Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Non serve stare due anni sui tetti
Una
crisi che sembra non finire mai, una vertenza sindacale particolarmente dura
con forti contrasti tra i lavoratori, una firma di acquisto da parte di
un’impresa tedesca che viene continuamente rimandata. Alla Riello di Morbegno
la situazione non è facile e le prospettive ancora molto incerte, intanto un
reparto è stato chiuso, più di cento lavoratori sono in cassa integrazione
straordinaria senza alcuna prospettiva di rientro e altri quaranta sono in cassa
a rotazione con un destino decisamente incerto.
Condizioni
estremamente difficili, dove fare sindacato è particolarmente arduo e ancor di
più lo è quando si sceglie di essere organizzazione responsabile e
partecipativa. Lo ha sentito sulla propria pelle la delegata della Fim,
Gabriella Marcelli, che nella gestione della complicata vertenza ha dovuto
subire attacchi molto forti: “Lo scontro è stato abbastanza duro e in qualche
situazione ho dovuto essere accompagnata e non muovermi da sola”. Nonostante le
difficoltà si è contrattato e fatto un accordo, e alla fine i lavoratori hanno
capito la drammaticità della situazione e la fatica di un’azione sindacale che
non si limita alla protesta e al conflitto e quasi tutti hanno votato l’intesa,
sapendo che si era ottenuto tutto ciò che si poteva, e oggi la Fiom ha perso
tutta la sua rappresentanza interna.
Gabriella,
47 anni, è nata a Lecco e vive a Lierna sul ramo manzoniano del lago, ha un
marito occupato nella stessa azienda, ma nella sede di Lecco, e un figlio di 15
anni che frequenta il liceo. Ragioniera, lavora come operaia in un reparto dove
si producono scambiatori di calore. Dopo il diploma ha lavorato per sei anni in
un'assicurazione, ma nel 1994 l’ha lasciata ed è entrata alla Riello. Appena
assunta si è iscritta alla Fim e dopo tre anni è diventata rappresentante
sindacale ed è sempre stata rieletta.
Oggi
la Riello di Morbegno appartiene al gruppo Ettore Riello di Legnago, in
provincia di Verona. È in corso la vendita alla Viessmann, una società tedesca
già presente in Italia che opera nel settore, ma il passaggio ancora non è
stato concluso, sono stati fatti tutti i passi necessari, però, siccome sono
coinvolti un migliaio di dipendenti, compresi gli impianti presenti in Polonia,
Cina e altri stati, questo ha comportato una procedura lunga e la firma
definitiva non è ancora avvenuta. La definizione dovrebbe però essere a breve,
anche perché la scelta di vendere è definitiva e in azienda in alcune aree si
stanno già attrezzando in funzione dell'entrata della nuova proprietà. La
Viessmann è leader nella produzione di caldaie a condensazione, ma non è
presente nel mercato delle caldaie murali, che è quello più diffuso, e vuole
entrare in questo segmento per poter ampliare la propria offerta. Si tratta di
un'azienda che occupa quasi dodicimila dipendenti, con un fatturato di circa
due miliardi e produce caldaie di alta gamma, le manca però un settore con
prodotti a costi più bassi e quindi le interessano i marchi che Riello
controlla: Beretta, Sylber e Vokera, la succursale inglese.
La
fabbrica di Morbegno un tempo si chiamava Ccm ed era gestita dalla Beretta di
Lecco, successivamente è stata acquisita da due cugini Riello. Questi poi si
sono divisi e il controllo dell’azienda valtellinese è toccata a Ettore Riello
che, non disponendo di molte risorse, ha dovuto appoggiarsi ad una finanziaria
americana, che però dopo due anni ha chiesto di rientrare, costringendo la
società a chiedere il sostegno delle banche. Ma non è stato sufficiente,
difficoltà finanziarie hanno impedito all'azienda di fare investimenti e non
facendo investimenti sono stati persi alcuni mercati. I problemi sono andati
via via crescendo, gli interessi si mangiavano gli utili che la società
produceva e c'era l'esigenza di ridurre continuamente i costi, scelta compiuta
spostando le produzioni prima in Cina e poi in Polonia. Anche le
delocalizzazioni, oltre ad avere compromesso la stabilità dell'azienda, non
hanno consentito di uscire dalle difficoltà e ora per rientrare dai debiti
Riello ha deciso di vendere il settore delle caldaie murali, mentre manterrà la
produzione dei bruciatori a Legnago.
“Prima
dell'esplodere della crisi, a Morbegno eravamo 240 addetti, suddivisi in due
reparti, quello delle caldaie murali e quello degli scambiatori, e si lavorava
tutti – racconta Gabriella Marcelli -. A giugno 2012 l'azienda ha chiesto un
incontro con le rappresentanze sindacali per comunicare le sue decisioni, ma
era già da qualche mese che si manifestavano delle difficoltà. Noi vedevamo che
le macchine prodotte si fermavano nei magazzini e nonostante questo ci
chiedevano di aumentare la produzione. Stavano facendo delle scorte. Questo
secondo noi voleva dire che si stavano preparando allo scontro, un periodo di
fermo di produzione che temevano nel momento dell'annuncio della riduzione di
personale”.
Quel
giorno all'Unione industriali di Sondrio la direzione ha spiegato che avrebbero
chiuso completamente il reparto montaggio caldaie per trasferirlo in Polonia
con l'obiettivo di ridurre i costi di produzione. L'annuncio della chiusura era
stato anticipato in qualche modo la sera prima da Tele Unica, la televisione
locale della Valtellina, e così, mentre rsu e sindacalisti erano in riunione
con la direzione dell'azienda, i giornalisti già telefonavano a casa dei lavoratori
chiedendo dei commenti sui 170 esuberi e il rischio di perdere il posto di
lavoro, cosa che loro non conoscevano affatto.
Il
reparto montaggio caldaie era già stato trasferito da Lecco a Morbegno in una
precedente ristrutturazione. Con la chiusura e la cessazione della produzione,
gli operai che erano occupati in quel settore sono stati messi in cassa a zero
ore. L'altra sezione, quella dove si producono gli scambiatori, ha continuato
invece a lavorare. Attualmente i dipendenti sono circa 230, ma di questi, 84
sono fissi e 44 lavorano in cassa integrazione a rotazione con una settimana a
testa di lavoro ogni tre, mentre un altro centinaio è in cassa integrazione
straordinaria.
“Le
prospettive erano pessime, ma non ci aspettavamo quei numeri – prosegue
Marcelli -. Nelle intenzioni della proprietà, infatti, in fabbrica non
avrebbero dovuto rimanere più di settanta operai. A quel punto abbiamo sospeso
la riunione, siamo tornati in fabbrica e abbiamo dichiarato immediatamente lo
sciopero. Sono iniziate le discussioni tra di noi e con gli operai, abbiamo
mandato lettere ai giornali per far conoscere la situazione di un gruppo nel
quale il titolare predicava la difesa del made in Italy e allo stesso tempo
trasferiva le produzioni in Polonia. Abbiamo spiegato che tutto quello che
accadeva non era conseguenza diretta della crisi bensì di una cattiva gestione
finanziaria dell'azienda che si scaricava sugli operai che ne pagavano le
conseguenze”.
La
mobilitazione è proseguita fino a fine luglio, quando il 25 del mese c'è stato
un incontro in Regione dove si è raggiunto un accordo che prevedeva sì la
riduzione di manodopera e la chiusura del reparto caldaie, ma con numeri
inferiori di lavoratori in esubero e con l'impegno a fare investimenti per due
milioni di euro, che poi sono stati aumentati quando c'è stato l'accordo
definitivo a settembre a Roma al ministero. Sono stati concordati due anni di
cassa straordinaria, con una integrazione salariale di 420 euro mensili a
carico dell'azienda per ognuna delle persone a zero ore e delle buone uscite.
Nel febbraio successivo alla firma dell'accordo gli incaricati del ministero
dello Sviluppo economico sono andati in azienda a controllare che gli
investimenti previsti fossero stati effettivamente realizzati, anche perché gli
anni di cassa erano legati agli investimenti e, se non ci fossero stati, i
lavoratori avrebbero rischiato di perdere il secondo anno.
L'intesa
vale per due anni e la scadenza è al 26 agosto 2014, ma purtroppo il grosso
delle persone è ancora in cassa, perché solo una quindicina hanno trovato una
nuova occupazione o sono andate in pensione. Si prevede che in azienda
rimangano attive cento postazioni, che di fatto sono coperte dalle 84 persone
fisse e le 44 a rotazione, e quindi gli esuberi sono scesi a circa 120. Per
questi lavoratori sono stati fatti dei corsi di riqualificazione ormai
terminati. La partenza è stato un po' lunga, ma poi sono stati realizzati: uno
era rivolto al mondo dell'assistenza per formare operatori Asa, uno aveva come
obiettivo imparare a lavorare sulle macchine a controllo numerico, un altro
insegnava l'uso del computer e altri ancora miravano a preparare specialisti
nel campo alimentare. La partecipazione è stata abbastanza alta, ma pochi fino
adesso hanno trovato una nuova occupazione.Quelli che sono riusciti a lavorare
un poco sono gli operatori Asa, con qualche lavoro saltuario nel campo
dell'assistenza. L'accordo prevede anche un contributo da parte di Riello alle
aziende che assumono lavoratori in esubero, ma finora questo si è realizzato
solo in un caso. D'altronde la crisi in questo momento non offre molte
opportunità di assunzione anche in altri settori. I rappresentanti sindacali
sperano che prima del 26 agosto qualcosa si rimetta in cammino, perché
altrimenti saranno problemi seri per molte persone. Due anni fa immaginavano
che si sarebbe usciti prima da questa crisi, ma ora l'agosto è qui.
Gli
investimenti previsti sono stati in parte realizzati e in parte dovrebbero
arrivare nei prossimi mesi, essendo stati rallentati nell'attesa della
definizione della vendita ai tedeschi. Sono in via di smontaggio alcuni vecchi
impianti che poi verranno sostituiti da nuovi, sempre per la produzione degli
scambiatori di calore, di nuova concezione ma meno costosi, perché anche in
questo caso la concorrenza cinese inizia a farsi sentire.
“In
questo momento siamo in una sorta di limbo – spiega ancora Gabriella Marcelli -
perché si è in attesa dell'arrivo della nuova proprietà e quindi anche la
riorganizzazione della produzione è sostanzialmente ferma. Gli investimenti
fatti sono in qualche modo una garanzia per il futuro, anche perché si entra in
un'azienda complementare con la nostra e speriamo in una integrazione
produttiva positiva anche per noi. Da quello che sappiamo tutte le aziende che
Viessmann ha acquisito sono sempre state valorizzate, speriamo di non essere la
pecora nera del gruppo”.
La
gestione della crisi e il rapporto con l’azienda e con i lavoratori non è stata
semplice per i delegati. “Quando ci hanno comunicato la chiusura, in azienda è
scoppiato il pandemonio – prosegue il racconto di Marcelli -, perché siamo
passati da una sensazione di sicurezza e tranquillità al chiederci che cosa mi
capiterà domani. In Riello ci sono molti che si sono conosciuti in azienda e
poi si sono sposati e lavorano entrambi lì, c'è chi ha mutui da pagare, e per
tutti è un problema. È vero che siamo riusciti a mantenere praticamente
l'intero salario con l'integrazione conquistata, però le prospettive sono
quelle che sono. È stata una sberla forte, anche perché le voci che c'era
qualche problema le sentivamo, ma nessuno si aspettava una botta simile. Gli
operai nel momento della mobilitazione e degli scioperi hanno partecipato e
sono stati uniti, ma si sono creati anche momenti difficili di convivenza
perché c'è chi ha rabbia nei confronti dell'azienda ma se la prende anche con
il sindacato e con noi rappresentanti aziendali”.
Fatto
l'accordo, quasi tutti l'hanno votato, anche perché si è capito che non c'erano
molte altre possibilità e quindi si era ottenuto tutto ciò che si poteva. I no
sono stati pochi. Però nelle assemblee si sono vissuti momenti difficili, con
alcuni che urlavano e altri che tentavano di aggredire chi non la pensava come
loro.
Il
problema maggiore è che in azienda esistono due blocchi legati alle due aree
produttive degli scambiatori e delle caldaie e siccome la riduzione di
manodopera è essenzialmente legata all'area delle caldaie è evidente che le
reazioni delle persone erano diverse a seconda del reparto in cui erano
occupate. “Si è rischiata la guerra dei poveri, con un attrito reale sorto tra
i due gruppi di lavoratori – spiega Marcelli -, tra chi si sentiva più tutelato
e chi invece si sentiva già perso fin dall'inizio. Fare un accordo economico
che garantisse comunque la quasi totalità del salario è stato utile e ha
aiutato ad attenuare i contrasti.
Le
scelte aziendali hanno penalizzato molto le donne perché queste erano presenti
per la maggior parte proprio nel reparto caldaie, mentre nel reparto
scambiatori eravamo poche e anche in questo caso sono state le donne a essere
inserite nel gruppo in cassa integrazione a rotazione e così a tempo pieno siamo
rimaste in cinque, tre operaie e due impiegate. Noi abbiamo protestato per le
scelte dell'azienda e chiediamo che quantomeno, quando si consolideranno i
cento posti, si tengano in considerazione le donne che fanno parte del gruppo a
rotazione.
Il
contratto di solidarietà, in una situazione come la nostra, con numeri così
alti di persone considerate in esubero, non era proponibile perché
difficilmente gestibile, si è trovata così la soluzione della rotazione, quanto
meno per gli esuberi del reparto scambiatori, anche se la rotazione è un bel
mal di pancia perché quelli coinvolti si sentono lavoratori di serie B e sanno
che più di metà non avranno più un
posto”.
Il
3 dicembre 2013 è stato sottoscritto un preaccordo con l'azienda tedesca perché
questa dovrà richiedere la cassa integrazione al momento in cui diventerà
proprietaria a tutti gli effetti della Riello, sperando che fino ad allora non
ci siano altre sorprese. L'intesa prevede la conferma del raggiungimento dei
cento posti di lavoro pieni.
Durante
la vertenza il rapporto tra Fim e Fiom non è stato molto facile, è stata
un'esperienza piuttosto burrascosa e oggi la Cgil ha perso tutta la sua
rappresentanza interna e non ha più nessun delegato.
“Purtroppo
si esce sempre sconfitti – è l’amaro commento della delegata - anche se con
buoni accordi economici, perché la vera tutela sarebbe il posto di lavoro, ma
nelle situazioni in cui non è possibile si devono trovare altre strade. Certo è
stato difficile, perché la Fiom chiedeva una lotta sempre più dura mentre noi
cercavamo una soluzione con l'obiettivo di salvaguardare il maggior numero di
posti di lavoro possibile, anche perché le nostre produzioni non siamo gli
unici a farle. Durante gli scioperi l'azienda ha acquistato gli scambiatori da
altri produttori e nulla vietava che continuassero anche dopo. Sono brevetti
che anche altre aziende italiane hanno, non solo produttori stranieri. Non
potevamo stare due anni sui tetti a protestare. Avremmo potuto rischiare di
trovarci tutti a casa senza avere una copertura economica e senza garanzia di
assunzione per i cento che poi abbiamo ottenuto.
Non
è stata una situazione facile. Qualcuno tende a scaricare sul sindacato le
responsabilità invece di indirizzarle verso coloro che sono i reali
responsabili di questa situazione. Gli attacchi più pesanti sono venuti da
qualche operaio, ma anche dai miei colleghi della Fiom. Alcune esasperazioni
vanno comprese, però devono rimanere entro certi limiti anche perché noi
lavoravamo per cercare di ottenere le migliori salvaguardie possibili.
Purtroppo è sempre una caduta, ma abbiamo cercato di contrattare dei cuscini
per attenuarla.
I
lavoratori hanno mostrato di comprendere l’azione della Fim, che ha sempre
avuto la maggioranza degli iscritti. Le rsu nel momento caldo della vertenza
erano quattro della Fim, tre della Fiom e uno della Uilm, poi siamo passati a
uno Fim e uno Fiom per i fissi e a due Fim e due Fiom per quelli a rotazione,
ora siamo rimasti solo con i tre della Fim. Il nostro obiettivo, per quando
finirà la cassa integrazione e si assesterà la nuova produzione, è quello di
rifare le votazioni”.
I
sindaci dei Comuni nei dintorni sono sempre stati vicini ai lavoratori e sono
andati con loro a manifestare a Roma. La Provincia ha cercato di sostenerli
durante i momenti più difficili, ma non è stata di grande aiuto.
In
questo momento a Morbegno lavorano su due turni, ma fino a novembre 2013, prima
che emergessero nuovi problemi sul mercato iraniano, ormai definitivamente
perso, hanno lavorato su tre. Il passaggio alla nuova proprietà dovrebbe essere
vicino. I lavoratori aspettano con una certa ansia per vedere quando diventerà
effettivo.