sabato 13 giugno 2020

FULVIO COLOMBO - Cisl - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Vive a San Giorgio su Legnano dove è nato il 27 agosto 1953. Dirigente sindacale della Cisl di Milano, ha lasciato l’incarico per tornare al suo lavoro. Collabora con la pastorale sociale e del lavoro diocesana.

Provengo da una famiglia religiosa e ho fatto il catechista per quindici anni, il presidente dell'Azione cattolica, mi sono occupato della Caritas. Ho lavorato in oratorio praticamente fino a trent'anni, poi ho seguito il gruppo famiglia. A causa dei miei numerosi impegni milanesi la mia presenza in parrocchia si è andata diluendo e attualmente sono presidente della scuola dell'infanzia paritaria.
Il primo impegno in oratorio è stato sollecitato dal coadiutore, ma un cambiamento significativo è avvenuto nel 1970 quando sono arrivati contemporaneamente il nuovo parroco e il nuovo coadiutore. La mia attività all'interno dell'oratorio è aumentata ed è cresciuto sempre più l'aggancio tra fede e vita concreta. Nel percorso con gli adolescenti cercavano di farci capire che cosa volesse dire credere nella propria vita personale, in particolare in ambito sociale.
Io ho vissuto positivamente il ‘68, ero studente al liceo a Legnano, probabilmente in un ambiente meno politicizzato o meno ideologizzato rispetto alla realtà milanese. Avevo capito che le cose le cambi se ti metti in gioco. All'università la situazione era molto differente e più complessa.
In quel periodo ho vissuto anche l'esperienza di Mani tese e l'impegno per il terzo mondo, ho partecipato alle marce a Verona, Firenze e Roma. I miei riferimenti erano Raoul Follereau e l’Abbé Pierre, Helder Camara. Sono andato anche un paio di volte a Taizé perché volevo allargare lo sguardo e questa è una pratica che ho sempre cercato di mantenere anche nell'impegno del lavoro.
L'attenzione particolare ai temi del lavoro è nata quando alcuni amici, uno che lavorava e collaborava stabilmente con la pastorale del lavoro e un altro che era artigiano, mi hanno spinto a ragionare sulla condizione dei lavoratori. Così, prima di iniziare a lavorare ho partecipato più volte ad incontri della pastorale che si facevano nella zona. C'era molto collegamento tra la fede e il lavoro e alla fine il fatto che uno studiasse piuttosto che lavorare non contava perché avevamo comunque dentro le stesse domande che ci spingevano a riflettere.
Ho avuto una preparazione che negli anni è sparita. Lo vedo dove lavoro adesso, dove sono entrati molti giovani, e tutti hanno un approccio individualista al tema del lavoro. Noi invece eravamo stimolati in modo diverso, anche ad ascoltare chi stava vivendo l'esperienza del lavoro e questo ci aiutava.
Ho sempre in mente la frase di Follereau: “Se molta gente di poco conto, in molti luoghi di poco conto, facesse cose di poco conto... il mondo cambierebbe” e resto convinto che sia vero.
Mio papà lavorava alla Franco Tosi ed era un impiegato. Ho scoperto tardi che era iscritto alla Flm (Federazione lavoratori metalmeccanici). Non me ne sono reso conto perché in quegli anni discutevamo molto e avevamo idee diverse, ma evidentemente esprimevamo sentimenti simili in modi differenti.
Io mi sono sentito molto accompagnato nella mia ricerca in quel periodo. Un po' dall'esperienza vissuta in parrocchia, ma anche nell’ambito della diocesi di Milano e dalle parole di papa Paolo VI. C'erano figure come don Sandro Mezzanotti, don Piero Galli, sacerdoti che sapevano essere stimolanti nel parlare di lavoro ai giovani. Mi confrontavo con le loro riflessioni.
Con le Acli ho collaborato al mio paese, ma non ho mai vissuto un'esperienza diretta all'interno del circolo.
Ho iniziato a lavorare tardi perché prima ho studiato, ho insegnato religione nelle scuole. Ho seguito le attività della pastorale del lavoro ancora prima di essere assunto. Dopo l'insegnamento ho lavorato un po' nel privato, ho fatto l'economo in un Comune vicino al mio, poi ho vinto il concorso al ministero delle Finanze, dove lavoro tuttora.
All’ingresso nel mondo del lavoro sono entrato in contatto con la Cisl e dopo tre mesi mi sono trovato a fare il delegato sindacale. Già negli incontri della pastorale del lavoro avevo conosciuto alcuni sindacalisti come Franco Bentivogli ed erano emersi punti di sintonia. L'Azione cattolica aveva organizzato un corso di formazione all'impegno sociale e politico e in quell'occasione ho incontrato Mario Colombo che allora era segretario generale della Cisl di Milano. Le cose che ha detto mi sono rimaste molto impresse.
Lavorando in modo stabile è cresciuta la mia collaborazione con la pastorale del lavoro, in particolare con don Raffaello Ciccone, con cui abbiamo organizzato degli incontri di spiritualità per sindacalisti, e contemporaneamente è cresciuto l'impegno nella Cisl.
Nella Cisl ho scoperto un modo di fare che non etichettava le persone per appartenenza, persone che politicamente avevano riferimenti diversi, potevano avere un approccio comune ai temi del lavoro.
Secondo me nella Cisl indirettamente è presente il riferimento alla dottrina sociale della Chiesa. Sergio d'Antoni aveva invece cercato di costruire una sorta di collateralismo Cisl, diocesi, Chiesa, ma il tentativo si è arenato perché non aveva molto fondamento. Anche perché in pastorale non c'è mai stata l’idea di parlare del valore che la dottrina sociale della Chiesa assegna al lavoro solo a qualcuno, a una parte. L'intenzione è sempre stata quella di proporsi a tutti perché tutti riflettano.
Uno dei limiti profondi che ha il mondo cattolico è l'incapacità di gestire il conflitto che fa parte delle dimensioni della vita delle persone. Papa Francesco in un discorso ai lavoratori in Messico nel febbraio del 2016 ha spiegato che la strada è quella dell'incontro e del dialogo, non pensando che in questo modo si risolvano tutti i problemi, però se si perde l'occasione di incontrarsi, di capirsi, di provare a dialogare non si faranno mai passi in avanti. Questa idea, secondo me, dentro la Cisl, che uno sia dichiaratamente cattolico oppure no, è molto radicata. L'obiettivo è di risolvere il contrasto nell'interesse del più debole. Un'impostazione che si può tradurre semplicisticamente nello slogan “la contrattazione prima di tutto”.
Giuseppe Lazzati, presidente dell’Azione cattolica diceva che è importante che qualcuno scriva la dottrina sociale della Chiesa, ma poi occorre qualcuno che la metta in pratica.
Quando ho iniziato a fare attività sindacale mi hanno fatto frequentare un corso di dodici giorni, ho partecipato al corso lungo con lezioni in università e ad altre iniziative formative. Io posso avere in mente tante belle cose, ma come le rendo concrete? La risposta è formazione, partecipazione, capacità di condividere le esperienze. Per una somma di molti motivi ho l'impressione che questa modalità dentro il sindacato si sia persa. Si investe poco su questa impostazione e alla fine si ragiona sulle contingenze e si perdono quei riferimenti che si acquisiscono in un percorso che unisce formazione ed esperienza.
Io continuo a fare attività sindacale pur avendo scelto di rientrare in ufficio. Non è un mestiere, è una scelta, una passione.
Sul tema del lavoro nei documenti della Chiesa c'è continuità di insegnamento. L'idea che il salario non è semplicemente uno scambio perché il salario deve consentirti di vivere la tua dignità di persona, è contenuta nella Rerum novarum scritta nel 1891, ma è una costante che si ritrova anche successivamente. Fino ad arrivare a Giovanni Paolo II che afferma che il lavoro viene prima del capitale e che il lavoro dà dignità all'uomo ma anche viceversa, cioè che è l'uomo che dà dignità al lavoro, che vuol dire che qualunque lavoro è degno. E per ultimo la lettura che fa papa Francesco sul rapporto tra lavoro ed ecologia integrale. La cosa interessante è che non fornisce la soluzione, ma invita a mettersi intorno a un tavolo a dialogare, a provare a costruire nell'ottica del bene comune. Si tratta di consentire a tutti di poter svolgere il proprio ruolo, e se quel lavoro crea un problema all'ambiente devo considerarlo.
Il limite che si può eventualmente trovare in centoventi anni di dottrina sociale della Chiesa è che in alcuni casi vengono proposte soluzioni che sono legate a quella determinata epoca storica.
In alcuni incontri, che come pastorale abbiamo organizzato in Università cattolica sui temi del lavoro con allievi giovani, abbiamo toccato con mano che l’idea del lavoro è molto individuale.
Con poco successo, ho provato a dire più volte ai coadiutori che si sono succeduti nella mia parrocchia che nel cammino di formazione in oratorio dovrebbero trovare spazio i temi del lavoro e del sociale, che non sono mai oggetto di riflessione. Sono temi che oggi però sono abbastanza al di fuori dell'esperienza giovanile, ma a maggior ragione sono importanti.
Il mio essere cattolico, credente, non è mai stato un problema con i miei compagni di lavoro. Durante il periodo di distacco sindacale, utilizzando le mie ferie, a Roma ho frequentato un corso universitario sulla dottrina sociale della Chiesa. Anche questa cosa era conosciuta e la tesi, sul rapporto tra lavoro e cooperazione, l'ho scritta quando già ero rientrato al lavoro.
La mia collaborazione con la pastorale del lavoro diocesana prosegue ancora. La dimensione spirituale è una cosa che sento dentro, quando vedo qualcosa di ingiusto immediatamente penso che vada cambiata. Quando questo sentimento lo vivi come dono non riesci a liberartene, anche se non sempre riesci ad agire perché la dimensione del peccato è presente in tutte le persone.
Oggi la pastorale del lavoro ha cambiato nome in pastorale sociale e ha posto sempre più attenzione ai temi della politica, perdendo un po’ di vista il mondo del lavoro. Più volte nel gruppo di sindacalisti che collabora con la pastorale abbiamo evidenziato che questo tassello non deve venire meno.