martedì 21 aprile 2020

MARCO VALSECCHI - Sae - Lecco

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Sono nato il 8.11.1936 a Lecco. Ho lavorato sempre alla Sae di Lecco.
Azienda di carpenteria per il trasporto dell’energia elettrica, cioè pali della luce, centrali elettriche. La maggior azienda di Lecco città, nata nel 1938, che ha toccato una punta di 1.660 occupati. Oggi ridotta a circa 180.

La sede centrale, con lo stabilimento più grosso, era a Lecco, un  impianto a Napoli e un Centro cantieri a Bologna, con tutti montatori. I lavoratori specializzati che servivano partivano sempre dallo stabilimento di Lecco. All'estero è stato fatto uno stabilimento in Turchia che poi è stato chiuso, in India, nel Venezuela, in Brasile.
Qualche lavoratore della Sae era sempre in giro per il mondo.
Sono entrato nel 1954 come operaio, poi ho fatto un corso serale come disegnatore tecnico, ho fatto il militare nel '58, '59. Ero addetto al montaggio nel reparto campioni dei pali della luce, poi sono passato al reparto tracciatori, cioè dei disegnatori sul ferro.
Nel sindacato sono entrato a fine del servizio militare e alle prime elezioni del '61 sono entrato in commissione interna e ho lasciato nel 1986, quando ho cominciato tre anni di cassa integrazione. Un trentennio di attività sindacale.
Questa azienda, come anche la Badoni, la Forni impianti, e il Caleotto hanno fatto scuola sul piano sindacale. Noi ci siamo organizzati bene sul piano sindacale. Nel 1960, 61.
Alla Sae imperava il paternalismo della direzione. Abbiamo sempre ottenuto tutto quello che chiedevamo senza difficoltà. La proprietà era Brown Boveri, Marelli e Falck.
Primo inquadramento unico alla Sae. Lecco è stata un po’ l'università per tutte le nuove forme di contrattazione. Partendo insieme a Badoni e Forni impianti, tre aziende di carpenteria, seppur diversa, abbiamo fatto la cosiddetta tabella dei punteggi. 12 punti per avere la categoria. Nel periodo tra il contratto dei metalmeccanici del '66 e quello del '69.
Il contratto nazionale del '69, quello firmato dopo la bomba di Piazza Fontana, accoglieva e generalizzava l'inquadramento unico sperimentato a Lecco.
Una volta siamo andati ad una riunione sindacale a Milano dove abbiamo illustrato il nostro accordo e i lavoratori delle altre  aziende sgranavano gli occhi e quasi non ci volevano credere.
Noi siamo partiti da un concetto della contrattazione sul premio di produzione (P su H) in cui dicevamo che ci sono le categorie diverse ma i premi di produzione devono essere uguali per tutti, invece erano differenti. Il premio era superiore per gli impiegati che non per gli operai, noi invece abbiamo cominciato a dire: è vero che ci vuole l'impiegato, ma per fare la produzione ci vuole anche l'operaio della zincheria, un lavoro nocivo con le vasche dell'acido, e abbiamo cominciato a teorizzare che almeno il premio di produzione deve essere in cifra ugnale per tutti. Nell'accordo aziendale del 1964 abbiamo definito il premio di produzione di l00mila lire uguale per tutti con grandi discussioni all'interno dell'azienda. Quando abbiamo pensato a questo abbiamo discusso prima nella commissione interna e poi tra i lavoratori, con contrasti di alcuni lavoratori che prendevano di più Allora le assemblee si tenevano fuori dalla fabbrica. Il P su H si faceva produzione diviso per le ore lavorate. Era una cosa prevista nel contratto nazionale del ‘63 e che poi doveva essere contrattato a livello aziendale.
L'accordo è stato firmato senza scioperi.

Con l'avvento di acciai sempre più resistenti e quindi meno pesanti ci siamo trovati che il P su H non funzionava più per noi e quindi, non potendo continuamente adeguarlo al miglioramento della qualità degli acciai, abbiamo cambiato sistema. Noi volevamo cambiare e l'azienda voleva mantenerlo.
Con una grossa vertenza - siamo stati una settimana al ministero del Lavoro - nel 1973 abbiamo cambiato il premio di produzione e abbiamo stabilito una cifra fissa, indipendentemente dalla produzione. Questa volta abbiamo dovuto scioperare. Dal ministero siamo venuti via senza l'accordo. Dopo l'abbiamo fatto qua con l'intervento del sindaco Guido Puccio e la firma in Comune.
Dopo l'esperienza della prima contrattazione sul premio di produzione abbiamo cominciato a discutere di inquadramento, con la stessa logica: ci vogliono tante competenze diverse, ma una serie di lavori possono essere valutati allo stesso modo e quindi inquadrati in una stessa categoria.
Oggi le tecnologie hanno modificato tutto, ma negli anni '60 su una linea lavoravano diverse persone, con mansioni sostanzialmente simili, pur essendo inquadrate con categorie diverse e quando si discuteva con la direzione si chiedeva magari un passaggio di categoria in base alla posizione sulla macchina "io sono davanti", "io sono dietro" e con un sacco di discussioni. Allora abbiamo cominciato a studiare la tabellina dei punteggi per superare questa situazione.
Se tu fai un periodo di tempo su una macchina, un altro su un'altra macchina fino a raggiungere i 12 punti  avevi diritto al passaggio di categoria.
L'azienda ha sempre mantenuto un livello di discrezionalità sulle categorie degli impiegati. Noi abbiamo sempre contrattato le categorie degli operai. C'è stato un periodo che grazie a questo sistema nelle categorie inferiori dei manovali semplici, e anche dei manovali specializzati, non c'era più nessuno. La categoria più bassa, alla Sae, era quella dell'operaio qualificato.
La direzione si era mostrata disponibile a capire e ad accettare questa impostazione, poi la cosa è cambiata ed è cominciata a diventare difficile quando è cominciata ad uscire la Marelli (intorno al '73) ed il suo terzo è stato assorbito da Falck e Boveri. Quando è uscita anche la Falck le cose sono cominciate a cambiare.
Nell’85 (era solo BB) abbiamo fatto una grossa vertenza con 387 lettere di licenziamento. Non perché era in crisi l'azienda, ma perché le tecnologie riducevano la manodopera necessaria. Però tutti quelli che hanno lasciato la fabbrica sono usciti con i soldi, come minimo erano 10 milioni oltre la liquidazione. Quell'anno abbiamo fatto una catena della solidarietà intorno a Lecco con i lavoratori di altre fabbriche lecchesi. Si puntava a coinvolgere la città per richiamare l'attenzione sui nostri problemi interni.
Dall'85 in avanti, con un accordo, la cassa integrazione veniva anticipata dall'azienda.
L'azienda leader era la Badoni. Nella Sae si facevano buonissimi accordi senza fare un'ora di sciopero. Nel lecchese la maggiore era la Vismara. A Lecco era la Sae.
Nardini e Viganò andavano d'accordo. Alla Sae all'inizio erano più gli impiegati iscritti alla Cisl, poi con il passare del tempo la situazione è cambiata fino a 50% Fim e 50% Fiom. In azienda si lavorava bene insieme. Alcuni da una parte e dall'altra, quando c'era la tessera Flm, non la volevano assolutamente, per non correre il rischio di essere confusi con quelli dell'altra parte e volevano quella di organizzazione.
Negli anni '60 alla Commissione interna veniva data la tessera del Lecco Calcio per andare gratis allo stadio. Quando in commissione interna è entrato Antonio Gilardi e si è visto consegnare la tessera ha chiesto il perché e saputo che veniva data a tutti i membri della commissione interna l'ha rifiutata e ha sollevato il problema, anche con momenti di tensione, di modo che da allora più nessuno ebbe la tessera per lo stadio.
Ci saranno state cinque donne in tutta la fabbrica.
Giulio Foi, seguiva i trasporti della Cgil. Era lo sciopero dell'azienda dei trasporti. Tutti i lavoratori sono usciti dalle fabbriche e siamo andati fuori dalla prigione e con una trattativa l'hanno liberato e dopo l'abbiamo messo in spalla, siamo tornati a Lecco e abbiamo fatto un corteo.