giovedì 4 giugno 2020

ALBERTO BOLDRINI - Flerica, Cisl - Varese

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato il 25 maggio 1937 a Ligurno di Porto Valtravaglia, un paesino in provincia di Varese. Ho frequentato la quinta elementare. Mio padre era boscaiolo, anche se ha avuto un periodo in cui ha lavorato alla Macchi di Varese, mia madre era una coltivatrice diretta. Mio padre ha partecipato agli scioperi del ‘43 e quando i tedeschi hanno cominciato a mandare gli operai a lavorare in Germania ha lasciato l'azienda e si è nascosto in casa. 
Abbiamo attraversato momenti difficili. Quando ho visto l'Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi mi sono riconosciuto. La mia era una famiglia religiosa, di formazione cattolica, abbastanza praticante. Le ultime settimane di lezione, quando ci trasferivamo in montagna con le bestie, tutti i giorni scendevo a piedi per un sentiero per andare a scuola.

Si può dire che ho cominciato a lavorare a cinque anni, aiutando le attività contadine della famiglia, ma non era sfruttamento minorile. Ho aiutato in famiglia fino al compimento dei quindici anni. Da noi gli uomini andavano in officina e le donne in tessitura. Io ho lavorato per un paio di mesi in nero in un'officina che faceva viti e bulloni, fino a quando uno zio mi ha consigliato di iscrivermi alla scuola serale di ceramica a Laveno. Il 12 agosto del 1952 ho iniziato a lavorare alla Ceramica di Laveno e sono rimasto lì fino a novembre del 1956 quando l'azienda ha avviato un grande processo di ristrutturazione con settecento licenziamenti. Complessivamente in quel momento gli occupati erano quasi duemila. Io non ero tra i licenziati, ma c'era Emilio Zeni, segretario della Cisl di Varese, che da un po' di tempo mi spingeva a partecipare al corso lungo di Firenze. Ero molto incerto se accettare la proposta, ma Zeni mi ha fatto notare che l'azienda aveva bisogno di licenziare un certo numero di persone e quindi, se me ne fossi andato io, che avevo una prospettiva, avrei salvato il posto di lavoro di un altro che magari non aveva alternative. Posto di fronte a questa questione morale ho accettato. È stato un corso abbastanza importante, miei compagni erano Carniti, Marini, Crea, Colombo. Però è stato un po' sprecato perché, avendo frequentato solo la quinata elementare, i temi proposti per me erano difficili. Tutti gli altri avevano studiato di più, qualcuno era addirittura laureato ed erano tutti più grandi. Se non fosse stato che a me piaceva leggere qualunque cosa trovavo non avrei potuto seguirlo. Frequentavo con assiduità la biblioteca, soprattutto per cercare sul dizionario le parole difficili che sentivo per la prima volta. Probabilmente sono stato il più giovane allievo che ha partecipato ai corsi di Firenze non avendo ancora fatto il servizio militare. Abbiamo fatto anche uno sciopero.
Dopo Firenze ero destinato a Milano e Mario Colombo a Varese. Al rientro sono andato a salutare Zeni e Pierino Azimonti, che era il segretario generale, e mi hanno chiesto quando avrei iniziato. Quando gli ho detto che avrei dovuto andare a Milano, Azimonti ha parlato con Pastore per farmi rimanere a Varese. C'era infatti un problema alla Ceramica di Laveno dove era attiva una delle migliori commissioni interne della provincia, ma i cui componenti avevano difficoltà di rapporto con l'operatore che li seguiva. Furono pertanto cambiate le destinazioni, Colombo andò Milano e io rimasi a Varese. Iniziai così la mia attività sindacale nell'ufficio di zona di Laveno. Seguivo le ceramiche, però c'erano anche dei maglifici, una tessitura, l’ospedale. Non mi occupavo dei postelegrafonici, della scuola e degli enti locali che avevano una loro struttura.
Quella in zona è stata l'esperienza più bella del mio percorso sindacale. Mentre ero a Laveno ho fatto il servizio militare, tornato mi hanno mandato a Besozzo. Zeni mi ha fatto capire che a Laveno era meglio non modificare la situazione che si era creata. Infatti, mentre ero via avevano cambiato ben quattro o cinque operatori e finalmente quello attuale sembrava funzionasse. All'inizio l'ho presa male, ma poi ho capito qual era la situazione. A Besozzo si stava costruendo la Ignis e ho sindacalizzato la nuova fabbrica. Ho fatto quasi ottocento iscritti e stavo costituendo la prima commissione interna, avevamo già presentato le liste, quando mi hanno mandato a chiamare da Laveno dove c'erano stati ancora problemi con l'operatore della Cisl. Ci siamo trovati al bar della stazione con alcuni commissari delle aziende della ceramica e mi hanno detto che volevano che tornassi io. Ne ho parlato con Zeni, dicendogli anche che la loro mi sembrava una richiesta un po' arrogante, ma lui mi ha detto che i lavoratori erano i nostri padroni e quindi avrei dovuto accettare la loro richiesta. Così sono tornato alla zona di Laveno che ora comprendeva anche Luino.
Stavo bene in zona, quando c'erano i congressi delle categorie organizzavo la partecipazione dei lavoratori ma non ci andavo. Qualcuno a livello provinciale ha cominciato a evidenziare questo fatto e ad un certo punto sono stato trasferito alla zona di Varese. Contemporaneamente sono diventato segretario provinciale dei ceramisti. Nel 1969 è stato fatto l'accorpamento e i ceramisti sono entrati a far parte del sindacato dei chimici e così sono diventato segretario della nuova categoria, ma contemporaneamente ero anche delegato di zona della Cisl a Varese. In quel periodo sono andato abbastanza bene perché ho fatto circa quattrocento nuovi iscritti all'ospedale, 150 alla Italo Cremona, dove prima non ce n'era neppure uno, azienda il cui titolare era il presidente dell'associazione industriale dei produttori di giocattoli. C'era in corso il rinnovo del contratto nazionale del settore e l'azienda del presidente non scioperava, allora sono andato lì, mi sono messo accanto alla porticina dove entravano e uscivano i lavoratori e sono riuscito a far fare il primo sciopero.
La formazione è stato l'elemento fondamentale con cui è stata costruita la Cisl. Attraverso la formazione creavo dei gruppi affiatati ai quali poi era affidato il compito di fare gli iscritti dentro i luoghi di lavoro e così è stato all'ospedale, alla Italo Cremona, alla Ignis.
Ho avuto due passioni nella vita: la montagna e la Cisl. Il campo scuola me le ha unite. Il primo cui ho partecipato è stato nel 1955. Veniva Giulio Pastore e ho commesso l'errore di giocare a scopa con lui, Idolo Marcone e Bruno Storti. Ho litigato con Marcone e da allora non ci sono più andato d'accordo. Un anno, al campo scuola, dove normalmente partecipavano due lavoratori per ogni zona, sono riuscito a riservare tutti i posti ai rappresentanti della Ignis. Dieci giovani che tornati in azienda mi hanno fatto più di mille iscritti.
Contemporaneamente ero impegnato con la categoria. Abbiamo firmato il contratto nazionale della gomma plastica nel 1969, due mesi prima dei metalmeccanici, e i primi diritti li abbiamo conquistati noi. Allora firmavano due rappresentanti per organizzazione e io sono stato il secondo firmatario per i chimici della Cisl. Per due mesi ho gestito il rinnovo del contratto nazionale del settore. Ad un certo punto ho dovuto scegliere se andare a Roma. Ho avuto più di un'occasione: prima per la ceramica, poi per i chimici. Mi avevano fatto un'offerta anche gli edili, perché il settore del giocattolo era gestito da loro. Nel 1972, però, Zeni mi ha chiesto di entrare nella segreteria provinciale della Cisl. Io non avevo voglia di andare a Roma e ho scelto l'Unione, lasciando oltre alla zona anche la categoria.
All'Unione mi occupavo di tutto, il segretario generale era Zeni, ma di fatto le sue funzioni le svolgevo io, perché lui ormai era impegnato al regionale. Molte delle sue relazioni le ho scritte io, lui si limitava a leggerle e la gestione era nelle mie mani. Fu un periodo abbastanza conflittuale perché io, a differenza di Zeni, non lasciavo cadere niente. Tant'è che nel 1986, quando ho lasciato, ero veramente logorato.
Il 24 aprile 1974 sono diventato ufficialmente segretario generale della Cisl di Varese. Mi ricordo la data perché è l'anniversario del mio matrimonio. Abbiamo fatto un consiglio generale che è andato avanti fino quasi a notte nel tentativo di non farmi eleggere, ma la gente è rimasta lì e alla fine sono stato eletto. Con me in segreteria sono entrati in tempi diversi Ceriani, che arrivava dalla Fim, Marino Bergamaschi, Augusta Restelli e Pisano, che veniva dalla zona di Gallarate e seguiva anche il commercio.
Nel 1985 ho manifestato l'intenzione di andar via, ma avevo grande pressione dal regionale e dal nazionale perché non lasciassi, addirittura mi aveva mandato a chiamare Franco Marini a Roma. Ma ho commesso un errore, terminata la relazione congressuale ho detto che dovevo fare una comunicazione e ho annunciato l’intenzione di lasciare entro un anno. Quando uno fa una comunicazione del genere da quel momento non conta più niente. Ho ricevuto offerte dagli artigiani, da alcune aziende, mi hanno proposto di candidarmi in Provincia. Avrei potuto avere degli incarichi all'Inps, alla Camera di commercio ma ero così stanco che ho troncato con tutto e non ho più avuto incarichi, salvo nel direttivo dei pensionati. Però mi mancavano quasi due anni alla pensione, allora Zeni, che collaborava con il sindacato svizzero Ocst per la costituzione dell'Inas per i frontalieri, mi ha chiesto di seguire la nuova iniziativa. L'accordo venne definito nella mia baita a San Michele davanti a una bella bottiglia di vino. Ho mantenuto quell’incarico per il periodo che mi mancava alla pensione, dal marzo '86 a tutto l'87, muovendomi nelle zone di confine di Varese, Como, Valtellina e Valchiavenna. È stata una bella esperienza che mi ha consentito di recuperare un rapporto diretto con i lavoratori che da segretario generale in parte avevo perso e mi sono anche divertito.
Anche la Federazione Cgil-Cisl-Uil di Varese è stata decisa nella mia baita, e pure la segreteria regionale della Luigia Alberti è nata lassù: io e Fontana di Como, che non volevamo essere partecipi di quella decisione, siamo usciti a fare un giro al momento dell’intesa.

Quando sono entrato in ceramica non sapevo neppure cosa fosse il sindacato. Nel mio reparto ci lavoravano ottanta persone, c'era un caporeparto tremendo e lo chiamavano il reparto disciplina. Io avevo un rapporto molto conflittuale con lui, continuavamo a litigare, fino a quando ho avuto uno scontro estremamente forte. Dopo quel diverbio mi ha avvicinato un operaio e mi ha detto di tenere duro perché il contratto mi dava ragione. Io non sapevo neppure cosa fosse il contratto e gli ho chiesto come fare per averlo e lui mi ha detto che bisognava andare dai sindacati e mi ha dato l'indirizzo della Cgil, dove era iscritto. Dopo un po' però è tornato da me e mi ha detto che, conoscendomi,  forse per me era meglio andare da un altro sindacato, e mi ha mandato alla Cisl. Due anni dopo anche lui è passato alla Cisl. Sono andato alla sede della Cisl, ho parlato con il responsabile di zona e mi sono iscritto. Dopo qualche mese in fabbrica sono stato avvicinato dal collettore della Cisl - allora si raccoglievano ogni mese i bollini per le tessere - e mi ha detto che aveva ricevuto la cartolina per il servizio militare e quindi avrei dovuto sostituirlo. Sono andato a parlare di nuovo con il delegato di zona e mi ha convinto a farlo. Quell’impegno un po' mi è costato, perché ogni tanto c'era qualcuno che diceva che un mese non poteva, che i soldi me li avrebbe dati il mese successivo e poi si dimenticava e allora li integravo io. Era un'attività senza nessuna tutela perché il contratto vietava qualsiasi raccolta di fondi in azienda, e noi tutti i mesi raccoglievamo i soldi e lo facevamo alla luce del sole. Il contratto vietava la distribuzione di materiale propagandistico, ma quando c'erano i volantini si entrava cinque minuti prima e quando gli operai arrivavano li trovavano sul loro posto di lavoro. In fabbrica non ho mai fatto il commissario però ero responsabile della Sas Cisl.
Nel 1955 mi hanno proposto di partecipare al campo scuola sulle Dolomiti, per quindici giorni il costo era di 12mila lire compreso il viaggio, il resto era a carico dell'organizzazione. Allora le ferie le facevo sui monti dietro casa per cui il campo era anche una bella opportunità per fare delle vacanze diverse. Al campo scuola ho conosciuto una Cisl differente da quella che immaginavo, si discuteva di problemi della società, c'era entusiasmo. Quei giorni mi hanno aperto un orizzonte molto più ampio. I lavori prevedevano una sessione plenaria al mattino mentre nel pomeriggio ci si divideva in gruppi con un animatore. Il mio era un certo Fantoni che veniva da Saronno, un socialdemocratico che poi è diventato anche segretario confederale. Alla fine del campo scuola veniva compilata una scheda di valutazione per ciascun partecipante. Tornato a casa mi ha mandato a chiamare Zeni, che allora non conoscevo, affidandomi la responsabilità dell'ufficio provinciale giovani. Poi è arrivato l'invito per un corso di formazione residenziale organizzato dalla confederazione a Villa Pia, a Orta. Ero stato scelto in base al giudizio stilato su di me alla fine del campo scuola. In quell'occasione ho avuto un secondo scontro con Idolo Marcone sul tema della contrattazione aziendale perché io sostenevo che divideva i lavoratori.
Come responsabile del gruppo giovani dovevo andare in tutta la provincia e mi muovevo con la mia moto, una Iso 125, a organizzare le tre sere e le sei sere. La formazione ha costruito la Cisl anche perché molti dei cislini che arrivavano dalla prima ora non è che l'avessero capita la nuova Cisl di Giulio Pastore e di Mario Romani. Attraverso la formazione abbiamo diffuso la cultura della Cisl e un'idea di Cisl che molti hanno portato nell'amministrazione e nella politica.

Ho seguito tante vertenze aziendali e ho fatto tanti accordi. Negli anni Sessanta era stata costruita la formula del P su H per contrattare il premio di produzione, ma siamo riusciti ad applicarla in poche realtà. I punti qualificanti nella seconda metà degli anni Sessanta erano il riconoscimento della presenza del sindacato dentro le aziende, la trattenuta sindacale, il diritto di assemblea, la possibilità per i componenti i direttivi sindacali di partecipare alle riunioni. Noi, in particolare, nel settore dei chimici, ponevamo l'attenzione sul tema dell'ambiente che però non era facile da portare avanti perché il contratto nazionale prevedeva le indennità di rischio nocività, la monetizzazione, e i lavoratori non erano facilmente disposti a perdere quei soldi, tant'è vero che il problema venne risolto solamente quando fu affrontato a livello nazionale, ma i lavoratori coniarono lo slogan: “la salute non si vende, si regala”.
In quel periodo si aprì il problema con i metalmeccanici, perché Macario voleva la verticalizzazione e l'autonomia politica delle categorie mentre noi a Varese lavoravamo in termini confederali. La Cisl aveva un direttivo di alto livello, con commissioni interne e rappresentanti di grande esperienza nei diversi settori, pertanto eravamo contrari a quel processo. Allora la Fim nazionale commissariò i metalmeccanici di Varese e mandò come commissario Gianni Bon.
Bon è arrivato come operatore, ma dopo un po' il segretario si sentiva sotto tutela e se n'è andato diventando direttore dell'Unione dei piccoli industriali di Varese. Nel giro di poco tempo alla Fim le persone sono state tutte sostituite con nuove figure venute dall'esterno. Questo si è riflesso anche sulle altre categorie e anche altri se ne sono andati. Su 34 persone che lavoravano a tempo pieno alla Cisl, compresi i servizi, coloro che arrivavano da esperienze precedenti al 1969 erano solo quattro. Macario, mentre era segretario organizzativo della Cisl, era chiamato “segretario scopa”. Ho avuto uno scontro con lui per questo, ma Zeni mi ha rimproverato pesantemente. Ero abituato a delegare, a far crescere la gente perché si responsabilizzasse e questa nuova situazione non mi piaceva, e a un certo punto stavo quasi per andarmene anch'io.
Nel congresso del 1973 ero già in segreteria dell'Unione e per un pelo non sono stato fatto fuori, ma senza che ci fosse uno scontro. Avevo proposto di fare un consiglio generale più rappresentativo, che tenesse conto del numero degli iscritti, perché fino a quel momento era composto dai segretari di categoria e le categorie erano ben cinquanta, ma Zeni non era molto d'accordo. Nell'esecutivo avevamo preso degli accordi sul futuro della segreteria, ma il mattino successivo in congresso è scoppiata una bagarre sulla mia figura, allora ho parlato con Bon ricordandogli che la sera prima avevamo concordato una soluzione e lui mi ha risposto che riconosceva solo gli atti politici e non ciò che ci eravamo detto nei corridoi. I chimici mi avevano eletto al congresso confederale e ci sono andato con in tasca la lettera di dimissioni, ma una volta tornato le ho stracciate. Nonostante questa situazione e quello che era accaduto in congresso, pochi mesi dopo ho avuto i due terzi dei voti e sono stato eletto segretario generale.
Quando ho preso in mano la Cisl avevamo 16mila iscritti e siamo arrivati a 42mila, i chimici sono passati da novecento a 4.100, avevamo colto l'opportunità del momento. Le due categorie maggiori, meccanici e tessili, invece non hanno sfruttato la disponibilità di quel periodo partendo subito col tesseramento unitario. La Fim era la categoria della Cisl più simile alla Cgil, con l'ufficio pieno di bandiere rosse, con operatori che entravano nella nostra sede cantando bandiera rossa e il mio timore era che al momento in cui il percorso unitario si fosse fermato loro non sarebbero stati pronti per ricostruire l’organizzazione.

Gli ultimi anni Sessanta sono stati un periodo irripetibile, bastava andare davanti ad una fabbrica, si appendeva il cartello che annunciava lo sciopero e la gente scioperava e solo dopo veniva a chiedere perché e si iscriveva al sindacato. Ci fu grande partecipazione ed era facilissimo sollecitarla. Fatti gli accordi aziendali, raccoglievamo i testi delle intese e costruivamo un fascicoletto che poi mandavamo nelle fabbriche, anche dove il sindacato non c'era, per far sapere ai lavoratori che cosa era possibile ottenere.
Il venir meno della confederalità fece sì che la Cisl, a differenza degli anni precedenti nei quali si presentava con una linea concentrata su alcuni obiettivi, affrontasse quegli anni in modo sparso. Sul tema dei diritti sindacali e dell'orario di lavoro ognuno andò per conto suo. I chimici puntarono molto sulle classificazioni, i metalmeccanici si concentrarono sul problema dei tre giorni di malattia. Non c'è stata una politica sindacale univoca come ci fu ad esempio negli anni ‘50 quando la Cisl affrontò la Cgil sull'accorpamento salariale, perché la busta paga era composta da cinquanta voci e mentre noi sostenevamo che l'accorpamento era già una conquista, la Cgil chiedeva anche un aumento salariale.
La reazione di Confindustria al nuovo clima sindacale fu di netta chiusura, la situazione cambiò un poco con l'arrivo di un nuovo dirigente, il dottor Timoncini, che li convinse che era inutile fare delle battaglie che prima o poi, con l'arrivo dello Statuto dei lavoratori di cui già si parlava, sarebbero state superate e i nuovi diritti acquisiti dai lavoratori. Inoltre, l'ampliamento delle dimensioni delle aziende richiedeva metodi nuovi per regolare il conflitto all'interno delle fabbriche e infatti piano piano anche Confindustria arrivò ad accettare la nuova realtà. Inizialmente gli accordi si firmavano in azienda con le commissioni interne, poi si cominciò ad accettare l'idea di sottoscriverli in Confindustria con la firma delle organizzazioni sindacali.

Le commissioni interne erano composte da persone preparate che conoscevano profondamente la situazione della loro azienda, quando siamo passati ai delegati si avviò un processo di assemblearizzazione in alcuni casi ingovernabile e non sempre il reparto si preoccupava di individuare le persone migliori, ma spesso si eleggevano coloro che gridavano di più, con mentalità movimentiste. I candidati nelle commissioni interne li proponeva il sindacato e si sceglievano i migliori e spesso dietro c'era un lavoro di ricerca delle persone, di formazione. Con l'avvento dei delegati la Cgil, grazie anche al proprio sistema politico partitico, riusciva comunque ad esercitare un controllo sugli eletti mentre noi ci siamo trovati con persone con le quali a volte non riuscivamo neppure ad avere un rapporto, in alcuni casi con conseguenze preoccupanti. Allora le automobili erano tutte intestate al segretario e mi è capitato che i carabinieri mi telefonassero per sapere chi c'era alla guida di quelle vetture. Abbiamo avuto dei problemi, in larga parte tra i metalmeccanici, ma in alcune situazioni anche tra i chimici, in particolare a Castellanza, dove erano presenti gruppi extraparlamentari. Abbiamo fatto dei corsi di formazione con esperti, ma metalmeccanici e tessili non partecipavano e quelle erano le categorie più grandi della Cisl di Varese.
I lavoratori partecipavano anche alle manifestazioni e agli scioperi sui temi generali anche se la realtà della provincia di Varese è molto frastagliata con situazioni differenti. Ci siamo mobilitati per la realizzazione degli asili nido e siamo riusciti a realizzarne diciassette.

Ho condiviso le richieste di aumenti uguali per tutti anche se ero contrario a certe esasperazioni, c'era l'esigenza di colmare alcune differenze che non avevano giustificazione, ma il vero egualitarismo era sulla parte normativa, invece si guardava solo la parte salariale. C'erano delle disparità tra operai e impiegati non giuste ed era contro queste che si sarebbero dovuto indirizzare le politiche egualitarie, era la richiesta di riconoscere pari dignità ai lavoratori indipendentemente da quale fosse la loro occupazione. Ci siamo impegnati per costruire una classificazione unica e questo non era solo per operai e impiegati, era fatto anche per le donne che allora avevano una classificazione diversa da quella degli uomini. Bisogna però dire che dal punto di vista culturale si trovavano delle resistenze tra gli stessi lavoratori maschi che non ritenevano giusto che le donne avessero lo stesso inquadramento degli uomini, così come qualche resistenza da parte degli operai più anziani ci fu quando si arrivò a chiedere ferie uguali per tutti indipendentemente dall'anzianità.

A Varese ci eravamo impegnati per far eleggere Azimonti deputato, anche perché allora il nostro grado di rappresentatività era abbastanza scarso e molte cose si decidevano in Parlamento. Pastore arrivò addirittura a far cadere un governo sul problema dei patti agrari. Io mi sono iscritto alla Democrazia cristiana perché, avendo deciso di candidare Azimonti, che il partito non voleva, occorreva sostenerlo e in quell'occasione ci siamo iscritti in parecchi e ci siamo messi in campagna elettorale. Però una volta eletto non lo vedevamo più e la testa l'aveva altrove e così abbiamo iniziato a discutere il problema dell'incompatibilità. C'erano categorie che sostenevano esplicitamente alcuni candidati, in modo particolare nel pubblico impiego, dove c'erano situazioni di clientelismo se non di scarsa autonomia dalla politica, ma per noi l'autonomia era importante, mentre c'era gente che aspettava la scelta dell'autonomia perché si sarebbero liberati dei posti da occupare.

Alle Ceramica Laveno avevamo una Cgil che aveva comportamenti scorretti, ma la contrattazione aziendale ha dato una spinta alla necessità di muoversi insieme e ricostruire l'unità sindacale, perché senza unità la contrattazione era ben difficile da fare. A livello nazionale poteva avere un senso presentare tre piattaforme, ma in azienda una situazione del genere non sarebbe stata capita dai lavoratori. Si può dire quindi che l'unità sindacale sia nata pian piano dal basso ed è venuta avanti come una esigenza e io l'ho vissuta positivamente. A Varese la Uil è stata inventata perché non c'era e noi addirittura avevamo proposto di fare la federazione Cgil-Cisl, ma la confederazione ci impose di inserire anche la Uil e allora abbiamo cercato una persona che potesse rappresentarla e abbiamo trovato un ex cislino. Ma la Uil non era affidabile. I comunisti della Cgil ci facevano ammattire, ma quando si faceva un accordo lo rispettavano. A Varese siamo riusciti a far fare i congressi per l'unità anche ai maestri e al parastato. La categoria mandò un segretario nazionale a presiedere il congresso, ma la mozione a favore dell'unità ebbe comunque la maggioranza. Con Zeni avevamo organizzato un piano che prevedeva, qualora si fosse costruita l'unità, l'accantonamento di fondi per il sostegno a coloro che eventualmente avrebbero dovuto lasciare i loro incarichi e per la formazione degli addetti dei nostri servizi che in gran parte non erano militanti ma semplici funzionari. Non era un'azione contro unità, l'obiettivo era quello di portare dentro l'unità le idee e i valori della Cisl. E la Cisl in questo è riuscita. La contrattazione aziendale era avversata dalla Cgil, l'autonomia era un'idea della Cisl, poi sono stati fatti propri anche la Cgil. Questo è stato possibile anche perché in quel momento in Cgil c'erano persone affidabili. Però non abbiamo fatto i congressi di scioglimento della Cisl.
In occasione del congresso del 1973 ero schierato con Storti e a Varese eravamo tutti d'accordo. I nostri iscritti erano partecipi del dibattito che si svolgeva all'interno dell'organizzazione, c'erano alcune perplessità, in modo particolare tra i più anziani, che avevano subito sopraffazioni da parte dei comunisti. Anch'io ho sopportato delle angherie quando lavoravo in ceramica. Essendo riuscito a convincere alcuni lavoratori a passare dalla Cgil alla Cisl un bel giorno mi hanno messo dell'anilina nell'acqua con cui mi lavavo, per cui mi è venuta la faccia tutta blu. Ogni tanto all'uscita trovavo la ruota della bicicletta sgonfia. Quando la Cgil dichiarava gli scioperi che noi non condividevamo e decidevamo di entrare a lavorare i picchetti erano duri e una volta ho preso un calcio che poi mi ha fatto infezione. Se tra gli anziani c'era qualche perplessità, da parte dei giovani c'era molta più disponibilità.

L'avvio dei governi di unità nazionale per me era un fatto positivo perché voleva dire allargare la democrazia e anche che le cose che noi sostenevamo venivano accettate dagli altri. Negli anni Cinquanta loro contestavano il sistema, entrando nel governo voleva dire che ora lo accettavano. La preoccupazione era che l'intesa politica condizionasse anche la nostra attività. Ero abituato ad avere governi amici, perché quando facevamo gli scioperi per la casa e contro il governo alla guida c'era la Democrazia cristiana, per la Cgil invece nei confronti di un governo che aveva all'interno il Pci c'era qualche problema. Mentre la Cgil tendeva alla moderazione noi continuavamo a fare il nostro mestiere.
L'esigenza di una politica salariale più moderata cui si è cominciato a discutere nella sede dell'Eur l'abbiamo fatta subito nostra, perché la vivevamo nella nostra azione sindacale e da lì si arrivò alla proposta di Tarantelli sulla predeterminazione del punto di contingenza. La proposta fu accettata da tutte le categorie della Cisl anche perché alla guida della Cisl in quel momento c'era Carniti.

In questa mia esperienza sindacale mi sono fatto coinvolgere troppo, per il sindacato ho trascurato la famiglia, per la crescita dei figli ho delegato tutto alla moglie. È stato un impegno troppo coinvolgente ed è per questo che ad un certo punto ho tagliato completamente i rapporti con la Cisl, promettendo alla moglie che mi sarei dedicato a lei e alla famiglia, poi l'ho un po' tradita perché per tre anni ho fatto il presidente della locale sezione degli alpini. Per il resto è stata una grande soddisfazione, forse avrei dovuto essere un po' più furbo, un po' più malleabile, ma io sono un integralista, sui principi non mollavo niente. Purtroppo mi ha molto deluso il comportamento che è emerso nel 1969 quando si è sfruttata l'autonomia e l'incompatibilità soltanto per creare posti e maneggiare soldi.
Una volta Pastore mi disse che un buon sindacalista deve saper reggere il vino e saper giocare a scopa, “Io non so come tu stai con il vino – sottolineò -, ma per come giochi a scopa è meglio che cambi mestiere”. Quando sono stato eletto segretario Zeni disse a qualcuno che, dato i contrasti che c'erano, nel giro di un anno la Cisl di Varese avrebbe dovuto eleggerne uno nuovo. Ho fatto il segretario generale per 14 anni.