Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Difendere il
futuro dell’azienda
Uno sciopero dove non se ne erano mai fatti. Operai
profondamente attaccati al lavoro e alla loro azienda che incrociano le braccia
per la prima volta. Una partecipazione come non si era mai vista. Con un unico
obiettivo: difendere il futuro dell’azienda e garantire i posti di lavoro.
Anche se questo per alcuni comporta una significativa perdita di salario.
La società Valtellina occupa circa mille dipendenti,
ma come risultato di successive acquisizioni 400 di questi sono ex edili e 600
metalmeccanici. Il costo del lavoro degli ex edili è maggiore di quello dei
metalmeccanici. L’intesa raggiunta parifica tutti i compensi al contratto
nazionale dei metalmeccanici, tagliando le buste paga dei lavoratori provenienti
dall’edilizia, ma salvando trecento posti di lavoro. I lavoratori capiscono il
valore dell’accordo e lo approvano a larga maggioranza con il 75% dei voti, la
Fiom non lo firma.
Una vertenza che ha fatto emergere la maturità di un
sindacato che sa scegliere tra conflitto, partecipazione e responsabilità,
capace di utilizzare i diversi strumenti di cui dispone, ma con l’unico intento
di tutelare al meglio i lavoratori e difendere il futuro delle imprese.
Lo sviluppo della vertenza ce lo racconta Claudio
Cortesi, delegato prima Filca e poi Fim della Valtellina Spa, azienda oggi
metalmeccanica con sede a Gorle, in provincia di Bergamo.
“Sono nato e vivo a Seriate, in provincia di Bergamo,
con la famiglia. Ho quasi sessant'anni, ho due figli e la femmina si sposa a
luglio di quest’anno. Ho frequentato il liceo classico, poi a 19 anni sono
rimasto orfano, ero l'ultimo dei fratelli e sono andato subito a lavorare. Un
mio fratello occupato in Telecom conosceva il direttore della Valtellina, mi ha
presentato e sono stato assunto. Intanto mi ero iscritto all'università a
Giurisprudenza, ma ho dovuto abbandonare perché il lavoro prevedeva anche delle
trasferte e non sono più riuscito a continuare gli studi.
Ho iniziato in azienda nel 1973 e dopo un anno e
mezzo ho cominciato ad uscire sui cantieri come assistente tecnico, si lavorava
fino a sabato pomeriggio. La Valtellina aveva come unico cliente Telecom. Nel
1980 l’azienda dei telefoni ha avuto un po' di problemi e ha allungato
tantissimo i tempi di pagamento, allora il titolare ha cercato nuovi clienti e
abbiamo iniziato a lavorare per Enel e per le aziende che realizzano
acquedotti. Il lavoro mi piaceva perché ero a contatto con le persone, però
avevo intenzione di sposarmi, volevo cambiare e migliorare la mia condizione,
così mi sono iscritto a un corso di informatica a Bergamo e nel 1981 sono
andato a lavorare a Milano, alla Plasmon, nel centro elettronico dell'azienda.
Dai cantieri ai biscotti.
Ci sono rimasto fino al 1987, quando sono iniziati
dei problemi perché la sezione è stata smantellata, in parte inviando alcuni
tecnici nei diversi reparti e in parte esternalizzando dei lavori. Proprio nel
momento in cui ho iniziato a guardarmi in giro per cercare altre soluzioni il
signor Gianpietro Valtellina mi ha chiamato perché anche loro avevano iniziato
a lavorare con il cad. In un primo momento ho detto di no, perché cercavo
un'occupazione in un posto più grande, ho fatto domanda in Mondadori a Milano e
alla Legler di Ponte San Pietro, per fortuna che non ci sono andato visto come
è andata a finire. Alla fine ho accettato la proposta della mia vecchia azienda
e nell'agosto del 1987 sono tornato alla Valtellina dove abbiamo installato un
nuovo servizio cartografico, con un gruppo di giovani, con l'obiettivo di
informatizzare tutte le cartografie per Telecom. Si lavorava su due turni con
una decina di ragazzi, perché di lavoro ce n'era tantissimo. Sono rimasto in
quel settore per sette anni fino a che nel 1994 sono passato nell'area
informatica dove sono occupato anche oggi.
Ho iniziato a partecipare alle attività sindacali
alla Plasmon, dove si facevano delle manifestazioni e mi sono anche iscritto,
ma senza particolare impegno. Dal ritorno in Valtellina invece ho cominciato ad
occuparmi più assiduamente delle vicende sindacali, anche se sono stato scelto
come delegato solo nel 2004, perché fino ad allora c'era una persona che aveva
sempre svolto questo compito. La nostra categoria era la Filca, quella degli
edili, e sono sempre stato iscritto.
La ditta non è molto sindacalizzata, è una classica
azienda padronale con tutto il bene e il male che questo comporta, ma direi
soprattutto bene, perché avere una persona con cui confrontarsi direttamente
non può che essere positivo. Prima di diventare delegato in alcune occasioni ho
affiancato chi mi ha preceduto, ho partecipato a qualche congresso, ma poco
altro. In sede esiste un solo delegato e quindi devo fare tutto da solo, poi ce
n'è uno a Pavia, che è una sede distaccata, e tre a Napoli. Con Pavia c'è
collaborazione, ma con Napoli no. Come Cisl contiamo circa cento iscritti, ci
sono anche alcuni iscritti Cgil, ma non hanno nessun referente. Io mi sono
rapportato anche con gli operatori della Cgil che addirittura mi hanno chiesto
se non trovavo qualcuno disposto a fare il delegato per loro. Qui il sindacato
non è ben visto e i lavoratori evitano di essere identificati con Fim o Fiom.
Quando negli anni scorsi sono nati i fondi per la pensione complementare e
abbiamo trasferito parte del nostro Tfr il titolare diceva che quei soldi erano
suoi e noi glieli portavamo via.
L'azienda è nata come impresa edile, quando nell'87
sono stati assunti i ragazzi per il cad gli è stato addirittura applicato il
contratto del commercio, ma in quell'occasione io mi sono battuto e alla fine
sono riuscito a riportarli all'interno del contratto edile.
Inizialmente la Valtellina operava in Lombardia e in
Piemonte, poi ha acquisito un'azienda a Rimini, in Emilia-Romagna, che aveva il
contratto dei metalmeccanici, e nel 2001 ha preso il controllo di un'altra
azienda di Napoli, anch'essa con il contratto dei metalmeccanici. Anche questa
lavorava per Telecom e aveva una presenza anche a Parma e Modena, oltre che in
Campania e in Puglia. Per alcuni anni in azienda abbiamo avuto due contratti:
quello degli edili e quello dei metalmeccanici.
I dipendenti sono quasi un migliaio. In Lombardia,
oltre alla sede di Gorle, abbiamo cantieri a Brescia, Mantova, Milano e Pavia.
Complessivamente gli occupati nella nostra regione sono quasi cinquecento, il
resto è distribuito nelle varie sedi in Italia. Anche in questi anni di crisi
non abbiamo praticamente mai fatto cassa integrazione e non c'è stata nessuna
riduzione di manodopera.
L'azienda è cresciuta sotto la pressione di Telecom,
che ad un certo punto ha chiesto che ci fosse una aggregazione tra i suoi
fornitori, ma allo stesso tempo che fossero attivi cantieri in più regioni
d'Italia. Ecco perché abbiamo una presenza in regioni diverse: Lombardia,
Piemonte, Emilia-Romagna, Campania e Puglia. Attualmente la Valtellina è assai
diversificata, oltre che per Telecom si lavora molto per la posa degli impianti
a fibra ottica per più aziende, per gli acquedotti e per Enel. Si è aperta
anche una attività nuova nell’ambito delle energie rinnovabili e in azienda ci
sono due automobili elettriche con le centraline per la ricarica.
Oggi la forza della ditta è proprio quella della
diversificazione, anche se Telecom rappresenta ancora circa il 55%
dell'attività. Da qualche anno l'azienda si è internazionalizzata, ha iniziato
con la Romania, con una impresa che lavora con Telecom Romania, il responsabile
è un italiano della nostra direzione, ma il personale è tutto romeno. Poi la
presenza all'estero si è allargata all'America Latina, a partire
dall'Argentina. Anche lì si è iniziato a lavorare per la Telecom locale,
presentati dalla Telecom italiana, poi è seguito il Brasile e quindi il Costa
Rica.
Nel 2012 i bilanci sono stati positivi e anche
all'inizio del 2013 il titolare confermava il buon andamento dell'attività,
prevedendo un'annata positiva che di fatto avrebbe visto un ulteriore aumento
del bilancio. Allo stesso tempo, però, è iniziata ad emergere la necessità di
ridurre i costi, soprattutto a causa della necessità di partecipare a un numero
sempre maggiore di gare d'appalto che si combattono sul filo del prezzo, dove
il costo maggiore è dato dalla manodopera, perché la Valtellina è un'azienda di
servizio e non mette in campo grandi mezzi, ma persone e competenze.
Già nel 2011 era stato chiesto agli edili di passare
al contratto dei metalmeccanici, dato che quello dei metalmeccanici è meno
costoso e poi in questo modo si semplificava tutta l'amministrazione. Per gli
impiegati la differenza era di circa il 30% in meno mentre per gli operai era
tra il 20 e il 25%, capitava anche che due persone che facevano lo stesso
lavoro nello stesso ufficio avessero stipendi molto diversi tra di loro. A chi
come me proveniva dal settore edile venne assicurato che sarebbero state mantenute
le paghe in essere e così nel novembre di quell'anno siamo diventati tutti
metalmeccanici, ma sulla nostra busta paga è stata creata una voce ‘indennità
ex edile’ che manteneva quello che era il vantaggio del precedente contratto.
Al momento del cambio di contratto alcune aziende
edili della zona hanno protestato perché per loro i costi della manodopera
rimanevano più alti, ma in realtà ormai quel tipo di attività in Valtellina si
è ridotta tantissimo. Ci sono stati discussioni anche tra le associazioni
imprenditoriali e un po' di maretta all'interno di Confindustria, perché gli
iscritti alla Cassa edile della Valtellina erano parecchi e questo ha creato
problemi con il passaggio a Federmeccanica, mentre la Cassa edile perdeva i
contributi di oltre trecento persone. Per dirimere la questione ci fu anche un
incontro con la partecipazione dei rappresentanti nazionali delle associazioni
padronali e delle organizzazioni sindacali.
Nonostante il cambio di contratto il nostro costo del
personale incideva comunque sempre di più rispetto a quello della concorrenza,
rendendo complicato vincere le gare. Il mercato è diventato più difficile ed
esigente. A quel punto, in vista della scadenza del contratto aziendale del
2011, che aveva valenza due anni e che anch'io avevo firmato, l'azienda ha
approfittato dell'occasione per chiedere una revisione dell'accordo. Le pretese
dall'azienda inizialmente erano decisamente eccessive, l'obiettivo dichiarato
era di risparmiare due milioni di costo del lavoro, ma attraverso il confronto
e l'azione sindacale siamo arrivati a una nuova rimodulazione dei salari che è
partita dal gennaio 2014 e con la quale noi, come ex edili, abbiamo dovuto
rinunciare a qualcosa dei nostri salari e stipendi. Questo in cambio della
garanzia del posto di lavoro.
Abbiamo fatto delle assemblee in una sala
parrocchiale pagata dall'azienda. Con gli impiegati abbiamo fatto un incontro
apposito, perché gli impiegati sono coloro che hanno dovuto rinunciare di più
rispetto al loro stipendio. Ma ci siamo trovati all'uscita, dopo le sei di
sera. Nell'assemblea generale è stato deciso lo sciopero, qualcuno voleva
fermarsi per otto ore, poi è stato deciso di farne inizialmente solo quattro e
la proposta è stata accettata. Non volevamo esagerare, perché lo sciopero è
costato certamente alla Valtellina, ma è costato soprattutto agli operai, non
tanto in termini economici, quanto sul piano umano a causa dell'attaccamento
all'azienda che caratterizza queste persone.
Durante le trattative ci è stato detto che se non avessimo
abbassato il costo del lavoro l'azienda rischiava di perdere le gare di appalto
e quindi avrebbe dovuto mettere in mobilità trecento lavoratori. Era anche una
forma di pressione, però noi non l'abbiamo interpretata come un ricatto, il
problema è reale, una situazione confermata anche dalle persone che lavorano
nei settori impegnati per le gare. Il problema è finito sui giornali e noi
siamo riusciti per la prima volta ad organizzare uno sciopero cui hanno
partecipato oltre duecento persone. Davanti ai cancelli operai c'erano che
lavorano qui da quarant'anni, il classico bergamasco attaccato al lavoro e alla
sua azienda, che non aveva mai scioperato prima. La buona riuscita dello
sciopero ci ha aiutato molto a respingere le richieste di tagli eccessivi e ci
ha portato a fare un accordo che abbiamo considerato accettabile perché ha
difeso i posti di lavoro. Bisogna considerare che normalmente quando facciamo
le assemblee in fabbrica non partecipa quasi nessuno. Quando ho visto la
presenza di persone che non avrei mai pensato ho iniziato a credere che ce
l'avremmo fatta. Anche l'azienda è rimasta colpita dall’inattesa partecipazione
di operai e impiegati e ha cambiato atteggiamento. Il successo dello sciopero
ha dimostrato alla Valtellina che non eravamo disponibili ad accettare
supinamente qualunque soluzione proposta. La protesta ha visto una buona
partecipazione, anche perché da tempo in azienda si era andata diffondendo una
certa insoddisfazione, perché c'erano state una revisione del premio di produzione
e la forfettizzazione delle ore di straordinario per gli impiegati.
Quando sono emersi i problemi ero molto preoccupato,
perché temevo che la vicenda non si sarebbe risolta positivamente, tra i
lavoratori c'era già abbastanza malcontento e la difficoltà era di riuscire a
incanalare questo sentimento di protesta in una opportunità di confronto con la
proprietà. Temevo che si andasse allo scontro e nello scontro quelli che ci
perdono sono sempre i più deboli cioè noi, poi invece siamo riusciti
nell’intento di sederci intorno a un tavolo per aprire una trattativa.
L'importante per l'azienda era di arrivare a una definizione di tipo
strutturale e così è stato, con una revisione che dovrebbe essere definitiva.
Abbiamo sottoscritto un accordo difensivo, che però i
lavoratori hanno approvato. Inizialmente l'idea era di farlo votare da tutti,
anche da quelli che venivano dal contratto dei metalmeccanici, perché c'era
stata una proposta di chiedere dei sacrifici anche a loro, con il differimento
dei futuri aumenti contrattuali, ma poi non è stato fatto. Alla fine hanno
votato solo coloro che avevano il contratto degli edili e hanno dovuto
sopportare i sacrifici salariali e l'intesa è passata con circa il 75% dei sì.
Ora abbiamo dei metalmeccanici che scavano buche, anche
se in verità questo tipo di attività è decisamente ridotta.
Durante la vertenza la Cgil territoriale era
contraria a qualunque riduzione di stipendio, in effetti i dati di bilancio
erano in crescita e si annunciavano positivi anche per il 2013. In realtà è
successo che Telecom ha ridotto di quattro milioni il valore del contratto
forfettario in essere per gli interventi di riparazione dei guasti, che valeva
quasi tredici milioni annui, e questo ha pesato moltissimo sui bilanci
aziendali.
La Fiom è molto forte nel cantiere di Pavia, dove i
lavoratori sono quasi tutti iscritti alla Cgil, ma qui non è riuscita ad
organizzarsi e ad avere una propria rappresentanza. L’accordo è stato firmato
il 16 gennaio 2014 solo da Fim e Uilm e non dalla Fiom. In occasione del
referendum solo un piccolo gruppetto di persone invitava a dire di no
all'intesa e durante le assemblee c'era un po' di malumore, ma la gran parte ha
capito il perché di quelle rinunce. Noi stavamo difendendo dei posti di lavoro
e il futuro dell'azienda cercando di ottenere una soluzione che fosse la meno
peggio dal lato del salario.
L'accordo è importante perché ha difeso il posto di
lavoro, ma anche perché da oggi non ci sono più gli ex edili, siamo tutti
metalmeccanici. Durante la vertenza e il periodo di maggiore tensione, la
difficoltà più grande per me è stata quella di dover rispondere a tutti perché,
essendo da solo e dovendo comunque svolgere anche il mio lavoro in azienda,
facevo fatica. Ho avuto il supporto del segretario della Fim che seguiva
l'azienda, ma alla fine tutto pesava su di me e allo stesso tempo mi dispiaceva
scaricare sulle spalle dei miei colleghi il lavoro che non riuscivo a svolgere.
Nel contratto abbiamo previsto anche una piccola
forma di welfare che prevede che a fine anno, prima di Natale, ogni lavoratore
riceva un buono spesa di 250 euro, mentre è stata concordata la possibilità di
incrementare la contribuzione a carico del datore di lavoro da destinare al
Fondo Cometa. A volte c'è diffidenza tra i lavoratori nel sostenere le nuove
iniziative come Cometa o il fondo per l’assistenza sanitaria integrativa
Metasalute. Anche in occasione della scelta se lasciare il Tfr in azienda o
trasferirlo in Cometa, molti hanno scelto l'azienda perché si fidano
maggiormente del datore di lavoro. Gli operai più vecchi sono molto attaccati
all'azienda, io cerco di spiegargli che Cometa offre delle garanzie maggiori
perché non si può mai sapere che cosa può accadere in Valtellina, ma le
resistenze sono molto forti.
Ritengo che le prospettive per la Valtellina siano
positive. Ho sostenuto che dovevamo firmare il contratto anche perché non
dovevamo offrire un alibi all'azienda di avere le mani libere e fare ciò che
voleva. Noi la nostra parte l'abbiamo fatta e l'azienda si è impegnata a non chiedere
altri sacrifici, ora confidiamo che gli impegni vengano mantenuti.
Nella mia attività di delegato ho difficoltà a
comunicare con i lavoratori perché non abbiamo strumenti in grado di
raggiungerli tutti, abbiamo la bacheca in sede ma è certamente insufficiente.
Cerco di parlare con le persone che incontro, molti mi fermano per chiedermi
chiarimenti, ma non sono in grado di avere il polso dei sentimenti di tutti i
dipendenti. Questo è il limite dell'essere da solo. Quando sei solo non ti puoi
confrontare con nessuno, non puoi verificare le tue idee, rischi di sbagliare
maggiormente.
Durante tutta la vicenda ero abbastanza nervoso e ne
parlavo continuamente con mia moglie. Il giorno dello sciopero ero estremamente
teso perché non sapevo che reazione avrebbero avuto i datori di lavoro, avevo
paura che potesse succedere qualcosa perché c'erano persone che venivano da
Pavia e da Torino che non conoscevo e temevo anche che lo sciopero avrebbe
potuto impedire la ripresa del dialogo. Però ero sicuro della mia azione, ero
tranquillo perché ho dei valori e quindi credo che sia giusto fare ciò che ha
fatto, l'importante è che non ci sia qualcuno che venga a dire che mi impegno
per un interesse personale. Firmare per una riduzione di salario posso farlo,
non avrei mai firmato una riduzione di personale. Io a suo tempo sono stato
nominato, non votato, ora spero che con la prossima elezione delle rsu questa
situazione possa cambiare e anche qualcun altro si impegni in modo di non
essere più da solo”.