Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Meno pause, più lavoro
Giuseppe è delegato Fim alle
Fonderie Glisenti di Villa Carcina. Lavora lì da undici anni, ma la scelta di
impegnarsi in azienda è maturata meno di tre anni fa. In quella fabbrica la
Fiom aveva sempre avuto la maggioranza e, nonostante i forti scricchiolii che
la crisi faceva ormai sentire un po’ ovunque, aveva deciso di chiamare i
lavoratori ad un duro confronto con la proprietà per il rinnovo del contratto
integrativo aziendale. Ma ottanta ore di sciopero nell’autunno del 2009 non
avevano portato a nulla. Nel frattempo anche in Glisenti era arrivata la cassa
integrazione e l’azienda annunciava l’intenzione di ridurre gli organici.
E’ stato allora che Giuseppe
ha deciso di farsi avanti. Nel giugno successivo c’era il rinnovo delle rsu e
lui si è candidato. Ora c’era da difendere il posto di lavoro, evitare che la
crisi portasse a una drastica riduzione dell’occupazione. Convinto che con il
confronto e il dialogo si potessero raggiungere quei risultati che un conflitto
troppo aspro rendeva impossibili, dopo le ferie estive ha spinto per la presentazione di una nuova piattaforma
aziendale che aveva come obiettivo principale la difesa dell’occupazione. L’idea
era quella di uno scambio: disponibilità a rivedere l’organizzazione del
lavoro, revisione degli orari e delle pause, in cambio di investimenti,
garanzia dell’occupazione, passaggio dalla cassa integrazione al contratto di
solidarietà, definizione di un nuovo premio di produzione variabile.
Risultati raggiunti con il
confronto che, portati in assemblea, hanno ottenuto l’approvazione dei
lavoratori. Nonostante il si della maggioranza, la Fiom e i suoi rappresentanti
in fabbrica si sono opposti e non hanno sottoscritto l’accordo, che quindi è
stato firmato dalla sola Fim.
“Bisogna avere il coraggio di
affrontare le situazioni e trovare le soluzioni che consentono di mantenere i
posti di lavoro, dare risposte ai lavoratori e garantire il futuro
all’occupazione”, così recita il volantino diffuso dai rappresentanti sindacali
insieme alla Fim di Brescia. I lavoratori lo hanno capito, condividendo la
fatica e la responsabilità delle scelte, infatti, l’anno successivo, al rinnovo
delle rsu la Fim è diventata maggioranza in fabbrica con due delegati, mentre
la Fiom è scesa da due a uno.
Quello che segue è il racconto
di una vertenza aziendale e dei suoi esiti, di un modo di affrontare le
difficoltà e di fare sindacato, ma è anche la storia di un percorso di crescita umana e di
maturazione di un impegno sociale. Le parole sono quelle di Giuseppe Archetti.
“Sono nato a Brescia e vivo a
Villa Carcina, ho 45 anni, sono sposato e ho una figlia ormai diciannovenne. Mi
sono diplomato come perito meccanico, ho fatto undici anni di impiegato tecnico
in una ditta di estrusione di alluminio, due anni come guardia giurata e ora
sono undici anni che sono occupato alle Fonderie Glisenti.
In fabbrica lavoro al collaudo
e ho a che fare con ordini e spedizioni. Sono delegato sindacale da due anni e
mezzo, prima ero iscritto alla Fim ma non mi ero mai impegnato direttamente.
Sono stato iscritto al sindacato anche nei due anni in cui ho fatto la guardia
giurata.
La Glisenti produce ghisa
sferoidale che viene utilizzata nell'ambito automotive, macchine movimento
terra e macchine agricole. La proprietà possiede un'altra azienda a Macerata.
La famiglia Glisenti non è più proprietaria dell'azienda, il titolare oggi è
Roberto Dalla Bona. Gli occupati in provincia di Brescia sono circa 110. In
azienda ci sono anche un paio di persone in formazione, ma sono dipendenti di
Adecco. La nostra produzione è destinata al mercato italiano, ma soprattutto
all'esportazione. Tra i clienti ci sono Caterpillar, Mercedes, Citroen, Peugeot
e altri.
Nell'autunno del 2008 abbiamo
iniziato a sentire i primi problemi, chi aveva delle ferie è stato sollecitato
a farle, ad altri è stato chiesto di recuperare le giornate di riposo perché
mancava lavoro. I clienti non ordinavano ed è iniziata la riduzione dell'orario.
Le difficoltà maggiori
si sono manifestate in concomitanza con l'apertura della vertenza per il
rinnovo del contratto aziendale nell'autunno 2009. In azienda il sindacato
maggioritario era la Fiom. Abbiamo fatto ben ottanta ore di sciopero, sapendo
che in giro c'erano già segnali di
crisi. Ho amici che lavorano a Lumezzane, che un tempo era il regno del lavoro,
e iniziavano a stare a casa il venerdì e il lunedì, a ridurre gli orari di
lavoro. Sui giornali si leggeva continuamente della crisi che stava arrivando.
Così, nonostante i tanti scioperi, la vertenza non si è chiusa in modo
positivo. Abbiamo scioperato, ma non abbiamo firmato nulla e poi siamo entrati
in cassa integrazione.
La piattaforma prevedeva
dei soldi, anche parecchi, in cambio di una limitata revisione dell’orario, la
riduzione di alcune pause, la riorganizzazione di alcune fasi di lavoro.
Secondo me abbiamo perso una opportunità. Quando non c'è stata la firma ho
iniziato a preoccuparmi un pochino. Mi è dispiaciuto perdere quei soldi e ho
capito che dovevo impegnarmi personalmente. Mi sentivo coinvolto anch'io nella
non firma e ho iniziato a darmi da fare, mi interessavo di più delle varie
situazioni e abbiamo cominciato a valutare una mia proposta di maggior impegno
sindacale. Nella nostra fonderia il livello culturale delle persone non è molto
elevato e ho pensato fosse giusto che chi come me aveva una maggiore
preparazione dovesse farsi avanti. Così l'estate successiva mi sono candidato e
sono stato eletto.
Nell'ottobre 2010
abbiamo presentato una nuova piattaforma. La direzione ha fatto una
controproposta che prevedeva degli investimenti per poter abbassare i costi ed
essere più competitiva, mantenendo i posti di lavoro, ma chiedendo una maggiore
flessibilità attraverso una riorganizzazione della produzione, una revisione
dell'orario di lavoro, togliendo alcuni riposi che forse avevamo in
sovrabbondanza. Occorre ricordare che qualche tempo addietro l'azienda aveva
anche valutato l'ipotesi di andarsene dall'Italia. La vertenza si è chiusa con
un accordo che prevede un premio di risultato variabile di durata quadriennale
del valore massimo annuo di 1.733 euro.
C'è stato quindi uno
scambio, con una revisione dell'intero assetto produttivo e anche una limitata
riduzione di manodopera. Sono rimasti a casa alcuni operai in contratto a tempo
determinato, meno di una decina, sono stati demoliti interi reparti per
riorganizzarli con modalità totalmente nuove e siamo passati dalla cassa
integrazione ai contratti di solidarietà.
Attualmente in azienda
ci sono ancora sette o otto esuberi, operai che sono stati tolti dai vecchi
reparti smantellati. In questo momento vengono utilizzati per coprire i buchi,
ma certamente per loro il lavoro per ora non c'è. Difficilmente ci saranno
nuovi spazi, ma anche per colpa loro, che non si impegnano in alcun modo per
imparare altre mansioni.
Il contratto è stato
firmato dalla sola Fim successivamente all’approvazione da parte della
maggioranza dei lavoratori con il 57% dei voti, nonostante la Fiom fosse fino a
quel momento in maggioranza e che all'interno dell'azienda regnasse sovrana da
una vita.
Nelle assemblee abbiamo
spiegato i contenuti dell'accordo e abbiamo avuto il benestare a firmarlo, ma
la Fiom non ha voluto riconoscerlo. Coloro che non l’hanno accettato hanno
iniziato delle piccole scaramucce interne. Ad un certo punto si sono rivolti al
Tribunale. Il pretesto è stato un problema sorto con un dipendente al quale era
stato chiesto un sabato lavorativo. Inizialmente aveva detto di sì, ma poi non
si è presentato al lavoro senza avvisare, creando un problema ai suoi colleghi
che hanno dovuto fare molta più fatica. Siccome questo comportamento non era la
prima volta che si manifestava, l'azienda gli ha fatto una lettera di richiamo
con una trattenuta sulla busta paga. Lui si è rivolto alla Fiom. Inizialmente è
stata tentata una mediazione che però non ha portato a niente e quindi la Fiom
ha fatto ricorso alla magistratura, sostenendo che l'impegno dei sabati
lavorativi era previsto nel contratto che il lavoratore non riconosceva. Il
giudice nel dicembre 2011 gli ha dato ragione.
Il Tribunale ha deciso
che il contratto non poteva essere applicato alle persone che non lo
accettavano. Il contratto però prevedeva anche il premio di produzione annuale
e in conseguenza di questa decisione gli iscritti Fiom non lo hanno avuto.
Quell'anno quindi la trentina di iscritti alla Cgil non ha avuto il premio, che
era di circa 1.100 euro. Il gruppo degli irriducibili però mostrava comunque di
essere contento per la sentenza.
L'azienda ha fatto
ricorso contro il verdetto, mentre noi ci siamo mantenuti in disparte, anche se
ovviamente la vicenda per come si stava svolgendo non poteva che farci piacere.
Il Tribunale questa volta ha dato ragione all'azienda, che poi ha deciso di
pagare il premio di produzione anche agli iscritti Fiom.
In casa Fiom c'è un
nucleo di persone molto rigide e ideologiche con le quali è impossibile
dialogare, alcuni capiscono che bisognerebbe avere un atteggiamento diverso, ma
non se la sentono di abbandonare il proprio sindacato, soprattutto per i legami
personali che si sono creati. L'azienda è piccola e le persone si conoscono
tutte direttamente.
A quel punto però molti
lavoratori hanno comunque abbandonato la Fiom, alcuni di essi si sono iscritti
alla Fim e abbiamo guadagnato una decina di tessere. Quando nel luglio 2011 ci
sono state le elezioni per il rinnovo delle rsu la Fim è diventata maggioranza
con due delegati eletti mentre la Fiom è passata da due a uno.
In questi anni, a dir la
verità, anche noi abbiamo perso qualche iscritto, ma la ragione è ben altra ed
è dovuta alle difficoltà della crisi. Alcuni lavoratori sono venuti da me
dicendomi che i soldi con cui pagavano la tessera a loro servivano per andare
avanti. Una scelta dolorosa che ha riguardato solo poche persone che sono
occupate nei reparti dove si fanno i contratti di solidarietà.
I lavoratori si sono
sentiti coinvolti nella vicenda, alcuni nostri iscritti addirittura hanno
criticato la direzione dicendo che non avrebbe dovuto dare il premio di
produzione a chi non aveva accettato l’intesa.
In tutta questa storia
la Fiom ha certamente sbagliato perché per difendere una persona, che tra
l'altro crea spesso problemi, ha penalizzato tutti i suoi scritti. All'inizio,
con la vittoria in tribunale, la Fiom si vantava del risultato, forse non
rendendosi pienamente conto delle conseguenze per i lavoratori. È stata una battaglia
condotta non per il bene delle persone, ma per ragioni politiche.
Le vicende si sono
svolte sotto gli occhi attenti dei mezzi di comunicazione e i giornali locali
hanno seguito con continuità quello che accadeva alla Glisenti.
Per il futuro non abbiamo
grandi certezze. Normalmente in azienda si lavora parecchio da gennaio alle
ferie estive poi l’attività cala. Ma oggi il mercato è profondamente cambiato,
non è come un tempo quando i clienti facevano degli ordini con buon anticipo e
si poteva programmare il lavoro. Oggi il cliente ordina i pezzi e li vuole
immediatamente. I clienti non fanno più magazzino, chiedono i pezzi numerati,
non uno di più, poi magari il giorno dopo decidono di aumentare o diminuire le
quantità, ma senza mai una certezza e una possibilità di programmazione su
tempi più lunghi.
Con la firma
dell'accordo l'azienda si era impegnata a fare degli investimenti, li ha fatti
e continua a farli. Per tre estati, in occasione della chiusura, sono stati
introdotti nuovi macchinari per cambiare totalmente una linea di produzione.
Queste innovazioni è previsto che si concludano nell'estate del 2015. La
Glisenti ha mantenuto gli impegni che si era assunta e questo vuol dire che
crede nel futuro dello stabilimento, anche perché gli investimenti non sono
quattro soldi. Si tratta di circa sette, otto milioni di euro. Una garanzia
anche per noi, per il nostro lavoro. Se la proprietà non avesse fiducia
certamente non farebbe gli interventi che sta realizzando.
Sono convinto che con
l'impresa si può sempre dialogare. Prima non era così. Ragionando, mantenendo
un tono pacato si possono trovare gli accordi e ottenere più risultati. Da
delegato ho constatato che con l'azienda si può avere un buon rapporto. Abbiamo
ottenuto dei miglioramenti nelle condizioni di vita. Sono stati rifatti gli
spogliatoi, hanno sistemato le docce, rimesso a nuovo le porte. In mensa, dove
faceva molto caldo, abbiamo chiesto che venissero installati dei
condizionatori. Faceva caldo anche dieci anni fa in mensa, ma quando era maggioritaria
la Fiom queste cose non si riuscivano a fare perché si usavano toni e modalità
troppo irruente che non portavano a nulla. In una situazione di crisi, di
difficoltà, siamo riusciti a migliorare le nostre condizioni di lavoro, anche
se alcuni non vogliono ammettere la positività di questo atteggiamento e
continuano a sostenere che aver eliminato una pausa di dieci minuti è stata una
sconfitta.
Per fare capire la nuova
situazione ai lavoratori uso sempre un esempio: se mio padre doveva fare uno
scavo lungo cento metri, cinquant’anni fa usava il badile, era giusto che ogni
mezz'ora si fermasse a bere un goccio d'acqua e ad asciugarsi il sudore. Adesso
se si deve fare lo stesso scavo si usa la ruspetta e chi la manovra non è che
deve fermarsi ogni mezz'ora, le due situazioni non sono paragonabili.
Cinquant'anni fa si lavorava in fonderia tra la polvere, in mezzo allo sporco
ed era molto faticoso, oggi la situazione è profondamente migliorata: ci sono
gli aspiratori, ci sono macchinari moderni, c'è una squadra di egiziani, un
appalto esterno, che tiene continuamente pulita la fabbrica. Certo, si tratta
pur sempre di una fonderia, però lavoriamo in condizioni decisamente migliori,
i carichi di lavoro sono meno gravosi. I pesi da sollevare a volte sono molto
grandi e si fa fatica, però ci sono paranchi ovunque che aiutano, alcuni anni
fa si faceva tutto a mano. Credo che i riposi, anche se la nostra opposizione
interna continua a sostenere che andavano mantenuti - e certo, se possibile,
vanno difesi -, si possano anche ridurre in cambio di migliori condizioni di
lavoro e nuovi investimenti. Tra l'altro l'azienda ha sempre monetizzato le
pause cancellate.
Quello che mi dispiace,
e a volte mi innervosisce un po', è vedere che ci sono alcuni lavoratori che
non si rendono conto che se dovessimo perdere il posto di lavoro avremmo grandi
difficoltà a trovarne un altro, in particolare alcuni operai che hanno basse
qualifiche, ma nonostante questo si oppongono, sempre guidati dalla Fiom, ad
ogni cambiamento. Noi dobbiamo difendere soprattutto il nostro lavoro e far sì
che l'azienda continui a produrre, non capisco come non possano rendersi conto,
leggendo i giornali, guardando la televisione, come ci sono fabbriche che
chiudono i cancelli da un giorno all'altro, improvvisamente. Noi dobbiamo
evitare che accada anche alla Glisenti.
Il clima positivo
consente di trovare le giuste soluzione ai problemi che si presentano. Durante
il periodo delle feste natalizie, ad esempio, alcuni lavoratori immigrati hanno
avuto la possibilità di tornare a casa loro in Africa per un mese e mezzo e in
queste settimane sono stati sostituiti da operai mandati da agenzie interinali.
In questi anni di mia
esperienza come rsu non abbiamo avuto grandi questioni, ogni anno abbiamo
ridiscusso il contratto di solidarietà, serve all'azienda e serve soprattutto a
noi, perché la differenza economica è significativa. Questo è l'ultimo anno per
il quale abbiamo diritto al contratto di solidarietà, se la crisi continuerà
temo che dovremo fare di nuovo ricorso alla cassa integrazione.
A fine 2014 si dovrà
invece discutere del rinnovo del contratto aziendale e vedremo quale sarà la
situazione. Nel frattempo a metà anno dovremo rinnovare i rappresentanti
sindacali e verificheremo se qualcun altro si presenterà. Io sto cercando e
sollecitando altri che si impegnino, ma è molto difficile, siamo sempre quei
tre o quattro.
Penso che in futuro non
ci saranno riduzioni di personale, ci dovrebbe essere una crisi fortissima,
altrimenti si proseguirà come oggi. In azienda ci sono cinque forni e ogni
notte vengono riempiti e viene colata la ghisa, circa duecento tonnellate al
giorno. La colata avviene di notte per risparmiare sui costi dell'energia, che
sono i costi maggiori per l'azienda. Sulle due linee si lavora su due turni,
attualmente su una dieci ore e sull'altra dodici. I due turni prevedono una
sovrapposizione nell'orario centrale. Proprio in questi giorni ci hanno
comunicato che anche la seconda linea lavorerà dodici ore.
L'azienda in questo
momento non è messa male e se dovesse ripartire il mercato le cose si
metterebbero decisamente bene. Fabbriche nostre concorrenti negli anni scorsi
hanno chiuso e probabilmente noi abbiamo preso il loro lavoro.
Con il presentarsi della
crisi non ho mai pensato di cercare un altro posto di lavoro, anche perché a 45
anni in valle sarebbe difficilissimo trovarlo, ma mi sono dato da fare per far
sì che non si perdessero i posti di lavoro della nostra azienda. Mia moglie è
un'insegnante e ha condiviso con me questa scelta e mi ha appoggiato.
Gli operai abitano quasi
tutti di nel paese o nei dintorni. L'azienda ha sempre avuto un buon rapporto
con la comunità locale. Accanto allo stabilimento c'è un parco che si chiama
appunto parco Glisenti dove l'azienda ha organizzato un convegno sul tema della
produzione della ghisa con altre imprese ed esperti del settore.
Quando ero piccolo a
Villa Carcina c'erano due grandi aziende: la Glisenti, che ai tempi d'oro
occupava anche cinquecento, seicento persone, e la vecchia Lmi, che dava lavoro
a quasi mille operai. Oggi la Lmi è stata smantellata e rimangono le centodieci
persone della Glisenti”.