sabato 13 giugno 2020

GABRIELLA MARCELLI - Riello - Morbegno (So)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Non serve stare due anni sui tetti
Una crisi che sembra non finire mai, una vertenza sindacale particolarmente dura con forti contrasti tra i lavoratori, una firma di acquisto da parte di un’impresa tedesca che viene continuamente rimandata. Alla Riello di Morbegno la situazione non è facile e le prospettive ancora molto incerte, intanto un reparto è stato chiuso, più di cento lavoratori sono in cassa integrazione straordinaria senza alcuna prospettiva di rientro e altri quaranta sono in cassa a rotazione con un destino decisamente incerto.

Condizioni estremamente difficili, dove fare sindacato è particolarmente arduo e ancor di più lo è quando si sceglie di essere organizzazione responsabile e partecipativa. Lo ha sentito sulla propria pelle la delegata della Fim, Gabriella Marcelli, che nella gestione della complicata vertenza ha dovuto subire attacchi molto forti: “Lo scontro è stato abbastanza duro e in qualche situazione ho dovuto essere accompagnata e non muovermi da sola”. Nonostante le difficoltà si è contrattato e fatto un accordo, e alla fine i lavoratori hanno capito la drammaticità della situazione e la fatica di un’azione sindacale che non si limita alla protesta e al conflitto e quasi tutti hanno votato l’intesa, sapendo che si era ottenuto tutto ciò che si poteva, e oggi la Fiom ha perso tutta la sua rappresentanza interna.
Gabriella, 47 anni, è nata a Lecco e vive a Lierna sul ramo manzoniano del lago, ha un marito occupato nella stessa azienda, ma nella sede di Lecco, e un figlio di 15 anni che frequenta il liceo. Ragioniera, lavora come operaia in un reparto dove si producono scambiatori di calore. Dopo il diploma ha lavorato per sei anni in un'assicurazione, ma nel 1994 l’ha lasciata ed è entrata alla Riello. Appena assunta si è iscritta alla Fim e dopo tre anni è diventata rappresentante sindacale ed è sempre stata rieletta.
Oggi la Riello di Morbegno appartiene al gruppo Ettore Riello di Legnago, in provincia di Verona. È in corso la vendita alla Viessmann, una società tedesca già presente in Italia che opera nel settore, ma il passaggio ancora non è stato concluso, sono stati fatti tutti i passi necessari, però, siccome sono coinvolti un migliaio di dipendenti, compresi gli impianti presenti in Polonia, Cina e altri stati, questo ha comportato una procedura lunga e la firma definitiva non è ancora avvenuta. La definizione dovrebbe però essere a breve, anche perché la scelta di vendere è definitiva e in azienda in alcune aree si stanno già attrezzando in funzione dell'entrata della nuova proprietà. La Viessmann è leader nella produzione di caldaie a condensazione, ma non è presente nel mercato delle caldaie murali, che è quello più diffuso, e vuole entrare in questo segmento per poter ampliare la propria offerta. Si tratta di un'azienda che occupa quasi dodicimila dipendenti, con un fatturato di circa due miliardi e produce caldaie di alta gamma, le manca però un settore con prodotti a costi più bassi e quindi le interessano i marchi che Riello controlla: Beretta, Sylber e Vokera, la succursale inglese.
La fabbrica di Morbegno un tempo si chiamava Ccm ed era gestita dalla Beretta di Lecco, successivamente è stata acquisita da due cugini Riello. Questi poi si sono divisi e il controllo dell’azienda valtellinese è toccata a Ettore Riello che, non disponendo di molte risorse, ha dovuto appoggiarsi ad una finanziaria americana, che però dopo due anni ha chiesto di rientrare, costringendo la società a chiedere il sostegno delle banche. Ma non è stato sufficiente, difficoltà finanziarie hanno impedito all'azienda di fare investimenti e non facendo investimenti sono stati persi alcuni mercati. I problemi sono andati via via crescendo, gli interessi si mangiavano gli utili che la società produceva e c'era l'esigenza di ridurre continuamente i costi, scelta compiuta spostando le produzioni prima in Cina e poi in Polonia. Anche le delocalizzazioni, oltre ad avere compromesso la stabilità dell'azienda, non hanno consentito di uscire dalle difficoltà e ora per rientrare dai debiti Riello ha deciso di vendere il settore delle caldaie murali, mentre manterrà la produzione dei bruciatori a Legnago.
“Prima dell'esplodere della crisi, a Morbegno eravamo 240 addetti, suddivisi in due reparti, quello delle caldaie murali e quello degli scambiatori, e si lavorava tutti – racconta Gabriella Marcelli -. A giugno 2012 l'azienda ha chiesto un incontro con le rappresentanze sindacali per comunicare le sue decisioni, ma era già da qualche mese che si manifestavano delle difficoltà. Noi vedevamo che le macchine prodotte si fermavano nei magazzini e nonostante questo ci chiedevano di aumentare la produzione. Stavano facendo delle scorte. Questo secondo noi voleva dire che si stavano preparando allo scontro, un periodo di fermo di produzione che temevano nel momento dell'annuncio della riduzione di personale”.
Quel giorno all'Unione industriali di Sondrio la direzione ha spiegato che avrebbero chiuso completamente il reparto montaggio caldaie per trasferirlo in Polonia con l'obiettivo di ridurre i costi di produzione. L'annuncio della chiusura era stato anticipato in qualche modo la sera prima da Tele Unica, la televisione locale della Valtellina, e così, mentre rsu e sindacalisti erano in riunione con la direzione dell'azienda, i giornalisti già telefonavano a casa dei lavoratori chiedendo dei commenti sui 170 esuberi e il rischio di perdere il posto di lavoro, cosa che loro non conoscevano affatto.
Il reparto montaggio caldaie era già stato trasferito da Lecco a Morbegno in una precedente ristrutturazione. Con la chiusura e la cessazione della produzione, gli operai che erano occupati in quel settore sono stati messi in cassa a zero ore. L'altra sezione, quella dove si producono gli scambiatori, ha continuato invece a lavorare. Attualmente i dipendenti sono circa 230, ma di questi, 84 sono fissi e 44 lavorano in cassa integrazione a rotazione con una settimana a testa di lavoro ogni tre, mentre un altro centinaio è in cassa integrazione straordinaria.
“Le prospettive erano pessime, ma non ci aspettavamo quei numeri – prosegue Marcelli -. Nelle intenzioni della proprietà, infatti, in fabbrica non avrebbero dovuto rimanere più di settanta operai. A quel punto abbiamo sospeso la riunione, siamo tornati in fabbrica e abbiamo dichiarato immediatamente lo sciopero. Sono iniziate le discussioni tra di noi e con gli operai, abbiamo mandato lettere ai giornali per far conoscere la situazione di un gruppo nel quale il titolare predicava la difesa del made in Italy e allo stesso tempo trasferiva le produzioni in Polonia. Abbiamo spiegato che tutto quello che accadeva non era conseguenza diretta della crisi bensì di una cattiva gestione finanziaria dell'azienda che si scaricava sugli operai che ne pagavano le conseguenze”.
La mobilitazione è proseguita fino a fine luglio, quando il 25 del mese c'è stato un incontro in Regione dove si è raggiunto un accordo che prevedeva sì la riduzione di manodopera e la chiusura del reparto caldaie, ma con numeri inferiori di lavoratori in esubero e con l'impegno a fare investimenti per due milioni di euro, che poi sono stati aumentati quando c'è stato l'accordo definitivo a settembre a Roma al ministero. Sono stati concordati due anni di cassa straordinaria, con una integrazione salariale di 420 euro mensili a carico dell'azienda per ognuna delle persone a zero ore e delle buone uscite. Nel febbraio successivo alla firma dell'accordo gli incaricati del ministero dello Sviluppo economico sono andati in azienda a controllare che gli investimenti previsti fossero stati effettivamente realizzati, anche perché gli anni di cassa erano legati agli investimenti e, se non ci fossero stati, i lavoratori avrebbero rischiato di perdere il secondo anno.
L'intesa vale per due anni e la scadenza è al 26 agosto 2014, ma purtroppo il grosso delle persone è ancora in cassa, perché solo una quindicina hanno trovato una nuova occupazione o sono andate in pensione. Si prevede che in azienda rimangano attive cento postazioni, che di fatto sono coperte dalle 84 persone fisse e le 44 a rotazione, e quindi gli esuberi sono scesi a circa 120. Per questi lavoratori sono stati fatti dei corsi di riqualificazione ormai terminati. La partenza è stato un po' lunga, ma poi sono stati realizzati: uno era rivolto al mondo dell'assistenza per formare operatori Asa, uno aveva come obiettivo imparare a lavorare sulle macchine a controllo numerico, un altro insegnava l'uso del computer e altri ancora miravano a preparare specialisti nel campo alimentare. La partecipazione è stata abbastanza alta, ma pochi fino adesso hanno trovato una nuova occupazione.Quelli che sono riusciti a lavorare un poco sono gli operatori Asa, con qualche lavoro saltuario nel campo dell'assistenza. L'accordo prevede anche un contributo da parte di Riello alle aziende che assumono lavoratori in esubero, ma finora questo si è realizzato solo in un caso. D'altronde la crisi in questo momento non offre molte opportunità di assunzione anche in altri settori. I rappresentanti sindacali sperano che prima del 26 agosto qualcosa si rimetta in cammino, perché altrimenti saranno problemi seri per molte persone. Due anni fa immaginavano che si sarebbe usciti prima da questa crisi, ma ora l'agosto è qui.
Gli investimenti previsti sono stati in parte realizzati e in parte dovrebbero arrivare nei prossimi mesi, essendo stati rallentati nell'attesa della definizione della vendita ai tedeschi. Sono in via di smontaggio alcuni vecchi impianti che poi verranno sostituiti da nuovi, sempre per la produzione degli scambiatori di calore, di nuova concezione ma meno costosi, perché anche in questo caso la concorrenza cinese inizia a farsi sentire.
“In questo momento siamo in una sorta di limbo – spiega ancora Gabriella Marcelli - perché si è in attesa dell'arrivo della nuova proprietà e quindi anche la riorganizzazione della produzione è sostanzialmente ferma. Gli investimenti fatti sono in qualche modo una garanzia per il futuro, anche perché si entra in un'azienda complementare con la nostra e speriamo in una integrazione produttiva positiva anche per noi. Da quello che sappiamo tutte le aziende che Viessmann ha acquisito sono sempre state valorizzate, speriamo di non essere la pecora nera del gruppo”.
La gestione della crisi e il rapporto con l’azienda e con i lavoratori non è stata semplice per i delegati. “Quando ci hanno comunicato la chiusura, in azienda è scoppiato il pandemonio – prosegue il racconto di Marcelli -, perché siamo passati da una sensazione di sicurezza e tranquillità al chiederci che cosa mi capiterà domani. In Riello ci sono molti che si sono conosciuti in azienda e poi si sono sposati e lavorano entrambi lì, c'è chi ha mutui da pagare, e per tutti è un problema. È vero che siamo riusciti a mantenere praticamente l'intero salario con l'integrazione conquistata, però le prospettive sono quelle che sono. È stata una sberla forte, anche perché le voci che c'era qualche problema le sentivamo, ma nessuno si aspettava una botta simile. Gli operai nel momento della mobilitazione e degli scioperi hanno partecipato e sono stati uniti, ma si sono creati anche momenti difficili di convivenza perché c'è chi ha rabbia nei confronti dell'azienda ma se la prende anche con il sindacato e con noi rappresentanti aziendali”.
Fatto l'accordo, quasi tutti l'hanno votato, anche perché si è capito che non c'erano molte altre possibilità e quindi si era ottenuto tutto ciò che si poteva. I no sono stati pochi. Però nelle assemblee si sono vissuti momenti difficili, con alcuni che urlavano e altri che tentavano di aggredire chi non la pensava come loro.
Il problema maggiore è che in azienda esistono due blocchi legati alle due aree produttive degli scambiatori e delle caldaie e siccome la riduzione di manodopera è essenzialmente legata all'area delle caldaie è evidente che le reazioni delle persone erano diverse a seconda del reparto in cui erano occupate. “Si è rischiata la guerra dei poveri, con un attrito reale sorto tra i due gruppi di lavoratori – spiega Marcelli -, tra chi si sentiva più tutelato e chi invece si sentiva già perso fin dall'inizio. Fare un accordo economico che garantisse comunque la quasi totalità del salario è stato utile e ha aiutato ad attenuare i contrasti.
Le scelte aziendali hanno penalizzato molto le donne perché queste erano presenti per la maggior parte proprio nel reparto caldaie, mentre nel reparto scambiatori eravamo poche e anche in questo caso sono state le donne a essere inserite nel gruppo in cassa integrazione a rotazione e così a tempo pieno siamo rimaste in cinque, tre operaie e due impiegate. Noi abbiamo protestato per le scelte dell'azienda e chiediamo che quantomeno, quando si consolideranno i cento posti, si tengano in considerazione le donne che fanno parte del gruppo a rotazione.
Il contratto di solidarietà, in una situazione come la nostra, con numeri così alti di persone considerate in esubero, non era proponibile perché difficilmente gestibile, si è trovata così la soluzione della rotazione, quanto meno per gli esuberi del reparto scambiatori, anche se la rotazione è un bel mal di pancia perché quelli coinvolti si sentono lavoratori di serie B e sanno che più di metà non avranno  più un posto”.
Il 3 dicembre 2013 è stato sottoscritto un preaccordo con l'azienda tedesca perché questa dovrà richiedere la cassa integrazione al momento in cui diventerà proprietaria a tutti gli effetti della Riello, sperando che fino ad allora non ci siano altre sorprese. L'intesa prevede la conferma del raggiungimento dei cento posti di lavoro pieni.
Durante la vertenza il rapporto tra Fim e Fiom non è stato molto facile, è stata un'esperienza piuttosto burrascosa e oggi la Cgil ha perso tutta la sua rappresentanza interna e non ha più nessun delegato.
“Purtroppo si esce sempre sconfitti – è l’amaro commento della delegata - anche se con buoni accordi economici, perché la vera tutela sarebbe il posto di lavoro, ma nelle situazioni in cui non è possibile si devono trovare altre strade. Certo è stato difficile, perché la Fiom chiedeva una lotta sempre più dura mentre noi cercavamo una soluzione con l'obiettivo di salvaguardare il maggior numero di posti di lavoro possibile, anche perché le nostre produzioni non siamo gli unici a farle. Durante gli scioperi l'azienda ha acquistato gli scambiatori da altri produttori e nulla vietava che continuassero anche dopo. Sono brevetti che anche altre aziende italiane hanno, non solo produttori stranieri. Non potevamo stare due anni sui tetti a protestare. Avremmo potuto rischiare di trovarci tutti a casa senza avere una copertura economica e senza garanzia di assunzione per i cento che poi abbiamo ottenuto.
Non è stata una situazione facile. Qualcuno tende a scaricare sul sindacato le responsabilità invece di indirizzarle verso coloro che sono i reali responsabili di questa situazione. Gli attacchi più pesanti sono venuti da qualche operaio, ma anche dai miei colleghi della Fiom. Alcune esasperazioni vanno comprese, però devono rimanere entro certi limiti anche perché noi lavoravamo per cercare di ottenere le migliori salvaguardie possibili. Purtroppo è sempre una caduta, ma abbiamo cercato di contrattare dei cuscini per attenuarla.
I lavoratori hanno mostrato di comprendere l’azione della Fim, che ha sempre avuto la maggioranza degli iscritti. Le rsu nel momento caldo della vertenza erano quattro della Fim, tre della Fiom e uno della Uilm, poi siamo passati a uno Fim e uno Fiom per i fissi e a due Fim e due Fiom per quelli a rotazione, ora siamo rimasti solo con i tre della Fim. Il nostro obiettivo, per quando finirà la cassa integrazione e si assesterà la nuova produzione, è quello di rifare le votazioni”.
I sindaci dei Comuni nei dintorni sono sempre stati vicini ai lavoratori e sono andati con loro a manifestare a Roma. La Provincia ha cercato di sostenerli durante i momenti più difficili, ma non è stata di grande aiuto.
In questo momento a Morbegno lavorano su due turni, ma fino a novembre 2013, prima che emergessero nuovi problemi sul mercato iraniano, ormai definitivamente perso, hanno lavorato su tre. Il passaggio alla nuova proprietà dovrebbe essere vicino. I lavoratori aspettano con una certa ansia per vedere quando diventerà effettivo.