Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato a Brescia il 12
gennaio 1938, dove vive. Ha lavorato all'Ufficio studi e formazione della Cisl,
è stato vicepresidente delle Acli provinciali. Ha iniziato a far politica a
dieci anni e prosegue ancora oggi.
Sono nato in una famiglia di origine contadina, mio
padre era minatore nelle gallerie della Val Camonica e quando ha smesso ha
fatto il contadino. La loro era una cultura cattolica coerente con il lavoro,
la famiglia, la società. Ho frequentato l'oratorio e a dieci anni portavo il
distintivo dell'Azione cattolica. Sono andato in collegio dai gesuiti dove ho
frequentato la quinta elementare, le medie, il ginnasio e anche il liceo.
Lasciati gli studi ho iniziato a lavorare allo Ial Cisl insegnando agli
apprendisti nelle quattro ore di aula che avevano alla settimana, dove si
faceva cultura generale, un po’ di storia e un po’ di matematica.
Il mio desiderio di un impegno nel mondo del lavoro
è nato soprattutto dalla sollecitazione di alcune persone che facevano
riferimento sia alle Acli che alla Fim. Anche in oratorio, però, già a dieci
anni oltre a frequentare il catechismo c'era una spinta all'impegno sociale, a
partire dalle piccole cose. Ho avuto un curato che è stato Fiamma verde con i
partigiani di Serle, don Guerino Franzoni, che si dava da fare sia sul piano
sociale che politico. Nella sua abitazione si è fatta la campagna elettorale
nel quartiere di Sant'Eufemia che era per metà democristiano e per l’altra metà
comunista. La lotta per le elezioni del 18 aprile 1948 è stata terribile e mia
sorella andava a dare una mano con in tasca la pistola di mio fratello morto in
guerra, scarica ma che serviva per darle coraggio. E anch'io ho avuto questo
imprinting.
L’attenzione al tema del lavoro è arrivata più
avanti intorno ai 22, 23 anni, insieme con altri usciti dall'oratorio impegnati
sia nelle Acli che nella Cisl, ma anche in politica perché queste erano le tre
dimensioni nelle quali siamo cresciuti.
Io volevo andare a lavorare in fabbrica perché era
poco prima del ‘68 e c'era questa idealità, il riferimento al valore del
lavoro, la solidarietà, ma un delegato dell'Om mi ha sconsigliato dicendo che
non era un posto per uno come me che aveva studiato. Monsignor Giacinto Agazzi,
che era l'assistente delle Acli, mi ha suggerito di fare una scuola di
specializzazione a Desenzano, ma spinto dai delegati della Om sono andato prima
allo Ial e poi alla Fim-Cisl.
Noi giovani avevamo dei maestri. Uno di questi era
Michele Capra, aveva fatto la resistenza tra le Fiamme verdi, primo impiegato
della Om iscritto al sindacato, presidente provinciale delle Acli fino al 1959.
Un amico. Attraverso questi percorsi noi crescevamo da cristiani maturi con la
coscienza formata, liberi nelle scelte politiche rispetto al metodo del vescovo
ausiliare monsignor Giuseppe Almici che invece decideva tutto in curia.
Andavamo ai convegni, agli incontri di formazione.
Si cresceva in un ambiente che era politico ma anche formativo e creativo. Si
maturava nello studio ma soprattutto nella partecipazione. Leggevo riviste come
Aggiornamenti sociali o l'Astrolabio fino a quando negli anni ‘70 ci siamo
agganciati alla casa editrice Morcelliana e al suo direttore Stefano Minelli e
abbiamo aperto un nuovo filone di collaborazione con la Lega democratica di
Pietro Scoppola e di Romano Prodi che teneva molti dei suoi convegni nazionali
proprio a Brescia.
Ci confrontavamo con gli esempi di sacerdoti
impegnati sia sul piano religioso che civile. Gli assistenti delle Acli sono
state figure molto interessanti. Don Antonio Fappani che ha scritto decine di
libri, don Gennaro Franceschetti che è diventato vescovo di Fermo, ma anche
altri sacerdoti, sono stati un investimento della Chiesa bresciana sull'associazionismo.
In qualche modo questi sacerdoti sono diventati degli esperti del mondo del
lavoro perché erano a contatto con quei problemi. L'assistente ecclesiale delle
Acli dava un indirizzo morale e religioso ma nel contempo acquisiva anche una
sensibilità ai temi del lavoro che oggi non c'è più. Si sono separati mondi che
allora erano molto intrecciati.
Nel mio impegno io sentivo molto vicina la Chiesa
locale e i sacerdoti, anche negli anni caldi della contestazione nel 1968, ‘69,
‘70. Il nostro era un taglio riformista ma molto dialogico anche nella Chiesa.
Certo andavo anche alla messa di San Nazaro dove c'era un prete operaio, don
Piero Lanzi, e la celebrazione era partecipata con interventi e contributi dei
presenti.
Negli anni ‘70 le associazioni cattoliche si sono
molto divaricate, da una parte le Acli e dall'altra l'Azione cattolica.
Quell'insieme che c'era negli anni ‘50 e ’60: maestri cattolici, Coldiretti,
Cisl, artigiani si è perso.
All'interno della Democrazia cristiana ho sempre
creduto che i lavoratori dovessero contare e quindi ero contrario alla
battaglia contro le incompatibilità tra la dirigenza sindacale e la dirigenza
politica.
Negli anni ‘80 a Brescia si è creato un
interassociativo tra Acli, Azione cattolica, Fuci e Agesci che organizzava una
settimana di formazione insieme per tentare di recuperare un sentire comune e
un'attenzione ai problemi nuovi. Negli anni ‘90 sull'esempio del cardinal
Martini sono iniziate le scuole di formazione alla politica e all'impegno
sociale.
In Cisl mi occupavo di studi e formazione e poi mi
hanno mandato all'Ufficio vertenze, quindi ho dovuto lasciare il sindacato e
sono andato a lavorare all'Unione cooperative dove sono rimasto per vent'anni
sempre all'Ufficio studi e formazione. Presidente era Franco Salvi che dopo la
morte di Moro aveva lasciato il Parlamento e lui diceva che la Confcooperative
si muoveva nel solco della dottrina sociale della Chiesa. Qui è nata
l'esperienza delle cooperative sociali che contrariamente alle cooperative
tradizionali giocano la solidarietà all'esterno, verso altri.
Nelle Acli ho avuto diversi incarichi fino a quello
di vice presidente provinciale.
Un tempo militare nelle Acli, nella Cisl, nella Dc era
normale perché avevano una matrice cristiana comune e gli obiettivi delle
diverse organizzazioni erano anche di affermazione degli stessi valori. Oggi
questo è stato lasciato nell'ombra sia nelle cooperative che nella politica.
Oggi è difficile rintracciare una motivazione ideale rispetto alle esigenze che
ci sono di cambiamento e di riforma nel mondo del lavoro, mentre allora si
discuteva. E quindi si è più soli. Però credo che non si possa andare avanti
così e che la Chiesa si accorgerà di questo problema, come a suo tempo si è
accorto il cardinal Martini, che era un biblista. Possibile che la Chiesa
italiana non si renda conto che Salvini con le ruspe vorrebbe cacciar via
coloro che papa Francesco dice che dobbiamo accogliere?
Noi oggi sentiamo la Chiesa più lontana.
Allora c'erano tanti sacerdoti disponibili al
confronto sui temi sociali e politici, adesso facciamo fatica a trovarli. Chi
oggi va in parrocchia a parlare dei problemi del lavoro, della politica,
dell'amministrazione difficilmente trova ascolto. C'è il timore della politica.
Oggi il mio parroco mi ha affidato il problema degli immigrati, che è una
questione politica, sociale e religiosa ma in parrocchia colgono solo l'aspetto
religioso e cancellano la dimensione civile e sociale. Si fa la missione per valutare
la dimensione liturgica e la frequenza alle cerimonie religiose e basta e si
prende in considerazione solo il 20% degli immigrati cattolici. Ma c’è il
restante 80% di cittadini immigrati e un cristiano deve tenere conto di
entrambe le dimensioni. C'è un problema di giustizia, non solo di carità. C'è
un grande disorientamento. Si leggono poco i documenti della Chiesa.
Spero che non si vada avanti così. Occorre formare
una nuova classe dirigente, ripartire dalla cultura e quindi dalle università,
dalle case editrici e infine dalla comunità cristiana.