Sono nato il 12
gennaio 1947 a Lumezzane. Ho fatto le tre professionali dopo la quinta
elementare. Ho iniziato a lavorare che non avevo ancora 15 anni. La mia prima
esperienza di delegato l’ho fatta a ventuno anni, finito il militare, e da
allora ho sempre fatto il delegato. Sono stato membro del direttivo e
dell’esecutivo provinciale della Fim.
Ho sempre
lavorato alla Gs, sono uscito dopo trentasei anni e mezzo, sei anni fa.
L’azienda
produce rubinetteria sanitaria. Ho iniziato come manovale su macchine di torneria.
Poi queste macchine a conduzione manuale sono scomparse e sono state sostituite
dai transfer, macchine automatiche. Io, però, su quelle non ho mai lavorato e
sono passato al montaggio delle varie parti della rubinetteria. Al mio ingresso
ci lavoravano circa 200, 220 persone. Il picco massimo è stato di 350, e quando
sono uscito erano circa 180.
Gs è sempre
stata un’azienda sempre un po’ arretrata dal punto di vista delle tecnologie,
senza grandi cambiamenti. I dipendenti erano concentrati soprattutto in
torneria, stampaggio e fusione. Piccole innovazioni hanno contribuito alla
riduzione del personale ma alla Gs non c’è mai stato un licenziamento. Ha fatto
solo per due volta una settimana di cassa integrazione: una nell’80 e una
nell’81. Anche nei momenti di difficoltà si è sempre comportata correttamente.
La proprietà è di una famiglia Gnutti. Inizialmente c’era il padre con cinque
figli, poi è rimasto un solo figlio e ora sono entrati i nipoti.
Quando sono
stato assunto il sindacato non era molto presente, in particolare a Lumezzane,
che era una zona un po’ atipica. C’erano in azienda due persone che facevano da
riferimento per la Fim e per la Fiom. Nel periodo del mio ingresso sono entrate
in azienda delle forze giovani e tra loro c’era un ragazzo che aveva una
particolare vocazione per il sindacato, Ugo Festa, che poi ha fatto l’operatore
sindacale a Lumezzane e un’esperienza a Brindisi. Una brutta esperienza, perché
l’accompagnavano a fare le assemblee con le pistole.
Lui era più
giovane di me, ma tra noi giovani c’era intesa e abbiamo creato il consiglio di
fabbrica. Lo spirito giovanile e la mia fede politica, che è sempre stata di
sinistra, mi hanno spinto a impegnarmi direttamente. Anche se non avevo nessuno
esperienza. Però in quel periodo si faceva essenzialmente contrattazione
economica. La mia prima tessera sindacale è stata Fim, poi Flm e di nuovo Fim.
A Lumezzane sono
sopravvissute molte tessere Flm anche dopo che si decise di tornare al
tesseramento d'organizzazione. In particolare alla Gnutti Sebastiano. Noi
eravamo stati coerenti con la scelte, non avevano più alcun archivio dei vecchi
iscritti Fim e fino a due anni fa c’erano ancora due tessere Flm.
Questo perché i
lavoratori all’interno della fabbrica tenevano all’unità. Noi non abbiamo mai
avuto scontri tra Fim e Fiom. A Lumezzane abbiamo fatto anche l’unità tra Cgil
Cisl Uil nel consiglio di zona. In particolare i metalmeccanici ci credevano
fino in fondo e io ero portatore di questa impostazione. Poi è andata come è
andata, ma da noi è stato un trauma, in particolare per la Fim. Nel passaggio
da Flm a Fim e Fiom noi siamo rimasti in minoranza, mentre prima eravamo sempre
stati maggioranza, perché gli iscritti Fim rimanevano Flm. Mentre gli iscritti
Fiom hanno sempre avuto due tessere: Flm e Fiom. Noi continuavamo a dire che
questa era una scorrettezza nei confronti dell’unità, ma loro alla fine gli
davano sempre due tessere.
Siamo rimasti
minoranza per più di un anno, ma poi siamo tornati maggioranza, perché nel bene
e nel male la Fim alla Gs ha sempre gestito. Io credo bene.
Per un certo
periodo abbiamo fatto un ragionamento più che altro economico e le richieste
erano solo salariali. Il '68 a Lumezzane è arrivato nel ’70. E da quel momento
le richieste si sono spostate su questioni più concrete. In Gs abbiamo fatto
una serie di azioni che pochissime aziende di Lumezzane avevano fatto.
La prima cosa
che abbiamo organizzato è stata dividere la fabbrica in tre gruppi: un primo
che comprendeva fonderia, stampaggio e pulitura, che erano i reparti con le
lavorazioni a rischio e più nocive. Poi c’era un altro gruppo dove c’erano le
macchine automatiche e la torneria, e il terzo gruppo era il magazzino.
Alla Gs c’è
sempre stato il cottimo. Tutti i lavoratori lo facevano, meno il reparto cromo,
che era legato ai tempi della catena e tutti prendevano un tot al pezzo. Noi
abbiamo privilegiato i lavoratori del primo gruppo, con un minimo più alto
degli altri reparti, proprio per le condizioni di lavoro più nocive.
Era un’azienda
con cui era possibile trattare. Non c’era nessun’altra fabbrica che pagava come
la Gnutti Sebastiano. Era quella dove si guadagnava di più. Quando c’erano i
cinque fratelli, uno solo gestiva e quando facevamo sciopero lui si
imbizzarriva. Grazie a questo suo atteggiamento, però, con lui, in occasione di
un rinnovo di contratto nazionale, abbiamo fatto un precontratto. In
quell’occasione la Gs venne espulsa dalla Aib e non è più rientrata. L’intesa
prevedeva che se ciò che ci veniva dato era inferiore ai risultati del contratto
nazionale avremmo ottenuto la differenza, se invece l’aumento salariale era
maggiore ce lo saremmo tenuto. Era la
fine degli anni ‘70
La situazione è
cambiata quando sono subentrati i nipoti. Si sono associati all’Api e veniva
applicato il contratto delle piccole imprese, anche se era l’azienda più grossa
dell'associazione.
Complessivamente
i rapporti sono stati buoni, ma ci sono state anche delle vertenze molto dure.
Avevamo un delegato ogni quindici dipendenti e abbiamo organizzato degli
scioperi di un quarto d’ora a scacchiera per aree. In quei momenti non si
sapeva chi lavorava, chi entrava, chi usciva, era tutto un movimento. Abbiamo
fatto blocchi delle portinerie. Non usciva nessuno, si poteva solo entrare.
Anche le merci. Un tir delle Germania l’abbiamo tenuto bloccato dentro la
fabbrica per sette giorni e sette notti.
In
quell’occasione le segreterie provinciali convocarono una riunione con gli
avvocati del sindacato e ci dissero che eravamo passibili di denuncia
penale. In quei periodi erano cose che
si facevano, non solo alla Gs. Gli avvocati ci dissero che eravamo matti,
chiedendoci se per caso vivessimo su Marte.
Quella è stata
l’unica vertenza che ci ha fatto soffrire, però la vertenza si è chiusa
positivamente e abbiamo ottenuto ciò che chiedevamo. Nonostante ciò i
lavoratori si sentirono un po’ traditi, non per i risultati raggiunti, perché
l’accordo fu ottimo, ma perché si videro costretti a togliere i presidi, come
se fossero stati privati di una loro arma di difesa.
Quando si
scioperava alla Gs partecipavano tutti, anche gli impiegati e nessuno entrava
in azienda. Erano tutti tesserati, anche i capi reparto e quasi tutti gli
impiegati.
Mio padre
lavorava in proprio conto terzi per la Gs. Il titolare era amico di mio padre,
andavano a caccia insieme. Io dovevo fare due trattative: una con l’azienda e
uno con mio padre. E’ capitato più d’una volta che mentre eravamo in trattativa
il signor Gnutti si alzava e diceva: con te si arrangerà tuo padre stasera
perché l’ho mandato a chiamare. Mia mamma mi diceva: se tuo padre rimane senza
lavoro per te come facciamo ad andare avanti? Loro non avevano torto, ma io non
facevo cose scandalose. Non ero uno che
cercava lo scontro, cercavo sempre di fare gli accordi, perché senza accordo
non si raggiunge nulla. Se faccio un accordo vuol dire che miglioro. Questa era
la mia idea.
In verità non è
mai successo niente. Mia moglie a sentire parlare di scioperi e lotte diventava
rossa. Il rapporto familiare per me è stato duro. Nella sua famiglia - sono in
otto fratelli - erano tutti democristiani, tutti piccoli imprenditori e uno
anche grande imprenditore. L'unico lavoratore dipendente ero io. Quando ci
trovavamo ero disperato. Anche per lei è stata un po' dura ascoltare cognati e
cognate sempre contro, mentre l'unico sovversivo ero io, per due ragioni:
perché non ero democristiano e perché facevo il delegato. Ci sono stati momenti
non tanto belli, ma a Lumezzane è così anche oggi.
Sono stato
consigliere comunale per una legislatura nel Comune di Lumezzane, sono stato
segretario del partito socialista per quasi otto anni, ma non ho mai votato
Craxi e i suoi fedelissimi e mio figlio si chiama Riccardo. Ho un cognato prete
e mi ha detto che il nome era bello perché era significativo: lui pensava alla
Chiesa io a Lombardi.
Nel paese si
conoscono tutti, le voci corrono e in un attimo tutti sanno tutto di tutti. Eri
guardato a vista.
Abbiamo fatto
degli scioperi di zona contro l'aumento di due lire del metano, non solo dei
metalmeccanici, ma di tutti. Il consiglio di zona è stato una bella esperienza.
Nel consiglio di
zona ci sono state discussioni e anche scontri, perché i lavoratori delle altre
aziende ritenevano che toccasse sempre alla Gs partire con le vertenze
integrative. Eravamo consapevoli che fatto l'accordo alla Gs gli altri
avrebbero seguito la stessa strada, ma noi ci siamo opposti al fatto che
dovesse toccare sempre alla Gs fare da cavia e abbiamo proposto che le
richieste venissero avanzate contemporaneamente da un gruppetto di fabbriche
che avevano più o meno le stesse dimensioni. e alla fine questa è stata
l'impostazione accettata, concordando anche le modalità della lotta e le ore di
sciopero.
Nel consiglio di
zona c'erano delegati che facevano la voce grossa alle riunioni, ma poi in
azienda accettavano di tutto.
Nel periodo
successivo a quello degli aumenti salariali come consiglio di fabbrica ci siamo
posti il problema del lavoro dato all'esterno. L'azione però era difficile
perché l'azienda non voleva entrare nel merito di questi problemi. Abbiamo
fatto degli incontri con altre aziende più piccole. In quel periodo c'erano
aziende con sette, otto dipendenti che lavoravano esclusivamente per la Gnutti.
Abbiamo tentato un aggancio, parlare con i dipendenti, verificare se erano
possibili delle azioni comuni, ma non siamo mai riusciti. Nelle aziende
maggiori la presenza del sindacato era accettata e si contrattava, ma nelle
piccole i lavoratori dovevano arrangiarsi per proprio conto.
La vertenza più
significativa è andata a finire male. Avevamo puntato sul risanamento
dell'ambiente per i rumori e abbiamo fallito. I reparti erano molto rumorosi e
non c'era alcuna protezione. Eravamo riusciti ad ottenere di isolare quattro
presse per verificare i risultati, ma i lavoratori non hanno accettato questa
novità perché non gli piaceva lavorare all'interno delle gabbie di isolamento
costruite con i pannelli fonoassorbenti e alla fine abbiamo dovuto toglierle.
La Cisl di
Brescia ci aveva sostenuto in questa battaglia e ci aveva messo a disposizione
un tecnico che aveva giudicato positivamente il progetto fatto da un'azienda
milanese, e si era ottenuto un abbassamento molto consistente dei rumori.
La mobilità tra
i lavoratori della Gs era molto bassa. Si entrava a 15 anni e si andava in
pensione dalla Gs, facendo sempre lo stesso lavoro e si usciva sordi. Io
fortunatamente non sono sordo perché ho lavorato in reparti meno rumorosi ed
ero spesso fuori dalla fabbrica.
Nei primi anni
non c'era il monte ore a disposizione del consiglio di fabbrica per cui
facevamo le riunioni la sera e andavamo a casa sempre dopo la mezzanotte. Anche
l'impegno politico seguiva gli stessi orari. C'era un solo problema. In quegli
anni, anni '70, si trascurava la famiglia. Il rapporto con la famiglia era
quasi zero. Ci si vedeva a pranzo quando non c'era la mensa, la sera a cena e
poi quando si tornava la moglie dormiva.
Castrezzati ha
scritto: mai più andrò a fare un'assemblea alla Gs, perché i lumezzanesi sono
come aborigeni. La ragione è tutta politica, legata alle vicende del congresso
di Manerbio del '77 quando, sbagliando, fummo indicati come alleati con l'Om.
In quel congresso a Lumezzane la segreteria, pur essendo molto presente con
segretari e operatori, non prese un solo delegato e al congresso provinciale ci
hanno fatto fuori tutti.
Ho sempre
lavorato in fabbrica e non ho mai avuto ambizioni di carriera sindacale. Ma io
che ero il rompiscatole, sono l'unico che è rimasto a lavorare con la Cisl e
sono responsabile del Caaf e faccio recapito nella zona di Lumezzane e
collaboro ancora con la Fim.
In occasione
dell'attentato di Brescia ero in piazza, non ero vicino al punto
dell'esplosione, ero un po' decentrato. E' difficile che sia mancato ad una
manifestazione, anche nazionale. Ritornando a Lumezzane siamo immediatamente
tornati in fabbrica, abbiamo fatto fermare tutto e siamo stati sulle
portinerie. In quel momento nessuno sapeva bene che cosa fare. C'era
smarrimento e si inseguivano voci discordanti. Il giorno successivo abbiamo
fatto ancora due ore di sciopero sempre con il presidio della portineria.