venerdì 10 gennaio 2025

Annuario del lavoro 2024. Cinema e lavoro nei 20 anni del Labour Film Festival

C’è un luogo dove l’arte del cinema e la cultura del lavoro da vent’anni si incontrano per offrire, non solo agli appassionati, occasioni di riflessione su un tema tanto importante per la vita delle persone, insieme all’opportunità di vedere i migliori film e documentari.
Sesto San Giovanni, ex Stalingrado d’Italia, città delle fabbriche ormai decaduta, oggi è un grande agglomerato urbano della periferia milanese. La cultura del lavoro però a Sesto non è morta e molti dei suoi abitanti hanno ricordi legati ai grandi complessi industriali della Falck, della Breda, della Marelli e alle diverse altre piccole e medie imprese che davano lavoro ad oltre 40mila tutte blu.
Tra le tante iniziative che traggono origine da queste profonde radici figura il Labour Film Festival, una rassegna di cinema e lavoro promossa da Acli e Cisl Lombardia con il cinema Rondinella, che quest’anno ha compiuto 20 anni.

Cinema e lavoro. Un binomio inscindibile, formatosi nel 1895, a partire dalle riprese degli operai in uscita dalle officine Lumière di Lione e col tempo cresciuto fino a diventare oltre che racconto ed emozione, impresa culturale e business. Il lavoro come soggetto del cinema e il lavoro di chi il cinema lo realizza.

Raccontare il lavoro nell’età industriale era relativamente semplice, le relazioni tra mondo del lavoro e capitale erano ben definite e ideologicamente collocabili. Ora lo scenario è incredibilmente mutato. Il lavoro tradizionale è diventato invisibile. I processi produttivi si sono scomposti e la classe operaia indebolita. E’ cambiata la percezione individuale e collettiva del lavoro. Fino a qualche tempo fa il lavoro definiva l’esistenza, per un operaio significava riconoscersi in una precisa classe sociale e partecipare alla vita sociale attraverso il sindacato. Oggi il mondo del lavoro appare frammentato, incerto, poco solidale al proprio interno. Non è neppure più tempo di new economy e flessibilità, ora il tema è la precarietà, l’insicurezza.

Anche il cinema, che fotografa e interpreta la società, ha registrato la marginalizzazione del lavoro. Il cinema è infatti uno strumento privilegiato per leggere i mutamenti sociali e lo sguardo dei registi che si pongono dietro una macchina da presa spesso sa andare più in profondità di quanto altri media non riescano a fare. Per questo il connubio tra cinema e lavoro è importante, deve essere valorizzato e può aiutarci a riflettere sul rapporto tra impresa, lavoro, innovazione, società.

Nel corso di più di un secolo di vita il cinema ha saputo cogliere e raccontare i momenti più critici, i cambiamenti più significativi che hanno toccato il mondo del lavoro e gli uomini che li hanno vissuti. Come ci mostrano alcune delle pellicole più riuscite e note.

Al confermarsi del travolgente processo di industrializzazione è il visionario Metropolis di Fritz Lang a sottolineare il rischio di disumanizzazione del lavoro cui farà seguito, di fronte alla estrema parcellizzazione delle produzioni industriali, Tempi Moderni di Charlie Chaplin. Negli anni del secondo dopoguerra la grande stagione del neorealismo italiano tratteggia l’immagine di una realtà sociale di forte disagio, mentre Ermanno Olmi, con Il posto, indica il percorso che porterà ai cambiamenti del paese e alla sua modernizzazione. Dieci anni dopo, la condizione dell’operaio massa, la protesta sindacale e le battaglia contro lo sfruttamento in fabbrica trovano espressione ne La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, con l’indimenticabile Gian Maria Volonté.

Fuori dai confini nazionali, a rimarcare la fase delle grandi dismissioni e dei processi di marginalizzazione del lavoro, ci sono le tante opere di denuncia di Ken Loach (Rif-Raf, Piovono pietre, Il mio nome è Joe, Paul Mike e gli altri, Sorry we missed you solo per ricordarne alcune). E se Full Monty di Peter Cattaneo sembra volerci dire che occorre avere fiducia nelle persone e che un futuro si può sempre costruire, è ancora l’anziano militante regista inglese che, sbarcando sul suolo americano, con Bread and Roses rivela la drammatica realtà del lavoro precario, in particolare delle donne immigrate.

Precarietà è il tema degli anni Duemila, argomento affrontato da molti registi di casa nostra e che trova la sua espressione forse più significativa in Tutta la vita davanti di Paolo Virzì.

E siamo ai nostri giorni. Il lavoro ha perso la sua centralità, il sindacato confederale è debole e diviso, la classe operaia scomparsa dai radar della politica e dell’informazione. Il tema del lavoro sembra non interessare più a registi e produttori, tutt’al più rimane sullo sfondo di qualche vicenda umana o del biopic di un personaggio famoso. A rompere questo schema, ecco irrompere Michele Riondino con il suo Palazzina Laf, film sulla vicenda di un reparto confino all’Ilva di Taranto. Premio Cipputi 2024, potrebbe rappresentare la ripresa da parte del cinema di una riflessione sul mondo del lavoro più tradizionale. Difficile crederlo. Staremo a vedere.

Ma c’è un luogo dove l’arte del cinema e la cultura del lavoro da vent’anni si incontrano per offrire, non solo agli appassionati, occasioni di riflessione su un tema tanto importante per la vita delle persone, insieme all’opportunità di vedere le migliori proposte che i cineasti più attenti realizzano.

Siamo a Sesto San Giovanni, ex Stalingrado d’Italia, città delle fabbriche ormai decaduta, oggi un grande agglomerato urbano della periferia milanese. La cultura del lavoro però a Sesto non è morta e molti dei suoi abitanti hanno ricordi legati ai grandi complessi industriali della Falck, della Breda, della Marelli e alle diverse altre piccole e medie imprese che davano lavoro ad oltre 40mila tutte blu.

Tra le tante iniziative che traggono origine da queste profonde radici figura il Labour Film Festival, una rassegna di cinema e lavoro promossa da Acli e Cisl Lombardia con il cinema Rondinella, che quest’anno ha compiuto 20 anni.

Il Labour è nato per valorizzare gli autori più attenti alle questioni sociali e per far riflettere sui problemi del lavoro attraverso il cinema. Promuovendo la visione di prodotti d’autore e pellicole di richiamo, ma anche di opere, in particolare documentari che, seppure di ottima qualità, faticano a trovare spazi e occasioni per proporsi al grande pubblico. E i film sul grande schermo sono un mezzo capace di richiamare l’attenzione e di raggiungere con la forza e la suggestione delle immagini anche un pubblico poco incline a confrontarsi con questioni complesse.

Venti edizioni di una rassegna dedicata al cinema che racconta il lavoro sono un traguardo significativo. Un risultato che pochi immaginavano quando nel settembre 2005 il circolo Acli San Clemente di Sesto San Giovanni avviò l’iniziativa del Labour con la proiezione di tre pellicole.

La rassegna è andata via via crescendo col passare degli anni e il maturare dell’esperienza. Con la quinta edizione il circolo ha chiesto la collaborazione della Cisl, presente sul territorio sestese con la sede regionale, e quindi delle Acli regionali. Nel 2009 titolari della rassegna diventano pertanto Acli Lombardia, Cisl Lombardia e Cgs Rondinella. Quell’anno la proposta si amplia con cinque film, un corto e un concerto.

In occasione della VII edizione il festival si è arricchito di nuove proposte, affiancando alla visione dei film di fiction documentari e corti, organizzati nelle sezioni Labour film, Labour doc e Labour short. Passando dalle iniziali tre serate a dieci, fino agli attuali 24 appuntamenti, con 29 pellicole e diverse serate speciali.

Partecipazione di registi, critici, autori e professionisti dei diversi mestieri del cinema, sindacalisti e studiosi, proposte di convegni, spettacoli teatrali e musicali, letture, degustazioni abbinate al soggetto dei film - come nel caso dei vini valtellinesi in occasione della presentazione del documentario di Ermanno Olmi Rupi del vino - completano l’offerta del festival.

I focus della ventesima edizione sono stati molteplici: l’esperienza del lavoro nelle carceri, con due anteprime con i registi, la questione del consumo di suolo in Italia, le condizioni dei lavoratori del comparto tessile, le ingiustizie sul lavoro.

Davvero numerose e interessanti le proposte. Un programma caratterizzato dalla presenza di opere di grandi autori che hanno da sempre indagato le relazioni tra l’uomo e il mondo del lavoro: su tutti, Ken Loach con il suo The Old Oak, Aki Kaurismaki con l’ultimo Foglie al vento e Wim Wenders con il film rivelazione della stagione Perfect Days. Sono differenti i punti di vista dai quali i registi raccontano storie che investono il tema del lavoro: l’impiegato di Zamora che in pieno boom economico deve fingersi portiere per conquistarsi i favori del nuovo titolare; la restituzione precisa e spietata di un ambito lavorativo fondamentale quale quello della scuola in La sala professori; il mobbing praticato all’Ilva nel laminatoio a freddo della Palazzina Laf; le difficoltà dell’impegno sindacale all’interno delle grandi multinazionali in La verità secondo Maureen K.

Tra gli ospiti, Antonio Albanese e Piero Guerrera, rispettivamente autore (oltre che interprete) e sceneggiatore del film Cento domeniche; i registi Marco Amenta, Massimo Zanichelli, Michele Rho, Giovanni Panozzo, Ludovico Ferro e Daniele Pignatelli. Ha chiuso la rassegna il Labour Short Award, serata dedicata ai corti con i premi del pubblico e quello della giuria, composta da studenti under 18. Una selezione di video che sanno raccontare attraverso piccole storie realtà di lavoro spesso dimenticate.

Per celebrare il ventesimo del Labour due i momenti speciali: l’esposizione della mostra di manifesti e fotografie La Cisl e le conquiste dei lavoratori dal 1950 ad oggi a cura di BiblioLavoro; la masterclass Vent’anni di cinema e lavoro: un percorso critico e filmico a cura di Cgs Rondinella.

Positiva la partecipazione, una presenza che neppure l’epidemia di Covid ha fermato. Ogni anno, sempre puntando sulla voglia delle persone di vedere cinema di qualità sul grande schermo, anche se non mancano serate particolarmente impegnative, il pubblico ci ha premiato.

Con un crescendo di interesse, oggi la rassegna prosegue il suo cammino di serietà e impegno che l’ha portata ad essere l’appuntamento nazionale più significativo e duraturo in questo ambito e uno dei più importanti nel panorama europeo.

Infine, diamo uno sguardo a chi il cinema lo realizza. La realtà che emerge è contraddittoria, con un settore vitale, con forse addirittura un eccesso di produzioni nazionali, ma una condizione dei lavoratori del settore di forte disagio. Il centro studi di Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali di Confindustria) in un rapporto di qualche tempo fa sull’impatto occupazionale ed economico dell’industria italiana del cinema e dell’audiovisivo parla di 173mila posti di lavoro, molte donne e giovani. Quasi 8.500 le imprese, con oltre quattro lavoratori in media: 61mila i posti di lavoro diretti, 112mila quelli indiretti.

Nell’ambito più propriamente artistico gli occupati sono poco più di 17mila (il 15%) attori, registi, sceneggiatori, costumisti, musicisti che si spostano da un’impresa e l’altra, anche al di fuori dell’Italia. Il resto è tutto indotto: servizi di rete, servizi ad alto contenuto di conoscenza, manifattura, servizi operativi, costruzioni, agricoltura e silvicoltura.

Il cinema infatti non è solo piccole e grandi star. Oltre ai divi che vivono sotto i riflettori, il cinema comprende una galassia di lavoratori e lavoratrici lontani dalla ribalta, di cui non parla nessuno. Sono attrezzisti, elettricisti, operatori, tecnici, sarti. Garantiscono il funzionamento di un set: senza di loro i film non ci sarebbero, ma spesso sono lavoratori precari, senza garanzia alcuna. Da tempo questi lavoratori manifestano per denunciare la persistente situazione di difficoltà e chiedere, anche alla politica, interventi concreti. E’ avvenuto anche al recente festival di Venezia, dove hanno diffuso la copia di una lettera inviata alla presidente del Consiglio e al (ex) ministro della Cultura: “Siamo lavoratrici e lavoratori del cinema e dell’audiovisivo italiano, siamo artisti, siamo tecnici, siamo maestranze e da mesi denunciamo la preoccupante situazione di stallo che affligge l’intero comparto produttivo. Dopo le manifestazioni di piazza, a Roma e in molte altre città, dopo l’intervento alla serata dei Nastri d’Argento, ci ritroviamo anche qui, all’81 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, a rappresentare le pesanti difficoltà in cui versano i 250.000 lavoratori e lavoratrici del nostro settore. Senza lavoro da mesi, con il Codice dello spettacolo rinviato, senza sostegno al reddito, senza un welfare adeguato”. Si attendono risposte.

Costantino Corbari