Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Vive a San
Giorgio su Legnano dove è nato il 27 agosto 1953. Dirigente sindacale della
Cisl di Milano, ha lasciato l’incarico per tornare al suo lavoro. Collabora con
la pastorale sociale e del lavoro diocesana.
Provengo da una famiglia religiosa e ho fatto il
catechista per quindici anni, il presidente dell'Azione cattolica, mi sono
occupato della Caritas. Ho lavorato in oratorio praticamente fino a trent'anni,
poi ho seguito il gruppo famiglia. A causa dei miei numerosi impegni milanesi
la mia presenza in parrocchia si è andata diluendo e attualmente sono
presidente della scuola dell'infanzia paritaria.
Il primo impegno in oratorio è stato sollecitato dal
coadiutore, ma un cambiamento significativo è avvenuto nel 1970 quando sono
arrivati contemporaneamente il nuovo parroco e il nuovo coadiutore. La mia
attività all'interno dell'oratorio è aumentata ed è cresciuto sempre più
l'aggancio tra fede e vita concreta. Nel percorso con gli adolescenti cercavano
di farci capire che cosa volesse dire credere nella propria vita personale, in
particolare in ambito sociale.
Io ho vissuto positivamente il ‘68, ero studente al
liceo a Legnano, probabilmente in un ambiente meno politicizzato o meno
ideologizzato rispetto alla realtà milanese. Avevo capito che le cose le cambi
se ti metti in gioco. All'università la situazione era molto differente e più
complessa.
In quel periodo ho vissuto anche l'esperienza di
Mani tese e l'impegno per il terzo mondo, ho partecipato alle marce a Verona,
Firenze e Roma. I miei riferimenti erano Raoul Follereau e l’Abbé Pierre,
Helder Camara. Sono andato anche un paio di volte a Taizé perché volevo
allargare lo sguardo e questa è una pratica che ho sempre cercato di mantenere anche
nell'impegno del lavoro.
L'attenzione particolare ai temi del lavoro è nata
quando alcuni amici, uno che lavorava e collaborava stabilmente con la
pastorale del lavoro e un altro che era artigiano, mi hanno spinto a ragionare
sulla condizione dei lavoratori. Così, prima di iniziare a lavorare ho
partecipato più volte ad incontri della pastorale che si facevano nella zona.
C'era molto collegamento tra la fede e il lavoro e alla fine il fatto che uno
studiasse piuttosto che lavorare non contava perché avevamo comunque dentro le
stesse domande che ci spingevano a riflettere.
Ho avuto una preparazione che negli anni è sparita.
Lo vedo dove lavoro adesso, dove sono entrati molti giovani, e tutti hanno un
approccio individualista al tema del lavoro. Noi invece eravamo stimolati in
modo diverso, anche ad ascoltare chi stava vivendo l'esperienza del lavoro e
questo ci aiutava.
Ho sempre in mente la frase di Follereau: “Se molta
gente di poco conto, in molti luoghi di poco conto, facesse cose di poco
conto... il mondo cambierebbe” e resto convinto che sia vero.
Mio papà lavorava alla Franco Tosi ed era un
impiegato. Ho scoperto tardi che era iscritto alla Flm (Federazione lavoratori
metalmeccanici). Non me ne sono reso conto perché in quegli anni discutevamo molto
e avevamo idee diverse, ma evidentemente esprimevamo sentimenti simili in modi
differenti.
Io mi sono sentito molto accompagnato nella mia
ricerca in quel periodo. Un po' dall'esperienza vissuta in parrocchia, ma anche
nell’ambito della diocesi di Milano e dalle parole di papa Paolo VI. C'erano
figure come don Sandro Mezzanotti, don Piero Galli, sacerdoti che sapevano
essere stimolanti nel parlare di lavoro ai giovani. Mi confrontavo con le loro
riflessioni.
Con le Acli ho collaborato al mio paese, ma non ho
mai vissuto un'esperienza diretta all'interno del circolo.
Ho iniziato a lavorare tardi perché prima ho studiato,
ho insegnato religione nelle scuole. Ho seguito le attività della pastorale del
lavoro ancora prima di essere assunto. Dopo l'insegnamento ho lavorato un po'
nel privato, ho fatto l'economo in un Comune vicino al mio, poi ho vinto il
concorso al ministero delle Finanze, dove lavoro tuttora.
All’ingresso nel mondo del lavoro sono entrato in
contatto con la Cisl e dopo tre mesi mi sono trovato a fare il delegato
sindacale. Già negli incontri della pastorale del lavoro avevo conosciuto
alcuni sindacalisti come Franco Bentivogli ed erano emersi punti di sintonia.
L'Azione cattolica aveva organizzato un corso di formazione all'impegno sociale
e politico e in quell'occasione ho incontrato Mario Colombo che allora era
segretario generale della Cisl di Milano. Le cose che ha detto mi sono rimaste
molto impresse.
Lavorando in modo stabile è cresciuta la mia
collaborazione con la pastorale del lavoro, in particolare con don Raffaello
Ciccone, con cui abbiamo organizzato degli incontri di spiritualità per sindacalisti,
e contemporaneamente è cresciuto l'impegno nella Cisl.
Nella Cisl ho scoperto un modo di fare che non etichettava
le persone per appartenenza, persone che politicamente avevano riferimenti
diversi, potevano avere un approccio comune ai temi del lavoro.
Secondo me nella Cisl indirettamente è presente il
riferimento alla dottrina sociale della Chiesa. Sergio d'Antoni aveva invece cercato
di costruire una sorta di collateralismo Cisl, diocesi, Chiesa, ma il tentativo
si è arenato perché non aveva molto fondamento. Anche perché in pastorale non
c'è mai stata l’idea di parlare del valore che la dottrina sociale della Chiesa
assegna al lavoro solo a qualcuno, a una parte. L'intenzione è sempre stata quella
di proporsi a tutti perché tutti riflettano.
Uno dei limiti profondi che ha il mondo cattolico è
l'incapacità di gestire il conflitto che fa parte delle dimensioni della vita
delle persone. Papa Francesco in un discorso ai lavoratori in Messico nel
febbraio del 2016 ha spiegato che la strada è quella dell'incontro e del
dialogo, non pensando che in questo modo si risolvano tutti i problemi, però se
si perde l'occasione di incontrarsi, di capirsi, di provare a dialogare non si
faranno mai passi in avanti. Questa idea, secondo me, dentro la Cisl, che uno
sia dichiaratamente cattolico oppure no, è molto radicata. L'obiettivo è di
risolvere il contrasto nell'interesse del più debole. Un'impostazione che si
può tradurre semplicisticamente nello slogan “la contrattazione prima di
tutto”.
Giuseppe Lazzati, presidente dell’Azione cattolica
diceva che è importante che qualcuno scriva la dottrina sociale della Chiesa,
ma poi occorre qualcuno che la metta in pratica.
Quando ho iniziato a fare attività sindacale mi
hanno fatto frequentare un corso di dodici giorni, ho partecipato al corso
lungo con lezioni in università e ad altre iniziative formative. Io posso avere
in mente tante belle cose, ma come le rendo concrete? La risposta è formazione,
partecipazione, capacità di condividere le esperienze. Per una somma di molti
motivi ho l'impressione che questa modalità dentro il sindacato si sia persa.
Si investe poco su questa impostazione e alla fine si ragiona sulle contingenze
e si perdono quei riferimenti che si acquisiscono in un percorso che unisce
formazione ed esperienza.
Io continuo a fare attività sindacale pur avendo
scelto di rientrare in ufficio. Non è un mestiere, è una scelta, una passione.
Sul tema del lavoro nei documenti della Chiesa c'è
continuità di insegnamento. L'idea che il salario non è semplicemente uno
scambio perché il salario deve consentirti di vivere la tua dignità di persona,
è contenuta nella Rerum novarum
scritta nel 1891, ma è una costante che si ritrova anche successivamente. Fino
ad arrivare a Giovanni Paolo II che afferma che il lavoro viene prima del
capitale e che il lavoro dà dignità all'uomo ma anche viceversa, cioè che è
l'uomo che dà dignità al lavoro, che vuol dire che qualunque lavoro è degno. E
per ultimo la lettura che fa papa Francesco sul rapporto tra lavoro ed ecologia
integrale. La cosa interessante è che non fornisce la soluzione, ma invita a
mettersi intorno a un tavolo a dialogare, a provare a costruire nell'ottica del
bene comune. Si tratta di consentire a tutti di poter svolgere il proprio
ruolo, e se quel lavoro crea un problema all'ambiente devo considerarlo.
Il limite che si può eventualmente trovare in
centoventi anni di dottrina sociale della Chiesa è che in alcuni casi vengono
proposte soluzioni che sono legate a quella determinata epoca storica.
In alcuni incontri, che come pastorale abbiamo organizzato
in Università cattolica sui temi del lavoro con allievi giovani, abbiamo
toccato con mano che l’idea del lavoro è molto individuale.
Con poco successo, ho provato a dire più volte ai
coadiutori che si sono succeduti nella mia parrocchia che nel cammino di
formazione in oratorio dovrebbero trovare spazio i temi del lavoro e del
sociale, che non sono mai oggetto di riflessione. Sono temi che oggi però sono
abbastanza al di fuori dell'esperienza giovanile, ma a maggior ragione sono
importanti.
Il mio essere cattolico, credente, non è mai stato un
problema con i miei compagni di lavoro. Durante il periodo di distacco
sindacale, utilizzando le mie ferie, a Roma ho frequentato un corso
universitario sulla dottrina sociale della Chiesa. Anche questa cosa era
conosciuta e la tesi, sul rapporto tra lavoro e cooperazione, l'ho scritta
quando già ero rientrato al lavoro.
La mia collaborazione con la pastorale del lavoro
diocesana prosegue ancora. La dimensione spirituale è una cosa che sento dentro,
quando vedo qualcosa di ingiusto immediatamente penso che vada cambiata. Quando
questo sentimento lo vivi come dono non riesci a liberartene, anche se non
sempre riesci ad agire perché la dimensione del peccato è presente in tutte le
persone.
Oggi la pastorale del lavoro ha cambiato nome in
pastorale sociale e ha posto sempre più attenzione ai temi della politica, perdendo
un po’ di vista il mondo del lavoro. Più volte nel gruppo di sindacalisti che
collabora con la pastorale abbiamo evidenziato che questo tassello non deve
venire meno.