Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Dopo
le medie ho preso il diploma di tecnica edilizia e quindi ho frequentato un
corso serale di specializzazione in chimica e ho fatto altri studi in
Inghilterra, in particolare frequentando dei corsi legati ai temi della
petrolchimica. Complessivamente ho fatto diciassette anni come studente
lavoratore.
Fino
a 17 anni ho lavorato in agricoltura poi sono stato occupato a scaricare e
caricare sacchi di cinquanta chili e quindi sono andato in un distributore di
benzina a lavare le automobili. Tornato dal servizio militare, nel marzo del
1966 sono rimasto disoccupato per alcuni mesi, poi il 6 settembre ho preso
prima il treno e poi la nave e sono arrivato a Dover. In Inghilterra ho
lavorato nell'industria chimica per quattro anni come tecnico.
Tornato
dall'Inghilterra nel 1970 sono stato assunto in Montedison come analista e ci
sono stato fino al 1982 quando, il 1° aprile, ho lasciato la sede di lavoro di
Marghera essendo stato eletto segretario della Flerica di Venezia. Nel 1991
sono andato a Roma a occuparmi di ambiente per la consulta nazionale dei
quadri. Dal 2001 al 2005 sono stato a Bruxelles nel sindacato europeo dei
chimici e mi sono occupato dei temi della sicurezza, avendo anche il compito di
fare formazione in giro per l'Europa in nove lingue. In quel periodo abbiamo
fatto il primo accordo europeo di dialogo sociale dell'industria chimica
europea. Più volte ho collaborato con Sergio Colombo che era membro del
Comitato economico e sociale europeo (Cese) in rappresentanza del sindacato
italiano.
Sindacato
Ho
iniziato a interessarmi di sindacato a diciotto anni partecipando alle riunioni
estive con un sacerdote dove discutevamo della Rerum Novarum. Le Acli in
parrocchia organizzavano degli incontri sui temi del lavoro e venivano
dirigenti della Cisl a spiegare che cos'era il sindacato, mentre le prime
esperienze di contrattazione le ho fatte in Inghilterra. Allo Agro Chemical,
insieme ad altri tre colleghi, abbiamo fondato il sindacato dei tecnici.
La
prima cosa che ho fatto appena entrato al Petrolchimico è stata quella di
attuare ciò che avevo imparato studiando l’enciclica papale. Ero attrezzato per
parlare in pubblico ed ero in grado di convincere le persone. Nel 1972 c'è
stato il rinnovo del contratto nazionale di lavoro e a Marghera è stato
approvato con difficoltà. Per raggiungere il contratto ci sono stati
numerosissimi scioperi, molto duri, e fermate degli impianti, con minacce di
ogni tipo e ricorsi alla magistratura. L'ala più dura che faceva riferimento a
Potere operaio stava in Cisl. Nel Petrolchimico oltre a Potere operaio era
presente Autonomia operaia di Toni Negri, di Padova. Più avanti sono comparse
anche le Brigate rosse che hanno assassinato due dirigenti della Montedison.
Sergio Gori, vice direttore della Montedison di Marghera, ammazzato nel 1980, e
Giuseppe Taliercio, dirigente del Petrolchimico, ucciso nel luglio 1981. Ci sono
stati episodi di intimidazione a diversi lavoratori e anche a me. In azienda
non sono emerse persone coinvolte, ma probabilmente c'era qualcuno che lavorava
vicino a noi.
Quando
si decise di avviare il percorso unitario e di creare il nuovo consiglio di
fabbrica io sono stato incaricato di redigere uno statuto che per essere
definito ha richiesto oltre un anno e mezzo e solo dopo si è dato il via alle
elezioni. Mi sono candidato e sono stato eletto delegato fino a quando ho
lasciato la Montedison. Ho fatto parte anche dell'esecutivo. Il consiglio di
fabbrica era composto da 330 delegati in rappresentanza di 7.600 lavoratori,
c'erano 185 gruppi omogenei. L'esecutivo era composto da 31 persone e
all'interno sono emerse le battaglie dei partiti. Io ero per l'autonomia del
sindacato, favorevole alla mediazione, alla trattativa e alla ricerca
dell'accordo. Mi sono occupato della commissione stampa e pubblicavamo un
bollettino con un comitato di redazione di trenta persone. Poi mi è stato tolto
l'incarico dell'informazione e mi è stata assegnata l'area padana che
comprendeva i petrolchimici di Marghera, Ferrara, Mantova e Ravenna e ho avuto
il compito di trovare dei dati per sviluppare la chimica per l'agricoltura,
chimica per la farmaceutica e sulla base di quei dati abbiamo promosso delle
iniziative contrattuali.
Successivamente
mi sono occupato dell'area chimica integrata, chimica e territorio, che per me
voleva dire analisi del fabbisogno, ad esempio di concimi, del rafforzamento
del mercato del Pvc, per cui mi sono fatto promotore di politiche industriali
adeguate allo sviluppo del settore, ma tutto è crollato con la guerra del
Kippur nel 1973. In conseguenza di ciò, in laboratorio dove eravamo 650 persone
a fare ricerca, ci siamo trovati costretti a rimandare molti obiettivi che ci
erano stati dati. Abbiamo iniziato a riflettere sulle conseguenze di questo
fatto mettendo sul tavolo i problemi, ma abbiamo avuto delle forti reazioni da
parte del Partito comunista. In azienda contavano molto le forze politiche che
condizionavano l'azione del sindacato e per noi cislini era importante evitare
di passare sotto le forche caudine dei partiti. Anche i più piccoli volevano la
loro quota di potere. I socialisti di Gianni De Michelis lì dentro avevano la
loro forza e avevano interesse a cercare un rapporto con la Cisl. Il ruolo del
Partito comunista era molto forte e condizionava totalmente l'azione della
Cgil. La Cgil puntava all'egemonia e aveva una grande pressione politica per
ridisegnare una strategia alternativa al centro-sinistra.
Era
difficile fare le cose bene in tranquillità. La maggioranza degli iscritti era
Cgil e sono stato escluso dalla commissione che si occupava della riconversione
industriale e sono passato alla commissione che si occupava dell'organizzazione
del lavoro. In questo ambito uno dei temi di cui mi sono occupato è quello
dell'orario di lavoro, basandomi sull'esperienza che avevo fatto in
Inghilterra, dove c’era maggiore flessibilità.
A
Marghera si lavorava a ciclo continuo, l'orario settimanale era di 37,20 ore
per 8.600 ore l'anno, il che consentiva di avere la quinta squadra, in aggiunta
alle quattro fisse. L'assenteismo era alto e arrivava anche fino al dieci per
cento.
Relazioni industriali
Relazioni
industriali partecipative si sono sviluppate nel settore perché secondo me è
impossibile che una singola azienda abbia un atteggiamento di chiusura mentre
Federchimica ha un atteggiamento diverso. Federchimica in pratica ha voluto
mostrare i muscoli ai suoi associati perché i suoi associati erano più filo
meccanici. Però Federchimica garantiva la pace sociale in azienda e la
produttività, facendo accordi su livelli organizzativi avanzati. Anche negli
anni Settanta si facevano degli accordi, ma per farli servivano ore e ore di
sciopero, poi la situazione è cambiata perché hanno capito che non era
possibile andare avanti così.
Il
mio impegno nei vari ambiti in cui sono stato occupato, dal Petrolchimico alla
Flerica provinciale, alla Flerica nazionale, al sindacato europeo partiva
essenzialmente dalle conoscenze tecniche e attraverso questa strada è stato
possibile individuare proposte e soluzioni ai diversi problemi e quindi
stabilire relazioni sindacali costruttive.
Contrattazione
Quando
sono entrato al Petrolchimico i dipendenti diretti erano quasi settemila. Le
condizioni di lavoro erano decisamente brutte. Io venivo da una fabbrica dove
facevo le analisi e il controllo dei prodotti in entrata e avevo già una
cultura della prevenzione, mentre in Montedison c'erano solo i cartelli con le
scritte di “fare attenzione ai prodotti
trattati”, ma non la consapevolezza che potesse esserci un problema di
salute dei lavoratori, di inquinamento della falda e del territorio dovuto alla
concentrazione industriale senza un controllo preventivo, senza una verifica.
C'erano rischi notevoli per i lavoratori, con problemi agli occhi, alle
orecchie e alle mani. Alle mani perché si manipolavano le valvole. In azienda
ci sono stati dei morti per incidenti e per malattie professionali. Era una
chimica pesante, primaria, dove si lavorava con temperature e pressioni alte.
Si utilizzavano i derivati della distillazione del petrolio (la cosiddetta
virgin naphta) per produrre composti che vengono impiegati come tali o come
materia prima per la produzione di una vasta gamma di prodotti chimici, dai
detergenti ai fertilizzanti, agli elastomeri, alle fibre sintetiche, alle
materie plastiche. Si produceva etilene che veniva mandato via pipeline a Ferrara
e a Mantova.
Sul
tema dell'ambiente la legge 300 ci ha dato la possibilità di creare una
commissione per l'ambiente e la sicurezza. Avevamo tre tecnici interni, tre
ingegneri, schierati con il sindacato e abbiamo fatto una battaglia per il
riconoscimento dell'articolo nove della legge. L'ottanta per cento degli
impiegati erano laureati e molti erano iscritti al sindacato, erano un gruppo
culturale forte e determinavano alcune tendenze.
Abbiamo fatto una trattativa aziendale per impostare il nuovo inquadramento.
Sull'organizzazione del lavoro ho sostenuto che non si potesse andare avanti
così, senza nessuna certezza, senza sapere se un impianto avrebbe continuato la
produzione oppure no. Abbiamo negoziato il posto di lavoro e un disegno
organizzativo diverso dentro e fuori l'impianto, tra produzione e servizi.
Prima abbiamo fatto una trattativa sugli obiettivi generali e poi in ogni
impianto siamo andati a verificare quante persone erano impegnate, quante in
turno, quanti giornalieri, il coefficiente di utilizzo, e così siamo diventati
teorici della quinta squadra e di come si fa la contrattazione aziendale
sull'ambiente attraverso la fermata dell'impianto, il risanamento e il riavvio,
perché ormai era accertata la pericolosità del cloruro di vinile monomero e,
dunque, del Pvc, che è una sostanza cancerogena. Insieme all'azienda abbiamo
concordato di realizzare un'indagine epidemiologica che ha interessato circa
cinquemila lavoratori degli impianti Montedison di tutta Italia. È stata
realizzata una concertazione che è durata anni e che ha prodotto un
miglioramento degli impianti con un investimento altissimo. Per ottenere questo
risultato abbiamo dovuto fare tantissime battaglie, praticamente ogni mese
c'era uno sciopero e i lavoratori partecipavano e seguivano le indicazioni del
sindacato. L'indagine epidemiologica è stata negoziata con il sindacato
provinciale e con la partecipazione dell'università di Padova, pagata dalla
Montedison.
Nel
1980 abbiamo perso la battaglia per l'apertura della contrattazione aziendale,
noi avevamo definito i contenuti della piattaforma con i lavoratori in
assemblea, ma loro l'hanno respinta perché le richieste economiche erano troppo
basse anche se la piattaforma conteneva tanti altri elementi. Nella costruzione
della piattaforma si è deciso un programma di lotta con la fermata totale degli
impianti. La vertenza è andata male e ha portato ad un accordo firmato nel 1981
con la mediazione del segretario nazionale Trucchi. All'avvio della trattativa
l'azienda si è presentata con la proposta di 8.560 esuberi nel gruppo su
120mila addetti. Al Petrolchimico gli esuberi erano 560, che sono usciti in
prepensionamento. La disponibilità dei lavoratori alla lotta si è esaurita con
la battaglia persa.
I
dirigenti spesso potevano fare ciò che volevano perché a volte il sindacato non
era preparato e non era in grado di affrontare i problemi. Però noi abbiamo
fatto molta contrattazione, anche di alto livello, in raccordo con gli altri
impianti petrolchimici d'Italia e attraverso di me si raccoglievano i dati per
ricomporli e costruire dei percorsi contrattuali condivisi. Abbiamo costruito
piattaforme ricche di conoscenza scientifica e anche nella piattaforma del 1980
c'erano delle proposte sull'ambiente elaborate autonomamente, non come accettazione
delle scelte dell'azienda. Le idee erano della Cisl mentre la Cgil non era
d'accordo, poi però seguivano e le piattaforme erano unitarie. L'idea del
collegamento dei quattro petrolchimici della Valle padana è stata uccisa dalla
Cgil.