Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995
Nel 1984 ero segretario dei metalmeccanici. Nella vicenda sui punti di contingenza e l'accordo di S. Valentino, lo scontro è sempre stato forte tra i gruppi dirigenti. Nelle fabbriche i delegati della Cisl non sostengono confronti di questa natura, allora come oggi, per gli accordi del giugno '92 e del luglio 93'.
I nostri delegati solitamente non si schierano e non portano il conflitto nelle aziende. Con questo non è che non condividono le scelte della Cisl. I
nostri dibattiti evidenziano le differenze, ma c'è questa
grande cultura unitaria dentro le fabbriche, semmai a volte c'è una certa
difficoltà a sostenere il confronto con i delegati Cgil su questi temi, che noi
a volte definiamo cultura di subordinazione. Il delegato Cisl difficilmente
andava a sostenere le posizioni della Cisl con motivazioni di principio, ma nel
concreto si, e molte volte nel concreto la spuntavamo. Possiamo parlare di un
doppio binario del delegato Cisl che aderisce alle proposte Cisl, non le
sostiene in termini ideologici, ma riesce a farle passare nella gestione
pratica. Anche nei momenti di maggior esasperazione, quindi, non ci sono mai
state ricadute negative sulla contrattazione aziendale.
Nella fase del ‘68/’69
a Lecco è stata fatta ima sede unitaria con una sottoscrizione Cgil e Cisl, con
una divisione al 50% dei soldi raccolti, non pochi, più di 100 milioni. Quando
però abbiamo iniziato ad allontanarci e gestire la fase di divisione, non
abbiamo trovato grosse reazioni da parte della gente, ci hanno seguiti, ma
passivamente, come ci seguivano con molta fiducia allora nel progetto unitario,
non avevano remore a dire adesso è finita, ognuno torna a casa propria, non
erano molto aggressivi, andavano molto stimolati. E anche adesso che ci stiamo
di nuovo avvicinando all'unità ci seguono un po’
passivamente. La mia impressione è che i delegati sono più legati alle loro
storie quotidiane e su questi temi più generali si fidano di noi, ci vengono
dietro. Questo è l'atteggiamento prevalente. Non è un atteggiamento di
distacco, perché i nostri delegati sono vivaci, sulle cose concrete, sui temi
organizzativi ci tengono.
Da noi anche nei momenti di maggiore
intensità delle lotte la direzione è sempre rimasta nelle mani del sindacato.
C'era una fabbrica di punta che era la Sae, che aveva un po’ l'ambizione di prendere la testa del movimento, ma
poi sono entrati in una fase di crisi. Da noi poi sono mancate le fabbriche
veramente grosse. Le grandi fabbriche da noi, erano aziende medie dalle altre
parti.
La Cisl di Lecco è quindi un sindacato che è
molto organizzazione, molto servizi e molta contrattazione aziendale. Lecco è
sicuramente una realtà di punta come contrattazione, in Lombardia e in Italia.
Questo perché qui i dirigenti locali hanno sempre avuto la capacità di cogliere
immediatamente le intuizioni nazionali e trasferirle nelle piattaforme
aziendali e i lavoratori le capivano ed erano disponibili a sostenerle. Le
contrattazioni, anche quelle di punta, sono sempre state sulla linea della
Cisl.
Anche il gruppo dirigente, che viveva in modo
più diretto fratture e tensioni tra le confederazioni sindacali, ha sempre
avuto una grande attenzione a non rompere.
Nella vicenda recente della chiusura della Badoni, ad esempio, dove si è verificata una frattura netta con posizioni
diverse tra Cgil, Cisl e Uil, abbiamo sempre avuto una grande attenzione a non
drammatizzare la situazione, a non dividere i lavoratori. Questa convinzione
che la forza deriva anche dall'unità ci ha sempre portato a mantenere dentro l'azienda una gestione il più unitaria possibile, mentre all'esterno,
nei confronti dell'opinione pubblica, ci siamo anche lacerati con posizioni
decisamente differenti.
Accordi separati a Lecco sono stati
pochissimi. Questo della Badoni è stato un accordo
sbagliato. Alla fine, quando proprio non ce l'abbiamo più fatta, siamo andati
al voto in assemblea con tre proposte diverse e i lavoratori hanno votato la
proposta della Fiom, che era la proposta di chiudere l'azienda. Dove abbiamo
perso sulla linea è stato lì. Ha vinto la linea di chiudere l'azienda.
La vicenda Badoni
nasce nel clima dell'urbanistica contrattata a Lecco. Fine anni '80. Un clima
nato con la Sae. La Sae si trova in difficoltà. Nasce la contrattazione
istituzionale dove il comune e la Regione dicono alla Sae: Ti consentiamo di
valorizzare la tua area se mantieni a Lecco una presenza industriale. Su questa
falsariga è venuto fuori il Caleotto e poi altre. Io credo in parte sollecitati
dagli stessi politici che convivevano negli affari. Badoni è una di queste aziende che si trovano
in difficoltà economiche e
apre il tavolo dell'urbanistica contrattata. Io metto sul mercato il terreno che
si trova nel centro di Lecco, chiedo al Comune di autorizzarmi a costruire altre cose, io sposto la produzione. C'era una divergenza di interessi
tra la Dc e il Psi che erano in giunta insieme ma non erano d'accordo su a chi toccava
gestire quella partita. Nella fase iniziale della vertenza c'è stata una presa di posizione della
Uil decisamente a favore dell'ipotesi socialista. La
Cisl è intervenuta subito per dire che non era quello il punto. Il tema è il
lavoro. E' stata una vicenda che è durata un paio d'anni, tra contrasti
pubblici, intanto l'azienda ha accumulato debiti ed è arrivata in una
situazione fallimentare. Alla vigilia del fallimento c'era ancora la
possibilità di firmare un accordo in cui quello che acquistava quell'area si impegnava a costruire
un capannone e a trasferire una parte dell'attività
produttiva della Badoni. Nel frattempo era ormai scoppiata tangentopoli che
aveva coinvolto anche qualche politico locale, Golfari e compagni, che era stato denunciato, sul piano politico c'erano
stati scontri tra socialisti e Pds e la Cgil dice che è meglio che vadano tutti
in galera. Non ci fidiamo a fare un accordo con questi. Impugnammo
tutti gli atti di vendita dell'area. Sostanzialmente hanno scelto di
privilegiare la via legale alla via contrattuale. Scegliendo la via legale non
si davano risposte ai problemi dei lavoratori che perdevano il posto, però i
lavoratori hanno votato quella proposta. Erano esasperati per una vicenda che
si trascinava da anni, non credevano più a nessuno. Hanno votato la proposta
della Cgil e l'azienda ha chiuso. La Fiom, coerentemente, ha fatto la vertenza
legale non ottenendo alcun risultato. Una storia ancora aperta e chissà quando
finirà. I lavoratori sono andati tutti a casa. Sul tavolo c'era invece una
proposta di accordo che consentiva di salvaguardare alcuni posti di lavoro.
La Uil in questa vicenda ha giocato un ruolo
di sponda al partito socialista. Nell'ultima fase, quando ormai i socialisti
erano in disgregazione, la Uil si è avvicinata alle nostre posizioni, mentre
all'avvio della vicenda la Uil era completamente sbilanciata sulle ipotesi del
Partito socialista.
Subito dopo c'è stata la vertenza Fiocchi,
turno di notte per salvare l'occupazione, tra noi e la Fiom avevamo
anche li delle linee diverse, abbiamo firmato un accordo separato, e i
lavoratori, che in maggioranza sono iscritti alla Fiom, e la Fiom era in
dissenso, hanno seguito e praticato l'accordo sottoscritto da noi.
Vertenza alla Candy Bessel, dove c'era da
superare il cottimo individuale. Prevalenza di iscritti Fiom. Una vertenza
gestita a livello di gruppo tutta da noi lecchesi con il consenso di tutti i
lavoratori.
Il gruppo dirigente della Cisl di Lecco è
sempre stato un gruppo dirigente molto generoso e molto coerente sulla linea
della Cisl. Con questa disponibilità e con questa coerenza, alla fine avevamo
il consenso di tutti. Bisogna dare il giusto riconoscimento alla Cgil lecchese
che, pur condividendo i contrasti a livello nazionale, qui non dava adito a
spaccature. La cultura sindacale a Lecco è sempre stata
quella del confronto e non dello scontro.
La Uil. Negli anni in cui si decide di fare
questa sede che è il massimo di presenza unitaria (anni 1980) la Uil allora
esisteva con numeri contrattati. Infatti, quando era stata sciolta la
federazione, si erano assegnati dei numeri. Dove aveva una forza propria che
poi ha consolidato era nei tessili e negli edili, con qualche servizio. A quei
tempi la Uil era debolissima come autonomia e come struttura economica, quindi
non hanno partecipato alla costruzione della sede. Era segretario Polverari e
lui quasi riteneva che la sua sede gli fosse dovuta. In realtà già all'inizio degli
anni ’80 si era
capito che l'evoluzione dell'imita non ci obbligava a questo e quindi abbiamo
fatto la sede per conto nostro. Quindi chi aveva le risorse ha proceduto e chi
non le aveva è rimasto fuori. Comunque la Uil è sempre stata abbastanza
favorita perché ha sempre avuto una sede in affitto dal Comune, con affitto
irrisorio, politico.
Pierluigi Polverari (on.) lo diceva
chiaramente, lui non aveva interessi a fare accordi con noi perché altrimenti
poi ne sarebbe stato condizionato. Lui invece preferiva mantenersi libero,
faceva il battitore libero, se c'erano spazi lui si infilava. Ne ha sempre
trovati pochi. Questo ruolo scelto dal segretario della Uil ha contribuito a
rendere più autonome tra loro le tre organizzazioni, infatti in quegli anni
siamo passati da una sede unica, anche se divisa come proprietà, a due sedi,
abbiamo chiuso l'ingresso unico della sede e fatti i due ingressi autonomi tra
Cgil e Cisl, abbiamo chiuso con una porta il corridoio di collegamento tra le
due metà sedi. Il comportamento di Polverari favoriva un altro processo che
veniva avanti dove
ognuno ritornava un po’ a casa propria.
Verso gli anni ‘87, ‘88, forse per la prima e unica volta nella storia
sindacale lecchese, la Cgil aveva superato la Cisl come iscritti. E' successo
un anno appena, in quella fase che era la fine del periodo del ritorno a casa
d'organizzazione.
Quella fu una fase ibrida in cui si facevano
le tessere senza scelta, poi abbiamo ripreso a fare le tessere nostre. Quando
Polverari ha lasciato, prima per fare il vicesindaco a Lecco e poi il
parlamentare, il suo posto è stato preso da Raveglia, che io credo sia stato il
miglior segretario che la Uil ha avuto. Lui faceva contemporaneamente il
segretario dei metalmeccanici e dell'Unione. Raveglia era meno spregiudicato di
Polverari. Anche lui era cosciente che nei rapporti unitari soccombeva, perché
non avevano neanche la forza di essere presente a tutti gli appuntamenti
unitari. Però la sua era una presenza più intelligente, più costruttiva. Il
declino e la decisione di uscire di Raveglia è nata sul caso Badoni, anche se
lui non l'ha mai detto, ma mi pare evidente. In quell'occasione, per la prima
volta, lui è venuto scopertamente in pubblico con una posizione parallela al
Psi poi il Psi si è sciolto e si è trovato alla fine con una vertenza chiusa,
persa anche da lui rispetto alle posizioni finali, ma che
all'inizio aveva avuto qualche responsabilità a farla andare in quella
direzione. In quella fase era stato anche coinvolto in qualche indagine
rispetto a finanziamenti dati alle aziende sui problemi ambientali. Forse il
ruolo svolto da lui era stato quello di presentare alle aziende il funzionario
socialista che poi dava pratiche e soldi. Lui è stato molto corretto in quella
fase, ha capito che era finita per lui e si è fatto da parte.
La Uil ha giocato un ruolo in termini più
di immagine. Ancora oggi la Uil
sui giornali è più presente
di noi. La Uil non ha la preoccupazione
di dover gestire i problemi aziendali e risolverli con un accordo, ha la
preoccupazione di apparire. Tante volte le notizie date ai giornali fuori tempo, date in un certo modo
danneggiano i lavoratori, compromettono l'esito positivo delle vertenze.
C'è un altro aspetto che la Cisl di Lecco in
questi anni ha curato: la solidarietà internazionale. Come ad esempio la
realizzazione di una scuola professionale in Mozambico. A Lecco abbiamo anche
sperimentato l'idea di dare ai lavoratori una tesserina dal costo di mille lire
al mese quale impegno a sostenere un progetto. In alcune aziende siamo arrivati anche a fare accordi per la trattenuta in
busta paga.
In questi ultimi anni
si sono sviluppati rapporti nuovi con le associazioni padronali. Mentre nel
passato si è sempre tentato di fare delle vertenze con le associazioni, sempre
finite con la coda in mezzo alle gambe, perché loro si sono sempre dichiarate
disposte a discutere ma non a fare accordi perché affermavano di non avere la
delega da parte delle aziende per farlo. La novità di questi ultimi anni sono
proprio i rapporti nuovi costruiti in questi anni. La prima associazione disponibile è stata l'Api con cui abbiamo fatto un accordo sul mercato del lavoro, per
consentire alle piccole imprese associate alcune forme di assunzione -
contratti a termine, contratti di formazione lavoro, ecc - a fronte di impegni
loro sull'handicap. Questo primo accordo non ha avuto molto seguito, ma ha
fatto aprire una strada. In questi anni c'era una certa
concorrenza tra le associazioni
imprenditoriali e allora anche la Confindustria lecchese si è aperta un po’ a
questo confronto. Ha detto: "perché quell'accordo che favorisce le aziende
dell'Api e le nostre no" e allora è nato anche un rapporto. Si è potuto
iniziare una fase di confronti. Prima molto alla larga. Facevamo dei seminari
culturali insieme, con personaggi quasi sempre della nostra area: da Tiziano Treu a Gian
Primo Cella, a Pier Antonio Varesi. Alla fine
è nato l'accordo sul mercato del lavoro, sulla creazione del Network che
abbiamo poi allargato a tutte le associazioni dei datori di lavoro.
Il sindacato a Lecco
è nato nelle grandi aziende: alla Sae, alla Badoni, alla Onofri, alla Camiti.
Tutte aziende che non esistono più. Erano aziende che non si erano rinnovate ne
sul piano tecnologico, ne sul piano organizzativo e non ce la facevano più.
Hanno gestito questa fase coinvolgendo il pubblico, compreso il sindacato, che
per una certa fase è stato coinvolto in questa cosa, e faceva lo scambio: fai
qualcosa ancora e ti consento di usare l'area. Questo soprattutto in città. Di
aziende grosse è rimasta la Fiocchi e la File. Sae, Badoni, Caleotto,
Fornimpianti, Onofri, Carniti, Agrati Garelli hanno chiuso.
Carniti: hanno costituito una
società cui partecipavano anche i comuni, per
assicurare una ripresa dell'attività e garantire cassa integrazione e liquidazione.
Di tutte queste grosse aziende è rimasta la
Sae, con circa 200 addetti, e il Caleotto, dove c'è ancora la trafileria.
Black & Decker, primo accordo nazionale che prevedeva il
mantenimento del posto di lavoro ai lavoratori tossicodipendenti
disponibili ad andare in una comunità di recupero. In questa azienda è stato
fatto anche il primo accordo nazionale sui contratti di solidarietà. Questo perché la
B&D è sempre stata abbastanza autonoma dalla
Confindustria pur essendo associata.
Nato nel 1940. Scuole professionali per tipografo.
Lavoro in tipografia a Costamasnaga. Da giovane classiche quattro tessere:
Azione cattolica, Acli, Dc, Cisl. A 19 anni ero consigliere comunale a Costamasnaga. Ho lavorato un po’ a Oggiono, poi a Besana, poi a Milano. Ho lavorato da Sormani, poi da Stucchi. Lì ho iniziato la mia carriera sindacale. Sono entrato
nel direttivo provinciale dei poligrafici di Milano. Poi mi hanno chiesto di
uscire a fare il sindacalista a Milano, contemporaneamente mi hanno proposto di
fare il segretario organizzativo delle Acli a Lecco. Ero
abbastanza combattuto, ma poi, spinto anche dalla famiglia, ho scelto l'impegno
più vicino a casa.
Nel 1974 ho avuto problemi alle Acli e ho perso il congresso. Avevo varie proposte tra
cui quella di Gilardi di venire alla Cisl, all'Unione. Quando ho detto si, si
crearono problemi anche alla Cisl. Allora è stata rimediata la cosa, individuando un incarico alla Fim. Dopo qualche anno sono passato all'Unione, in
segreteria con Gilardi, perché aveva bisogno qualcuno che seguisse le questioni
organizzative. Ho gestito tutti gli aspetti operativi per la costruzione della
sede, anche per conto della Cgil, si fidavano molto anche loro. Abbiamo fatto
bene. Poi Gilardi è andato via e Farina è diventato segretario generale della
Cisl. Ad un certo punto Farina doveva lasciare, ma all'ultimo momento ci ha
ripensato. Allora io mi sono dimesso dalla segreteria. Sono passato alla Fat
dove ho fatto prima l'operatore e poi il segretario.
Segretario generale Cisl dal 1989.
Il pubblico impiego a Lecco non ha mai avuto un
grosso ruolo, anche perché mancando la provincia, non c'erano una serie di
strutture e servizi che invece si vanno creando ora. La sanità è stata sempre
seguita da un operatore dei metalmeccanici, non ha mai prodotto dirigenti.
Adesso però qualcuno sta crescendo e Gianni Todeschini lascerà il posto ai
lavoratori della categoria. E' riuscito a dare una struttura alla categoria, a
far crescere alcuni delegati in categoria che adesso sono in grado di fare il
dirigente e poi abbiamo preparato un quadro dirigente che conosce la sanità e
quando lascerà questo impegno la Cisl disporrà di una persona particolarmente
qualificata e brava nel settore della sanità. Il cambio definitivo avverrà
prima del prossimo congresso.
L'unica categoria del pubblico
impiego che ha sempre avuto un ruolo è stata quella degli enti locali. Che ha
sempre dato dei dirigenti alla Cisl. In questi ultimi anni sta crescendo molto
la categoria della scuola e se faranno il provveditorato arriveranno altre
risorse.