giovedì 4 giugno 2020

LUIGIA CASSINA - Pirelli Segnanino - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono stata assunta il 23 febbraio 1962 alla Pirelli di Seregno dove si producevano materiali in gomma come le pinne, le gomme per cancellare, le palle da tennis e altro ancora, con un contratto di quattro mesi fino alla fine di giugno, ma ero tranquilla perché normalmente confermavano tutti. Ho fatto una bella esperienza di un corso di formazione, ma al 27 giugno mi hanno comunicato che non mi avrebbero rinnovato il contratto dicendo che ero giovane e che un posto lo avrei facilmente trovato. 

Se fossi andata a casa a raccontarlo a mia mamma, siccome mi considerava una mezza pazza, mi avrebbe sicuramente accusata dicendo che la colpa era mia. Così ho preso la bicicletta e sono andata all'ufficio del personale della Bicocca dove il capo era il ragionier Ghirlandi. Questi mi ha detto che non dovevo preoccuparmi e che mi avrebbero riassunta. Ho fatto di nuovo la domanda e, nell'attesa di poter riprendere a lavorare, per venti giorni sono andata a imparare a cucire, fino a quando è arrivata la lettera di assunzione. Mia mamma si è chiesta come mai, visto che io per lei andavo già a lavorare e a quel punto ho dovuto raccontarle tutta la vicenda. Il 27 luglio ho iniziato a lavorare in Pirelli Bicocca con un contratto a tempo indeterminato. Ho fatto una visita psicoattitudinale e sono stata inquadrata all'ultimo livello.
Ho lavorato nello stabilimento di Segnanino, servizi tecnici. Il mio reparto era il 9131 dove facevano le cinghie di trasmissione per le automobili.

Organizzazione del lavoro
Eravamo circa 500 addetti per duecento posti di lavoro e si lavorava su tre turni gli uomini e due turni le donne. Noi indossavamo un grembiule azzurro scuro o nero mentre le tute bianche erano gli operai addetti alla nerofumo. Le cinghiette erano fatte con un'anima e la copertura. Il processo produttivo iniziava con la realizzazione del tessuto, seguiva il taglio che dava la forma alle cinghiette, quindi la copertura, la cottura, la fascettatura e infine il magazzinaggio per la vendita. Io ero occupata nella fase della copertura. Ogni cinghietta dodici secondi. Che voleva dire fare migliaia di cinghiette al giorno e c'era la pressione a farne di più perché così il guadagno del cottimo aumentava.
La prima fase di lavorazione era degli uomini, che erano inquadrati con la prima categoria, la seconda fase e la terza - la mia - erano delle donne e l'ultima, quella della cottura, toccava di nuovo agli uomini. In quella zona c'erano grandi contenitori dove si mettevano i cilindri di cinghiette ricoperte che si vulcanizzavano. Finita la vulcanizzazione passavano alla rifinitura, che noi chiamavamo la gabbia, dove si mettevano i timbri, il marchio e si confezionavano. Si trattava di manodopera in gran parte generica perché le mansioni erano tutte abbastanza semplici.
Segnanino era composto di vari reparti e ognuno aveva la sua produzione, il nostro era il reparto più grande e complessivamente penso fossimo circa 1.500 lavoratori. Arrivavano da tutto il circondario, ma molti anche da Bergamo con i pullman e c'erano già gli immigrati dal Sud. In quel momento la Pirelli contava circa 25mila persone.
Le macchine su cui lavoravamo non erano particolarmente pericolose, anche se ci sono stati degli incidenti. Le condizioni dell'ambiente di lavoro erano pessime, era un luogo terribile. Io arrivavo da Seregno dove la gomma era colorata, lì invece era tutto nero. I muri erano neri, i soffitti erano neri. C'erano fumi e polvere ovunque. Era un reparto invivibile e le prime lotte che ho fatto sono state proprio sull'ambiente. Gli addetti alla vulcanizzazione avevano diritto al lavaggio della tuta e anche all'asciugamano passato della ditta. Ne davano uno alla settimana e la prima rivendicazione è stata quella di farsene dare uno al giorno perché diventava nero immediatamente ogni volta che ci si lavava.
La produzione negli anni Ottanta è cessata perché è stata trasferita vicino a Pescara, quando è stato deciso che la Pirelli invece di 25mila doveva avere settemila dipendenti e in quell'occasione abbiamo fatto la contrattazione sul trasferimento dei reparti.

Sindacato
La mia esperienza di impegno sindacale in azienda è stata molto positiva perché avevamo molto spazio per operare. Il momento di svolta è stato il contratto dei primi anni Settanta, quando abbiamo acquisito i diritti sindacali e a quel punto abbiamo costituito gruppi di lavoro e commissioni di reparto su tutti i problemi che avevamo: ambiente, salute, mensa, cottimo.
Sono stata eletta delegata nel primo consiglio di fabbrica che è nato nel 1968. Ho un bellissimo ricordo di quell'evento perché del sindacato non sapevo ancora nulla però sono stata votata dalle mie compagne di lavoro perché secondo loro, non essendo ancora sposata, non avevo niente da fare. Quando mi è stata fatta la proposta sono andata a parlare con il mio parroco e lui mi ha detto che dovevo accettare e di scegliere la Cisl. Il primo incontro del consiglio di fabbrica, non avendo ancora diritti, è stato organizzato alla fondazione Belloni e mentre eravamo ancora in piedi, nella sala sono arrivate le tute bianche e quegli uomini ci hanno portato con i fischietti in mensa impiegati: due conquiste in un colpo solo, primo perché il sindacato ancora non entrava in fabbrica ufficialmente, secondo perché normalmente gli operai nella mensa impiegati non entravano.
Nel 1975 sono entrata nell'esecutivo del consiglio di fabbrica della Pirelli che riuniva tutti i reparti dell'azienda, eravamo in quindici a tempo pieno per l'attività sindacale in fabbrica, con un consiglio composto da oltre cento delegati. Nel mio reparto i delegati erano otto o dieci. Sui quindici dell’esecutivo, sette erano della Cgil, cinque della Cisl e tre della Uil. Con la mia compagna della Cgil in reparto non mi trovavo molto perché avevamo due modi di fare sindacato diversi, io cercavo di risolvere i problemi direttamente, lei invece era contraria perché diceva che in quel modo non avremmo fatto le nostre lotte.
Il capannone aveva dei tetti costruiti male, con finestroni difficili da aprire e nei giorni di brutto tempo pioveva dentro e per chiuderli dovevamo chiedere aiuto agli operai. Anche sulle pareti c'erano delle finestre, anche quelle difficili da aprire e chiudere, e anche in quel caso avevamo bisogno degli uomini. Per affrontare il problema e risolverlo con l’utilizzo di sistemi automatici non era necessario fare delle lotte, bisognava andare in direzione e farlo presente e così si risolvevano tanti problemi, senza bisogno di scioperi o battaglie particolari.
Noi della Cisl eravamo ben rappresentati in Pirelli. Tra gli impiegati c'erano Luciano Maiocchi e Giosuè Citelli che avevano lavorato molto bene quando erano in commissione interna, avevano idea di come fare sindacato, la trasmettevano. La Cisl in Pirelli ha avuto anche più di duemila iscritti.
Io arrivavo dal mondo cattolico, ma avevo in me della radicalità, non ero della Democrazia cristiana e faticavo a riconoscermi nei sindacalisti più anziani della Cisl di fabbrica che erano democristiani, però vedevo che le forze politiche erano abbastanza forti. In occasione di un congresso a cui dovevamo mandare dieci nostri delegati gli amici democristiani avevano preparato una lista che comprendeva il mio nome e io ho protestato e mi sono fatta togliere perché non volevo essere confusa con quei riferimenti partitici. Però poi mi sono impegnata a fare le assemblee con i nostri iscritti per farmi eleggere e sono risultata la prima. Questa esperienza è stata utile a farmi conoscere in tutta la fabbrica.
La cellula del Pci aveva la sede subito fuori dalla fabbrica. Non sempre ero in grado di capire tutti i movimenti politici che avvenivano tra i diversi schieramenti, ma per me è stata un'importante occasione di crescita ed ero attenta a osservare i conflitti tra socialisti e comunisti e gli orientamenti che arrivavano dall'esterno del consiglio di fabbrica.
Non facendo riferimento a nessun partito, gli altri facevano fatica a inquadrarmi e qualcuno mi aveva apostrofata come una mina vagante. La pressione dei partiti si è fatta forte in occasione dei referendum sul divorzio e sull'aborto sui quali, pur non essendo temi strettamente sindacali, abbiamo riunito il consiglio di fabbrica per discuterne.
Da noi non abbiamo visto una presenza particolarmente significativa del movimento studentesco. Una volta, quando facevo il primo turno e alle 5,30 sono passata davanti alla portineria della Bicocca, in viale Sarca 2002, ho visto il Pesce, che era un compagno sfegatato, che stava picchiando gli studenti perché non voleva che si mischiassero con gli operai. Noi del consiglio di fabbrica non volevamo che gli studenti venissero davanti ai nostri cancelli e a volte abbiamo chiesto anche alla Rai di andarsene.
I Cub sono nati quando la Cgil ha scelto di assumersi la responsabilità di difendere la fabbrica nel periodo del terrorismo e la Pirelli è stata individuata come azienda emblematica su questi temi. Anche durante le manifestazioni noi eravamo sempre impegnati nei servizi d'ordine. Con questa scelta la Cgil si è spaccata, perché alcuni erano contrari e dicevano che i lavoratori avrebbero dovuto occuparsi solo della lotta per la difesa dei loro interessi. A loro volta questi che si sono staccati si sono divisi, in parte sono venuti alla Cisl e in parte hanno dato vita ai Cub. Io sono stata invitata alla loro prima riunione e ho partecipato dicendo però che non condividevo il loro modo di agire. Quelli che sono venuti da noi erano la parte più intellettuale, erano molto bravi a parlare ed erano portatori di idee nuove, insistevano sul fatto che la classe operaia doveva studiare, sostenevano l'idea di costruire una biblioteca interna e io ero molto affascinata da questa impostazione. Me ne ricordo uno che vestiva sempre elegante. È stato un periodo interessante perché ha visto anche la messa in discussione della vecchia guardia democristiana della Cisl. Però c'è stata un'esperienza negativa perché si era iscritto alla Cisl uno del gruppo che aveva parlato della costituzione della libreria, parlava di cultura, di far crescere la classe operaia e poi si è scoperto che aveva l'armadietto in fabbrica pieno di armi.
I Cub più che condizionare la nostra azione facevano un po' di casino, perché anziché entrare nel merito dei problemi, come noi come consiglio di fabbrica eravamo abituati a fare, si lanciavano sempre in proposte molto generali e generiche e devo dire che non hanno prodotto molto.
In fabbrica c'era un prete operaio, Mario Colnaghi, che ha sposato in chiesa il fondatore dei Cub.
La partecipazione dei lavoratori alle iniziative sindacali è sempre stata molto alta, anche se per il modo d'essere dell'esperienza sindacale, i cislini sono sempre stati un po' più restii a partecipare a iniziative e manifestazioni. Quando c'è stato il rapimento Moro, ho ricevuto una telefonata dicendomi che si doveva fermare la fabbrica. Dove c'erano i delegati della Cgil in tre minuti la fabbrica era ferma mentre io ho dovuto faticare a spiegare a tutti i miei delegati la vicenda prima che si convincessero a fermarsi. Però noi della Cisl eravamo più concreti della Cgil che invece era sempre pronta alle mobilitazioni.
Nel 1975 ho avuto il distacco sindacale, ma ho sempre seguito la Pirelli.

Relazioni industriali
Da parte della direzione c'era ascolto e disponibilità al dialogo. Occorre considerare che quelli erano gli anni del terrorismo e l'azienda era interessata a tenere basso il livello dello scontro proprio per non innescare azioni violente. In azienda c'era una contrattazione positiva, almeno nel mio reparto, poi quando sono entrata nell'esecutivo e ho potuto osservare tutta la fabbrica mi sono resa conto che nell'area della gomma non era proprio così. Questo anche perché c'erano responsabili del personale diversi e nel nostro caso noi lo consideravamo un po' un papà buono. La politica della direzione comunque è stata quella di seguire le nostre istanze e quando noi ponevamo un problema l'atteggiamento era quello di cercare di risolverlo, come ad esempio nel caso della sala per i fumatori.
In quell'occasione, attraverso la contrattazione e il dialogo, abbiamo realizzato dentro il reparto una sala dove chi lo desiderava, nella pausa che ognuno poteva prendersi quando voleva, poteva andare a fumare, e dentro c’erano la macchinetta per le bibite e due panche per sedersi. Personalmente l'ho utilizzata molto per delle assemblee veloci, se dopo un incontro con la direzione dovevo assolutamente informare i lavoratori ci si riuniva immediatamente in quella saletta.

Contrattazione
La nostra contrattazione in azienda dipendeva molto dal contratto nazionale. Con il contratto del 1972, che per la prima volta ha riconosciuto i diritti sindacali, con la possibilità per i sindacalisti di entrare in azienda a fare le assemblee, abbiamo ottenuto la prima parte dei contratti, cioè l'informativa sulla situazione dell'azienda e il riconoscimento della contrattazione di secondo livello. Questo fatto ha aperto al sindacato una stagione meravigliosa. Si contrattava tutto. Sull'ambiente abbiamo ottenuto che fosse esposta la tabella con le condizioni del reparto, con indicati i valori dei gas, dei fumi, eccetera e tutta una serie di cambiamenti, magari piccoli, ma che hanno migliorato le condizioni lavoro, come ad esempio la sostituzione dei vetri alle finestre, anche se la fabbrica era vecchia e più di tanto non si poteva fare. La cosa importante, però, di quel periodo è che abbiamo iniziato a contrattare l'organizzazione del lavoro, che ci ha permesso di analizzare il contenuto del lavoro e verificare, ad esempio, se davvero le donne non potevano raggiungere l'inquadramento nelle categorie più alte e individuare le piccole migliorie nelle condizioni di lavoro.
Uno dei temi importanti di contrattazione era quello sulla salute. In azienda avevamo un centro che serviva per suggerire i movimenti più corretti durante le attività di lavoro, c'era il medico interno.
Nel nostro settore la contrattazione era molto diversa rispetto a quella dell'area degli pneumatici. Noi lavoravamo come donne su due turni e potevamo gestire i cambi di turno tra di noi in base alle esigenze di ciascuna e l'azienda lasciava fare, l'importante era che le macchine girassero. Capitava che nello stesso reparto lavorassero marito e moglie e se avevano dei figli occorreva che lavorassero su turni diversi, così chi entrava portava il figlio in portineria che poi veniva recuperato dal genitore in uscita e nel frattempo la portineria faceva un po' di babysitteraggio.
Nel reparto tappeti c'era una macchina a lavorazione continua i quindi non ci si poteva interrompere, per cui ho fatto un accordo che prevedeva un accumulo dei riposi non effettuati e quando si arrivava a otto ore si aveva diritto a una giornata di ferie. Su questi piccoli aggiustamenti c'era sempre una contrattazione aperta e non era necessario fare scioperi e proteste per trovare un accordo. Le intese sulla flessibilità hanno permesso anche di ridurre il tasso di assenteismo, che era assai limitato, e questo non poteva che andare bene per l'azienda.
A livello di gruppo Pirelli le trattative più importanti che ho seguito sono state quelle che riguardavano l'organizzazione del lavoro quando nel 1973 l’azienda ha posto il problema di una forte riduzione del personale della Bicocca, che doveva passare da ventimila a settemila unità, con la produttività che avrebbe dovuto aumentare del 40%. Ci sono stati scioperi e proteste, ma è partita una contrattazione estremamente lucida, sia da parte della Pirelli che da parte del quadro dirigente del sindacato, che ha portato alla definizione di un patto – non so se scritto o meno - tra azienda e lavoratori. Con l'intero consiglio di fabbrica, più di cento persone, che sono andate a San Giovanni Bianco a studiare per tre giorni l'organizzazione del lavoro. E’ venuto un dirigente della Pirelli a spiegare che cosa intendevano fare per aumentare la produttività nella fabbricazione delle coperture e dopo questo incontro è partita la contrattazione sulla riorganizzazione dell'intero ciclo produttivo di tutta la fabbrica: eliminare lo stoccaggio, lavorare con il metodo del just in time, ridurre i tempi, capire come limitare gli scarti. L'azienda ha spiegato che se avessimo fatto tutte queste cose la produzione avrebbe potuto continuare altrimenti sarebbe stata costretta a lasciare a casa le persone e chiudere.
Le riduzioni di personale sono state gestite attraverso prepensionamenti e trasferimenti in altre fabbriche del gruppo, con attenzione al luogo di residenza delle persone, anche attraverso la contrattazione reparto per reparto, con percorsi di formazione per la riqualificazione, senza nessun licenziamento. Negli anni successivi queste aziende sono diventate prima consociate, poi sono state vendute e alcune chiuse.
Nonostante questa forte riduzione di addetti e un processo faticoso non ci sono state tensioni eccessive, grazie probabilmente alla cultura della stessa Pirelli che ha sempre cercato di essere attenta ai destini dei propri lavoratori.
I costi dello stoccaggio erano quelli che bruciavano tutto il guadagno della Pirelli perché la gomma è una cosa viva e non può essere lasciata ferma a lungo. Il processo di ristrutturazione non l'ho vissuto come risultato di un andamento negativo dell'azienda, ma come una necessaria evoluzione, erano processi industriali obbligati.
Le battaglie sindacali condotte in quegli anni in Pirelli sono state molto gestite, ci sono stati momenti alti, come ad esempio quando in azienda è venuto il cardinal Martini, abbiamo fatto un'assemblea aperta sui problemi del terrorismo. C'era un collegamento tra la vita della fabbrica di tutti i giorni, il momento organizzativo e l'attenzione ai temi più generali. Abbiamo fatto lo sciopero per l'equo canone, per la politica delle riforme. Noi sulle grandi battaglie politiche più generali ci siamo sempre stati.

Welfare aziendale
Avevamo la mutua aziendale Pirelli, una mutua interna che provvedeva ai rimborsi spese nel caso di visite, dal dentista o di altre visite specialistiche. Era nata all'inizio del secolo come espressione del paternalismo aziendale che era tipico delle grandi aziende in quegli anni, ma poi è evoluta e attraverso gli accordi sindacali è stato deciso un contributo anche da parte dei lavoratori che veniva raddoppiato dal datore di lavoro e prevedeva la presenza di rappresentanti dei lavoratori nella gestione. Noi avevamo Francesco Perego che è stato molto bravo e nel 1982, quando la mutua è stata chiusa, l'ha fatto in un modo estremamente favorevole per i lavoratori e quando una persona si licenziava prendeva una cifra uguale a tutto quello che aveva versato, mentre chi andava in pensione riceveva oltre alla sua quota anche la quota versata dall'azienda.
Sia io che mio marito quando siamo andati in pensione abbiamo così ricevuto una doppia liquidazione. Mio marito l'ho conosciuto in Pirelli ed era il mio delegato della Cisl. Anche mio papà aveva lavorato in Pirelli.
In Pirelli c'erano, oltre agli impianti sportivi, l'asilo, la Chiesa, la scuola elementare, le case del villaggio Pirelli. Tutta la zona della Bicocca era stata inizialmente pensata per i dirigenti dell'azienda, poi pian piano è stata allargata anche agli altri lavoratori. La Pirelli aveva anche le colonie per i figli dei lavoratori e io sono cresciuta frequentando queste colonie, sia a Pietra Ligure che in Valganna. Mia sorella maggiore ha frequentato le scuole medie a Milano in un istituto di suore pagato dall'azienda, anche se in quel caso tratteneva gli assegni familiari.
Con le lotte del 1968 molti sostenevano che non dovessimo utilizzare quelle strutture, che non ne avevamo bisogno, la Pirelli ha colto l'occasione per lasciarne diverse, dandole al Comune. Alcuni non capivano che ogni volta che noi dicevamo che non servivano la Pirelli diceva grazie, mentre noi della Cisl sostenevamo che fosse salario differito e quindi si dovessero difendere.