mercoledì 29 aprile 2020

BENITO BENEDINI - Presidente Federchimica

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono entrato in Aschimici nel 1971 o ‘72, nel settore inchiostri da stampa. Allora l'associazione era divisa in tanti gruppi merceologici e dopo poco tempo sono stato nominato presidente del gruppo e ho iniziato a partecipare alla vita di Aschimici. Presidente era Fulvio Bracco, c'erano i rappresentanti di Montedison e, tra gli altri, era vicepresidente Leopoldo Varasi che si interessava soprattutto della parte sindacale. Alle riunioni intervenivo spesso sui vari temi di cui si discuteva e questo mi ha posto in evidenza, così un giorno Fulvio Bracco mi ha comunicato che avevano deciso di inserirmi nel consiglio direttivo di Aschimici. Avevo 38 anni e allora era molto difficile entrare in questi organismi. Io ho accettato e mi fu affidata la parte sindacale. 

Ero neofita in questo settore e come presidente della commissione sindacale datoriale ho partecipato alle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro del 1973. A quelle riunioni partecipava una massa imponente di lavoratori e mi trovai a Roma, in una sala di Palazzo Venezia, con settecento operai armati di fischietto. Il mio fu un battesimo del fuoco molto importante, primo perché non sapevo cosa dire, poi perché per me era tutto nuovo, non avevo mai partecipato a una trattativa per il contratto e non sapevo come si svolgeva. Ero abbastanza intimorito, e poi appena prendevo la parola tutti si mettevano a fischiare. Settecento fischietti in una stanza chiusa, anche se era molto grande, fanno effettivamente intimorire. Io parlavo e loro fischiavano, poi parlava il sindacalista e loro stavano zitti. A un certo momento ho preso le mie carte e me ne sono andato dicendo che sarei tornato quando avrebbero smesso di fischiare. Per il momento le trattative erano chiuse, con grande sconcerto anche da parte datoriale, sorpresi che mi permettessi un comportamento estraneo alle liturgie a cui erano abituati. Quella fu la mia prima esperienza sindacale e devo dire che mi innamorai un po' di questo settore, tanto è vero che poi ho continuato negli anni. Ho rivestito la carica di vicepresidente per la parte sindacale e nei miei anni di Aschimici, poi diventata Federchimica, ho rinnovato qualcosa come sette contratti nazionali.
La mia esperienza in Federchimica è durata fino a conclusione del mandato di presidente nazionale nel giugno del 1997. In questo lungo periodo ho avuto altri incarichi, sono stato vicepresidente per la parte interna, per le relazioni esterne e vicepresidente economico, però ero sempre delegato per la parte sindacale. Sono stati anni di grande esperienza per me, anni bellissimi, perché, checché ne dicano gli amici metalmeccanici, che ci hanno sempre accusati di fare i “cala brache” con i sindacati, non è vero. Credo che abbiamo sempre firmato dei contratti innovativi che veramente hanno guardato alla strategia del futuro più che del presente. In un contratto abbiamo affrontato il lodo Scotti del 1983, un fatto importante che riempiva un vuoto. Ricordo che il ministro mi disse che potevo chiamarlo quando volevo e io un po' maliziosamente lo chiamai alle tre di notte per sottoporgli un quesito che riguardava gli straordinari. Quell'anno siamo riusciti a mettere nel contratto nazionale dei chimici la possibilità di svolgere le ore di straordinario. Fu un fatto eccezionale, perché in quel periodo fare straordinari era assolutamente impossibile. Abbiamo anche affrontato la parte normativa, abbiamo riconosciuto per primi i corsi di formazione, la possibilità di usare dei permessi di studio e abbiamo introdotto il premio di presenza.

Relazioni industriali positive partecipative sono state possibili perché si è realizzata una bellissima convergenza, ognuno nei propri ruoli, sulle effettive necessità della chimica, sia da parte sindacale che da parte dei datori di lavoro, basata prima di tutto sulla serietà nelle discussioni e sul rispetto tra le persone. Questa è stata la base, cioè: fiducia fiducia fiducia e dialogo. Se veniva preso un impegno, l’impegno veniva rispettato, da ambo le parti. Non sono stati i fattori economici che hanno favorito il sorgere di queste relazioni, è stato l’incontro di persone. Non abbiamo mai affrontato il rinnovo di un contratto di lavoro su basi di scontro.
Le aziende più grandi hanno sempre rispettato le piccole e viceversa. Con le mie vicepresidenze sindacali non ho mai tollerato intromissioni o pressioni e quindi, pur nel rispetto delle necessità delle aziende maggiori, che poi si riducevano sostanzialmente a una, non si è mai fatto qualcosa che fosse a danno delle piccole e questo ci è stato riconosciuto, tant'è vero che i nostri contratti venivano approvati all'unanimità, facendo sintesi tra i diversi interessi delle imprese. Anche il sindacato aveva capito che la commissione Benedini era espressione di tutti e non prendeva ordini, magari da Foro Bonaparte.
Anche la nascita della Federazione è stata un esempio per tutti, perché noi siamo diventati federazione di primo livello mentre le altre sono tutte di secondo livello in cui contano le associazioni. In giunta di Confindustria ci sono le associazioni. Per noi di secondo livello sono i gruppi merceologici e in Federchimica ci sono le imprese.
Il contratto veniva fatto in Federchimica, poi naturalmente si sentivano tutti i bisogni, perché la chimica è un grande paniere, ci sono diversità enormi, di settori e di società. Importantissima è stata l'opera di Nicola Messina, un bravo direttore per la parte sindacale, un uomo di notevole esperienza e di grande intelligenza e soprattutto un uomo che sapeva bene addestrarsi nella parte contrattuale. Sorretto da un ottimo ufficio sindacale all'interno di Federchimica.
C'era tutto un lavoro preventivo, Messina ci radunava a Stresa per una tre giorni in cui si lavorava tutti insieme intensamente, in cui si dibatteva sulla piattaforma contrattuale, se era tempo di rinnovo dei contratti, oppure sulla situazione del settore chimico, con una trentina di responsabili del personale delle aziende. Il dibattito preventivo faceva sì che ci fosse un fronte comune nell'affrontare le problematiche con il sindacato. Era molto più facile che, firmato il contratto, questo fosse accettato dalle piccole e medie imprese oltre che dalle grandi perché era stato prima condiviso. Era un lavoro di costruzione molto importante, era la base, e anche i contratti aziendali erano costruiti tenendo conto delle linee emerse nel nostro confronto.

Il sindacato si rinnovava man mano, ma veniva tramandata l’idea del dialogo. Anche negli anni pesanti abbiamo rinnovato dei contratti senza scioperi, non perché hanno ceduto, ma perché ci si è messi intorno a un tavolo, si è discusso, ovviamente si è anche litigato, ma si facevano gli accordi. Devo dire che il sindacato dei chimici è sempre stato di ottimo livello. Senza un sindacato chiaroveggente, cioè che vedeva qual era il finale, che non si impuntava sui piccoli problemi, senza un sindacato di questo genere non si sarebbe potuto fare quello che abbiamo fatto. Noi imprenditori abbiamo trovato nella nostra controparte delle persone che, pur facendo gli interessi dei lavoratori, capivano quali erano i punti giusti su cui concordare.
Probabilmente questo non è avvenuto in altri settori, che hanno preferito fare muro contro muro. Sicuramente conta l'incidenza della manodopera, che nella chimica è più bassa di altri settori, però conta soprattutto la mentalità che si è formata e che ha saputo trasferirsi nel succedersi dei vari responsabili, non solo nella parte datoriale ma anche in quella sindacale. Nel sindacato ho sempre trovato delle persone serie, con alcune delle quali ho stretto anche amicizia, ma questo non vuol dire ovviamente che ognuno non difendeva gli interessi che rappresentava. Però abbiamo trovato questa simbiosi, questa voglia di far bene e per questo devono esserci delle persone intelligenti da ambo le parti che capiscono qual è il loro ruolo, che comprendono anche qual è il momento di fare qualche apertura o qualche chiusura.

Oggi si parla molto di fare solo contratti aziendali e niente contratto nazionale o quasi. E’ sbagliato. Io sono contrario perché le decine di migliaia di piccole aziende chimiche, parlo della chimica secondaria, della chimica fine, come fanno senza un contratto nazionale? Ovviamente si può fare il contratto aziendale, quando dico che sono contrario sono contro l'idea che il contratto aziendale sostituisca completamente quello nazionale e sono contrario al fatto che il contratto nazionale riguardi soltanto la parte formale, giuridica. Invece deve riguardare anche una base di soldi, perché altrimenti i piccoli come fanno? Ok, diamo pure maggior potere al contratto aziendale, ma non dimentichiamoci che l'Italia è formata da centinaia di migliaia di piccole aziende.
Durante la mia presidenza è nato Fonchim. Vengo da un'esperienza totalmente americana e avevo visto i cosiddetti pension plan, che sono aziendali, e ho visto che funzionavano. Loro non hanno come noi i contratti nazionali o l'Inps. In Italia ho visto invece qual era il gap che c'era tra lo stipendio di un lavoratore e quello che poi riceveva dalla pensione. Allora ho pensato che avremmo dovuto fare qualcosa anche da noi e ho iniziato a discutere con il sindacato di pensione integrativa. Inizialmente venivo guardato con molto sospetto, ma attraverso il confronto siamo arrivati a una decisione condivisa e la nascita del fondo è stata inserita nel contratto e in fin dei conti è stato un dare una mano a chi guadagnava di meno. Il bilancio di Fonchim una volta approvato viene verificato da una società di revisione, non fa investimenti speculativi e oggi il fondo va benissimo mentre altri non vanno così bene. Ci sono state critiche molto pesanti alle nostre iniziative, arrivate soprattutto dai datori di lavoro e non dal sindacato. Era un'altra innovazione della chimica. Noi siamo sempre stati degli innovatori nelle relazioni industriali e anche nei prodotti. Non bisogna dimenticare che il fondo è stato creato in un periodo molto difficile per la chimica italiana. Però il dialogo continuo, che durava tutto l'anno e non si sviluppava solo in occasione del rinnovo contrattuale, ha aiutato a superare quei momenti. Un esempio di relazioni industriali quasi unico e la chimica sarebbe da prendere ad esempio.
Il fondo di previdenza integrativa è stato poi seguito da altri settori molto importanti, come ad esempio il fondo Cometa dei metalmeccanici. Vuol dire che abbiamo fatto delle belle cose. Lo sviluppo di questi anni è proseguito nella continuità dei rapporti che si sono costruiti nel tempo.