martedì 31 marzo 2020

LUIGIA ALBERTI 2 - Fulpia, Cisl - Milano, Lombardia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nata il 22 marzo 1938 in casa a Pioltello, in provincia di Milano. Ho frequentato la quinta elementare e la sesta, nel frattempo lavoravo con i miei in campagna. La mia era una famiglia cattolicissima, praticante e tutte le sere dicevamo il rosario. Lavorava solo il papà insieme ai due fratelli e io li aiutavo, in particolare quando c'era il periodo del fieno e del riso. In quei giorni venivano le mondine e noi ragazzi stavamo dietro di loro a passare i mazzetti delle piantine. Quando ho compiuto quattordici anni stavano aprendo una nuova fabbrica a Cernusco sul Naviglio, la Lanar, e se ne occupava un ragioniere di Pioltello. Con un chilo di burro regalato a quel ragioniere sono stata assunta il giorno del mio compleanno. 

Era una fabbrica nuova e il primo lavoro di tutti i neo assunti, una quindicina di giovani, è stato quello di lavare e pulire i pavimenti. Poi sono stata destinata alla tintoria. Si lavorava con le mani, ho preso una grossa infezione di cloro e sono stata ricoverata due mesi in ospedale. Un ricovero che ha segnato il mio destino anche dal punto di vista fisico, perché per curarmi hanno usato moltissimo cortisone e ho iniziato ad ingrassare. Al rientro sono stata messa in ufficio nel magazzino della lana. Lì sono rimasta dieci anni. Quando ho lasciato ho preso 50mila lire di liquidazione.
In quel periodo frequentavo la chiesa e il mio interesse per il sindacato è nato quando ho sentito una conferenza di Lorenzo Rota sulla “Mater et magistra”. In zona il responsabile della Cisl era Massara, ogni tanto veniva Albino Estorelli che arrivava in moto, poi un giorno si è presentato davanti alla fabbrica Mario Colombo insieme ad Antonio Persano, un sindacalista dei bancari, e mi ha chiesto se volevo impegnarmi nel sindacato in azienda. Andando agli incontri dell'Azione cattolica in via Sant'Antonio avevo espresso questo desiderio e la voce era arrivata alla Cisl. Ho risposto di sì, sono andata in mensa e ho detto che dovevamo iscriverci al sindacato e la gente si è iscritta quasi tutta. Eravamo circa 150 operai e ho iniziato la mia attività raccogliendo i bollini mensili per le tessere. Ogni tanto arrivava un sindacalista, che allora non poteva entrare in fabbrica, mi chiamava e il direttore mi lasciava uscire. Ad un certo punto ho dovuto essere operata di calcoli al rene e sono rimasta a casa per circa cinque mesi. Più avanti abbiamo deciso di fare la commissione interna, il datore di lavoro non voleva, noi l’abbiamo fatta lo stesso. Come rappresaglia, sono stata lasciata a casa con stipendio, non licenziata. Le mie colleghe di lavoro si sono ribellate e sono stata richiamata, però sono stata trasferita dal lavoro in ufficio al reparto filatura, su una macchina abbinatrice che richiedeva di spostarsi molto su e giù lungo la macchina. Abbiamo anche iniziato a fare i turni di notte. Per due anni ho lavorato sulla macchina abbinatrice e di notte. Intanto ero in commissione interna con una compagna di lavoro che poi si è fatta suora e ho iniziato a frequentare i corsi di formazione la domenica mattina in via Tadino curati dal professor Sergio Zaninelli. Lì mi hanno proposto di frequentare il corso lungo a Firenze e alla fine ho deciso di andarci e nel dicembre 1962 mi sono licenziata. L’esperienza al Centro studi è stata bellissima, c'erano ancora il professor Mario Romani e Antonio Frigerio. La mia tesi finale è stata sul risparmio contrattuale.
Al Centro studi abbiamo fatto uno sciopero perché volevamo più soldi, la nostra protesta è consistita nel mettersi in pigiama all'arrivo di una delegazione statunitense. Direttore era il professor Silvio Costantini che ci ha chiamato subito dopo e ci ha fatto una pesante lavata di testa, però ci hanno dato qualche lira in più.

Al ritorno dal Centro studi, secondo Sandra Codazzi avrei dovuto essere destinata ai tessili. Ma Maresco Ballini, che arrivava dal gruppo dei ragazzi di Don Milani, ha detto che c'erano già troppe donne in categoria e così sono stata destinata a lavorare per la Cisl in zona Gorgonzola. Lì ho imparato a fare le vertenze. La prima di cui mi sono occupata è stata il licenziamento della domestica degli Invernizzi. In quegli anni il bollino per il tesseramento è stato sostituito dall'assegno che i lavoratori ricevevano in busta paga e allora si andava davanti alle fabbriche all'uscita dei diversi turni per ritirarli. Nella zona di Gorgonzola le aziende maggiori erano tessili, metalmeccaniche e alimentari e ho cominciato ad occuparmi in particolare delle aziende alimentari, facendo i picchetti alla mattina presto davanti alle fabbriche dove c'era uno sciopero.
In quel periodo sono stata eletta presidente del Centro di Loano. Allora non era un albergo, ma ospitava bambini con problemi di handicap e le loro maestre e tutte le domeniche dovevo andare in Liguria.
Nel 1968 il segretario milanese degli alimentaristi di Milano ha deciso di andare in America e Sandro Pastore mi ha chiamato proponendomi di sostituirlo. Sono entrata in segreteria e più avanti sono diventata segretario generale. Allora la sede era nello stesso ufficio degli edili. Ho portato con me Etta Olgiati, poi ho conosciuto Anna Ponzellini ed è arrivata anche lei come operatore e poi Carlo Bramati e Luigi Nerini. In quegli anni siamo passati da tremila a settemila iscritti. Lavoravo molto bene con la mia squadra. È stata un'esperienza molto lunga e nel 1970 ho affrontato un periodo di crisi del settore durante la quale l'Unidal, la Fioravanti e altre aziende hanno chiuso o licenziato.
Terminata l'esperienza degli alimentaristi, nel 1975 sono entrata nella segreteria della Cisl di Milano occupandomi di contrattazione. Successivamente nel 1980 sono passata alla segreteria regionale. Eravamo ad un convegno della Cgil quando Melino Pillitteri mi ha fatto la proposta affidandomi l'incarico dell'organizzazione. C'era un contrasto tra Gianni Bon e Zaverio Pagani su chi dovesse succedere a Pillitteri e così quando ha lasciato nel 1984 sono diventata segretario generale, incarico che ho mantenuto per quattro anni. Conclusa anche quest'esperienza nel 1988 sono andata a Roma in confederazione dove avrei dovuto occuparmi della formazione, ma ne ho fatta poca. Nel frattempo era nato il Cesil e sono stata nominata presidente per cui il sabato e la domenica tornavo a Milano per occuparmi di questa struttura. Nel 1990 sono stata nominata nel Cnel, nella commissione che aveva l’incarico di costruire l’archivio della contrattazione.
Mentre ero ancora al Cnel mi ha chiamato Paolucci dicendomi che dovevo andare in pensione per poi andare al regionale dei pensionati. Non ero convinta, ma ho accettato e così nel 1993 sono andata in pensione e sono entrata nella segreteria regionale del sindacato dei pensionati. In quel periodo in Cgil arrivò Franco Rampi. Con Rampi abbiamo inventato la vertenza "Dare la voce a chi non ce l'ha" avviando la contrattazione con la Regione sulle case di riposo, i tempi di attesa. E’ stato un periodo di lavoro unitario, fruttuoso. Poi, siccome Tino Fumagalli a Milano aveva finito i due mandati e a me mancava ancora un anno e qualcosa, abbiamo fatto uno scambio: io sono andata a Milano e Tino Fumagalli è arrivato al regionale. A Milano, dal giugno 2002, ho fatto due mandati come segretario generale dei pensionati e quando ho finito, pur avendo la possibilità di un terzo mandato - ma io sono sempre stata contraria ai tre mandati - ho lasciato. Oggi continuo ad occuparmi alcuni giorni alla settimana del Cesil e dell'Anolf e tutti venerdì al mio paese faccio il recapito della Cisl.

Incompatibilità. In via Tadino ne abbiamo discusso molto perché c'era il gruppo di Lorenzo Cattaneo e Ricca – la Fisba e parte dei trasporti - che erano contrari. La Cisl era divisa, però, finite le discussioni, che pure erano molto accese, molto sentite, si riprendeva il cammino comune e i rapporti umani non si sono mai incrinati.

Sul finire degli anni Sessanta non c'erano crisi e le vertenze che abbiamo fatto in quegli anni avevano al centro il salario, il premio di produzione e le qualifiche. C'era curiosità e attenzione su quello che accadeva fuori dalle fabbriche, in particolare a Milano e nel movimento degli studenti, ma se si andava a fare una riunione con i lavoratori si parlava dei problemi della loro azienda.

Alla Motta abbiamo avuto la presenza di gruppi extraparlamentari con rapporti problematici. E’ stata una vertenza molto impegnativa e lunga, con molti lavoratori coinvolti, e una volta, durante l'occupazione, mentre stavamo facendo un'assemblea, ci hanno impedito di uscire tenendoci praticamente sequestrati. Un'altra volta ci hanno buttati a terra dalle sedie su cui eravamo seduti per parlare agli operai. Mi hanno attaccato anche personalmente, intervenendo in assemblea e dicendo che ero una proprietaria terriera semplicemente perché la mia era una famiglia contadina. Alla Motta lavoravano molte prostitute che abitavano nelle case di fronte.
Capitava che ci fossero delle contestazioni in piazza durante i comizi, mi ricordo in particolare quella a Storti, quando sono arrivati con gli ombrelli fin sotto la scaletta del palco e io mi sono trovata in mezzo tra loro e il segretario della Cisl.
Quando le Brigate rosse hanno ucciso un dirigente della Marelli sono andata a fare l'assemblea in fabbrica, allora ero alla Cisl, e in quell'occasione un mio collega della Cgil mi ha detto che i brigatisti erano lì in mezzo a noi. Quel periodo l'ho vissuto senza paura, anche quando stavamo a dormire nella sede in via Tadino.

In quegli anni la partecipazione tra i lavoratori è cresciuta molto. Il primo sciopero su temi sociali è stato sulle pensioni, è venuto Luciano Lama a fare il comizio in piazza Santo Stefano ed è stato molto partecipato. La coscienza sociale su temi più generali era molto diffusa in quel momento.
Le aziende erano abbastanza sindacalizzate e quando siamo passati dalle commissioni interne ai consigli dei delegati molti operai si sono resi disponibili come delegati. In qualche fabbrica abbiamo avuto dei problemi, ma generalmente le persone disponibili ci sono sempre state. C'era però da fare molta formazione.

La mia prima assemblea in fabbrica dopo l'approvazione dello Statuto dei lavoratori l’ho fatta alla Plasmon, dove era iniziata una riduzione di personale. Avevamo ottenuto dodici ore di assemblea per il settore degli alimentaristi prima della legge. La gente partecipava, ma non è che ci fossero le fanfare. Il problema era più per noi. Mi ricordo un'assemblea alla Galbani dove erano tutti uomini. In gran parte macellai, che quando avevano da uccidere il maiale a casa si facevano male apposta. Ero emozionata, dovevo prepararmi, però erano momenti positivi. Quando c'era da andare in assemblea a far approvare degli accordi nazionali stipulati a Roma c'era sempre qualcuno contrario e quindi bisognava saper reggere il confronto. Ricordo anche un'assemblea in un'azienda metalmeccanica con tutte donne dove dovevo spiegare la piattaforma sulle pensioni. A un certo punto sentivo un continuo tic tic tic tic, erano i ferri per lavorare a maglia. Era un’usanza diffusa tra le donne durante le assemblee. Distratta da quello sferruzzare, non riuscivo più a proseguire e allora ho chiesto che smettessero e loro hanno accettato. Non ho brutti ricordi delle assemblee, anche quelle più vivaci, perché si parlava dei problemi delle persone.

La nuova forza sindacale, la partecipazione dei lavoratori, non hanno suscitato particolari reazioni da parte degli imprenditori del settore alimentare. Ricordo che il capo del personale della Galbani, al quale in occasione di uno sciopero degli impiegati con picchetto ho impedito di passare, mi ha detto: “Io non farò mai più un accordo con lei”, poi invece abbiamo ristabilito buoni e normali relazioni. Non ho mai vissuto particolari rivalse di parte padronale. Noi facevamo grande contrattazione e facevamo gli accordi.
Alla Star gli accordi erano difficili e abbiamo fatto grandi picchetti. C'era il reparto dei dadi dove le donne lavoravano a turni anche di notte e in occasione di una vertenza siamo stati costretti a fare uno sciopero di tutta la fabbrica. Ero a fare il picchetto quando è arrivato il titolare che mi ha chiesto di farlo passare, io un po' soprappensiero ho risposto che lì non entrava nessuno e lui se n'è andato. Da quel giorno non è più tornato in azienda. Durante un'assemblea i lavoratori mi hanno chiesto un intervento per far tornare il signor Fossati. Allora sono andata a trovarlo nel suo ufficio dietro il Duomo di Monza, dicendogli che i suoi operai volevano che rientrasse in fabbrica. Prima però ero stata in montagna a parlare con il cognato, con cui avevo un buon rapporto, perché mi istruisse su come comportarmi nell'incontro con il titolare. Il Fossati mi ha detto: “Ma i miei operai mi vogliono bene?” “Moltissimo” ho risposto io “e la rivogliono in fabbrica”. Rientrato in azienda, abbiamo fatto l'accordo.

Ero favorevole alla richiesta di aumenti uguali per tutti, al tema dell'egualitarismo e alla parità uomo donna. Su questo aspetto però ero per non fare le vittime, anche se ho votato nei congressi le percentuali di posti riservati alle donne. Tra le lavoratrici c'erano le passionali, ma c'erano anche molte donne totalmente disinteressate. Il mio principio è sempre stato che al di là di quello che penso io, faccio quello che decide l'organizzazione.

Sono sempre stata per l'unità, ma siccome frequentavo i compagni della Cgil mi preoccupava la faziosità di alcuni - la Uil non la consideravo - e mi chiedevo come avremmo fatto a stare insieme. Ero unitaria perché capivo che l’unità ci voleva, che saremmo stati più forti. Per me l'obiettivo dell'unità deve ritornare di attualità anche se non mi nascondo le difficoltà.

In casa Cisl il processo di unità sindacale ha rischiato di rompere la nostra organizzazione. Nel congresso del 1973, che si è giocato su due tesi contrapposte, ero in prima fila e a Milano, dove ero responsabile organizzativo, abbiamo presentato tre liste per non lasciare nessun spazio agli antiunitari. È stato un congresso molto teso, nel quale ognuno ha messo in gioco le proprie idee. Un fatto positivo, un momento fruttuoso che ci ha fatto crescere. Si discuteva in modo animato e si discuteva molto. Anche i lavoratori iscritti erano coinvolti in questa vicenda, non tutti alla stessa maniera, ma molti di loro partecipavano al dibattito.

Sono sempre stata iscritta alla Democrazia cristiana e poi a tutto quello che si è succeduto fino ad oggi al Pd, però ho sempre avuto ben chiara la differenza tra sindacato e partito, non mi sono mai sentita condizionata e non ero una moderata. Certo ci si confrontava, ma ritengo che a Milano interventi significativi dei partiti sulla Cisl non ci siano mai stati.

La mia esperienza sindacale è stata positiva perché ho fatto un percorso nel quale ho avuto molti maestri, persone che mi hanno fatto crescere e non mi hanno fatto mai sentire di meno di altri pur avendo io frequentato solo la quinta elementare. È stata una grande esperienza di vita.