Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Dall’oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d’Italia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007
Sono nato il 22
gennaio 1925 a Brivio, in provincia di Como. Ho studiato fino alla terza media.
Più tardi, mentre lavoravo, mi sono iscritto alla scuola serale, ma ho presto
abbandonato.
Il 10 maggio
1940 sono entrato alla Magneti Marelli. In precedenza, durante le vacanze
estive, avevo lavorato da un armaiolo. Sono stato assunto come apprendista in
carpenteria, dove costruivano armadi e apparecchiature metalliche. Il mio primo
lavoro è stato quello di contare bulloni unti e sporchi, e mi sono messo a
piangere. Ero il garzone di un operaio che faceva il battilastra. Col tempo mi
si è affezionato e in più occasioni è intervenuto a difendermi.
Dopo qualche
tempo mi hanno mandato a smontare gli apparati televisivi alla “Torre
Littoria”, la torre del parco di Milano, dove era stato allestito uno studio
televisivo sperimentale. Andavo in bicicletta
e ci ho lavorato per sei mesi. Le attrezzature sono state rimontate
presso il laboratorio centrale radio dell’azienda e oggi sono al Museo della
scienza e della tecnica di Milano. Alla fine di quel lavoro avrei dovuto
tornare al mio reparto, ma mi hanno tenuto in laboratorio.
L’8 settembre
sono stato catturato come renitente alla leva e mi hanno mandato ad Asti,
prigioniero dei tedeschi. La mia competenza professionale probabilmente mi ha
salvato, perché mi hanno addestrato al riconoscimento degli aerei e quindi
assegnato a una batteria antiaerea con un radar nelle campagne del Lodigiano.
Da lì sono fuggito, ho raggiunto casa e poi sono andato a nascondermi sulle
colline dove sono nato.
A fine guerra
sono rimasto disoccupato per diversi mesi e solo a fatica ho potuto rientrare
in fabbrica. Lavoravo in un settore
all’avanguardia, dove si realizzavano i ponti radio. Qualche tempo dopo,
durante una difficile vertenza per contrastare l’espulsione di 600 lavoratori,
abbiamo utilizzato il ponte radio sperimentale per tenerci in contatto con la
nostra delegazione al ministero. Il ponte partiva da Sesto San Giovanni,
passava per il monte Cimone, poi per il
Terminillo e quindi raggiungeva Roma.
Sono rimasto in
Magneti Marelli fino al 1962, quando è nata una nuova azienda che la Marelli ha
creato con una società americana di ponti radio, e io sono stato trasferito a
Cassina de Pecchi. Nel 1965 mi sono dimesso e sono andato a lavorare nel mondo
della cooperazione.
Nel 1956 sono
stato eletto consigliere comunale a Milano per la Democrazia cristiana e l’ho
fatto per due mandati.
Ho avuto una
prima formazione religiosa all’oratorio, poi tra gli aspiranti nell’Azione
cattolica. Sono entrato in fabbrica con il distintivo dell’Azione cattolica sul
bavero e facevo parte dei raggi dei lavoratori. Eravamo gruppi di apostolato e
facevamo testimonianza cristiana. Il venerdì santo distribuivamo le immaginette
che tutti mettevano sulle macchine. Nel raggio abbiamo costituito anche una
piccola biblioteca, con sede nella parrocchia che c’era lì di fronte, dove
tenevamo le nostre riunioni. Era intitolata a “Egidio Bullesi” , un giovane
operaio dell’Azione cattolica di inizio ‘900. Avevamo un ciclostilato con
indicato una bibliografia essenziale e facevamo girare quei testi tra di noi.
Si studiavano i temi sociali, ma siccome non si poteva farlo esplicitamente
perché il fascismo non lo consentiva, guardavamo al passato: parlavamo della
questione sociale nella Rerum Novarum o della questione operaia in Inghilterra.
Facevamo la
comunione tutti i giorni e, se non si faceva in tempo prima del lavoro, ci
trovavamo in parrocchia nell’intervallo di mezzogiorno, e si approfittava anche
per discutere insieme. A volte ci si riuniva la sera. C’erano incontri
diocesani e in quelle occasioni ho conosciuto diverse persone che, dopo la
liberazione, hanno mantenuto un rapporto con noi e sono venute a Sesto a fare
degli incontri. Uno di questi era Sergio Zaninelli, impegnato prima nell’Azione
cattolica, poi nella Cisl e quindi rettore dell’Università Cattolica.
Sono stato il
primo delegato giovanile delle Acli provinciali milanesi nel 1946.
Dopo la guerra,
con la formazione sociale che avevo avuto, è stato quasi naturale passare
dall’attività apostolica all’impegno nel sindacato e nella commissione interna.
La testimonianza cristiana e l’impegno sindacale per noi erano tutt’uno.
In qualità di
rappresentante dell’esecutivo delle commissioni interne ho partecipato a
riunioni del consiglio di gestione in cui si discuteva e decideva che cosa
produrre. Ho fatto incontri anche con il consiglio di gestione della Breda, in
una occasione ci hanno presentato il prototipo di quadrimotore che avevano
costruito.
Nel 1948 in
Marelli sono rientrati i proprietari. Fino ad allora eravamo noi i padroni
della fabbrica. Eravamo noi che davamo il permesso - un permesso scritto - ai
proprietari per entrare in fabbrica, poi le cose sono cambiate. Abbiamo fatto
degli accordi che regolamentavano l’azione sindacale. Si decise, ad esempio,
che i comunicati sindacali prima di essere affissi in mensa dovevano essere
visti dalla direzione e non si poteva farne più di uno per corrente sindacale.
E in mensa poteva parlare un solo rappresentante per volta, con l’accordo degli
altri.
Ogni anno c’era
la battaglia per l’elezione delle commissioni interne. Io sono stato eletto fin
dalla prima volta.
Con la rottura
dell’unità politica tra i partiti popolari che avevano fatto la Resistenza e
poi di quella sindacale, in fabbrica il clima è diventato pesante. “Erano botte
da orbi”. Io ritenevo che, anche da parte dei nostri, si dovessero avere
visioni più ampie quando si affrontavano i problemi aziendali, ma con i
comunisti ero piuttosto severo.
Quando c’erano
gli scioperi politici la Cgil faceva i picchettaggi. Noi eravamo contrari ed
entravamo.
Alla Magneti
Marelli c’era la mensa, che avevamo battezzata “il cagnaro”. Durante la guerra
il cibo era pessimo, però almeno si mangiava. Si pranzava nelle scodelle di
latta, appoggiati a tavoloni e seduti sulle panche. Ci davano le posate, ma
sparivano in continuazione. Allora le hanno rifatte in zama pressofuse con
stampata la scritta “Rubata alla Magneti Marelli”, ma hanno continuato a
sparire. Più avanti negli anni, in commissione interna abbiamo addirittura
litigato su questo e si è deciso che gli operai dovevano portarsi le posate da
casa. Io sostenevo che si dovessero chiedere condizioni migliori per la mensa,
mentre la Fiom, ma anche qualcuno dei nostri, diceva che si dovevano chiedere
più soldi. La rivendicazione dei soldi era di più facile presa, immediata,
demagogica. Su questa impostazione abbiamo discusso spesso.
Più volte si è
arrivati a scontri fisici tra noi e la Fiom. Lorenzo Cantù è stato picchiato in
più occasioni, io solo nel ’53, quando è morto Stalin. La commemorazione in
mensa, ovviamente, la fece un comunista della Fiom. Io, che in Russia ho perso
un fratello, rompendo gli accordi sindacali, sono intervenuto. Naturalmente ho
detto peste e corna di Stalin. Alla fine mi sono saltati tutti addosso. Ero
attorniato dai miei amici e qualche colpo l’hanno preso anche loro. Il mio
intervento non era autorizzato e così ho avuto anche tre giorni di sospensione.
In più occasioni
abbiamo conquistato il sostegno della maggioranza dei lavoratori, pur essendo
minoranza in quanto a tessere, mentre la direzione manteneva un rapporto in
qualche modo privilegiato con la Fiom. Quando la Fiom organizzava delle
lotterie, ad esempio, la Marelli gli dava dei premi da mettere in palio, cosa
che non faceva con noi. Era una forma di convivenza e di convenienza reciproca.
Noi non eravamo in alcun modo preferiti. Anche l’ambiente cattolico esterno non
è che ci considerasse molto. Eravamo visti come i comunistelli di sacrestia e
dovevamo confrontarci anche con i tradizionalisti e conservatori che non ci
vedevano di buon occhio. Eravamo in tre della Cisl con quelle caratteristiche e
siamo stati tutti trasferiti: Cantù a Erice, io a Monte Cimone e il terzo da un’altra
parte.
Poi il clima è
cambiato, tra gli industriali è cominciata a passare l’idea che si dovesse
contrastare maggiormente la Cgil e di questo la Cisl si è avvantaggiata. Così,
dopo nove mesi sul Monte Cimone, sono stato richiamato in fabbrica, altrimenti
forse sarei là ancora oggi.
Nel 1954 siamo
riusciti a ribaltare la situazione e siamo diventati il primo sindacato,
conquistando la maggioranza in commissione interna. Questo grazie alla nostra
iniziativa tra gli operai, mentre tra gli impiegati l’atteggiamento ci era più
favorevole. Più volte, peraltro, tra gli impiegati furono create delle liste
gialle.
In occasione di
crisi o minacce di licenziamenti, sul marciapiedi della Magneti Marelli erano
tutti lì ad aspettare noi della Cisl, perché eravamo sempre presenti, mentre la
Fiom ubbidiva solo al partito. Una volta, nel locale della commissione interna,
abbiamo trovato un foglio del Pci con scritte le cose da fare come sindacato.
In fabbrica era
attiva una cellula comunista. Noi combattevamo aspramente la demagogia e la
lotta sui temi generali era molto forte. Sulle questioni aziendali, invece, a
volte si era d’accordo, altre no, ma per ragioni più concrete, di merito.
Spesso, però, la Fiom era portata a dire di no, mentre noi cercavamo di fare
gli accordi. Altre volte era la Fiom che cercava il nostro appoggio per
arrivare a concludere delle intese.
Abbiamo avuto
anche qualche disavventura come Cisl. Un giorno abbiamo scoperto che un
collettore si teneva i soldi raccolti per le tessere, fortunatamente lo abbiamo
individuato subito.
Un paio dei
nostri sono passati dall’altra parte perché consideravano le nostre posizioni
troppo rigide.
Io usavo i
permessi sindacali per uscire a dare una mano a Pietro Severo e andavo a
distribuire i volantini davanti alle fabbriche muovendomi in bicicletta.
Facevamo incontri con i commissari degli stabilimenti di Sesto e qualcuno,
particolarmente “paolotto”, lo incontravo in Chiesa.
In Magneti nel
1955 è venuto l’arcivescovo Montini a inaugurare un nuovo reparto dove si
producevano televisori e che venne dedicato a Santa Chiara, patrona della
televisione.
L’iniziativa era
stata organizzata dall’azienda. Io sono stato scelto per parlare a nome della
commissione interna. L’ho saputo due giorni prima e ho preparato tutto da solo.
Durante l’intervento, il direttore del personale, che stava dietro di me, mi ha
tirato il camice perché dicevo cose che non erano molto gradite alla proprietà.
Conoscevo bene la storia di Santa Chiara e ho detto che lei aveva ben altre
caratteristiche di quelle che si volevano evidenziare quel giorno. E’ stato un
intervento breve e per me non è stato un grande evento. L’evento è nato dopo,
quando la direzione ha censurato il testo del cardinale. Il fatto è stato poi
reso di dominio pubblico da don Primo Mazzolari, che sull’Adesso ha
pubblicato i due testi mettendoli a confronto.
Montini si
definiva “l’arcivescovo dei lavoratori” e la Fiom ha accolto favorevolmente la
sua venuta in fabbrica. I comunisti non facevano gli anticlericali, erano i
socialisti i più accesi.