Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Sono
stata assunta il 23 febbraio 1962 alla Pirelli di Seregno dove si producevano
materiali in gomma come le pinne, le gomme per cancellare, le palle da tennis e
altro ancora, con un contratto di quattro mesi fino alla fine di giugno, ma ero
tranquilla perché normalmente confermavano tutti. Ho fatto una bella esperienza
di un corso di formazione, ma al 27 giugno mi hanno comunicato che non mi
avrebbero rinnovato il contratto dicendo che ero giovane e che un posto lo
avrei facilmente trovato.
Se fossi andata a casa a raccontarlo a mia mamma,
siccome mi considerava una mezza pazza, mi avrebbe sicuramente accusata dicendo
che la colpa era mia. Così ho preso la bicicletta e sono andata all'ufficio del
personale della Bicocca dove il capo era il ragionier Ghirlandi. Questi mi ha
detto che non dovevo preoccuparmi e che mi avrebbero riassunta. Ho fatto di
nuovo la domanda e, nell'attesa di poter riprendere a lavorare, per venti
giorni sono andata a imparare a cucire, fino a quando è arrivata la lettera di
assunzione. Mia mamma si è chiesta come mai, visto che io per lei andavo già a
lavorare e a quel punto ho dovuto raccontarle tutta la vicenda. Il 27 luglio ho
iniziato a lavorare in Pirelli Bicocca con un contratto a tempo indeterminato.
Ho fatto una visita psicoattitudinale e sono stata inquadrata all'ultimo
livello.
Ho
lavorato nello stabilimento di Segnanino, servizi tecnici. Il mio reparto era
il 9131 dove facevano le cinghie di trasmissione per le automobili.
Organizzazione del lavoro
Eravamo
circa 500 addetti per duecento posti di lavoro e si lavorava su tre turni gli
uomini e due turni le donne. Noi indossavamo un grembiule azzurro scuro o nero
mentre le tute bianche erano gli operai addetti alla nerofumo. Le cinghiette
erano fatte con un'anima e la copertura. Il processo produttivo iniziava con la
realizzazione del tessuto, seguiva il taglio che dava la forma alle cinghiette,
quindi la copertura, la cottura, la fascettatura e infine il magazzinaggio per
la vendita. Io ero occupata nella fase della copertura. Ogni cinghietta dodici
secondi. Che voleva dire fare migliaia di cinghiette al giorno e c'era la
pressione a farne di più perché così il guadagno del cottimo aumentava.
La
prima fase di lavorazione era degli uomini, che erano inquadrati con la prima
categoria, la seconda fase e la terza - la mia - erano delle donne e l'ultima,
quella della cottura, toccava di nuovo agli uomini. In quella zona c'erano
grandi contenitori dove si mettevano i cilindri di cinghiette ricoperte che si
vulcanizzavano. Finita la vulcanizzazione passavano alla rifinitura, che noi
chiamavamo la gabbia, dove si mettevano i timbri, il marchio e si confezionavano.
Si trattava di manodopera in gran parte generica perché le mansioni erano tutte
abbastanza semplici.
Segnanino
era composto di vari reparti e ognuno aveva la sua produzione, il nostro era il
reparto più grande e complessivamente penso fossimo circa 1.500 lavoratori.
Arrivavano da tutto il circondario, ma molti anche da Bergamo con i pullman e
c'erano già gli immigrati dal Sud. In quel momento la Pirelli contava circa
25mila persone.
Le
macchine su cui lavoravamo non erano particolarmente pericolose, anche se ci
sono stati degli incidenti. Le condizioni dell'ambiente di lavoro erano pessime,
era un luogo terribile. Io arrivavo da Seregno dove la gomma era colorata, lì
invece era tutto nero. I muri erano neri, i soffitti erano neri. C'erano fumi e
polvere ovunque. Era un reparto invivibile e le prime lotte che ho fatto sono
state proprio sull'ambiente. Gli addetti alla vulcanizzazione avevano diritto
al lavaggio della tuta e anche all'asciugamano passato della ditta. Ne davano
uno alla settimana e la prima rivendicazione è stata quella di farsene dare uno
al giorno perché diventava nero immediatamente ogni volta che ci si lavava.
La
produzione negli anni Ottanta è cessata perché è stata trasferita vicino a
Pescara, quando è stato deciso che la Pirelli invece di 25mila doveva avere
settemila dipendenti e in quell'occasione abbiamo fatto la contrattazione sul
trasferimento dei reparti.
Sindacato
La
mia esperienza di impegno sindacale in azienda è stata molto positiva perché
avevamo molto spazio per operare. Il momento di svolta è stato il contratto dei
primi anni Settanta, quando abbiamo acquisito i diritti sindacali e a quel
punto abbiamo costituito gruppi di lavoro e commissioni di reparto su tutti i
problemi che avevamo: ambiente, salute, mensa, cottimo.
Sono
stata eletta delegata nel primo consiglio di fabbrica che è nato nel 1968. Ho
un bellissimo ricordo di quell'evento perché del sindacato non sapevo ancora
nulla però sono stata votata dalle mie compagne di lavoro perché secondo loro,
non essendo ancora sposata, non avevo niente da fare. Quando mi è stata fatta
la proposta sono andata a parlare con il mio parroco e lui mi ha detto che
dovevo accettare e di scegliere la Cisl. Il primo incontro del consiglio di
fabbrica, non avendo ancora diritti, è stato organizzato alla fondazione
Belloni e mentre eravamo ancora in piedi, nella sala sono arrivate le tute
bianche e quegli uomini ci hanno portato con i fischietti in mensa impiegati:
due conquiste in un colpo solo, primo perché il sindacato ancora non entrava in
fabbrica ufficialmente, secondo perché normalmente gli operai nella mensa
impiegati non entravano.
Nel
1975 sono entrata nell'esecutivo del consiglio di fabbrica della Pirelli che
riuniva tutti i reparti dell'azienda, eravamo in quindici a tempo pieno per
l'attività sindacale in fabbrica, con un consiglio composto da oltre cento
delegati. Nel mio reparto i delegati erano otto o dieci. Sui quindici
dell’esecutivo, sette erano della Cgil, cinque della Cisl e tre della Uil. Con
la mia compagna della Cgil in reparto non mi trovavo molto perché avevamo due
modi di fare sindacato diversi, io cercavo di risolvere i problemi
direttamente, lei invece era contraria perché diceva che in quel modo non
avremmo fatto le nostre lotte.
Il
capannone aveva dei tetti costruiti male, con finestroni difficili da aprire e
nei giorni di brutto tempo pioveva dentro e per chiuderli dovevamo chiedere aiuto
agli operai. Anche sulle pareti c'erano delle finestre, anche quelle difficili
da aprire e chiudere, e anche in quel caso avevamo bisogno degli uomini. Per
affrontare il problema e risolverlo con l’utilizzo di sistemi automatici non
era necessario fare delle lotte, bisognava andare in direzione e farlo presente
e così si risolvevano tanti problemi, senza bisogno di scioperi o battaglie
particolari.
Noi
della Cisl eravamo ben rappresentati in Pirelli. Tra gli impiegati c'erano
Luciano Maiocchi e Giosuè Citelli che avevano lavorato molto bene quando erano
in commissione interna, avevano idea di come fare sindacato, la trasmettevano.
La Cisl in Pirelli ha avuto anche più di duemila iscritti.
Io
arrivavo dal mondo cattolico, ma avevo in me della radicalità, non ero della
Democrazia cristiana e faticavo a riconoscermi nei sindacalisti più anziani
della Cisl di fabbrica che erano democristiani, però vedevo che le forze
politiche erano abbastanza forti. In occasione di un congresso a cui dovevamo
mandare dieci nostri delegati gli amici democristiani avevano preparato una
lista che comprendeva il mio nome e io ho protestato e mi sono fatta togliere
perché non volevo essere confusa con quei riferimenti partitici. Però poi mi
sono impegnata a fare le assemblee con i nostri iscritti per farmi eleggere e
sono risultata la prima. Questa esperienza è stata utile a farmi conoscere in
tutta la fabbrica.
La
cellula del Pci aveva la sede subito fuori dalla fabbrica. Non sempre ero in
grado di capire tutti i movimenti politici che avvenivano tra i diversi
schieramenti, ma per me è stata un'importante occasione di crescita ed ero
attenta a osservare i conflitti tra socialisti e comunisti e gli orientamenti
che arrivavano dall'esterno del consiglio di fabbrica.
Non
facendo riferimento a nessun partito, gli altri facevano fatica a inquadrarmi e
qualcuno mi aveva apostrofata come una mina vagante. La pressione dei partiti
si è fatta forte in occasione dei referendum sul divorzio e sull'aborto sui
quali, pur non essendo temi strettamente sindacali, abbiamo riunito il
consiglio di fabbrica per discuterne.
Da
noi non abbiamo visto una presenza particolarmente significativa del movimento
studentesco. Una volta, quando facevo il primo turno e alle 5,30 sono passata
davanti alla portineria della Bicocca, in viale Sarca 2002, ho visto il Pesce,
che era un compagno sfegatato, che stava picchiando gli studenti perché non
voleva che si mischiassero con gli operai. Noi del consiglio di fabbrica non
volevamo che gli studenti venissero davanti ai nostri cancelli e a volte
abbiamo chiesto anche alla Rai di andarsene.
I
Cub sono nati quando la Cgil ha scelto di assumersi la responsabilità di
difendere la fabbrica nel periodo del terrorismo e la Pirelli è stata
individuata come azienda emblematica su questi temi. Anche durante le
manifestazioni noi eravamo sempre impegnati nei servizi d'ordine. Con questa
scelta la Cgil si è spaccata, perché alcuni erano contrari e dicevano che i
lavoratori avrebbero dovuto occuparsi solo della lotta per la difesa dei loro
interessi. A loro volta questi che si sono staccati si sono divisi, in parte
sono venuti alla Cisl e in parte hanno dato vita ai Cub. Io sono stata invitata
alla loro prima riunione e ho partecipato dicendo però che non condividevo il
loro modo di agire. Quelli che sono venuti da noi erano la parte più
intellettuale, erano molto bravi a parlare ed erano portatori di idee nuove,
insistevano sul fatto che la classe operaia doveva studiare, sostenevano l'idea
di costruire una biblioteca interna e io ero molto affascinata da questa
impostazione. Me ne ricordo uno che vestiva sempre elegante. È stato un periodo
interessante perché ha visto anche la messa in discussione della vecchia
guardia democristiana della Cisl. Però c'è stata un'esperienza negativa perché
si era iscritto alla Cisl uno del gruppo che aveva parlato della costituzione
della libreria, parlava di cultura, di far crescere la classe operaia e poi si
è scoperto che aveva l'armadietto in fabbrica pieno di armi.
I
Cub più che condizionare la nostra azione facevano un po' di casino, perché
anziché entrare nel merito dei problemi, come noi come consiglio di fabbrica
eravamo abituati a fare, si lanciavano sempre in proposte molto generali e
generiche e devo dire che non hanno prodotto molto.
In
fabbrica c'era un prete operaio, Mario Colnaghi, che ha sposato in chiesa il fondatore
dei Cub.
La
partecipazione dei lavoratori alle iniziative sindacali è sempre stata molto
alta, anche se per il modo d'essere dell'esperienza sindacale, i cislini sono
sempre stati un po' più restii a partecipare a iniziative e manifestazioni. Quando
c'è stato il rapimento Moro, ho ricevuto una telefonata dicendomi che si doveva
fermare la fabbrica. Dove c'erano i delegati della Cgil in tre minuti la
fabbrica era ferma mentre io ho dovuto faticare a spiegare a tutti i miei
delegati la vicenda prima che si convincessero a fermarsi. Però noi della Cisl eravamo
più concreti della Cgil che invece era sempre pronta alle mobilitazioni.
Nel
1975 ho avuto il distacco sindacale, ma ho sempre seguito la Pirelli.
Relazioni industriali
Da
parte della direzione c'era ascolto e disponibilità al dialogo. Occorre
considerare che quelli erano gli anni del terrorismo e l'azienda era
interessata a tenere basso il livello dello scontro proprio per non innescare
azioni violente. In azienda c'era una contrattazione positiva, almeno nel mio
reparto, poi quando sono entrata nell'esecutivo e ho potuto osservare tutta la
fabbrica mi sono resa conto che nell'area della gomma non era proprio così.
Questo anche perché c'erano responsabili del personale diversi e nel nostro
caso noi lo consideravamo un po' un papà buono. La politica della direzione
comunque è stata quella di seguire le nostre istanze e quando noi ponevamo un
problema l'atteggiamento era quello di cercare di risolverlo, come ad esempio
nel caso della sala per i fumatori.
In
quell'occasione, attraverso la contrattazione e il dialogo, abbiamo realizzato
dentro il reparto una sala dove chi lo desiderava, nella pausa che ognuno
poteva prendersi quando voleva, poteva andare a fumare, e dentro c’erano la
macchinetta per le bibite e due panche per sedersi. Personalmente l'ho
utilizzata molto per delle assemblee veloci, se dopo un incontro con la
direzione dovevo assolutamente informare i lavoratori ci si riuniva immediatamente
in quella saletta.
Contrattazione
La
nostra contrattazione in azienda dipendeva molto dal contratto nazionale. Con
il contratto del 1972, che per la prima volta ha riconosciuto i diritti sindacali,
con la possibilità per i sindacalisti di entrare in azienda a fare le
assemblee, abbiamo ottenuto la prima parte dei contratti, cioè l'informativa
sulla situazione dell'azienda e il riconoscimento della contrattazione di
secondo livello. Questo fatto ha aperto al sindacato una stagione meravigliosa.
Si contrattava tutto. Sull'ambiente abbiamo ottenuto che fosse esposta la
tabella con le condizioni del reparto, con indicati i valori dei gas, dei fumi,
eccetera e tutta una serie di cambiamenti, magari piccoli, ma che hanno
migliorato le condizioni lavoro, come ad esempio la sostituzione dei vetri alle
finestre, anche se la fabbrica era vecchia e più di tanto non si poteva fare.
La cosa importante, però, di quel periodo è che abbiamo iniziato a contrattare
l'organizzazione del lavoro, che ci ha permesso di analizzare il contenuto del
lavoro e verificare, ad esempio, se davvero le donne non potevano raggiungere
l'inquadramento nelle categorie più alte e individuare le piccole migliorie
nelle condizioni di lavoro.
Uno
dei temi importanti di contrattazione era quello sulla salute. In azienda avevamo
un centro che serviva per suggerire i movimenti più corretti durante le
attività di lavoro, c'era il medico interno.
Nel
nostro settore la contrattazione era molto diversa rispetto a quella dell'area
degli pneumatici. Noi lavoravamo come donne su due turni e potevamo gestire i
cambi di turno tra di noi in base alle esigenze di ciascuna e l'azienda
lasciava fare, l'importante era che le macchine girassero. Capitava che nello
stesso reparto lavorassero marito e moglie e se avevano dei figli occorreva che
lavorassero su turni diversi, così chi entrava portava il figlio in portineria
che poi veniva recuperato dal genitore in uscita e nel frattempo la portineria
faceva un po' di babysitteraggio.
Nel
reparto tappeti c'era una macchina a lavorazione continua i quindi non ci si
poteva interrompere, per cui ho fatto un accordo che prevedeva un accumulo dei
riposi non effettuati e quando si arrivava a otto ore si aveva diritto a una
giornata di ferie. Su questi piccoli aggiustamenti c'era sempre una
contrattazione aperta e non era necessario fare scioperi e proteste per trovare
un accordo. Le intese sulla flessibilità hanno permesso anche di ridurre il
tasso di assenteismo, che era assai limitato, e questo non poteva che andare
bene per l'azienda.
A
livello di gruppo Pirelli le trattative più importanti che ho seguito sono state
quelle che riguardavano l'organizzazione del lavoro quando nel 1973 l’azienda
ha posto il problema di una forte riduzione del personale della Bicocca, che
doveva passare da ventimila a settemila unità, con la produttività che avrebbe
dovuto aumentare del 40%. Ci sono stati scioperi e proteste, ma è partita una
contrattazione estremamente lucida, sia da parte della Pirelli che da parte del
quadro dirigente del sindacato, che ha portato alla definizione di un patto –
non so se scritto o meno - tra azienda e lavoratori. Con l'intero consiglio di
fabbrica, più di cento persone, che sono andate a San Giovanni Bianco a
studiare per tre giorni l'organizzazione del lavoro. E’ venuto un dirigente
della Pirelli a spiegare che cosa intendevano fare per aumentare la
produttività nella fabbricazione delle coperture e dopo questo incontro è
partita la contrattazione sulla riorganizzazione dell'intero ciclo produttivo di
tutta la fabbrica: eliminare lo stoccaggio, lavorare con il metodo del just in
time, ridurre i tempi, capire come limitare gli scarti. L'azienda ha spiegato
che se avessimo fatto tutte queste cose la produzione avrebbe potuto continuare
altrimenti sarebbe stata costretta a lasciare a casa le persone e chiudere.
Le
riduzioni di personale sono state gestite attraverso prepensionamenti e
trasferimenti in altre fabbriche del gruppo, con attenzione al luogo di
residenza delle persone, anche attraverso la contrattazione reparto per
reparto, con percorsi di formazione per la riqualificazione, senza nessun
licenziamento. Negli anni successivi queste aziende sono diventate prima
consociate, poi sono state vendute e alcune chiuse.
Nonostante
questa forte riduzione di addetti e un processo faticoso non ci sono state
tensioni eccessive, grazie probabilmente alla cultura della stessa Pirelli che ha
sempre cercato di essere attenta ai destini dei propri lavoratori.
I
costi dello stoccaggio erano quelli che bruciavano tutto il guadagno della
Pirelli perché la gomma è una cosa viva e non può essere lasciata ferma a
lungo. Il processo di ristrutturazione non l'ho vissuto come risultato di un
andamento negativo dell'azienda, ma come una necessaria evoluzione, erano
processi industriali obbligati.
Le
battaglie sindacali condotte in quegli anni in Pirelli sono state molto
gestite, ci sono stati momenti alti, come ad esempio quando in azienda è venuto
il cardinal Martini, abbiamo fatto un'assemblea aperta sui problemi del terrorismo.
C'era un collegamento tra la vita della fabbrica di tutti i giorni, il momento
organizzativo e l'attenzione ai temi più generali. Abbiamo fatto lo sciopero
per l'equo canone, per la politica delle riforme. Noi sulle grandi battaglie politiche
più generali ci siamo sempre stati.
Welfare aziendale
Avevamo
la mutua aziendale Pirelli, una mutua interna che provvedeva ai rimborsi spese
nel caso di visite, dal dentista o di altre visite specialistiche. Era nata
all'inizio del secolo come espressione del paternalismo aziendale che era
tipico delle grandi aziende in quegli anni, ma poi è evoluta e attraverso gli
accordi sindacali è stato deciso un contributo anche da parte dei lavoratori
che veniva raddoppiato dal datore di lavoro e prevedeva la presenza di rappresentanti
dei lavoratori nella gestione. Noi avevamo Francesco Perego che è stato molto
bravo e nel 1982, quando la mutua è stata chiusa, l'ha fatto in un modo
estremamente favorevole per i lavoratori e quando una persona si licenziava
prendeva una cifra uguale a tutto quello che aveva versato, mentre chi andava
in pensione riceveva oltre alla sua quota anche la quota versata dall'azienda.
Sia
io che mio marito quando siamo andati in pensione abbiamo così ricevuto una
doppia liquidazione. Mio marito l'ho conosciuto in Pirelli ed era il mio
delegato della Cisl. Anche mio papà aveva lavorato in Pirelli.
In
Pirelli c'erano, oltre agli impianti sportivi, l'asilo, la Chiesa, la scuola
elementare, le case del villaggio Pirelli. Tutta la zona della Bicocca era stata
inizialmente pensata per i dirigenti dell'azienda, poi pian piano è stata
allargata anche agli altri lavoratori. La Pirelli aveva anche le colonie per i
figli dei lavoratori e io sono cresciuta frequentando queste colonie, sia a Pietra
Ligure che in Valganna. Mia sorella maggiore ha frequentato le scuole medie a
Milano in un istituto di suore pagato dall'azienda, anche se in quel caso tratteneva
gli assegni familiari.
Con
le lotte del 1968 molti sostenevano che non dovessimo utilizzare quelle
strutture, che non ne avevamo bisogno, la Pirelli ha colto l'occasione per
lasciarne diverse, dandole al Comune. Alcuni non capivano che ogni volta che
noi dicevamo che non servivano la Pirelli diceva grazie, mentre noi della Cisl
sostenevamo che fosse salario differito e quindi si dovessero difendere.