Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995
Sono nato il 16.8.1938 a Cernusco
bombardone, dove abito ancora oggi. Ho iniziato a lavorare in corso Italia a Milano, alla
ditta Redaelli, che faceva macchine impastatrici, nel 1953, per 4, 5 anni.
Piccola fabbrica di 30 persone poco sensibilizzata dal punto vista sindacale.
In casa si
parlava di sindacato, della vita politica, della chiesa, ima famiglia in cui il
papà ha dato dei buoni consigli generali di base e tutti i fratelli ne hanno
tratto le conseguenze con un impegno personale.
Dopo ho trovato lavoro al Catenificio Regina, che, nel
1958, aveva due fabbriche una a Merate e una a Cernusco, poi è stato fatto uno
stabilimento ad Olginate, ma la sede madre era a Merate. Ho iniziato a Merate
dove ho lavorato per due anni e poi sono stato trasferito a Cernusco. A Merate
si facevano le catene, a Cernusco invece ruote libere.
A Merate c'erano circa 250 operai e 130 a Cernusco. Quasi
la metà, che lavoravano sulla catena di produzione, erano donne, mentre alle
trance, in officina erano soprattutto uomini.
Appena arrivato Fim e Fiom erano ben organizzati.
C'era la Fiom che tirava il gruppo, mentre la Fim era considerata un po’ clericale
e vicina ai padroni, specialmente nei paesi della Brianza questa era l'immagine
della Cisl. Anche se agli inizi degli anni '60 le cose cominciavano a cambiare.
Io mi sono inserito subito perché ero già arrivato con la voglia di impegnarmi.
Dopo 6 mesi sono entrato in commissione interna.
Anche a
Cernusco ero in commissione interna. Lì la maggioranza era Fim, ma l'azienda era meno vivace. C'era maggior dialogo con
la direzione.
Tutte le
sere uscendo dal lavoro si aveva l'abitudine di andare alla sede sindacale di
Merate, era una seconda casa, ci si ritrovava con gli operatori che seguivano
la Regina, che era la fabbrica più grossa della zona di Merate.
Avevamo il
problema mensa e il problema ambiente e su questi abbiamo avviato la
contrattazione aziendale. I lavoratori abitavano tutti nei dintorni della
fabbrica e quindi inizialmente il problema non era sentito. Per l'ambiente
c'era il problema dei forni di rinvenimento, dove il lavoro era disagiato,
c'erano le presse. La contrattazione non è andata molto bene, anche perché noi
eravamo lontani da Lecco e non c'era il clima che si respirava anche fuori
dalla fabbrica, favorevole ai lavoratori. Fuori dalla fabbrica vinceva un certo
individualismo. E così, pur avendo fatto molti scioperi, mentre il problema
mensa è stato risolto positivamente, il disagio ambientale e la salute si è a
volte tradotto solo in moneta, (metà anni '60).
Durante quegli anni ho imparato
molto perché ho avuto la fortuna di avere accanto a me un compagno di lavoro
che veniva dall'Alfa Romeo, Cogliati Giancarlo, culturalmente preparatissimo,
con un qualcosa in più degli altri, buono, saggio, preparatissimo. Un maestro
per noi e per il sindacato, lui è stato un preparatore per il sindacato e gli
era stato proposto di uscire dalla fabbrica e fare il sindacalista a tempo
pieno. Lui ci ha guidato per molti anni fino a quando è morto per un infortunio
sul lavoro. L'unico incidente mortale che sia mai accaduto alla Regina. Era
stato costruito un nuovo impianto ai forni e lui era alla manutenzione in
officina, nel riparare qualcosa è esploso del gas che si era formato ed è
partita una vasca che lo ha ucciso, una mattina del 29 dicembre del 1983. Prima
gli è morta la moglie.
Tre, quattro anni fa ha
avuto un incidente in montagna un figlio, che
è morto e si è salvata una figlia.
Era una
persona sopra tutti, nell'ambiente di lavoro era un esempio, nel sindacato, nel
paese. Pur non facendo quelle grosse battaglie, senza i grandi antagonismi che
oberano a Lecco e a Milano, abbiamo imparato e ottenuto molto. Non tutti lo
vedevano di buon occhio. Allora era facile mettere in piedi uno sciopero, delle
battaglie, bastava un mezzo screzio e si partiva. Lui invece era invece un tipo
ponderato per ragionevolezza, per il dialogo e siamo passati dal secondo
livello come era considerato Cernusco rispetto a Merate dal punto di vista
sindacale, a una maggiore considerazione. C'era più vivacità, maggiore
considerazione nei nostri confronti. Allora anche la commissione interna o i
delegati di Merate dicevano sentiamo Cernusco, perché eravamo più preparati.
Quei tempi,
per me che ho vissuto trent'anni di sindacato nelle fabbriche e fuori, sono
stati una guida e mi hanno portato ad essere un sindacalista. Ancora oggi, in paese, mi chiamano il
sindacalista. Cottimo. L'antagonismo sul cottimo ci portava ad essere, uno
accanto all'altro, divisi. Anche qui c'è voluto più tempo, ma siamo
riusciti ad unificare un po’ i diversi parametri con
un massimo e un minimo molto ristretti.
Nel 1966 a Merate c'era più partecipazione, si sollevavano
maggiormente i problemi. Nel 1966 durante uno sciopero per il contratto
nazionale, eravamo al momento della spallata finale, una parte dei ^lavoratori
erano rimasti dentro. L'azienda era guidata dall'ing. Amedeo
Ancarani che era uno dei leader degli industriali e
ti davi da fare di più per fargli sentire la forza dei lavoratori. Per far
capire che anche in Brianza c'era la voglia di fare il contratto.
La
direzione era intervenuta minacciando il consiglio di fabbrica nel caso avesse
impedito l'ingresso in azienda e vietando ai sindacalisti di mettersi sul
cancello. Qualcuno è rimasto dentro. Il giorno dopo si è scoperto che avevano
tagliato le maniche dei grembiuli delle operaie. Una forbice era rimasta in
tasca di una operaia, mentre prima di uscire si trovava nella scrivania della
caporeparto. Ci sono state delle denunce. L'accusa è stata che l'operaia, per
intimidire chi non voleva scioperare, aveva tagliato le maniche dei grembiuli prima
di uscire. Il colpevole è stato trovato in una delle donne che facevano la
battaglia sindacale. Poi si è andati alla mediazione, firmato il contratto, su
20 denunce minacciate ne erano partite cinque e il tutto è finito in niente.
Noi lavoratori avevamo interpretato questo come una iniziativa provocatoria di
alcuni capireparto. La storia si è chiusa lì. Noi l'abbiamo presa come una
intimidazione nei nostri confronti, infatti, dopo questa vicenda, anche gli impiegati che prima partecipavano poco alle lotte hanno cominciato a partecipare agli scioperi.
Sono uscito
nel 1991.
Nell'azienda
i problemi e le divisione del sindacato non avevano grandi riflessi. Nel
consiglio di fabbrica si tendeva a tenere insieme tutti.
Le donne
partecipavano. C'era sempre una presenza di tre quattro donne, sui 10/12
componenti il consiglio di fabbrica.
Sono stato
un paio di volte a casa dell'ing. Ancarani a Milano. Noi avevamo la tendenza, a
differenza della Fiom, prima di arrivare ad uno scontro, di cercare un
avvicinamento alla controparte. Era una cosa trasparente, si cercava il
dialogo. Durante alcune vertenze siamo andati a casa dell'ing. Ancarani.
Qualcuno ci aveva accusato di fare accordi sottobanco, in realtà noi avevamo la tendenza a non
cercare a tutti i costi il conflitto, anche se tenevamo ben presente che noi
eravamo il sindacato e loro l'azienda.
Il
sindacato per me è stato una scuola, di cultura, di dialogo, di apertura. Sono
andato in pensione nel '91. Ho scelto la strada del volontariato, del lavoro
con gli handicappati.