mercoledì 29 aprile 2020

GIOVANNI BIANCHI - Acli - Sesto San Giovanni (Mi)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Dall’oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d’Italia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007

Giovanni Bianchi vive a Sesto San Giovanni, dove è nato nel 1939. Intellettuale e uomo politico, cattolico per formazione e impegno, è attore e testimone diretto delle vicende sestesi, dove è stato anche consigliere comunale, eletto nelle liste della Democrazia Cristiana. Presidente prima delle Acli lombarde e poi di quelle nazionali, è stato presidente del Partito popolare nella fase più travagliata dell’esperienza politica dei cattolici italiani. Dal 1994 al 2006 è stato deputato al Parlamento e attualmente è responsabile dei Circoli Dossetti di cultura e formazione politica.
Giovanni Bianchi si definisce “operaista bianco”. Suo padre lavorava alla Falck, alla manutenzione dei forni.

Sesto città operaia, città dell’acciaio per Mussolini, Stalingrado d’Italia. Durante la guerra nelle fabbriche sestesi lavorano circa 50mila operai, soprattutto donne. A metà degli anni ’70 ci sono 40mila tute blu.
Da qui partono manifestazioni, cortei, come quelli grazie ai quali viene fatto saltare il prefetto Ettore Troilo a Milano, con Giancarlo Pajetta che chiama Palmiro Togliatti e gli dice: “Abbiamo occupato la prefettura” e Togliatti che risponde: “E adesso che fate?”. Molte mobilitazioni partivano da Sesto. Una tradizione che continuerà fino agli anni ’80. Le manifestazioni contro il terrorismo spesso prendono il via da Sesto. Un tempo a piedi e poi salendo gratuitamente sulla metropolitana.  
E’ una città con una forte coscienza di classe. Il leader storico è Antonio Pizzinato. Nel mondo cattolico c’è Pietro Seveso, del quale si narra un episodio incredibile. In piazza Petazzi, dopo l’attentato a Togliatti, nella foga del discorso e dell’emozione dice: “…dopo il vile attentato al compagno Alcide de Gasperi”. Dovette rifugiarsi sul campanile!
Spesso i temi etici, i contenuti, sono i medesimi, e però la diversità delle bandiere, la cortina di ferro che a Sesto passa, li contrappone. Per cui c’è solidarietà da una parte e dall’altra, ma vengono giocate l’una contro l’altra.
In piazza Petazzi c’erano comizi oceanici, con l’arrivo di Togliatti o di De Gasperi. I due leader che facevano contraddittorio si chiamavano Giancarlo Pajetta, che infiammava i discorsi, e dall’altra parte Oscar Luigi Scalfaro, grande oratore, uno Scalfaro scelbiano. Anche la religiosità, l’etica, il tipo di famiglia sono le medesime, ma vengono giocate antagonisticamente. Pajetta si buttava in lunghe concioni e sarcasmi, e noi ragazzini ci attaccavamo alle campane. Spesso le elezioni si svolgevano nel mese di maggio, mese della madonna, con le funzioni in Chiesa, e noi giù a scampanare per impedirgli di parlare o comunque ostacolarne i comizi, con lui che non si risparmiava. Forse la lingua più tagliente che il Pci avesse in quel momento. Era un clima di contrapposizione, abbastanza da don Camillo e Peppone, salvo poi, quando la Celere di Padova caricava la folla, rifugiarsi tutti in Chiesa.
Il cattolicesimo che si ritrova a Sesto San Giovanni è un cattolicesimo sulle trincee, che gestisce  fortemente l’ideologia anticomunista, ma è anche aperto antagonisticamente al confronto sul sociale. Con una sua organizzazione. Ad esempio, Teresio Ferraroni, prevosto di Sesto che veniva da Lecco, assistente provinciale delle Acli con la presidenza Clerici, mette in piedi i raggi nelle fabbriche. Questa sarà una delle occasioni dell’emergere di alcune personalità sintomatiche, Bruno Manghi direbbe “santi minori”, che vanno da Paolino Riva a Lorenzo Cantù e altri. Che si trovano a lavorare nelle fabbriche sestesi e si mettono a organizzare il sindacato. Uno dei momenti della militanza complessiva del cattolico: iscritto all’Azione cattolica, alle Acli, alla Cisl, alla Democrazia cristiana, quasi senza soluzione di continuità. E’ un mondo che si esprime nelle sfaccettature. E’ un prisma, ma il prisma si tiene.

Tutto ciò subisce un’evoluzione che è scontro e confronto, ma anche incontro. Cito due tappe. Un momento particolarmente teso è l’occupazione da parte dei sovietici con i carri armati dell’Ungheria, nel 1956. La vicenda incide, è una rivolta di operai checché se ne dica. E non produce delle crisi soltanto in intellettuali come Antonio Giolitti dentro il Pci. Si avverte questa tensione. Nella prepositurale di Santo Stefano si celebra una santa messa in suffragio del generale Pal Malater, capo degli insorti passato proditoriamente per le armi dai sovietici. Lo ricordo bene perché ero uno dei due ragazzi che alla fine della celebrazione furono messi davanti al corteo con una corona d’alloro da portare al monumento. E mi ricordo perfettamente che un mio delegato aspiranti, Agostino Centemeri, mi disse: “Fa minga el stupid!” dando a me e all’altro ragazzo un pezzo di manico di scopa da nascondere in tasca. Durante il corteo ce ne servimmo, perché ci fu un parapiglia e ci siamo presi a botte. L’allora sindaco Abramo Oldrini, che si era esposto in questa vicenda ed era stato colto a strappare dei nostri manifesti, venne sospeso dal prefetto. Solo un esempio di una situazione nella quale la religiosità veniva gestita pubblicamente e diventava il vissuto di una manifestazione che attraversava la coscienza operaia di Sesto e che contrapponeva i due schieramenti.
Occorre tenere presente che il Partito comunista sestese,  che direbbe Francesco Alberoni “è un partito chiesa”, è una fede. Per certi versi la fede politica è strettamente schiacciata sulla fede cristiana. Per esempio, c’è l’attivismo del militante politico, la figura su cui ha camminato la democrazia nel secondo dopoguerra. L’antropologia del militante politico è la medesima, diversa è la bandiera. Tutti e due sanno sacrificarsi, sanno differire nel futuro la fruizione di alcuni risultati, non hanno il presenzialismo dell’oggi, frequentano la sezione del partito, la sezione sindacale, la commissione interna. Ma sono contrapposti, anche per radici.      
Due mondi organizzati. C’è la stampa cattolica con l’Italia, Gioia o Alba, e il Carroccio opuscolo di quattro paginette ma di una aggressività guareschiana, con l’anticomunismo più acceso. Questo entrava in casa mia e in genere nelle famiglie cattoliche. Sull’altro fronte l’Unità e Paese Sera. Ci si contrapponeva anche a slogan: “L’Unità dice la verità” e di contro: “L’Unità dice balle, questa è la verità”. Con due modalità diverse dell’essere per entrambi i fronti: dentro la fabbrica e sul territorio. L’una con una coscienza di fabbrica molto staliniana, l’altra di contrapposizione allo stalinismo e in parte filo americana. Sul territorio l’approccio è un po’ più gramsciano, con i comunisti che cercano di aggregare porzioni del ceto medio, facendoli diventare assessori. Dall’altra parte, da Enrico Recalcati a Pierino Tagliabue, i leader della Democrazia cristiana, sono spesso espressione del sociale cattolico, delle cooperative. Anche i circoli sono contrapporti: Avvenire e progresso e Circolo San Clemente, il circolo del Villaggio Falck e quello del rione Vittoria. Una tradizione che ha radici lontane. Nel pre-fascismo c’era già una contrapposizione con i socialisti, addirittura con delle canzoncine ironiche, come nel caso del leader dei tessili del sindacato bianco che viene aggredito sul tram e nasce la canzoncina: “Va là va là Valota, te ne ciapà na cota sul tram de la Bicoca” e un parroco che scrive sul giornale poesie antisocialiste.
Una tradizione che va avanti, ma col tempo si creeranno dei punti di contatto. Avrà una grande funzione il circolo La torretta, che riuniva gli eretici del Pci, con una parte di resistenti che venivano da formazioni più laiche che confluivano e confliggevano con le Brigate Garibaldi. Tra i cattolici toccherà al giornale Luce sestese, che sarà la fucina dell’intellettualità cattolica, quella che sostituirà la dirigenza emersa con la resistenza.
C’è un momento di incontro tra le anime che, pur contrapposte, cominciavano a dialogare, ed è lo sciopero alla Pirelli Sapsa. Primi anni ’60, viene messa una tenda e comincia lo sciopero. Questo scatena una discussione in città tra le due fazioni, ma la domenica, a tutte le messe, dai pulpiti si parla dello sciopero e la popolazione viene invitata a fare offerte a favore degli scioperanti. Un altro momento in cui mondo cattolico e mondo operaio hanno il massimo di condivisione si ha in occasione dei licenziamenti alla Magneti Marelli. Il Centro Culturale Ricerca, la struttura di elaborazione dei cattolici sestesi, invita Paul Gauthier, un grosso personaggio legato all’esperienza dei preti operai in Francia, all’attenzione ai poveri, e con lui si va alla tenda.
In precedenza c’era stato l’arrivo sulla cattedra di Milano di Papa Montini il quale, la domenica successiva al suo ingresso, viene a Sesto San Giovanni e dal pulpito dice: “E’ stato scritto di me che sono il vescovo dei lavoratori, ebbene sì io qui da Sesto dico che sono l’arcivescovo dei lavoratori”.
E’ molto importante poi il magistero di Giovanni XXIII, la Pacem in Terris, la distinzione tra errore e errante, tra le ideologie che restano fisse e i movimenti che si evolvono. In molte case delle famiglie comuniste c’era il quadro di Stalin, alla sua morte il bidello della mia scuola lo espose su un banchetto. Col tempo Papa Giovanni sostituì quell’immagine anche nelle loro case.
Nel frattempo si intensificano le occasioni di dialogo. Tra queste, significativo un corso di sociologia organizzato dai cattolici, promosso da un grande sacerdote arrivato a Sesto appena consacrato, don Franco Fusetti, fondatore del Luce sestese, dove ho lavorato anch’io.
La contrapposizione, invece, va avanti in maniera più dura in consiglio comunale. La Dc sestese è un partito aperto socialmente, ma con una caratura fortemente anticomunista. Diventa prevalente a Sesto la corrente di Base.
Io stesso rappresentavo questo vivace mondo cattolico come indipendente nella Dc. Venni eletto consigliere comunale nel 1965, arrivando secondo dietro il capolista Peppino Mandelli. Un mondo cattolico molto presente sul piano sociale e su quello culturale. Molto a sinistra ma con un filone di anticomunismo evidente, salvo avere, soprattutto tra le frange più avanzate, in particolare nella seconda metà degli anni Sessanta, una serie di occasioni di confronto.
Quelli che dialogavano dalla parte dei comunisti erano soprattutto coloro che erano in odore di eresia, che daranno vita al Manifesto e saranno espulsi. Nelle altre componenti c’era un dialogo più formale e ideologicamente armato.
Poi c’è la pastorale tutta particolare dei salesiani, in particolare con don Francesco Della Torre, fondatore delle Opere sociali don Bosco, attraverso le scuole professionali, grazie anche a un investimento da parte della Falck. Giorgio Enrico Falck fu anche senatore della Dc e rappresentava un capitale molto attento alle questioni sociali.
Quando in Vaticano viene presentata ufficialmente la Centesimus annus ero presente come presidente nazionale delle Acli, a rappresentare l’imprenditoria mondiale prende la parola Alberto Falck. Presiedeva Giovanni Paolo II.

Il mito della sestesità, tutto interno alla cultura operaia del paese, si alimenta anche dell’esperienza dei preti operai. Questi sono rappresentati soprattutto da due grosse personalità che si ritrovano nella chiesa della Resurrezione, un nuovo quartiere totalmente operaio, e sono don Aldo Farina e don Cesare Sommariva. Due figure eccezionali. Parroco è don Aldo Farina, che all’età della pensione andrà in Africa a fare il missionario. Don Cesare lavora alla Redaelli, una fabbrica siderurgica di Rogoredo, sempre con la vespa rossa, i calzoni a metà polpaccio e un cappellino in testa. Don Cesare crea la scuola popolare ed è animatore della Cooperativa di cultura popolare don Lorenzo Milani. Ce ne sono altri, come don Giorgio Bersani, che lavora alla Ercole Marelli, ma i personaggi forti sono loro due. Quella parrocchia diventa il luogo non solo dell’operaismo cattolico sestese, ma anche di una pastorale molto popolare di quartiere. La chiesa stessa era concepita come un vecchio capannone industriale.
Una testimonianza, quella dei preti operai, che ha segnato l’esperienza di persone che diventeranno quadri sindacali, gente che si impegnerà nelle lotte di quartiere. Tutto il mondo cattolico progressista sestese andava a messa lì.
Il sociale si affianca all’azione sindacale e i quadri cislini nuovi, quelli che escono dal ’68, assorbono questo tipo di cultura. Le Acli si concentrano nell’azione sul sociale. Con le rotture e le differenziazioni che sorgeranno in seguito all’ipotesi socialista di Vallombrosa.
Spesso le posizioni più aperte sul sociale avranno più una matrice cattolica che non marxista. Nella tradizionale cultura marxista è la classe operaia il motore del cambiamento e il perno del movimento comunista è storicamente l’aristocrazia operaia. Il mondo cattolico, invece, si forma su messaggi di vicinanza ai poveri, agli ultimi. Tutto questo si ritrova anche a Sesto. Un certo radicalismo sociale è più presente tra i cattolici. Molto di questo radicalismo poi confluisce dentro la Cisl, tra i fimmini.

Momento particolarmente significativo fu la venuta del Papa a Sesto. Anche il mondo comunista accoglie la visita con favore. L’operaio che legge il discorso gli dà del tu. Ma dietro c’è la figura di Giovanni Paolo II, che ha una cultura molto segnata dall’esperienza polacca e quindi fortemente anticomunista, però ridà centralità al lavoro.
Nelle sue encicliche sociali si ha, controcorrente anche con le sociologie italiane del lavoro di sinistra, che parlano di lavoro che cambia e non è più centrale, un Papa lavorista. Questo il popolo comunista l’aveva intuito. Il Papa sembra addirittura in ritardo rispetto alle nostre cultura occidentale e americanizzante, ma proprio per questo più vicino alla cultura operaia tradizionale.
Dopo si inizieranno a chiudere le fabbriche. Le difenderemo una a una, ma quando vedevamo gli striscioni “fabbrica occupata” e le bandiere rosse, era come se fossero listate a lutto. Le abbiamo difese tutte e le abbiamo perse tutte.