martedì 21 aprile 2020

MONS. BRUNO FORESTI - Vescovo di Brescia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Il beato fumatore. La curiosa storia della scuola bottega di Beppe artigiano”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1998

Un testimone
La scuola bottega di Brescia ha saputo coniugare un piano pastorale, nato come esigenza di dare risposta ai problemi di un quartiere e dei suoi giovani,  ad un progetto culturale che mirava a dare continuità ai mestieri  artigiani che da sempre hanno caratterizzato il Carmine. Il risultato è stato una scuola: laica nella  concezione, cristianamente ispirata nei valori.
Tra le testimonianze più significative di questa esperienza c'è quella di monsignor Bruno Foresti, da quindici anni vescovo di Brescia. 
Il lungo colloquio che ho avuto con lui testimonia il valore del cammino compiuto insieme da Beppe e don Faustino. Eccolo.

"La scuola bottega è nata con don Faustino Cabra e Beppe Nava. Si può dire che sono i due cofondatori. Nava è un uomo generoso e di buona volontà che ha avuto un'intuizione molto felice e la storia ne ha confermato la bontà. Ha capito che si poteva aiutare quei giovani che non raggiungevano un'istruzione sufficiente e che non avevano ne arte ne parte. Lui ha compreso che si poteva affezionarli ad un certo artigianato, ad un tipo di mestiere, e così sottrarli alla strada e soprattutto avviarli verso una vita decorosa e responsabile. Credo che questa sia stata la sua bella intuizione.
Le modalità sono geniali. Raccolgono un volontariato di doppio tipo: quello degli insegnanti delle materie culturali, che si dedicano gratuitamente a questo compito generoso, e quello degli artigiani che accolgono questi giovani nella loro bottega per apprendere nella pratica, avendoli in casa un po' come figli. Questo fatto mi pare sia fondamentale: secondo lo stile dell'antica bottega il ragazzo viene accolto, amato e si sente parte di una famiglia.
La scuola bottega è scuola e bottega, i due elementi sono chiarissimi. A scuola si apprendono l'italiano e le altre materie. Nella bottega si impara un lavoro, un'arte artigianale e si capisce che l’istruzione non è solo quella letteraria.
Beppe Nava si è rivolto poi alle istituzioni perché potessero  appoggiarlo, pubbliche, ma soprattutto private. Con un senso vivo della provvidenza ha chiesto un ambiente dove fare scuola gratuitamente e ha ottenuto una risposta favorevole.
 Egli esprime e manifesta la sua fiducia nella provvidenza in maniera continua, ribadendo fortemente la sua fede. Dal punto di vista cristiano si tratta di una verità, di Dio che ci viene incontro; la Madonna propizia questo dono da parte di Dio, che sostiene chi si affida a lui. Questo è il concetto fondamentale della fede: Dio da una risposta a chi si affida a lui. Ci sono dei grandi santi della provvidenza: ad esempio San Giuseppe Capasso,  il fondatore del Cottolengo: 'non abbiamo soldi, ma apriamo questa casa e il Signore ci penserà'. Dio - di fronte a chi è buono e chiede una grazia, un aiuto, confidando di ottenere una risposta - risponde. Questo è il concetto cristiano della provvidenza: è Dio stesso che viene incontro all'uomo che si affida a lui e chiede per un fine buono.
Il  rapporto di Nava con la Madonna corrisponde a una forma di devozione popolare, per la quale un uomo si affida a  gesti di pietà, di invocazione e di benedizione. Ogni persona, specialmente se impegnata, religiosa, compie delle scelte particolari. Se Nava ha affidato la scuola bottega alla Madonna vuol dire che si sentiva particolarmente portato verso questa forma di devozione.
Non conosco la storia dei suoi incontri con il Papa. Ciascuno ha iniziative che sono personali, il vescovo non può seguire tutte le mille realtà della propria diocesi. A me questo suo particolare rapporto fa molto piacere.
Il rapporto con il Santo Padre è sostanziale perché la Chiesa è anche gerarchia, non solo carisma. Lui ha avuto un'intuizione che nell'ordine della grazia si può chiamare carismatica, cioè un dono che è dato a lui  per il bene degli altri, non per il bene personale:  questo è un carisma. Però ha voluto fare un verifica con il Santo Padre. 'Sono un discepolo della chiesa, mi glorio di sentire che il Papa mi benedice'.  Questo è il valore del suo gesto, che ha cercato il riconoscimento di sentirsi nella Chiesa che attraverso il Papa dà garanzia di essere nella verità.
Conosco Beppe Nava e l'azione che fa. I suoi sono gesti che si collocano in un contesto preciso.   La garanzia del suo agire non viene dal fatto che sia andato dal Papa a farsi benedire, ma dalla storia della scuola bottega. Il contesto della visita al Papa lo inquadrerei in questo suo sentirsi interno alla Chiesa.
La diocesi non ha mai sostenuto formalmente la scuola bottega. Noi non promoviamo direttamente le realtà che non sono strettamente ecclesiali. Le scuole bottega non sono una realtà ecclesiale, sono ispirate cristianamente, ma sono autonome. Io non ho nessuna responsabilità né giuridica né di altro genere.
Quando il vescovo va alla scuola bottega porta la sua offerta, ma come ognuno può fare individualmente. Non aiutiamo la scuola.
Certamente vedo molto bene queste realtà per tre motivi: prima di tutto perché sono un aiuto all'uomo, perciò sono una prassi di solidarietà umana, e ogni realtà che si iscrive  nella vicenda umana, la Chiesa la ama anche se non è  cattolica, anche se non è cristiana. Questo è il primo aspetto. L'aiuto ai giovani per il lavoro non è che non possa attirarsi l'amore della Chiesa.
Secondo, c'è anche un amore particolare, una direzione particolare perché questa realtà non solo viene incontro al bisogno dell'uomo ma stimola la carità, il volontariato, perciò fa crescere l'uomo non solo tra chi è accolto, ma soprattutto tra chi opera in quest'ambito. Per cui la Chiesa non può che approvare questo modello di cooperazione per amore di volontari appartenenti a vari ambiti.
Terzo, certamente questi valori sono profondamente cristiani e risulta esserci una specie di catechesi all'interno della scuola e questo non può che far piacere al vescovo e al magistero.
Sono questi i tre aspetti che io vedo, tutti e tre levitati verso l'ultimo, perché quello che si fa per l'uomo è fatto per Dio. Per cui la scuola  non può che essere amata e accolta.
Oltre tutto la scuola è nata nell'ambito della Chiesa. Beppe Nava è colui che si è mosso, ma non avrebbe mai fatto niente senza l'appoggio di don Faustino. E' lui che l'ha aiutato, confortato, che spesso ha sollecitato gli aiuti. Anche perché non sempre, non facilmente, ad un laico si crede. Quando invece c'è di mezzo un sacerdote come questo, con molto criterio e molto buono, allora tutto è più facile.
La scuola bottega ormai è conosciuta, si è fatta propaganda da sé, senza bisogno di nessun intervento da parte della gerarchia. I parroci non hanno bisogno di chiedere il permesso per avviare una nuova iniziativa, perché conoscono il nostro atteggiamento. Quando vado a celebrare la messa, la mia presenza è risaputa. Non ci vado proprio tutti  gli anni, lui mi invita e questo è bello, ma a volte sono trattenuto da altri impegni. In questi anni, muovendomi per la diocesi nelle mie visite pastorali, ne ho viste molte di scuole bottega, ho partecipato anche a qualche inaugurazione.
La formula mi pare che sia stata esportata anche all'estero, credo sia una cosa effettivamente valida. La cooperativa in senso generale è l'insieme di persone che lavorano per un fine valido, veramente buono, di solidarietà.
C’è un forte radicamento nel territorio. Qualche volta le scuole sono appoggiate dai Comuni, altre volte gli enti locali sono indifferenti. Normalmente, però, realtà di questo genere sono sempre gradite perché rispondono ad un bisogno reale per i giovani.  Siccome nascono in un ambito cattolico, solo chi ha una opposizione ideologica è contrario.
Ma il futuro della scuola si giocherà intorno alla sua ispirazione cristiana. Se cadrà il senso vivo che presiede la fiducia in Dio oltre che la fiducia negli uomini, la scuola bottega potrebbe strutturarsi dandosi delle basi di garanzia economica. Allora è chiaro che sarà sempre una realtà buona, però si snaturerà un po' rispetto al progetto iniziale. Gli artigiani cominceranno a dire: io accolgo il ragazzo, però dammi qualcosa. L'insegnante dirà: io vengo qui a far scuola, ma datemi almeno qualcosa. Quella gratuità per cui è nata, quel valore superiore, è destinato a franare.
Per evitare questa caduta uno statuto è molto importante. A volte, quando incontro le associazioni, dico: leggete lo statuto una o due volte l'anno, almeno i primi articoli, che sono quelli determinanti. Che sono quelli che garantiscono la fedeltà.
C'è preoccupazione per il dopo Beppe, per il futuro della scuola.  Questo pensiero l'ho sentito emergere qua e là, negli ultimi tempi. Occorre trovare un modo per dare continuità.
Bisogna che nasca un gruppo di persone che sanno pensare, che si intendono di legge, che vengono anche dal sociale, un sindacalista, con un aggancio anche con altre realtà. Il problema va posto con serietà, con gente che se ne intende. Io lo dirò. Beppe non è immortale e, se anche lo fosse, credo che l'evoluzione storica, i cambiamenti delle leggi, impongono qualche punto fermo da poter mettere nel profondo della terra per poter resistere. Non è una persona che garantisce la realtà, una esperienza si garantisce quando ha alcuni presupposti di stabilità, di organicità, di inserimento nella società, nella legislazione. Quelli sono i presupposti affinché possa continuare, non perché c'è una persona. Il fondatore può anche essere travolto. E’ successo anche per istituzioni religiose. L'istituzione si è salvata perché c'erano alcune norme che qualcuno ha cercato di riassumere e di far diventare punto di riferimento.
Credo che si camminerà verso una federazione, anche per l'esigenza di un'autonomia gestionale, ma la federazione dovrà offrire delle garanzie, non basta che ci sia un riferimento morale o amicale. In una federazione ci sono dei responsabili  che dettano alcune regole. Penso che si dovrà studiare bene il problema".