martedì 19 maggio 2020

MICHELE PALMA - Magneti Marelli – Sesto San Giovanni (Mi)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Dall’oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d’Italia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007

Sono nato il 22 gennaio 1925 a Brivio, in provincia di Como. Ho studiato fino alla terza media. Più tardi, mentre lavoravo, mi sono iscritto alla scuola serale, ma ho presto abbandonato.
Il 10 maggio 1940 sono entrato alla Magneti Marelli. In precedenza, durante le vacanze estive, avevo lavorato da un armaiolo. Sono stato assunto come apprendista in carpenteria, dove costruivano armadi e apparecchiature metalliche. Il mio primo lavoro è stato quello di contare bulloni unti e sporchi, e mi sono messo a piangere. Ero il garzone di un operaio che faceva il battilastra. Col tempo mi si è affezionato e in più occasioni è intervenuto a difendermi.

Dopo qualche tempo mi hanno mandato a smontare gli apparati televisivi alla “Torre Littoria”, la torre del parco di Milano, dove era stato allestito uno studio televisivo sperimentale. Andavo in bicicletta  e ci ho lavorato per sei mesi. Le attrezzature sono state rimontate presso il laboratorio centrale radio dell’azienda e oggi sono al Museo della scienza e della tecnica di Milano. Alla fine di quel lavoro avrei dovuto tornare al mio reparto, ma mi hanno tenuto in laboratorio. 
L’8 settembre sono stato catturato come renitente alla leva e mi hanno mandato ad Asti, prigioniero dei tedeschi. La mia competenza professionale probabilmente mi ha salvato, perché mi hanno addestrato al riconoscimento degli aerei e quindi assegnato a una batteria antiaerea con un radar nelle campagne del Lodigiano. Da lì sono fuggito, ho raggiunto casa e poi sono andato a nascondermi sulle colline dove sono nato.
A fine guerra sono rimasto disoccupato per diversi mesi e solo a fatica ho potuto rientrare in fabbrica.  Lavoravo in un settore all’avanguardia, dove si realizzavano i ponti radio. Qualche tempo dopo, durante una difficile vertenza per contrastare l’espulsione di 600 lavoratori, abbiamo utilizzato il ponte radio sperimentale per tenerci in contatto con la nostra delegazione al ministero. Il ponte partiva da Sesto San Giovanni, passava per il monte Cimone, poi  per il Terminillo e quindi raggiungeva Roma.
Sono rimasto in Magneti Marelli fino al 1962, quando è nata una nuova azienda che la Marelli ha creato con una società americana di ponti radio, e io sono stato trasferito a Cassina de Pecchi. Nel 1965 mi sono dimesso e sono andato a lavorare nel mondo della cooperazione.
Nel 1956 sono stato eletto consigliere comunale a Milano per la Democrazia cristiana e l’ho fatto per due mandati.

Ho avuto una prima formazione religiosa all’oratorio, poi tra gli aspiranti nell’Azione cattolica. Sono entrato in fabbrica con il distintivo dell’Azione cattolica sul bavero e facevo parte dei raggi dei lavoratori. Eravamo gruppi di apostolato e facevamo testimonianza cristiana. Il venerdì santo distribuivamo le immaginette che tutti mettevano sulle macchine. Nel raggio abbiamo costituito anche una piccola biblioteca, con sede nella parrocchia che c’era lì di fronte, dove tenevamo le nostre riunioni. Era intitolata a “Egidio Bullesi” , un giovane operaio dell’Azione cattolica di inizio ‘900. Avevamo un ciclostilato con indicato una bibliografia essenziale e facevamo girare quei testi tra di noi. Si studiavano i temi sociali, ma siccome non si poteva farlo esplicitamente perché il fascismo non lo consentiva, guardavamo al passato: parlavamo della questione sociale nella Rerum Novarum o della questione operaia in Inghilterra.
Facevamo la comunione tutti i giorni e, se non si faceva in tempo prima del lavoro, ci trovavamo in parrocchia nell’intervallo di mezzogiorno, e si approfittava anche per discutere insieme. A volte ci si riuniva la sera. C’erano incontri diocesani e in quelle occasioni ho conosciuto diverse persone che, dopo la liberazione, hanno mantenuto un rapporto con noi e sono venute a Sesto a fare degli incontri. Uno di questi era Sergio Zaninelli, impegnato prima nell’Azione cattolica, poi nella Cisl e quindi rettore dell’Università Cattolica.
Sono stato il primo delegato giovanile delle Acli provinciali milanesi nel 1946.
Dopo la guerra, con la formazione sociale che avevo avuto, è stato quasi naturale passare dall’attività apostolica all’impegno nel sindacato e nella commissione interna. La testimonianza cristiana e l’impegno sindacale per noi erano tutt’uno.

In qualità di rappresentante dell’esecutivo delle commissioni interne ho partecipato a riunioni del consiglio di gestione in cui si discuteva e decideva che cosa produrre. Ho fatto incontri anche con il consiglio di gestione della Breda, in una occasione ci hanno presentato il prototipo di quadrimotore che avevano costruito.
Nel 1948 in Marelli sono rientrati i proprietari. Fino ad allora eravamo noi i padroni della fabbrica. Eravamo noi che davamo il permesso - un permesso scritto - ai proprietari per entrare in fabbrica, poi le cose sono cambiate. Abbiamo fatto degli accordi che regolamentavano l’azione sindacale. Si decise, ad esempio, che i comunicati sindacali prima di essere affissi in mensa dovevano essere visti dalla direzione e non si poteva farne più di uno per corrente sindacale. E in mensa poteva parlare un solo rappresentante per volta, con l’accordo degli altri.
Ogni anno c’era la battaglia per l’elezione delle commissioni interne. Io sono stato eletto fin dalla prima volta. 
Con la rottura dell’unità politica tra i partiti popolari che avevano fatto la Resistenza e poi di quella sindacale, in fabbrica il clima è diventato pesante. “Erano botte da orbi”. Io ritenevo che, anche da parte dei nostri, si dovessero avere visioni più ampie quando si affrontavano i problemi aziendali, ma con i comunisti ero piuttosto severo.
Quando c’erano gli scioperi politici la Cgil faceva i picchettaggi. Noi eravamo contrari ed entravamo.
Alla Magneti Marelli c’era la mensa, che avevamo battezzata “il cagnaro”. Durante la guerra il cibo era pessimo, però almeno si mangiava. Si pranzava nelle scodelle di latta, appoggiati a tavoloni e seduti sulle panche. Ci davano le posate, ma sparivano in continuazione. Allora le hanno rifatte in zama pressofuse con stampata la scritta “Rubata alla Magneti Marelli”, ma hanno continuato a sparire. Più avanti negli anni, in commissione interna abbiamo addirittura litigato su questo e si è deciso che gli operai dovevano portarsi le posate da casa. Io sostenevo che si dovessero chiedere condizioni migliori per la mensa, mentre la Fiom, ma anche qualcuno dei nostri, diceva che si dovevano chiedere più soldi. La rivendicazione dei soldi era di più facile presa, immediata, demagogica. Su questa impostazione abbiamo discusso spesso.
Più volte si è arrivati a scontri fisici tra noi e la Fiom. Lorenzo Cantù è stato picchiato in più occasioni, io solo nel ’53, quando è morto Stalin. La commemorazione in mensa, ovviamente, la fece un comunista della Fiom. Io, che in Russia ho perso un fratello, rompendo gli accordi sindacali, sono intervenuto. Naturalmente ho detto peste e corna di Stalin. Alla fine mi sono saltati tutti addosso. Ero attorniato dai miei amici e qualche colpo l’hanno preso anche loro. Il mio intervento non era autorizzato e così ho avuto anche tre giorni di sospensione.

In più occasioni abbiamo conquistato il sostegno della maggioranza dei lavoratori, pur essendo minoranza in quanto a tessere, mentre la direzione manteneva un rapporto in qualche modo privilegiato con la Fiom. Quando la Fiom organizzava delle lotterie, ad esempio, la Marelli gli dava dei premi da mettere in palio, cosa che non faceva con noi. Era una forma di convivenza e di convenienza reciproca. Noi non eravamo in alcun modo preferiti. Anche l’ambiente cattolico esterno non è che ci considerasse molto. Eravamo visti come i comunistelli di sacrestia e dovevamo confrontarci anche con i tradizionalisti e conservatori che non ci vedevano di buon occhio. Eravamo in tre della Cisl con quelle caratteristiche e siamo stati tutti trasferiti: Cantù a Erice, io a Monte Cimone e il terzo da un’altra parte.
Poi il clima è cambiato, tra gli industriali è cominciata a passare l’idea che si dovesse contrastare maggiormente la Cgil e di questo la Cisl si è avvantaggiata. Così, dopo nove mesi sul Monte Cimone, sono stato richiamato in fabbrica, altrimenti forse sarei là ancora oggi.
Nel 1954 siamo riusciti a ribaltare la situazione e siamo diventati il primo sindacato, conquistando la maggioranza in commissione interna. Questo grazie alla nostra iniziativa tra gli operai, mentre tra gli impiegati l’atteggiamento ci era più favorevole. Più volte, peraltro, tra gli impiegati furono create delle liste gialle.
In occasione di crisi o minacce di licenziamenti, sul marciapiedi della Magneti Marelli erano tutti lì ad aspettare noi della Cisl, perché eravamo sempre presenti, mentre la Fiom ubbidiva solo al partito. Una volta, nel locale della commissione interna, abbiamo trovato un foglio del Pci con scritte le cose da fare come sindacato.
In fabbrica era attiva una cellula comunista. Noi combattevamo aspramente la demagogia e la lotta sui temi generali era molto forte. Sulle questioni aziendali, invece, a volte si era d’accordo, altre no, ma per ragioni più concrete, di merito. Spesso, però, la Fiom era portata a dire di no, mentre noi cercavamo di fare gli accordi. Altre volte era la Fiom che cercava il nostro appoggio per arrivare a concludere delle intese.

Abbiamo avuto anche qualche disavventura come Cisl. Un giorno abbiamo scoperto che un collettore si teneva i soldi raccolti per le tessere, fortunatamente lo abbiamo individuato subito.
Un paio dei nostri sono passati dall’altra parte perché consideravano le nostre posizioni troppo rigide.
Io usavo i permessi sindacali per uscire a dare una mano a Pietro Severo e andavo a distribuire i volantini davanti alle fabbriche muovendomi in bicicletta. Facevamo incontri con i commissari degli stabilimenti di Sesto e qualcuno, particolarmente “paolotto”, lo incontravo in Chiesa.

In Magneti nel 1955 è venuto l’arcivescovo Montini a inaugurare un nuovo reparto dove si producevano televisori e che venne dedicato a Santa Chiara, patrona della televisione.
L’iniziativa era stata organizzata dall’azienda. Io sono stato scelto per parlare a nome della commissione interna. L’ho saputo due giorni prima e ho preparato tutto da solo. Durante l’intervento, il direttore del personale, che stava dietro di me, mi ha tirato il camice perché dicevo cose che non erano molto gradite alla proprietà. Conoscevo bene la storia di Santa Chiara e ho detto che lei aveva ben altre caratteristiche di quelle che si volevano evidenziare quel giorno. E’ stato un intervento breve e per me non è stato un grande evento. L’evento è nato dopo, quando la direzione ha censurato il testo del cardinale. Il fatto è stato poi reso di dominio pubblico da don Primo Mazzolari, che sull’Adesso ha pubblicato i due testi mettendoli a confronto.
Montini si definiva “l’arcivescovo dei lavoratori” e la Fiom ha accolto favorevolmente la sua venuta in fabbrica. I comunisti non facevano gli anticlericali, erano i socialisti i più accesi.