delle associazioni padronali e delle organizzazioni sindacali.
Nonostante il cambio di contratto il nostro costo del personale incideva comunque sempre di più rispetto a quello della concorrenza, rendendo complicato vincere le gare. Il mercato è diventato più difficile ed esigente. A quel punto, in vista della scadenza del contratto aziendale del 2011, che aveva valenza due anni e che anch'io avevo firmato, l'azienda ha approfittato dell'occasione per chiedere una revisione dell'accordo. Le pretese dall'azienda inizialmente erano decisamente eccessive, l'obiettivo dichiarato era di risparmiare due milioni di costo del lavoro, ma attraverso il confronto e l'azione sindacale siamo arrivati a una nuova rimodulazione dei salari che è partita dal gennaio 2014 e con la quale noi, come ex edili, abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa dei nostri salari e stipendi. Questo in cambio della garanzia del posto di lavoro.
Abbiamo fatto delle assemblee in una sala parrocchiale pagata dall'azienda. Con gli impiegati abbiamo fatto un incontro apposito, perché gli impiegati sono coloro che hanno dovuto rinunciare di più rispetto al loro stipendio. Ma ci siamo trovati all'uscita, dopo le sei di sera. Nell'assemblea generale è stato deciso lo sciopero, qualcuno voleva fermarsi per otto ore, poi è stato deciso di farne inizialmente solo quattro e la proposta è stata accettata. Non volevamo esagerare, perché lo sciopero è costato certamente alla Valtellina, ma è costato soprattutto agli operai, non tanto in termini economici, quanto sul piano umano a causa dell'attaccamento all'azienda che caratterizza queste persone.
Durante le trattative ci è stato detto che se non avessimo abbassato il costo del lavoro l'azienda rischiava di perdere le gare di appalto e quindi avrebbe dovuto mettere in mobilità trecento lavoratori. Era anche una forma di pressione, però noi non l'abbiamo interpretata come un ricatto, il problema è reale, una situazione confermata anche dalle persone che lavorano nei settori impegnati per le gare. Il problema è finito sui giornali e noi siamo riusciti per la prima volta ad organizzare uno sciopero cui hanno partecipato oltre duecento persone. Davanti ai cancelli operai c'erano che lavorano qui da quarant'anni, il classico bergamasco attaccato al lavoro e alla sua azienda, che non aveva mai scioperato prima. La buona riuscita dello sciopero ci ha aiutato molto a respingere le richieste di tagli eccessivi e ci ha portato a fare un accordo che abbiamo considerato accettabile perché ha difeso i posti di lavoro. Bisogna considerare che normalmente quando facciamo le assemblee in fabbrica non partecipa quasi nessuno. Quando ho visto la presenza di persone che non avrei mai pensato ho iniziato a credere che ce l'avremmo fatta. Anche l'azienda è rimasta colpita dall’inattesa partecipazione di operai e impiegati e ha cambiato atteggiamento. Il successo dello sciopero ha dimostrato alla Valtellina che non eravamo disponibili ad accettare supinamente qualunque soluzione proposta. La protesta ha visto una buona partecipazione, anche perché da tempo in azienda si era andata diffondendo una certa insoddisfazione, perché c'erano state una revisione del premio di produzione e la forfettizzazione delle ore di straordinario per gli impiegati.
Quando sono emersi i problemi ero molto preoccupato, perché temevo che la vicenda non si sarebbe risolta positivamente, tra i lavoratori c'era già abbastanza malcontento e la difficoltà era di riuscire a incanalare questo sentimento di protesta in una opportunità di confronto con la proprietà. Temevo che si andasse allo scontro e nello scontro quelli che ci perdono sono sempre i più deboli cioè noi, poi invece siamo riusciti nell’intento di sederci intorno a un tavolo per aprire una trattativa. L'importante per l'azienda era di arrivare a una definizione di tipo strutturale e così è stato, con una revisione che dovrebbe essere definitiva.
Abbiamo sottoscritto un accordo difensivo, che però i lavoratori hanno approvato. Inizialmente l'idea era di farlo votare da tutti, anche da quelli che venivano dal contratto dei metalmeccanici, perché c'era stata una proposta di chiedere dei sacrifici anche a loro, con il differimento dei futuri aumenti contrattuali, ma poi non è stato fatto. Alla fine hanno votato solo coloro che avevano il contratto degli edili e hanno dovuto sopportare i sacrifici salariali e l'intesa è passata con circa il 75% dei sì.
Ora abbiamo dei metalmeccanici che scavano buche, anche se in verità questo tipo di attività è decisamente ridotta.
Durante la vertenza la Cgil territoriale era contraria a qualunque riduzione di stipendio, in effetti i dati di bilancio erano in crescita e si annunciavano positivi anche per il 2013. In realtà è successo che Telecom ha ridotto di quattro milioni il valore del contratto forfettario in essere per gli interventi di riparazione dei guasti, che valeva quasi tredici milioni annui, e questo ha pesato moltissimo sui bilanci aziendali.
La Fiom è molto forte nel cantiere di Pavia, dove i lavoratori sono quasi tutti iscritti alla Cgil, ma qui non è riuscita ad organizzarsi e ad avere una propria rappresentanza. L’accordo è stato firmato il 16 gennaio 2014 solo da Fim e Uilm e non dalla Fiom. In occasione del referendum solo un piccolo gruppetto di persone invitava a dire di no all'intesa e durante le assemblee c'era un po' di malumore, ma la gran parte ha capito il perché di quelle rinunce. Noi stavamo difendendo dei posti di lavoro e il futuro dell'azienda cercando di ottenere una soluzione che fosse la meno peggio dal lato del salario.
L'accordo è importante perché ha difeso il posto di lavoro, ma anche perché da oggi non ci sono più gli ex edili, siamo tutti metalmeccanici. Durante la vertenza e il periodo di maggiore tensione, la difficoltà più grande per me è stata quella di dover rispondere a tutti perché, essendo da solo e dovendo comunque svolgere anche il mio lavoro in azienda, facevo fatica. Ho avuto il supporto del segretario della Fim che seguiva l'azienda, ma alla fine tutto pesava su di me e allo stesso tempo mi dispiaceva scaricare sulle spalle dei miei colleghi il lavoro che non riuscivo a svolgere.
Nel contratto abbiamo previsto anche una piccola forma di welfare che prevede che a fine anno, prima di Natale, ogni lavoratore riceva un buono spesa di 250 euro, mentre è stata concordata la possibilità di incrementare la contribuzione a carico del datore di lavoro da destinare al Fondo Cometa. A volte c'è diffidenza tra i lavoratori nel sostenere le nuove iniziative come Cometa o il fondo per l’assistenza sanitaria integrativa Metasalute. Anche in occasione della scelta se lasciare il Tfr in azienda o trasferirlo in Cometa, molti hanno scelto l'azienda perché si fidano maggiormente del datore di lavoro. Gli operai più vecchi sono molto attaccati all'azienda, io cerco di spiegargli che Cometa offre delle garanzie maggiori perché non si può mai sapere che cosa può accadere in Valtellina, ma le resistenze sono molto forti.
Ritengo che le prospettive per la Valtellina siano positive. Ho sostenuto che dovevamo firmare il contratto anche perché non dovevamo offrire un alibi all'azienda di avere le mani libere e fare ciò che voleva. Noi la nostra parte l'abbiamo fatta e l'azienda si è impegnata a non chiedere altri sacrifici, ora confidiamo che gli impegni vengano mantenuti.
Nella mia attività di delegato ho difficoltà a comunicare con i lavoratori perché non abbiamo strumenti in grado di raggiungerli tutti, abbiamo la bacheca in sede ma è certamente insufficiente. Cerco di parlare con le persone che incontro, molti mi fermano per chiedermi chiarimenti, ma non sono in grado di avere il polso dei sentimenti di tutti i dipendenti. Questo è il limite dell'essere da solo. Quando sei solo non ti puoi confrontare con nessuno, non puoi verificare le tue idee, rischi di sbagliare maggiormente.
Durante tutta la vicenda ero abbastanza nervoso e ne parlavo continuamente con mia moglie. Il giorno dello sciopero ero estremamente teso perché non sapevo che reazione avrebbero avuto i datori di lavoro, avevo paura che potesse succedere qualcosa perché c'erano persone che venivano da Pavia e da Torino che non conoscevo e temevo anche che lo sciopero avrebbe potuto impedire la ripresa del dialogo. Però ero sicuro della mia azione, ero tranquillo perché ho dei valori e quindi credo che sia giusto fare ciò che ha fatto, l'importante è che non ci sia qualcuno che venga a dire che mi impegno per un interesse personale. Firmare per una riduzione di salario posso farlo, non avrei mai firmato una riduzione di personale. Io a suo tempo sono stato nominato, non votato, ora spero che con la prossima elezione delle rsu questa situazione possa cambiare e anche qualcun altro si impegni in modo di non essere più da solo”.