Intervista realizzata in occasione della pubblicazione del libro “Angeli senza ali. Morti bianche e sicurezza sul lavoro. Il caso Lombardia”, a cura di Costantino Corbari e Angelico Corti, Edizioni Lavoro, Roma, 2008
Il problema della «messa in
pratica»
Silvano Maffezzoni è segretario generale della Fim Cisl, il sindacato
dei lavoratori metalmeccanici della provincia di Mantova. Il suo è un
osservatorio interessante, perché misura l’azione in Marcegaglia con quanto
avviene nelle altre aziende metalmeccaniche del territorio. Egli sottolinea la
positività dell’intesa raggiunta, ma anche le difficoltà incontrate a tradurla
in pratica.
Che giudizio dà sul sistema delle relazioni sindacali con
il gruppo Marcegaglia in tema di sicurezza?
Il giudizio sulle relazioni
sindacali è complessivamente positivo. Il dialogo c’è, gli accordi si fanno, ci
si parla, si sottoscrivono buone intese. Però vi è uno scarto tra ciò che si
discute ai tavoli, che si concorda e la realtà della messa in pratica. Credo
che questo sia un aspetto comune un po' a tutte le aziende, perché è un
problema di cultura, di mentalità. Del modo di porsi rispetto a queste
problematiche. Noi insistiamo molto sulla partecipazione, perché vuol dire
acquisire consapevolezza. La piramide è consapevole al vertice, ma più si
scende più la consapevolezza diminuisce. Ecco perché le azioni positive, la formazione continua, sono importanti ma
non risolutive.
Poi ci sono i comportamenti concreti.
Perché le parole sono di un certo tipo, ma quando si è sulle macchine a
produrre gli atteggiamenti sono altri.
Qual è il grado di sensibilità
dell’azienda sui temi della sicurezza?
Spesso per raggiungere certi risultati si tende a lasciare in
secondo piano i problemi della sicurezza. Questa è un’azienda che molto per la
sicurezza, circa 10 milioni di euro annui. Peraltro, a mio parere, sta
avanzando la cultura del pensare la a non più come un obbligo, un dovere, ma
come una scelta. Le procedure di sicurezza infatti non devono essere viste come
elemento di costo, ma come un investimento, perché il patrimonio umano è più
importante di tutto. Gli impegni ci sono, come nell'ultimo accordo che abbiamo
fatto: sulla formazione, ad esempio, per rendere consapevoli gli Rls e i
delegati. Ma abbiamo detto all'azienda che non ci si deve fermare a questo.
Perché se la nostra gente cresce mentre i capi reparto, che rappresentano la
direzione e che sono fondamentali nell'organizzazione del lavoro, non hanno una
simile consapevolezza, si crea una frattura tra ciò che si dice e ciò che si
realizza.
Come siete arrivati a un’intesa dedicata
specificatamente al tema della sicurezza?
Lo scorso anno abbiamo fatto un primo incontro a livello di
gruppo sul tema della sicurezza, ma era solamente uno scambio di opinioni per
conoscere la realtà dei diversi stabilimenti. Ora con l’accordo abbiamo cercato
di dare organicità a tutta la materia. Di modo che ci siano obiettivi, ma anche
possibilità di verifica. Ora il problema più complicato è quello della gestione
dell' accordo.
L’intesa che ruolo assegna a delegati e Rls?
L’accordo dà un ruolo importante agli Rls e anche ai delegati
perché c’è tutta una serie di documenti, di ricerca di dati che devono essere
esaminati insieme e spetta a loro essere protagonisti. La possibilità di
giocare un ruolo c’è, ma bisogna essere in grado di giocarlo, diventare attori.
Rispetto
all'azione delle Rsu e degli Rls, che tipo di supporto date come organizzazioni
sindacali? Riuscite a sostenerli concretamente?
Certamente abbiamo anche noi ritardi e difficoltà. Le vicende
sindacali, le vertenze generali con il governo, il contratto nazionale di
lavoro incidono sull'azione e a volte ci distolgono da questi temi, pure di
grande importanza. Probabilmente dobbiamo ripensare la nostra attività di
formazione e informazione, perché presi dall'attività quotidiana non riusciamo
a seguirli come vorremmo e come andrebbe fatto, come richiede la situazione. Ed
è un peccato, perché qui gli strumenti, le disponibilità e le risorse ci sono.
Mi ha colpito positivamente un’innovazione che viene realizzata in Marcegaglia:
alle persone viene spiegato, non solo a parole ma mostrato su dei monitor con
l’uso di filmati, come devono comportarsi rispetto alle procedure aziendali,
come devono stare sul luogo di lavoro.
Ci
sono differenze di comportamento tra Fim, Fiom e Uilm?
Ci sono delle sensibilità diverse. La Fim ha compiuto un percorso
culturale e politico che l’ha portata più avanti rispetto alla partecipazione e
al coinvolgimento. Ancora si tende a trattare la sicurezza come questione tra
controparti, invece tutte le parti in campo devono concertare un obiettivo cui
tendere attraverso le responsabilità di ciascuno.
Come
si colloca l’accordo quadro di settembre rispetto realtà delle altre aziende
del territorio?
Si tratta di un’intesa che dovrebbe essere un po’ un modello.
Ci sono altre esperienze, ma questo è l’accordo più avanzato. Occorre anche
sottolineare che la consapevolezza di operare in un unico gruppo industriale è
recente. Il primo accordo di gruppo in Marcegaglia, infatti, è solo del 2005 e
ha posto al centro le relazioni sindacali, la sicurezza e la formazione.
Che
tipo di impresa è la Marcegaglia?
Steno
Marcegaglia ha disegnato un’azienda a sua immagine e somiglianza, ma non deve
meravigliare, perché nel mantovano ci sono moltissime aziende a capitale
familiare. Le relazioni sindacali sono facili e difficili allo stesso tempo.
Facili, quando il rapporto riguarda la discussione di un caso. Quando invece c
'è un problema che mette in discussione la catena del comando allora la
questione diventa più complicata. Il suo è un
paternalismo di buon senso.