venerdì 24 aprile 2020

GIUSEPPE VISCARDI - Catenificio Regina – C. Lombardone (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Sono nato il 16.8.1938 a Cernusco bombardone, dove abito ancora oggi. Ho iniziato a lavorare in corso Italia a Milano, alla ditta Redaelli, che faceva macchine impastatrici, nel 1953, per 4, 5 anni. Piccola fabbrica di 30 persone poco sensibilizzata dal punto vista sindacale.
In casa si parlava di sindacato, della vita politica, della chiesa, ima famiglia in cui il papà ha dato dei buoni consigli generali di base e tutti i fratelli ne hanno tratto le conseguenze con un impegno personale.

Dopo ho trovato lavoro al Catenificio Regina, che, nel 1958, aveva due fabbriche una a Merate e una a Cernusco, poi è stato fatto uno stabilimento ad Olginate, ma la sede madre era a Merate. Ho iniziato a Merate dove ho lavorato per due anni e poi sono stato trasferito a Cernusco. A Merate si facevano le catene, a Cernusco invece ruote libere.
A Merate c'erano circa 250 operai e 130 a Cernusco. Quasi la metà, che lavoravano sulla catena di produzione, erano donne, mentre alle trance, in officina erano soprattutto uomini.
Appena arrivato Fim e Fiom erano ben organizzati. C'era la Fiom che tirava il gruppo, mentre la Fim era considerata un po’ clericale e vicina ai padroni, specialmente nei paesi della Brianza questa era l'immagine della Cisl. Anche se agli inizi degli anni '60 le cose cominciavano a cambiare. Io mi sono inserito subito perché ero già arrivato con la voglia di impegnarmi. Dopo 6 mesi sono entrato in commissione interna.
Anche a Cernusco ero in commissione interna. Lì la maggioranza era Fim, ma l'azienda era meno vivace. C'era maggior dialogo con la direzione.
Tutte le sere uscendo dal lavoro si aveva l'abitudine di andare alla sede sindacale di Merate, era una seconda casa, ci si ritrovava con gli operatori che seguivano la Regina, che era la fabbrica più grossa della zona di Merate.
Avevamo il problema mensa e il problema ambiente e su questi abbiamo avviato la contrattazione aziendale. I lavoratori abitavano tutti nei dintorni della fabbrica e quindi inizialmente il problema non era sentito. Per l'ambiente c'era il problema dei forni di rinvenimento, dove il lavoro era disagiato, c'erano le presse. La contrattazione non è andata molto bene, anche perché noi eravamo lontani da Lecco e non c'era il clima che si respirava anche fuori dalla fabbrica, favorevole ai lavoratori. Fuori dalla fabbrica vinceva un certo individualismo. E così, pur avendo fatto molti scioperi, mentre il problema mensa è stato risolto positivamente, il disagio ambientale e la salute si è a volte tradotto solo in moneta, (metà anni '60).
Durante quegli anni ho imparato molto perché ho avuto la fortuna di avere accanto a me un compagno di lavoro che veniva dall'Alfa Romeo, Cogliati Giancarlo, culturalmente preparatissimo, con un qualcosa in più degli altri, buono, saggio, preparatissimo. Un maestro per noi e per il sindacato, lui è stato un preparatore per il sindacato e gli era stato proposto di uscire dalla fabbrica e fare il sindacalista a tempo pieno. Lui ci ha guidato per molti anni fino a quando è morto per un infortunio sul lavoro. L'unico incidente mortale che sia mai accaduto alla Regina. Era stato costruito un nuovo impianto ai forni e lui era alla manutenzione in officina, nel riparare qualcosa è esploso del gas che si era formato ed è partita una vasca che lo ha ucciso, una mattina del 29 dicembre del 1983. Prima gli è morta la moglie.
Tre, quattro anni fa ha avuto un incidente in montagna un figlio, che è morto e si è salvata una figlia.
Era una persona sopra tutti, nell'ambiente di lavoro era un esempio, nel sindacato, nel paese. Pur non facendo quelle grosse battaglie, senza i grandi antagonismi che oberano a Lecco e a Milano, abbiamo imparato e ottenuto molto. Non tutti lo vedevano di buon occhio. Allora era facile mettere in piedi uno sciopero, delle battaglie, bastava un mezzo screzio e si partiva. Lui invece era invece un tipo ponderato per ragionevolezza, per il dialogo e siamo passati dal secondo livello come era considerato Cernusco rispetto a Merate dal punto di vista sindacale, a una maggiore considerazione. C'era più vivacità, maggiore considerazione nei nostri confronti. Allora anche la commissione interna o i delegati di Merate dicevano sentiamo Cernusco, perché eravamo più preparati.
Quei tempi, per me che ho vissuto trent'anni di sindacato nelle fabbriche e fuori, sono stati una guida e mi hanno portato ad essere un sindacalista. Ancora oggi, in paese, mi chiamano il sindacalista. Cottimo. L'antagonismo sul cottimo ci portava ad essere, uno accanto all'altro, divisi. Anche qui c'è voluto più tempo, ma siamo riusciti ad unificare un po’ i diversi parametri con un massimo e un minimo molto ristretti.
Nel 1966 a Merate c'era più partecipazione, si sollevavano maggiormente i problemi. Nel 1966 durante uno sciopero per il contratto nazionale, eravamo al momento della spallata finale, una parte dei ^lavoratori erano rimasti dentro. L'azienda era guidata dall'ing. Amedeo Ancarani che era uno dei leader degli industriali e ti davi da fare di più per fargli sentire la forza dei lavoratori. Per far capire che anche in Brianza c'era la voglia di fare il contratto.
La direzione era intervenuta minacciando il consiglio di fabbrica nel caso avesse impedito l'ingresso in azienda e vietando ai sindacalisti di mettersi sul cancello. Qualcuno è rimasto dentro. Il giorno dopo si è scoperto che avevano tagliato le maniche dei grembiuli delle operaie. Una forbice era rimasta in tasca di una operaia, mentre prima di uscire si trovava nella scrivania della caporeparto. Ci sono state delle denunce. L'accusa è stata che l'operaia, per intimidire chi non voleva scioperare, aveva tagliato le maniche dei grembiuli prima di uscire. Il colpevole è stato trovato in una delle donne che facevano la battaglia sindacale. Poi si è andati alla mediazione, firmato il contratto, su 20 denunce minacciate ne erano partite cinque e il tutto è finito in niente. Noi lavoratori avevamo interpretato questo come una iniziativa provocatoria di alcuni capireparto. La storia si è chiusa lì. Noi l'abbiamo presa come una intimidazione nei nostri confronti, infatti, dopo questa vicenda, anche gli impiegati che prima partecipavano poco alle lotte hanno cominciato a partecipare agli scioperi.
Sono uscito nel 1991.
Nell'azienda i problemi e le divisione del sindacato non avevano grandi riflessi. Nel consiglio di fabbrica si tendeva a tenere insieme tutti.
Le donne partecipavano. C'era sempre una presenza di tre quattro donne, sui 10/12 componenti il consiglio di fabbrica.
Sono stato un paio di volte a casa dell'ing. Ancarani a Milano. Noi avevamo la tendenza, a differenza della Fiom, prima di arrivare ad uno scontro, di cercare un avvicinamento alla controparte. Era una cosa trasparente, si cercava il dialogo. Durante alcune vertenze siamo andati a casa dell'ing. Ancarani. Qualcuno ci aveva accusato di fare accordi sottobanco, in realtà noi avevamo la tendenza a non cercare a tutti i costi il conflitto, anche se tenevamo ben presente che noi eravamo il sindacato e loro l'azienda.
Il sindacato per me è stato una scuola, di cultura, di dialogo, di apertura. Sono andato in pensione nel '91. Ho scelto la strada del volontariato, del lavoro con gli handicappati.