giovedì 21 maggio 2020

ERNESTO NICHELE - Rls Gruppo Marcegaglia - Gazoldo degli Ippoliti (Mn)

Intervista realizzata in occasione della pubblicazione del libro “Angeli senza ali. Morti bianche e sicurezza sul lavoro. Il caso Lombardia”, a cura di Costantino Corbari e Angelico Corti, Edizioni Lavoro, Roma, 2008 

Un’inversione di rotta 
In questa complessa e dinamica realtà un compito molto delicato è affidato ai Rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori. La loro analisi spesso non coincide con quella della proprietà, ma il loro ruolo è fondamentale nello sforzo di indivi­duazione ed eliminazione delle cause degli infortuni. Ernesto Nichele, a Gazoldo degli Ippoliti, è uno di questi. Egli sottolinea i passi avanti compiuti in azienda, ma evidenzia anche come non manchino i problemi e come l’accordo di settembre sia solo un passo di un cammino ancora lungo. 

Qual è il suo giudizio sulla sicurezza in azienda? 
Dopo un paio di incidenti mortali accaduti diversi anni fa in azienda, la direzione ha cambiato rotta andando verso la messa in atto di un sistema di sicurezza vero e proprio. Questo sia per azione diretta di Steno Marcegaglia che della direzione. 

Vuol dire che ci sono atteggiamenti diversi tra il cavalier Marcegaglia e i dirigenti? 
Non sempre tra la direzione e il signor Steno c’è intesa. Ma in questo caso ci sono stati input convergenti a favore della sicurezza, anche se questi in parte si sono inceppati a valle, perché i capi reparto non hanno la giusta sensibilità. Così abbiamo alcuni reparti dove l’attenzione ai temi della sicurezza è molto elevata e si applicano tutte le norme del Decreto legislativo 626. In altri, invece, siamo fermi al 1950 perché il capo reparto sente meno il problema. Questo succede perché le decisi finali sono lasciate alla sensibilità delle persone. 

L’azione degli Rls, in questa situazione, come si esercita? 
Come Rappresentante per la sicurezza mi muovo nei reparti, segnalo eventuali problemi, poi faccio un colloquio con il Responsabile aziendale dei servizi di protezione e prevenzione (Rspp) e con i capi reparto, infine si redige un verbale scritto. Ma se i capi non sono sensibili o applicano solo in parte le decisioni prese tutto procede come prima. Manca un meccanismo che in qualche modo costringa o sproni i capi a mettere in atto le migliorie decise. Così abbiamo alcuni reparti che hanno una buona situazione antinfortunistica, ma anche reparti messi molto male perché i ripari e le protezioni sono stati realizzati troppo in fretta, per rispondere alle richieste dell’Asl e non sufficientemente sperimentati. A volte sono dei ripieghi. 

Ci sono anche responsabilità dei lavoratori? 
Indubbiamente. C’è spesso la tendenza di qualche lavoratore, specie tra i più anziani, a bypassare le protezioni. 

L’azione dell’azienda è sufficiente? È organizzata in modo adeguato? 
L’Rspp ha a disposizione un certo numero di persone adibite a riparare ciò che si rompe quotidianamente nei reparti e che può essere causa di incidenti. Sia per la parte elettrica che per quella meccanica. Però succede che a volte queste persone siano impegnate anche in altri lavori, come riparazione di linee di produzione o altro, considerati più utili per la produzione e non intervengano con la necessaria urgenza dove dovrebbero per garantire la sicurezza. 

Quali sono le cause principali degli incidenti in Marcegaglia? 
A volte c’è la distrazione delle persone o l’eccesso di confidenza con le macchine. Però occorre tener conto dei fattori climatici, che non sono indifferenti. Quando fuori ci sono 35 gradi, all’interno ce ne sono parecchi di più. E dopo che un operaio ha fatto sei, sette ore di lavoro duro, sudando continuamente, può anche succedere che si distragga, perché è stanco e non ne può più. 

Ma a quel punto non dovrebbero essere i sistemi di sicurezza della macchina a proteggerlo? 
Certo, invece capita che le macchine come tagliano il ferro tagliano anche le mani. Allo stesso modo succede d’inverno. Se fuori l’inverno è molto rigido, all’interno lo è ancora di più perché il ferro funziona da accumulatore di calore, ma anche di freddo. Alcune volte non si riesce neppure a usare le mani. La risposta dell’azienda è stata quella di disporre delle stufe nei reparti. Ma l’operaio o lavora o sta vicino alla stufa. Poi c’è una terza componente, che è quella dei ritmi produttivi. Spesso e volentieri, quando ci sono delle urgenze, ci sono situazioni nelle quali alcuni capi accelerano i ritmi delle macchine. Così, se l’operaio deve lavorare più in fretta è soggetto a maggior rischio di infortuni. 

Le macchine, dunque, non sono adeguatamente protette e sicure? 
Purtroppo le macchine non salvano gli uomini. Pur essendo state aggiornate e modificate richiedono ancora molta presenza di personale. Una buona metà delle operazioni sulle macchine deve essere fatta manualmente. 

L’accordo di gruppo che ruolo assegna agli Rls? 
Sul piano teorico siamo abbastanza avanti, però manca sempre l’aspetto pratico. Quell’intervenire subito e concretamente dove si manifestano dei problemi. Da questo punto di vista non ci sono grandi novità. 

Quindi gli strumenti che avete a disposizione non sono adeguati? 
Permangono dei problemi, ma questo non dipende dall’intesa, ma dalle norme e dalla forza dei lavoratori. 

I lavoratori sono poco sensibili? 
Purtroppo l’interesse non sempre è alto. La sensibilità aumenta solo quando accadono infortuni gravi. In Marcegaglia sono stati fatti due scioperi sulla sicurezza. Uno di due ore per tutto lo stabilimento di Gazoldo. Un altro di un’ora, di un solo reparto, in occasione di un infortunio grave. In quell’occasione i lavoratori si sono sentiti colpiti e hanno reagito scioperando quasi tutti. 

Qual è stata la reazione in occasione dell’incidente mortale di Boltiere? 
Lo abbiamo saputo qualche giorno dopo. Inoltre, quando ci è stato detto che non era un operaio della Marcegaglia ma un esterno, che lavorava in modo non regolare, non abbiamo fatto niente.