Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Il beato fumatore. La curiosa storia della scuola bottega di Beppe artigiano”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1998
La
scuola bottega di Brescia ha saputo coniugare un piano pastorale, nato come
esigenza di dare risposta ai problemi di un quartiere e dei suoi giovani, ad un progetto culturale che mirava a dare
continuità ai mestieri artigiani che da
sempre hanno caratterizzato il Carmine. Il risultato è stato una scuola: laica
nella concezione, cristianamente
ispirata nei valori.
Tra
le testimonianze più significative di questa esperienza c'è quella di monsignor
Bruno Foresti, da quindici anni vescovo di Brescia.
Il lungo colloquio che ho
avuto con lui testimonia il valore del cammino compiuto insieme da Beppe e don
Faustino. Eccolo.
"La scuola bottega è nata con don
Faustino Cabra e Beppe Nava. Si può dire che sono i due cofondatori. Nava è un
uomo generoso e di buona volontà che ha avuto un'intuizione molto felice e la
storia ne ha confermato la bontà. Ha capito che si poteva aiutare quei giovani
che non raggiungevano un'istruzione sufficiente e che non avevano ne arte ne
parte. Lui ha compreso che si poteva affezionarli ad un certo artigianato, ad
un tipo di mestiere, e così sottrarli alla strada e soprattutto avviarli verso
una vita decorosa e responsabile. Credo che questa sia stata la sua bella
intuizione.
Le modalità sono geniali. Raccolgono un
volontariato di doppio tipo: quello degli insegnanti delle materie culturali,
che si dedicano gratuitamente a questo compito generoso, e quello degli
artigiani che accolgono questi giovani nella loro bottega per apprendere nella
pratica, avendoli in casa un po' come figli. Questo fatto mi pare sia
fondamentale: secondo lo stile dell'antica bottega il ragazzo viene accolto,
amato e si sente parte di una famiglia.
La scuola bottega è scuola e bottega, i due
elementi sono chiarissimi. A scuola si apprendono l'italiano e le altre
materie. Nella bottega si impara un lavoro, un'arte artigianale e si capisce
che l’istruzione non è solo quella letteraria.
Beppe Nava si è rivolto poi alle istituzioni
perché potessero appoggiarlo, pubbliche,
ma soprattutto private. Con un senso vivo della provvidenza ha chiesto un
ambiente dove fare scuola gratuitamente e ha ottenuto una risposta favorevole.
Egli
esprime e manifesta la sua fiducia nella provvidenza in maniera continua,
ribadendo fortemente la sua fede. Dal punto di vista cristiano si tratta di una
verità, di Dio che ci viene incontro; la Madonna propizia questo dono da parte
di Dio, che sostiene chi si affida a lui. Questo è il concetto fondamentale
della fede: Dio da una risposta a chi si affida a lui. Ci sono dei grandi santi
della provvidenza: ad esempio San Giuseppe Capasso, il fondatore del Cottolengo: 'non abbiamo
soldi, ma apriamo questa casa e il Signore ci penserà'. Dio - di fronte a chi è
buono e chiede una grazia, un aiuto, confidando di ottenere una risposta -
risponde. Questo è il concetto cristiano della provvidenza: è Dio stesso che
viene incontro all'uomo che si affida a lui e chiede per un fine buono.
Il
rapporto di Nava con la Madonna corrisponde a una forma di devozione
popolare, per la quale un uomo si affida a
gesti di pietà, di invocazione e di benedizione. Ogni persona,
specialmente se impegnata, religiosa, compie delle scelte particolari. Se Nava
ha affidato la scuola bottega alla Madonna vuol dire che si sentiva
particolarmente portato verso questa forma di devozione.
Non conosco la storia dei suoi incontri con
il Papa. Ciascuno ha iniziative che sono personali, il vescovo non può seguire
tutte le mille realtà della propria diocesi. A me questo suo particolare
rapporto fa molto piacere.
Il rapporto con il Santo Padre è sostanziale
perché la Chiesa è anche gerarchia, non solo carisma. Lui ha avuto
un'intuizione che nell'ordine della grazia si può chiamare carismatica, cioè un
dono che è dato a lui per il bene degli
altri, non per il bene personale: questo
è un carisma. Però ha voluto fare un verifica con il Santo Padre. 'Sono un
discepolo della chiesa, mi glorio di sentire che il Papa mi benedice'. Questo è il valore del suo gesto, che ha
cercato il riconoscimento di sentirsi nella Chiesa che attraverso il Papa dà
garanzia di essere nella verità.
Conosco Beppe Nava e l'azione che fa. I suoi
sono gesti che si collocano in un contesto preciso. La garanzia del suo agire non viene dal
fatto che sia andato dal Papa a farsi benedire, ma dalla storia della scuola
bottega. Il contesto della visita al Papa lo inquadrerei in questo suo sentirsi
interno alla Chiesa.
La diocesi non ha mai sostenuto formalmente
la scuola bottega. Noi non promoviamo direttamente le realtà che non sono
strettamente ecclesiali. Le scuole bottega non sono una realtà ecclesiale, sono
ispirate cristianamente, ma sono autonome. Io non ho nessuna responsabilità né
giuridica né di altro genere.
Quando il vescovo va alla scuola bottega
porta la sua offerta, ma come ognuno può fare individualmente. Non aiutiamo la
scuola.
Certamente vedo molto bene queste realtà per
tre motivi: prima di tutto perché sono un aiuto all'uomo, perciò sono una
prassi di solidarietà umana, e ogni realtà che si iscrive nella vicenda umana, la Chiesa la ama anche
se non è cattolica, anche se non è
cristiana. Questo è il primo aspetto. L'aiuto ai giovani per il lavoro non è
che non possa attirarsi l'amore della Chiesa.
Secondo, c'è anche un amore particolare, una
direzione particolare perché questa realtà non solo viene incontro al bisogno
dell'uomo ma stimola la carità, il volontariato, perciò fa crescere l'uomo non
solo tra chi è accolto, ma soprattutto tra chi opera in quest'ambito. Per cui
la Chiesa non può che approvare questo modello di cooperazione per amore di
volontari appartenenti a vari ambiti.
Terzo, certamente questi valori sono
profondamente cristiani e risulta esserci una specie di catechesi all'interno
della scuola e questo non può che far piacere al vescovo e al magistero.
Sono questi i tre aspetti che io vedo, tutti
e tre levitati verso l'ultimo, perché quello che si fa per l'uomo è fatto per
Dio. Per cui la scuola non può che
essere amata e accolta.
Oltre tutto la scuola è nata nell'ambito
della Chiesa. Beppe Nava è colui che si è mosso, ma non avrebbe mai fatto
niente senza l'appoggio di don Faustino. E' lui che l'ha aiutato, confortato,
che spesso ha sollecitato gli aiuti. Anche perché non sempre, non facilmente,
ad un laico si crede. Quando invece c'è di mezzo un sacerdote come questo, con
molto criterio e molto buono, allora tutto è più facile.
La scuola bottega ormai è conosciuta, si è
fatta propaganda da sé, senza bisogno di nessun intervento da parte della
gerarchia. I parroci non hanno bisogno di chiedere il permesso per avviare una
nuova iniziativa, perché conoscono il nostro atteggiamento. Quando vado a
celebrare la messa, la mia presenza è risaputa. Non ci vado proprio tutti gli anni, lui mi invita e questo è bello, ma
a volte sono trattenuto da altri impegni. In questi anni, muovendomi per la
diocesi nelle mie visite pastorali, ne ho viste molte di scuole bottega, ho
partecipato anche a qualche inaugurazione.
La formula mi pare che sia stata esportata
anche all'estero, credo sia una cosa effettivamente valida. La cooperativa in
senso generale è l'insieme di persone che lavorano per un fine valido,
veramente buono, di solidarietà.
C’è un forte radicamento nel territorio.
Qualche volta le scuole sono appoggiate dai Comuni, altre volte gli enti locali
sono indifferenti. Normalmente, però, realtà di questo genere sono sempre
gradite perché rispondono ad un bisogno reale per i giovani. Siccome nascono in un ambito cattolico, solo
chi ha una opposizione ideologica è contrario.
Ma il futuro della scuola si giocherà intorno
alla sua ispirazione cristiana. Se cadrà il senso vivo che presiede la fiducia
in Dio oltre che la fiducia negli uomini, la scuola bottega potrebbe
strutturarsi dandosi delle basi di garanzia economica. Allora è chiaro che sarà
sempre una realtà buona, però si snaturerà un po' rispetto al progetto
iniziale. Gli artigiani cominceranno a dire: io accolgo il ragazzo, però dammi
qualcosa. L'insegnante dirà: io vengo qui a far scuola, ma datemi almeno
qualcosa. Quella gratuità per cui è nata, quel valore superiore, è destinato a
franare.
Per evitare questa caduta uno statuto è
molto importante. A volte, quando incontro le associazioni, dico: leggete lo
statuto una o due volte l'anno, almeno i primi articoli, che sono quelli
determinanti. Che sono quelli che garantiscono la fedeltà.
C'è preoccupazione per il dopo Beppe, per il
futuro della scuola. Questo pensiero
l'ho sentito emergere qua e là, negli ultimi tempi. Occorre trovare un modo per
dare continuità.
Bisogna che nasca un gruppo di persone che
sanno pensare, che si intendono di legge, che vengono anche dal sociale, un
sindacalista, con un aggancio anche con altre realtà. Il problema va posto con
serietà, con gente che se ne intende. Io lo dirò. Beppe non è immortale e, se
anche lo fosse, credo che l'evoluzione storica, i cambiamenti delle leggi,
impongono qualche punto fermo da poter mettere nel profondo della terra per
poter resistere. Non è una persona che garantisce la realtà, una esperienza si
garantisce quando ha alcuni presupposti di stabilità, di organicità, di
inserimento nella società, nella legislazione. Quelli sono i presupposti
affinché possa continuare, non perché c'è una persona. Il fondatore può anche
essere travolto. E’ successo anche per istituzioni religiose. L'istituzione si
è salvata perché c'erano alcune norme che qualcuno ha cercato di riassumere e
di far diventare punto di riferimento.
Credo che si camminerà verso una
federazione, anche per l'esigenza di un'autonomia gestionale, ma la federazione
dovrà offrire delle garanzie, non basta che ci sia un riferimento morale o
amicale. In una federazione ci sono dei responsabili che dettano alcune regole. Penso che si dovrà
studiare bene il problema".