Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono
nato il 25 maggio 1937 a Ligurno di Porto Valtravaglia, un paesino in provincia
di Varese. Ho frequentato la quinta elementare. Mio padre era boscaiolo, anche
se ha avuto un periodo in cui ha lavorato alla Macchi di Varese, mia madre era
una coltivatrice diretta. Mio padre ha partecipato agli scioperi del ‘43 e
quando i tedeschi hanno cominciato a mandare gli operai a lavorare in Germania
ha lasciato l'azienda e si è nascosto in casa.
Abbiamo attraversato momenti
difficili. Quando ho visto l'Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi mi sono
riconosciuto. La mia era una famiglia religiosa, di formazione cattolica,
abbastanza praticante. Le ultime settimane di lezione, quando ci trasferivamo
in montagna con le bestie, tutti i giorni scendevo a piedi per un sentiero per
andare a scuola.
Si può dire che ho cominciato a lavorare a cinque anni, aiutando le attività contadine della famiglia, ma non era sfruttamento minorile. Ho aiutato in famiglia fino al compimento dei quindici anni. Da noi gli uomini andavano in officina e le donne in tessitura. Io ho lavorato per un paio di mesi in nero in un'officina che faceva viti e bulloni, fino a quando uno zio mi ha consigliato di iscrivermi alla scuola serale di ceramica a Laveno. Il 12 agosto del 1952 ho iniziato a lavorare alla Ceramica di Laveno e sono rimasto lì fino a novembre del 1956 quando l'azienda ha avviato un grande processo di ristrutturazione con settecento licenziamenti. Complessivamente in quel momento gli occupati erano quasi duemila. Io non ero tra i licenziati, ma c'era Emilio Zeni, segretario della Cisl di Varese, che da un po' di tempo mi spingeva a partecipare al corso lungo di Firenze. Ero molto incerto se accettare la proposta, ma Zeni mi ha fatto notare che l'azienda aveva bisogno di licenziare un certo numero di persone e quindi, se me ne fossi andato io, che avevo una prospettiva, avrei salvato il posto di lavoro di un altro che magari non aveva alternative. Posto di fronte a questa questione morale ho accettato. È stato un corso abbastanza importante, miei compagni erano Carniti, Marini, Crea, Colombo. Però è stato un po' sprecato perché, avendo frequentato solo la quinata elementare, i temi proposti per me erano difficili. Tutti gli altri avevano studiato di più, qualcuno era addirittura laureato ed erano tutti più grandi. Se non fosse stato che a me piaceva leggere qualunque cosa trovavo non avrei potuto seguirlo. Frequentavo con assiduità la biblioteca, soprattutto per cercare sul dizionario le parole difficili che sentivo per la prima volta. Probabilmente sono stato il più giovane allievo che ha partecipato ai corsi di Firenze non avendo ancora fatto il servizio militare. Abbiamo fatto anche uno sciopero.
Dopo
Firenze ero destinato a Milano e Mario Colombo a Varese. Al rientro sono andato
a salutare Zeni e Pierino Azimonti, che era il segretario generale, e mi hanno
chiesto quando avrei iniziato. Quando gli ho detto che avrei dovuto andare a
Milano, Azimonti ha parlato con Pastore per farmi rimanere a Varese. C'era
infatti un problema alla Ceramica di Laveno dove era attiva una delle migliori
commissioni interne della provincia, ma i cui componenti avevano difficoltà di
rapporto con l'operatore che li seguiva. Furono pertanto cambiate le
destinazioni, Colombo andò Milano e io rimasi a Varese. Iniziai così la mia
attività sindacale nell'ufficio di zona di Laveno. Seguivo le ceramiche, però
c'erano anche dei maglifici, una tessitura, l’ospedale. Non mi occupavo dei
postelegrafonici, della scuola e degli enti locali che avevano una loro
struttura.
Quella
in zona è stata l'esperienza più bella del mio percorso sindacale. Mentre ero a
Laveno ho fatto il servizio militare, tornato mi hanno mandato a Besozzo. Zeni
mi ha fatto capire che a Laveno era meglio non modificare la situazione che si
era creata. Infatti, mentre ero via avevano cambiato ben quattro o cinque
operatori e finalmente quello attuale sembrava funzionasse. All'inizio l'ho
presa male, ma poi ho capito qual era la situazione. A Besozzo si stava
costruendo la Ignis e ho sindacalizzato la nuova fabbrica. Ho fatto quasi
ottocento iscritti e stavo costituendo la prima commissione interna, avevamo
già presentato le liste, quando mi hanno mandato a chiamare da Laveno dove
c'erano stati ancora problemi con l'operatore della Cisl. Ci siamo trovati al
bar della stazione con alcuni commissari delle aziende della ceramica e mi
hanno detto che volevano che tornassi io. Ne ho parlato con Zeni, dicendogli
anche che la loro mi sembrava una richiesta un po' arrogante, ma lui mi ha
detto che i lavoratori erano i nostri padroni e quindi avrei dovuto accettare la
loro richiesta. Così sono tornato alla zona di Laveno che ora comprendeva anche
Luino.
Stavo
bene in zona, quando c'erano i congressi delle categorie organizzavo la
partecipazione dei lavoratori ma non ci andavo. Qualcuno a livello provinciale
ha cominciato a evidenziare questo fatto e ad un certo punto sono stato trasferito
alla zona di Varese. Contemporaneamente sono diventato segretario provinciale
dei ceramisti. Nel 1969 è stato fatto l'accorpamento e i ceramisti sono entrati
a far parte del sindacato dei chimici e così sono diventato segretario della
nuova categoria, ma contemporaneamente ero anche delegato di zona della Cisl a
Varese. In quel periodo sono andato abbastanza bene perché ho fatto circa
quattrocento nuovi iscritti all'ospedale, 150 alla Italo Cremona, dove prima
non ce n'era neppure uno, azienda il cui titolare era il presidente
dell'associazione industriale dei produttori di giocattoli. C'era in corso il
rinnovo del contratto nazionale del settore e l'azienda del presidente non
scioperava, allora sono andato lì, mi sono messo accanto alla porticina dove
entravano e uscivano i lavoratori e sono riuscito a far fare il primo sciopero.
La
formazione è stato l'elemento fondamentale con cui è stata costruita la Cisl.
Attraverso la formazione creavo dei gruppi affiatati ai quali poi era affidato
il compito di fare gli iscritti dentro i luoghi di lavoro e così è stato
all'ospedale, alla Italo Cremona, alla Ignis.
Ho
avuto due passioni nella vita: la montagna e la Cisl. Il campo scuola me le ha
unite. Il primo cui ho partecipato è stato nel 1955. Veniva Giulio Pastore e ho
commesso l'errore di giocare a scopa con lui, Idolo Marcone e Bruno Storti. Ho
litigato con Marcone e da allora non ci sono più andato d'accordo. Un anno, al
campo scuola, dove normalmente partecipavano due lavoratori per ogni zona, sono
riuscito a riservare tutti i posti ai rappresentanti della Ignis. Dieci giovani
che tornati in azienda mi hanno fatto più di mille iscritti.
Contemporaneamente
ero impegnato con la categoria. Abbiamo firmato il contratto nazionale della
gomma plastica nel 1969, due mesi prima dei metalmeccanici, e i primi diritti li
abbiamo conquistati noi. Allora firmavano due rappresentanti per organizzazione
e io sono stato il secondo firmatario per i chimici della Cisl. Per due mesi ho
gestito il rinnovo del contratto nazionale del settore. Ad un certo punto ho
dovuto scegliere se andare a Roma. Ho avuto più di un'occasione: prima per la
ceramica, poi per i chimici. Mi avevano fatto un'offerta anche gli edili,
perché il settore del giocattolo era gestito da loro. Nel 1972, però, Zeni mi
ha chiesto di entrare nella segreteria provinciale della Cisl. Io non avevo
voglia di andare a Roma e ho scelto l'Unione, lasciando oltre alla zona anche la
categoria.
All'Unione
mi occupavo di tutto, il segretario generale era Zeni, ma di fatto le sue
funzioni le svolgevo io, perché lui ormai era impegnato al regionale. Molte
delle sue relazioni le ho scritte io, lui si limitava a leggerle e la gestione
era nelle mie mani. Fu un periodo abbastanza conflittuale perché io, a
differenza di Zeni, non lasciavo cadere niente. Tant'è che nel 1986, quando ho
lasciato, ero veramente logorato.
Il
24 aprile 1974 sono diventato ufficialmente segretario generale della Cisl di
Varese. Mi ricordo la data perché è l'anniversario del mio matrimonio. Abbiamo
fatto un consiglio generale che è andato avanti fino quasi a notte nel
tentativo di non farmi eleggere, ma la gente è rimasta lì e alla fine sono
stato eletto. Con me in segreteria sono entrati in tempi diversi Ceriani, che
arrivava dalla Fim, Marino Bergamaschi, Augusta Restelli e Pisano, che veniva
dalla zona di Gallarate e seguiva anche il commercio.
Nel
1985 ho manifestato l'intenzione di andar via, ma avevo grande pressione dal
regionale e dal nazionale perché non lasciassi, addirittura mi aveva mandato a
chiamare Franco Marini a Roma. Ma ho commesso un errore, terminata la relazione
congressuale ho detto che dovevo fare una comunicazione e ho annunciato
l’intenzione di lasciare entro un anno. Quando uno fa una comunicazione del
genere da quel momento non conta più niente. Ho ricevuto offerte dagli
artigiani, da alcune aziende, mi hanno proposto di candidarmi in Provincia.
Avrei potuto avere degli incarichi all'Inps, alla Camera di commercio ma ero
così stanco che ho troncato con tutto e non ho più avuto incarichi, salvo nel
direttivo dei pensionati. Però mi mancavano quasi due anni alla pensione,
allora Zeni, che collaborava con il sindacato svizzero Ocst per la costituzione
dell'Inas per i frontalieri, mi ha chiesto di seguire la nuova iniziativa. L'accordo
venne definito nella mia baita a San Michele davanti a una bella bottiglia di
vino. Ho mantenuto quell’incarico per il periodo che mi mancava alla pensione,
dal marzo '86 a tutto l'87, muovendomi nelle zone di confine di Varese, Como,
Valtellina e Valchiavenna. È stata una bella esperienza che mi ha consentito di
recuperare un rapporto diretto con i lavoratori che da segretario generale in
parte avevo perso e mi sono anche divertito.
Anche
la Federazione Cgil-Cisl-Uil di Varese è stata decisa nella mia baita, e pure la
segreteria regionale della Luigia Alberti è nata lassù: io e Fontana di Como,
che non volevamo essere partecipi di quella decisione, siamo usciti a fare un giro
al momento dell’intesa.
Quando
sono entrato in ceramica non sapevo neppure cosa fosse il sindacato. Nel mio
reparto ci lavoravano ottanta persone, c'era un caporeparto tremendo e lo
chiamavano il reparto disciplina. Io avevo un rapporto molto conflittuale con
lui, continuavamo a litigare, fino a quando ho avuto uno scontro estremamente
forte. Dopo quel diverbio mi ha avvicinato un operaio e mi ha detto di tenere
duro perché il contratto mi dava ragione. Io non sapevo neppure cosa fosse il
contratto e gli ho chiesto come fare per averlo e lui mi ha detto che bisognava
andare dai sindacati e mi ha dato l'indirizzo della Cgil, dove era iscritto.
Dopo un po' però è tornato da me e mi ha detto che, conoscendomi, forse per me era meglio andare da un altro
sindacato, e mi ha mandato alla Cisl. Due anni dopo anche lui è passato alla
Cisl. Sono andato alla sede della Cisl, ho parlato con il responsabile di zona
e mi sono iscritto. Dopo qualche mese in fabbrica sono stato avvicinato dal
collettore della Cisl - allora si raccoglievano ogni mese i bollini per le
tessere - e mi ha detto che aveva ricevuto la cartolina per il servizio militare
e quindi avrei dovuto sostituirlo. Sono andato a parlare di nuovo con il
delegato di zona e mi ha convinto a farlo. Quell’impegno un po' mi è costato,
perché ogni tanto c'era qualcuno che diceva che un mese non poteva, che i soldi
me li avrebbe dati il mese successivo e poi si dimenticava e allora li
integravo io. Era un'attività senza nessuna tutela perché il contratto vietava
qualsiasi raccolta di fondi in azienda, e noi tutti i mesi raccoglievamo i
soldi e lo facevamo alla luce del sole. Il contratto vietava la distribuzione
di materiale propagandistico, ma quando c'erano i volantini si entrava cinque
minuti prima e quando gli operai arrivavano li trovavano sul loro posto di
lavoro. In fabbrica non ho mai fatto il commissario però ero responsabile della
Sas Cisl.
Nel
1955 mi hanno proposto di partecipare al campo scuola sulle Dolomiti, per
quindici giorni il costo era di 12mila lire compreso il viaggio, il resto era a
carico dell'organizzazione. Allora le ferie le facevo sui monti dietro casa per
cui il campo era anche una bella opportunità per fare delle vacanze diverse. Al
campo scuola ho conosciuto una Cisl differente da quella che immaginavo, si
discuteva di problemi della società, c'era entusiasmo. Quei giorni mi hanno
aperto un orizzonte molto più ampio. I lavori prevedevano una sessione plenaria
al mattino mentre nel pomeriggio ci si divideva in gruppi con un animatore. Il
mio era un certo Fantoni che veniva da Saronno, un socialdemocratico che poi è
diventato anche segretario confederale. Alla fine del campo scuola veniva
compilata una scheda di valutazione per ciascun partecipante. Tornato a casa mi
ha mandato a chiamare Zeni, che allora non conoscevo, affidandomi la
responsabilità dell'ufficio provinciale giovani. Poi è arrivato l'invito per un
corso di formazione residenziale organizzato dalla confederazione a Villa Pia,
a Orta. Ero stato scelto in base al giudizio stilato su di me alla fine del
campo scuola. In quell'occasione ho avuto un secondo scontro con Idolo Marcone
sul tema della contrattazione aziendale perché io sostenevo che divideva i
lavoratori.
Come
responsabile del gruppo giovani dovevo andare in tutta la provincia e mi
muovevo con la mia moto, una Iso 125, a organizzare le tre sere e le sei sere.
La formazione ha costruito la Cisl anche perché molti dei cislini che
arrivavano dalla prima ora non è che l'avessero capita la nuova Cisl di Giulio Pastore
e di Mario Romani. Attraverso la formazione abbiamo diffuso la cultura della
Cisl e un'idea di Cisl che molti hanno portato nell'amministrazione e nella
politica.
Ho
seguito tante vertenze aziendali e ho fatto tanti accordi. Negli anni Sessanta
era stata costruita la formula del P su H per contrattare il premio di
produzione, ma siamo riusciti ad applicarla in poche realtà. I punti
qualificanti nella seconda metà degli anni Sessanta erano il riconoscimento della
presenza del sindacato dentro le aziende, la trattenuta sindacale, il diritto
di assemblea, la possibilità per i componenti i direttivi sindacali di
partecipare alle riunioni. Noi, in particolare, nel settore dei chimici,
ponevamo l'attenzione sul tema dell'ambiente che però non era facile da portare
avanti perché il contratto nazionale prevedeva le indennità di rischio nocività,
la monetizzazione, e i lavoratori non erano facilmente disposti a perdere quei
soldi, tant'è vero che il problema venne risolto solamente quando fu affrontato
a livello nazionale, ma i lavoratori coniarono lo slogan: “la salute non si
vende, si regala”.
In
quel periodo si aprì il problema con i metalmeccanici, perché Macario voleva la
verticalizzazione e l'autonomia politica delle categorie mentre noi a Varese
lavoravamo in termini confederali. La Cisl aveva un direttivo di alto livello,
con commissioni interne e rappresentanti di grande esperienza nei diversi
settori, pertanto eravamo contrari a quel processo. Allora la Fim nazionale
commissariò i metalmeccanici di Varese e mandò come commissario Gianni Bon.
Bon
è arrivato come operatore, ma dopo un po' il segretario si sentiva sotto tutela
e se n'è andato diventando direttore dell'Unione dei piccoli industriali di
Varese. Nel giro di poco tempo alla Fim le persone sono state tutte sostituite
con nuove figure venute dall'esterno. Questo si è riflesso anche sulle altre
categorie e anche altri se ne sono andati. Su 34 persone che lavoravano a tempo
pieno alla Cisl, compresi i servizi, coloro che arrivavano da esperienze
precedenti al 1969 erano solo quattro. Macario, mentre era segretario
organizzativo della Cisl, era chiamato “segretario scopa”. Ho avuto uno scontro
con lui per questo, ma Zeni mi ha rimproverato pesantemente. Ero abituato a
delegare, a far crescere la gente perché si responsabilizzasse e questa nuova
situazione non mi piaceva, e a un certo punto stavo quasi per andarmene anch'io.
Nel
congresso del 1973 ero già in segreteria dell'Unione e per un pelo non sono
stato fatto fuori, ma senza che ci fosse uno scontro. Avevo proposto di fare un
consiglio generale più rappresentativo, che tenesse conto del numero degli
iscritti, perché fino a quel momento era composto dai segretari di categoria e
le categorie erano ben cinquanta, ma Zeni non era molto d'accordo.
Nell'esecutivo avevamo preso degli accordi sul futuro della segreteria, ma il
mattino successivo in congresso è scoppiata una bagarre sulla mia figura,
allora ho parlato con Bon ricordandogli che la sera prima avevamo concordato
una soluzione e lui mi ha risposto che riconosceva solo gli atti politici e non
ciò che ci eravamo detto nei corridoi. I chimici mi avevano eletto al congresso
confederale e ci sono andato con in tasca la lettera di dimissioni, ma una
volta tornato le ho stracciate. Nonostante questa situazione e quello che era
accaduto in congresso, pochi mesi dopo ho avuto i due terzi dei voti e sono
stato eletto segretario generale.
Quando
ho preso in mano la Cisl avevamo 16mila iscritti e siamo arrivati a 42mila, i
chimici sono passati da novecento a 4.100, avevamo colto l'opportunità del
momento. Le due categorie maggiori, meccanici e tessili, invece non hanno
sfruttato la disponibilità di quel periodo partendo subito col tesseramento
unitario. La Fim era la categoria della Cisl più simile alla Cgil, con
l'ufficio pieno di bandiere rosse, con operatori che entravano nella nostra
sede cantando bandiera rossa e il mio timore era che al momento in cui il
percorso unitario si fosse fermato loro non sarebbero stati pronti per
ricostruire l’organizzazione.
Gli
ultimi anni Sessanta sono stati un periodo irripetibile, bastava andare davanti
ad una fabbrica, si appendeva il cartello che annunciava lo sciopero e la gente
scioperava e solo dopo veniva a chiedere perché e si iscriveva al sindacato. Ci
fu grande partecipazione ed era facilissimo sollecitarla. Fatti gli accordi
aziendali, raccoglievamo i testi delle intese e costruivamo un fascicoletto che
poi mandavamo nelle fabbriche, anche dove il sindacato non c'era, per far
sapere ai lavoratori che cosa era possibile ottenere.
Il
venir meno della confederalità fece sì che la Cisl, a differenza degli anni
precedenti nei quali si presentava con una linea concentrata su alcuni
obiettivi, affrontasse quegli anni in modo sparso. Sul tema dei diritti
sindacali e dell'orario di lavoro ognuno andò per conto suo. I chimici
puntarono molto sulle classificazioni, i metalmeccanici si concentrarono sul
problema dei tre giorni di malattia. Non c'è stata una politica sindacale
univoca come ci fu ad esempio negli anni ‘50 quando la Cisl affrontò la Cgil sull'accorpamento
salariale, perché la busta paga era composta da cinquanta voci e mentre noi sostenevamo
che l'accorpamento era già una conquista, la Cgil chiedeva anche un aumento
salariale.
La
reazione di Confindustria al nuovo clima sindacale fu di netta chiusura, la
situazione cambiò un poco con l'arrivo di un nuovo dirigente, il dottor
Timoncini, che li convinse che era inutile fare delle battaglie che prima o
poi, con l'arrivo dello Statuto dei lavoratori di cui già si parlava, sarebbero
state superate e i nuovi diritti acquisiti dai lavoratori. Inoltre,
l'ampliamento delle dimensioni delle aziende richiedeva metodi nuovi per
regolare il conflitto all'interno delle fabbriche e infatti piano piano anche
Confindustria arrivò ad accettare la nuova realtà. Inizialmente gli accordi si
firmavano in azienda con le commissioni interne, poi si cominciò ad accettare
l'idea di sottoscriverli in Confindustria con la firma delle organizzazioni
sindacali.
Le
commissioni interne erano composte da persone preparate che conoscevano
profondamente la situazione della loro azienda, quando siamo passati ai
delegati si avviò un processo di assemblearizzazione in alcuni casi ingovernabile
e non sempre il reparto si preoccupava di individuare le persone migliori, ma
spesso si eleggevano coloro che gridavano di più, con mentalità movimentiste. I
candidati nelle commissioni interne li proponeva il sindacato e si sceglievano
i migliori e spesso dietro c'era un lavoro di ricerca delle persone, di
formazione. Con l'avvento dei delegati la Cgil, grazie anche al proprio sistema
politico partitico, riusciva comunque ad esercitare un controllo sugli eletti
mentre noi ci siamo trovati con persone con le quali a volte non riuscivamo neppure
ad avere un rapporto, in alcuni casi con conseguenze preoccupanti. Allora le
automobili erano tutte intestate al segretario e mi è capitato che i
carabinieri mi telefonassero per sapere chi c'era alla guida di quelle vetture.
Abbiamo avuto dei problemi, in larga parte tra i metalmeccanici, ma in alcune
situazioni anche tra i chimici, in particolare a Castellanza, dove erano presenti
gruppi extraparlamentari. Abbiamo fatto dei corsi di formazione con esperti, ma
metalmeccanici e tessili non partecipavano e quelle erano le categorie più
grandi della Cisl di Varese.
I
lavoratori partecipavano anche alle manifestazioni e agli scioperi sui temi
generali anche se la realtà della provincia di Varese è molto frastagliata con
situazioni differenti. Ci siamo mobilitati per la realizzazione degli asili
nido e siamo riusciti a realizzarne diciassette.
Ho
condiviso le richieste di aumenti uguali per tutti anche se ero contrario a
certe esasperazioni, c'era l'esigenza di colmare alcune differenze che non
avevano giustificazione, ma il vero egualitarismo era sulla parte normativa,
invece si guardava solo la parte salariale. C'erano delle disparità tra operai
e impiegati non giuste ed era contro queste che si sarebbero dovuto indirizzare
le politiche egualitarie, era la richiesta di riconoscere pari dignità ai
lavoratori indipendentemente da quale fosse la loro occupazione. Ci siamo
impegnati per costruire una classificazione unica e questo non era solo per
operai e impiegati, era fatto anche per le donne che allora avevano una
classificazione diversa da quella degli uomini. Bisogna però dire che dal punto
di vista culturale si trovavano delle resistenze tra gli stessi lavoratori
maschi che non ritenevano giusto che le donne avessero lo stesso inquadramento
degli uomini, così come qualche resistenza da parte degli operai più anziani ci
fu quando si arrivò a chiedere ferie uguali per tutti indipendentemente
dall'anzianità.
A
Varese ci eravamo impegnati per far eleggere Azimonti deputato, anche perché
allora il nostro grado di rappresentatività era abbastanza scarso e molte cose
si decidevano in Parlamento. Pastore arrivò addirittura a far cadere un governo
sul problema dei patti agrari. Io mi sono iscritto alla Democrazia cristiana
perché, avendo deciso di candidare Azimonti, che il partito non voleva,
occorreva sostenerlo e in quell'occasione ci siamo iscritti in parecchi e ci
siamo messi in campagna elettorale. Però una volta eletto non lo vedevamo più e
la testa l'aveva altrove e così abbiamo iniziato a discutere il problema
dell'incompatibilità. C'erano categorie che sostenevano esplicitamente alcuni
candidati, in modo particolare nel pubblico impiego, dove c'erano situazioni di
clientelismo se non di scarsa autonomia dalla politica, ma per noi l'autonomia
era importante, mentre c'era gente che aspettava la scelta dell'autonomia
perché si sarebbero liberati dei posti da occupare.
Alle
Ceramica Laveno avevamo una Cgil che aveva comportamenti scorretti, ma la
contrattazione aziendale ha dato una spinta alla necessità di muoversi insieme
e ricostruire l'unità sindacale, perché senza unità la contrattazione era ben
difficile da fare. A livello nazionale poteva avere un senso presentare tre
piattaforme, ma in azienda una situazione del genere non sarebbe stata capita
dai lavoratori. Si può dire quindi che l'unità sindacale sia nata pian piano
dal basso ed è venuta avanti come una esigenza e io l'ho vissuta positivamente.
A Varese la Uil è stata inventata perché non c'era e noi addirittura avevamo
proposto di fare la federazione Cgil-Cisl, ma la confederazione ci impose di
inserire anche la Uil e allora abbiamo cercato una persona che potesse
rappresentarla e abbiamo trovato un ex cislino. Ma la Uil non era affidabile. I
comunisti della Cgil ci facevano ammattire, ma quando si faceva un accordo lo
rispettavano. A Varese siamo riusciti a far fare i congressi per l'unità anche ai
maestri e al parastato. La categoria mandò un segretario nazionale a presiedere
il congresso, ma la mozione a favore dell'unità ebbe comunque la maggioranza. Con
Zeni avevamo organizzato un piano che prevedeva, qualora si fosse costruita
l'unità, l'accantonamento di fondi per il sostegno a coloro che eventualmente
avrebbero dovuto lasciare i loro incarichi e per la formazione degli addetti
dei nostri servizi che in gran parte non erano militanti ma semplici
funzionari. Non era un'azione contro unità, l'obiettivo era quello di portare
dentro l'unità le idee e i valori della Cisl. E la Cisl in questo è riuscita.
La contrattazione aziendale era avversata dalla Cgil, l'autonomia era un'idea
della Cisl, poi sono stati fatti propri anche la Cgil. Questo è stato possibile
anche perché in quel momento in Cgil c'erano persone affidabili. Però non
abbiamo fatto i congressi di scioglimento della Cisl.
In
occasione del congresso del 1973 ero schierato con Storti e a Varese eravamo
tutti d'accordo. I nostri iscritti erano partecipi del dibattito che si svolgeva
all'interno dell'organizzazione, c'erano alcune perplessità, in modo
particolare tra i più anziani, che avevano subito sopraffazioni da parte dei
comunisti. Anch'io ho sopportato delle angherie quando lavoravo in ceramica.
Essendo riuscito a convincere alcuni lavoratori a passare dalla Cgil alla Cisl
un bel giorno mi hanno messo dell'anilina nell'acqua con cui mi lavavo, per cui
mi è venuta la faccia tutta blu. Ogni tanto all'uscita trovavo la ruota della
bicicletta sgonfia. Quando la Cgil dichiarava gli scioperi che noi non
condividevamo e decidevamo di entrare a lavorare i picchetti erano duri e una
volta ho preso un calcio che poi mi ha fatto infezione. Se tra gli anziani
c'era qualche perplessità, da parte dei giovani c'era molta più disponibilità.
L'avvio
dei governi di unità nazionale per me era un fatto positivo perché voleva dire
allargare la democrazia e anche che le cose che noi sostenevamo venivano
accettate dagli altri. Negli anni Cinquanta loro contestavano il sistema,
entrando nel governo voleva dire che ora lo accettavano. La preoccupazione era
che l'intesa politica condizionasse anche la nostra attività. Ero abituato ad
avere governi amici, perché quando facevamo gli scioperi per la casa e contro il
governo alla guida c'era la Democrazia cristiana, per la Cgil invece nei
confronti di un governo che aveva all'interno il Pci c'era qualche problema.
Mentre la Cgil tendeva alla moderazione noi continuavamo a fare il nostro
mestiere.
L'esigenza
di una politica salariale più moderata cui si è cominciato a discutere nella sede
dell'Eur l'abbiamo fatta subito nostra, perché la vivevamo nella nostra azione
sindacale e da lì si arrivò alla proposta di Tarantelli sulla predeterminazione
del punto di contingenza. La proposta fu accettata da tutte le categorie della
Cisl anche perché alla guida della Cisl in quel momento c'era Carniti.
In
questa mia esperienza sindacale mi sono fatto coinvolgere troppo, per il
sindacato ho trascurato la famiglia, per la crescita dei figli ho delegato
tutto alla moglie. È stato un impegno troppo coinvolgente ed è per questo che
ad un certo punto ho tagliato completamente i rapporti con la Cisl, promettendo
alla moglie che mi sarei dedicato a lei e alla famiglia, poi l'ho un po'
tradita perché per tre anni ho fatto il presidente della locale sezione degli
alpini. Per il resto è stata una grande soddisfazione, forse avrei dovuto
essere un po' più furbo, un po' più malleabile, ma io sono un integralista, sui
principi non mollavo niente. Purtroppo mi ha molto deluso il comportamento che
è emerso nel 1969 quando si è sfruttata l'autonomia e l'incompatibilità
soltanto per creare posti e maneggiare soldi.
Una
volta Pastore mi disse che un buon sindacalista deve saper reggere il vino e
saper giocare a scopa, “Io non so come tu stai con il vino – sottolineò -, ma
per come giochi a scopa è meglio che cambi mestiere”. Quando sono stato eletto
segretario Zeni disse a qualcuno che, dato i contrasti che c'erano, nel giro di
un anno la Cisl di Varese avrebbe dovuto eleggerne uno nuovo. Ho fatto il segretario
generale per 14 anni.