sabato 11 aprile 2020

ALFREDO MARELLI - Fim, Cisl - Lecco

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Nel 1984 ero segretario dei metalmeccanici. Nella vicenda sui punti di contingenza e l'accordo di S. Valentino, lo scontro è sempre stato forte tra i gruppi dirigenti. Nelle fabbriche i delegati della Cisl non sostengono confronti di questa natura, allora come oggi, per gli accordi del giugno '92 e del luglio 93'. 

I nostri delegati solitamente non si schierano e non portano il conflitto nelle aziende. Con questo non è che non condividono le scelte della Cisl. I nostri dibattiti evidenziano le differenze, ma c'è questa grande cultura unitaria dentro le fabbriche, semmai a volte c'è una certa difficoltà a sostenere il confronto con i delegati Cgil su questi temi, che noi a volte definiamo cultura di subordinazione. Il delegato Cisl difficilmente andava a sostenere le posizioni della Cisl con motivazioni di principio, ma nel concreto si, e molte volte nel concreto la spuntavamo. Possiamo parlare di un doppio binario del delegato Cisl che aderisce alle proposte Cisl, non le sostiene in termini ideologici, ma riesce a farle passare nella gestione pratica. Anche nei momenti di maggior esasperazione, quindi, non ci sono mai state ricadute negative sulla contrattazione aziendale.
Nella fase del 68/69 a Lecco è stata fatta ima sede unitaria con una sottoscrizione Cgil e Cisl, con una divisione al 50% dei soldi raccolti, non pochi, più di 100 milioni. Quando però abbiamo iniziato ad allontanarci e gestire la fase di divisione, non abbiamo trovato grosse reazioni da parte della gente, ci hanno seguiti, ma passivamente, come ci seguivano con molta fiducia allora nel progetto unitario, non avevano remore a dire adesso è finita, ognuno torna a casa propria, non erano molto aggressivi, andavano molto stimolati. E anche adesso che ci stiamo di nuovo avvicinando all'unità ci seguono un po’ passivamente. La mia impressione è che i delegati sono più legati alle loro storie quotidiane e su questi temi più generali si fidano di noi, ci vengono dietro. Questo è l'atteggiamento prevalente. Non è un atteggiamento di distacco, perché i nostri delegati sono vivaci, sulle cose concrete, sui temi organizzativi ci tengono.
Da noi anche nei momenti di maggiore intensità delle lotte la direzione è sempre rimasta nelle mani del sindacato. C'era una fabbrica di punta che era la Sae, che aveva un po’ l'ambizione di prendere la testa del movimento, ma poi sono entrati in una fase di crisi. Da noi poi sono mancate le fabbriche veramente grosse. Le grandi fabbriche da noi, erano aziende medie dalle altre parti.

La Cisl di Lecco è quindi un sindacato che è molto organizzazione, molto servizi e molta contrattazione aziendale. Lecco è sicuramente una realtà di punta come contrattazione, in Lombardia e in Italia. Questo perché qui i dirigenti locali hanno sempre avuto la capacità di cogliere immediatamente le intuizioni nazionali e trasferirle nelle piattaforme aziendali e i lavoratori le capivano ed erano disponibili a sostenerle. Le contrattazioni, anche quelle di punta, sono sempre state sulla linea della Cisl.
Anche il gruppo dirigente, che viveva in modo più diretto fratture e tensioni tra le confederazioni sindacali, ha sempre avuto una grande attenzione a non rompere.
Nella vicenda recente della chiusura della Badoni, ad esempio, dove si è verificata una frattura netta con posizioni diverse tra Cgil, Cisl e Uil, abbiamo sempre avuto una grande attenzione a non drammatizzare la situazione, a non dividere i lavoratori. Questa convinzione che la forza deriva anche dall'unità ci ha sempre portato a mantenere dentro l'azienda una gestione il più unitaria possibile, mentre all'esterno, nei confronti dell'opinione pubblica, ci siamo anche lacerati con posizioni decisamente differenti.
Accordi separati a Lecco sono stati pochissimi. Questo della Badoni è stato un accordo sbagliato. Alla fine, quando proprio non ce l'abbiamo più fatta, siamo andati al voto in assemblea con tre proposte diverse e i lavoratori hanno votato la proposta della Fiom, che era la proposta di chiudere l'azienda. Dove abbiamo perso sulla linea è stato lì. Ha vinto la linea di chiudere l'azienda.
La vicenda Badoni nasce nel clima dell'urbanistica contrattata a Lecco. Fine anni '80. Un clima nato con la Sae. La Sae si trova in difficoltà. Nasce la contrattazione istituzionale dove il comune e la Regione dicono alla Sae: Ti consentiamo di valorizzare la tua area se mantieni a Lecco una presenza industriale. Su questa falsariga è venuto fuori il Caleotto e poi altre. Io credo in parte sollecitati dagli stessi politici che convivevano negli affari. Badoni è una di queste aziende che si trovano in difficoltà economiche  e apre il tavolo dell'urbanistica contrattata. Io metto sul mercato il terreno che si trova nel centro di Lecco, chiedo al Comune di autorizzarmi a costruire altre cose, io sposto la produzione. C'era una divergenza di interessi tra la Dc e il Psi che erano in giunta insieme ma non erano d'accordo su a chi toccava gestire quella partita. Nella fase iniziale della vertenza c'è stata una presa di posizione della Uil decisamente a favore dell'ipotesi socialista. La Cisl è intervenuta subito per dire che non era quello il punto. Il tema è il lavoro. E' stata una vicenda che è durata un paio d'anni, tra contrasti pubblici, intanto l'azienda ha accumulato debiti ed è arrivata in una situazione fallimentare. Alla vigilia del fallimento c'era ancora la possibilità di firmare un accordo in cui quello che acquistava quell'area si impegnava a costruire un capannone e a trasferire una parte dell'attività produttiva della Badoni. Nel frattempo era ormai scoppiata tangentopoli che aveva coinvolto anche qualche politico locale, Golfari e compagni, che era stato denunciato, sul piano politico c'erano stati scontri tra socialisti e Pds e la Cgil dice che è meglio che vadano tutti in galera. Non ci fidiamo a fare un accordo con questi. Impugnammo tutti gli atti di vendita dell'area. Sostanzialmente hanno scelto di privilegiare la via legale alla via contrattuale. Scegliendo la via legale non si davano risposte ai problemi dei lavoratori che perdevano il posto, però i lavoratori hanno votato quella proposta. Erano esasperati per una vicenda che si trascinava da anni, non credevano più a nessuno. Hanno votato la proposta della Cgil e l'azienda ha chiuso. La Fiom, coerentemente, ha fatto la vertenza legale non ottenendo alcun risultato. Una storia ancora aperta e chissà quando finirà. I lavoratori sono andati tutti a casa. Sul tavolo c'era invece una proposta di accordo che consentiva di salvaguardare alcuni posti di lavoro.
La Uil in questa vicenda ha giocato un ruolo di sponda al partito socialista. Nell'ultima fase, quando ormai i socialisti erano in disgregazione, la Uil si è avvicinata alle nostre posizioni, mentre all'avvio della vicenda la Uil era completamente sbilanciata sulle ipotesi del Partito socialista.

Subito dopo c'è stata la vertenza Fiocchi, turno di notte per salvare l'occupazione, tra noi e la Fiom avevamo anche li delle linee diverse, abbiamo firmato un accordo separato, e i lavoratori, che in maggioranza sono iscritti alla Fiom, e la Fiom era in dissenso, hanno seguito e praticato l'accordo sottoscritto da noi.
Vertenza alla Candy Bessel, dove c'era da superare il cottimo individuale. Prevalenza di iscritti Fiom. Una vertenza gestita a livello di gruppo tutta da noi lecchesi con il consenso di tutti i lavoratori.
Il gruppo dirigente della Cisl di Lecco è sempre stato un gruppo dirigente molto generoso e molto coerente sulla linea della Cisl. Con questa disponibilità e con questa coerenza, alla fine avevamo il consenso di tutti. Bisogna dare il giusto riconoscimento alla Cgil lecchese che, pur condividendo i contrasti a livello nazionale, qui non dava adito a spaccature. La cultura sindacale a Lecco è sempre stata quella del confronto e non dello scontro.
La Uil. Negli anni in cui si decide di fare questa sede che è il massimo di presenza unitaria (anni 1980) la Uil allora esisteva con numeri contrattati. Infatti, quando era stata sciolta la federazione, si erano assegnati dei numeri. Dove aveva una forza propria che poi ha consolidato era nei tessili e negli edili, con qualche servizio. A quei tempi la Uil era debolissima come autonomia e come struttura economica, quindi non hanno partecipato alla costruzione della sede. Era segretario Polverari e lui quasi riteneva che la sua sede gli fosse dovuta. In realtà già all'inizio degli anni ’80 si era capito che l'evoluzione dell'imita non ci obbligava a questo e quindi abbiamo fatto la sede per conto nostro. Quindi chi aveva le risorse ha proceduto e chi non le aveva è rimasto fuori. Comunque la Uil è sempre stata abbastanza favorita perché ha sempre avuto una sede in affitto dal Comune, con affitto irrisorio, politico.
Pierluigi Polverari (on.) lo diceva chiaramente, lui non aveva interessi a fare accordi con noi perché altrimenti poi ne sarebbe stato condizionato. Lui invece preferiva mantenersi libero, faceva il battitore libero, se c'erano spazi lui si infilava. Ne ha sempre trovati pochi. Questo ruolo scelto dal segretario della Uil ha contribuito a rendere più autonome tra loro le tre organizzazioni, infatti in quegli anni siamo passati da una sede unica, anche se divisa come proprietà, a due sedi, abbiamo chiuso l'ingresso unico della sede e fatti i due ingressi autonomi tra Cgil e Cisl, abbiamo chiuso con una porta il corridoio di collegamento tra le due metà sedi. Il comportamento di Polverari favoriva un altro processo che veniva avanti dove ognuno ritornava un po’ a casa propria. Verso gli anni ‘87, ‘88, forse per la prima e unica volta nella storia sindacale lecchese, la Cgil aveva superato la Cisl come iscritti. E' successo un anno appena, in quella fase che era la fine del periodo del ritorno a casa d'organizzazione.
Quella fu una fase ibrida in cui si facevano le tessere senza scelta, poi abbiamo ripreso a fare le tessere nostre. Quando Polverari ha lasciato, prima per fare il vicesindaco a Lecco e poi il parlamentare, il suo posto è stato preso da Raveglia, che io credo sia stato il miglior segretario che la Uil ha avuto. Lui faceva contemporaneamente il segretario dei metalmeccanici e dell'Unione. Raveglia era meno spregiudicato di Polverari. Anche lui era cosciente che nei rapporti unitari soccombeva, perché non avevano neanche la forza di essere presente a tutti gli appuntamenti unitari. Però la sua era una presenza più intelligente, più costruttiva. Il declino e la decisione di uscire di Raveglia è nata sul caso Badoni, anche se lui non l'ha mai detto, ma mi pare evidente. In quell'occasione, per la prima volta, lui è venuto scopertamente in pubblico con una posizione parallela al Psi poi il Psi si è sciolto e si è trovato alla fine con una vertenza chiusa, persa anche da lui rispetto alle posizioni finali, ma che all'inizio aveva avuto qualche responsabilità a farla andare in quella direzione. In quella fase era stato anche coinvolto in qualche indagine rispetto a finanziamenti dati alle aziende sui problemi ambientali. Forse il ruolo svolto da lui era stato quello di presentare alle aziende il funzionario socialista che poi dava pratiche e soldi. Lui è stato molto corretto in quella fase, ha capito che era finita per lui e si è fatto da parte.
La Uil ha giocato un ruolo in termini più di immagine. Ancora oggi la Uil sui giornali è più presente di noi. La Uil non ha la preoccupazione di dover gestire i problemi aziendali e risolverli con un accordo, ha la preoccupazione di apparire. Tante volte le notizie date ai giornali fuori tempo, date in un certo modo danneggiano i lavoratori, compromettono l'esito positivo delle vertenze.

C'è un altro aspetto che la Cisl di Lecco in questi anni ha curato: la solidarietà internazionale. Come ad esempio la realizzazione di una scuola professionale in Mozambico. A Lecco abbiamo anche sperimentato l'idea di dare ai lavoratori una tesserina dal costo di mille lire al mese quale impegno a sostenere un progetto. In alcune aziende siamo arrivati anche a fare accordi per la trattenuta in busta paga.
In questi ultimi anni si sono sviluppati rapporti nuovi con le associazioni padronali. Mentre nel passato si è sempre tentato di fare delle vertenze con le associazioni, sempre finite con la coda in mezzo alle gambe, perché loro si sono sempre dichiarate disposte a discutere ma non a fare accordi perché affermavano di non avere la delega da parte delle aziende per farlo. La novità di questi ultimi anni sono proprio i rapporti nuovi costruiti in questi anni. La prima associazione disponibile è stata l'Api con cui abbiamo fatto un accordo sul mercato del lavoro, per consentire alle piccole imprese associate alcune forme di assunzione - contratti a termine, contratti di formazione lavoro, ecc - a fronte di impegni loro sull'handicap. Questo primo accordo non ha avuto molto seguito, ma ha fatto aprire una strada. In questi anni c'era una certa concorrenza tra le associazioni imprenditoriali e allora anche la Confindustria lecchese si è aperta un po’ a questo confronto. Ha detto: "perché quell'accordo che favorisce le aziende dell'Api e le nostre no" e allora è nato anche un rapporto. Si è potuto iniziare una fase di confronti. Prima molto alla larga. Facevamo dei seminari culturali insieme, con personaggi quasi sempre della nostra area: da Tiziano Treu a Gian Primo Cella, a Pier Antonio Varesi. Alla fine è nato l'accordo sul mercato del lavoro, sulla creazione del Network che abbiamo poi allargato a tutte le associazioni dei datori di lavoro.
Il sindacato a Lecco è nato nelle grandi aziende: alla Sae, alla Badoni, alla Onofri, alla Camiti. Tutte aziende che non esistono più. Erano aziende che non si erano rinnovate ne sul piano tecnologico, ne sul piano organizzativo e non ce la facevano più. Hanno gestito questa fase coinvolgendo il pubblico, compreso il sindacato, che per una certa fase è stato coinvolto in questa cosa, e faceva lo scambio: fai qualcosa ancora e ti consento di usare l'area. Questo soprattutto in città. Di aziende grosse è rimasta la Fiocchi e la File. Sae, Badoni, Caleotto, Fornimpianti, Onofri, Carniti, Agrati Garelli hanno chiuso.
Carniti: hanno costituito una società cui partecipavano anche i comuni, per assicurare una ripresa dell'attività e garantire cassa integrazione e liquidazione.
Di tutte queste grosse aziende è rimasta la Sae, con circa 200 addetti, e il Caleotto, dove c'è ancora la trafileria.
Black & Decker, primo accordo nazionale che prevedeva il mantenimento del posto di lavoro ai lavoratori tossicodipendenti disponibili ad andare in una comunità di recupero. In questa azienda è stato fatto anche il primo accordo nazionale sui contratti di solidarietà. Questo perché la B&D è sempre stata abbastanza autonoma dalla Confindustria pur essendo associata.

Nato nel 1940. Scuole professionali per tipografo. Lavoro in tipografia a Costamasnaga. Da giovane classiche quattro tessere: Azione cattolica, Acli, Dc, Cisl. A 19 anni ero consigliere comunale a Costamasnaga. Ho lavorato un po’ a Oggiono, poi a Besana, poi a Milano. Ho lavorato da Sormani, poi da Stucchi. Lì ho iniziato la mia carriera sindacale. Sono entrato nel direttivo provinciale dei poligrafici di Milano. Poi mi hanno chiesto di uscire a fare il sindacalista a Milano, contemporaneamente mi hanno proposto di fare il segretario organizzativo delle Acli a Lecco. Ero abbastanza combattuto, ma poi, spinto anche dalla famiglia, ho scelto l'impegno più vicino a casa.
Nel 1974 ho avuto problemi alle Acli e ho perso il congresso. Avevo varie proposte tra cui quella di Gilardi di venire alla Cisl, all'Unione. Quando ho detto si, si crearono problemi anche alla Cisl. Allora è stata rimediata la cosa, individuando un incarico alla Fim. Dopo qualche anno sono passato all'Unione, in segreteria con Gilardi, perché aveva bisogno qualcuno che seguisse le questioni organizzative. Ho gestito tutti gli aspetti operativi per la costruzione della sede, anche per conto della Cgil, si fidavano molto anche loro. Abbiamo fatto bene. Poi Gilardi è andato via e Farina è diventato segretario generale della Cisl. Ad un certo punto Farina doveva lasciare, ma all'ultimo momento ci ha ripensato. Allora io mi sono dimesso dalla segreteria. Sono passato alla Fat dove ho fatto prima l'operatore e poi il segretario.
Segretario generale Cisl dal 1989.
Il pubblico impiego a Lecco non ha mai avuto un grosso ruolo, anche perché mancando la provincia, non c'erano una serie di strutture e servizi che invece si vanno creando ora. La sanità è stata sempre seguita da un operatore dei metalmeccanici, non ha mai prodotto dirigenti. Adesso però qualcuno sta crescendo e Gianni Todeschini lascerà il posto ai lavoratori della categoria. E' riuscito a dare una struttura alla categoria, a far crescere alcuni delegati in categoria che adesso sono in grado di fare il dirigente e poi abbiamo preparato un quadro dirigente che conosce la sanità e quando lascerà questo impegno la Cisl disporrà di una persona particolarmente qualificata e brava nel settore della sanità. Il cambio definitivo avverrà prima del prossimo congresso.
L'unica categoria del pubblico impiego che ha sempre avuto un ruolo è stata quella degli enti locali. Che ha sempre dato dei dirigenti alla Cisl. In questi ultimi anni sta crescendo molto la categoria della scuola e se faranno il provveditorato arriveranno altre risorse.