Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Dopo la terza media ho frequentato per tre anni l'Istituto Piero Pirelli e poi ho fatto la scuola serale di perito elettronico. I corsi della scuola Pirelli duravano undici mesi e la scuola era di otto ore al giorno. Dopo il diploma mi sono iscritto all'università di Trento ma non ho mai frequentato perché nel frattempo ero entrato nell'esecutivo del consiglio di fabbrica e non ho più avuto il tempo per studiare.
Ho
iniziato a lavorare nel 1966 a 17 anni, i primi anni come operaio qualificato
elettricista e poi come impiegato. Nel 1973 sono entrato in esecutivo, sono
rimasto fino al 1977, quando sono uscito come operatore sindacale.
Sono
stato assunto nell'officina manutenzione della gomma plastica in Bicocca. Chi
usciva dalla Piero Pirelli come elettricista mediamente aveva una
professionalità alta rispetto a chi già lavorava in azienda. Nel mio reparto di
manutenzione eravamo circa cento addetti, tutti occupati nella ricerca di
guasti elettrici su impianti e macchinari, poi si facevano anche le riparazioni
agli impianti di illuminazione, ma era un'attività secondaria. Io seguivo il
reparto di vulcanizzazione e finitura. Quando c'era un guasto i manutentori di
reparto chiamavano l'officina centrale e una nostra squadra doveva intervenire.
Nel
reparto eravamo circa quindici ragazzi provenienti dalla scuola Pirelli, che
ogni anno preparava solo otto elettricisti che venivano distribuiti in tutti
gli stabilimenti del gruppo. Nel mio anno all'officina pneumatici siamo entrati
in tre. Il caporeparto non vedeva di buon occhio i ragazzi che arrivavano dalla
scuola perché sapeva che nel giro di poco tempo si sarebbero diplomati e quindi
sarebbero andati da altre parti e lui doveva ricominciare a formare altri
operai. Mi ricordo che il primo giorno siamo stati ricevuti dal responsabile di
tutta la manutenzione di Bicocca il quale ha mandato noi elettricisti nel
reparto manutenzione pneumatici, ma quando siamo arrivati giù il responsabile,
un certo Civati, ci ha detto che non ci voleva e noi disorientati siamo tornati
dal capo il quale ci ha chiesto che cosa facevamo lì e ci ha rispediti
indietro. Dopo tre anni, prima di fare il militare, sono stato passato
impiegato e al rientro dalla caserma, dopo una breve esperienza in un reparto
di programmazione, sono stato mandato nel reparto gommatura come assistente di
manutenzione. Il mio compito era quello di valutare i guasti, non solo
elettrici, ma di ogni genere, e decidere se era sufficiente l'intervento di un
manutentore di reparto oppure chiamare l'officina di manutenzione centrale. Oltre
alla manutenzione mi occupavo di prevenzione e di altre questioni.
Nel
reparto del nerofumo i lavoratori avevano garantito il cottimo al 100%
indipendentemente dalla produzione e io dovevo inserire nelle tabelle di
lavorazione dei dati fasulli su eventuali guasti perché comunque il risultato
non sarebbe cambiato. Quelle tabelle le completavo sempre in ritardo perché
tanto sapevo che non servivano a nulla. Probabilmente c'era stato un accordo negli
anni precedenti, scritto o tacito, e la direzione lo sapeva benissimo. Nel
reparto nerofumo il lavoro era pesante, c'erano polveri e sporco e si era in
qualche modo stabilito che il cottimo fosse sempre assicurato. Chi doveva
ricevere le tabelle si arrabbiava perché non le presentavo, al che rispondevo
che poteva andare avanti col suo lavoro tanto si sapeva quale sarebbe stato il
risultato. Ma si procedeva così.
Ho
sempre lavorato di giornata. Solo nei primi anni, quando ero occupato come
elettricista, ho fatto qualche breve sostituzione nei turni di notte. Però,
quando sono entrato nell'esecutivo del consiglio di fabbrica, l'orario è
diventato molto flessibile e in aumento.
Quando
sono stato assunto l'azienda era in pieno sviluppo e le assunzioni sono proseguite
fino ai primi anni Settanta.
Sindacato
Mio
padre era rappresentante della Cisl in un'azienda metalmeccanica a Carugate e
per me è stato naturale scegliere la Cisl in Pirelli. Ho iniziato da subito a
partecipare alle iniziative sindacali aziendali, qualche volta all'uscita mi
fermavo nella sede della Cisl, poi ho cominciato a prendere parte al gruppo
giovani fino a quando, nel ‘72 o ‘73, non ricordo bene, sono stato eletto
delegato nel consiglio di fabbrica. Non so perché mi hanno votato, ma credo che
il fatto che ci fossero ben tre Maggioni delegati della Cisl mi abbia aiutato.
Pirelli
ha sempre avuto un rapporto privilegiato con la Cgil, forse semplicemente
perché la Cgil aveva il doppio dei nostri iscritti, ma mi ricordo che nel 1968
Paolo Maggioni nelle assemblee era quello che dava la linea a tutto il sindacato
in azienda. Sono subito entrato nell'esecutivo del consiglio di fabbrica in
rappresentanza degli impiegati insieme a Maiocchi e mi sono sempre occupato di
ambiente. Con me in esecutivo c'era Sergio Cofferati. Pochi giorni dopo il
voto, con Maiocchi siamo andati al Pirellone dove lavorava la gran parte degli
impiegati. Appena arrivati, il responsabile del personale, Enrico Loriga, ha
detto alla guardia che stava all'ingresso di accompagnarci da lui perché voleva
conoscermi e chiacchierando si lamentava perché pagava troppe tasse. Al che gli
ho detto che le avrei pagate volentieri io, facendolo arrabbiare moltissimo.
Quando
sono entrato in fabbrica non ero Mario Maggioni, ma il numero 3.099 e se per
caso mi fermava una guardia non mi chiedeva chi fossi, ma mi chiedeva la
medaglietta con il mio numero. In quel periodo se eri in bagno, la guardia
poteva entrare a controllare. Nel giro di qualche tempo si è avuto un
cambiamento profondo e la partecipazione dei lavoratori è cresciuta moltissimo.
Credo che la partecipazione sia cresciuta anche grazie a una serie di
trattative positive.
La
disponibilità è sempre stata alta, indipendentemente che si trattasse di
vicende legate alla vita aziendale o a temi di carattere generale. La
partecipazione degli impiegati degli uffici, invece, era scarsa mentre gli
impiegati in produzione si facevano vedere un po' di più. Però usavano molto le
ferie e i permessi per giustificare le loro assenze.
Durante
gli scioperi più volte abbiamo fatto le spazzolate, ma abbiamo sempre voluto
che in testa ai lavoratori che passavano negli uffici per fare uscire gli
impiegati ci fossero dei componenti dell'esecutivo. Il responsabile delle
relazioni sindacali in Bicocca era Busti e una volta siamo arrivati nel suo
ufficio chiedendo a lui e agli altri di abbandonare il posto. Un operaio si è
abbassato casualmente e ha visto che sotto la scrivania c'era un registratore,
acceso o spento non lo so, ma a quel punto l'ha preso e l'ha scagliato fuori
dalla finestra. Il registratore però non si è rotto perché è finito sopra una
tenda e le guardie si sono calate dalla finestra e lo hanno recuperato. C'è
stata qualche spinta, qualche calcio alle guardie, forse allo stesso Busti. Nei
giorni successivi l'azienda decise di punire gli autori di quei gesti e le
lettere di sospensione sono arrivate in modo scaglionato, ma io non l'ho
ricevuta.
Davanti
ai nostri cancelli era continua la presenza di rappresentanti dei vari gruppi
extraparlamentari, dei movimenti degli studenti. Una mattina è capitato che
venissero distribuiti contemporaneamente ben diciotto volantini diversi, ma
avevano una scarsissima presa sui lavoratori. Diverso il ruolo dei Cub, nati
all'interno dell'azienda, con i quali eravamo costretti a confrontarci. Non
sono mai stati un corpo estraneo e partecipavano alla vita del consiglio di
fabbrica e credo che sia questa la ragione del loro radicamento. Quanto abbiano
inciso è difficile dire. Sulle scelte strategiche dell'azienda ha inciso poco
anche il sindacato, ma sulle scelte della vita di tutti i giorni in azienda il
sindacato ha avuto un ruolo molto significativo e in questo caso i Cub erano
uno stimolo forte e avevano un seguito reale.
Hanno
anche condotto una vertenza da soli sulla questione della riduzione dei punti
di cottimo. Il sindacato non aveva condiviso quella scelta e la riteneva una
vertenza perdente, però il consiglio di fabbrica non si è opposto e ha lasciato
fare. La vertenza è stata condotta completamente dai Cub e alla fine non ha portato
a niente.
In
Pirelli c'è sempre stata la possibilità di confrontarsi tra di noi e sono pochi
i casi in cui è stato impossibile farlo. I militanti dei Cub all'uscita dalla
fabbrica si ritrovavano nel bar che c'era in via Nota, accanto alla sede della
Cisl, e qualche volta ci sono andato anch'io.
Un
episodio a cui non ho assistito, perché avvenuto di notte, è stato quello che
viene chiamata “la notte brava”, con un'improvvisa esplosione di violenza e
devastazioni. Il mattino successivo, quando sono entrato in azienda, ovunque
erano ben evidenti i segni di quello che era accaduto.
Credo
che il primo arrestato delle Brigate rosse fosse un lavoratore della Pirelli,
che però in azienda non era conosciuto. La sua era una presenza insignificante.
Le Brigate rosse hanno bruciato le automobili di Loriga e del capo delle
guardie della Pirelli.
Relazioni industriali
Le
relazioni industriali in Pirelli, per gli anni che ho vissuto io, erano buone
nel senso che c'era riconoscimento tra le parti. Durante il periodo in cui sono
stato in esecutivo abbiamo fatto piattaforme per tutta la fabbrica, in cui
indicavamo i problemi di ogni singolo reparto e abbiamo sempre discusso queste
piattaforme reparto per reparto. Il compito della trattativa era affidato ai
delegati di reparto che, dove necessario, erano affiancati da un componente
dell'esecutivo. Qualcuno allora diceva che la Pirelli era l'università del
sindacato, io credo non tanto per le lotte che si sono fatte, ma per il modello
di positive relazioni industriali che era stato realizzato. Quando ponevamo dei
problemi l'azienda li affrontava, c'era disponibilità a verificare le
situazioni e a discutere.
Lavorando
a cottimo era necessario confrontarsi spesso sulle tabelle per i ritmi, i tempi
e questo ha probabilmente facilitato l'abitudine al confronto, sia da parte dei
lavoratori che da parte del gruppo dirigente. Erano trattative non facili, ma
vere.
Esisteva
una scheda di valutazione degli impiegati che prevedeva un giudizio sui
lavoratori, ma anche dei capi da parte dei lavoratori stessi. Il sindacato ha
fatto una lunga trattativa per dire che la cosa avrebbe potuto andare bene però
i contenuti della scheda avrebbero dovuto essere decisi insieme, ma non si è
trovato un accordo e alla fine il sindacato ha detto che non era disponibile.
L'azienda ha deciso di proseguire per la sua strada, ma dando indicazioni ai
vari responsabili affinché all'inizio le valutazioni fossero prudentemente
favorevoli. Un giorno mi ha chiamato il mio capo dicendo che dovevamo compilare
questa scheda al che ho risposto che non l'avrei fatta. Abbiamo iniziato così a
discutere e lui mi ha assicurato che non era una scheda come quelle che Pirelli
faceva per tutti i suoi dipendenti, ma che in questo caso conteneva solo una
valutazione sul lavoro in fabbrica e non anche sui comportamenti al di fuori
dell'azienda. A quel punto il mio capo mi ha mostrato una scheda di un operaio
senza farmi vedere il nome, la sua valutazione era scarsa e nelle note c'era
scritto che, essendo un cacciatore, la moglie durante la sua assenza gli faceva
le corna e questo lo disturbava facendo sì che non rendesse sul lavoro. Si
confermava così che negli anni Sessanta, prima di assumere una persona,
l'azienda, attraverso le proprie guardie, verificava che individuo fosse, andando
a raccogliere informazioni nel paese di provenienza del lavoratore, una
consuetudine che si è persa quando il numero di assunzioni è cresciuto
notevolmente. Quando un delegato doveva entrare a far parte dell'esecutivo
certamente l'azienda raccoglieva informazioni ancora più approfondite su di lui
e in qualche caso è intervenuta chiedendo all'organizzazione sindacale di
evitare quella nomina, anche se non era una imposizione e il sindacato rimaneva
libero nelle sue scelte. Io la mia scheda non l'ho firmata e tutto è finito lì.
Contrattazione
Nel
1972 in Pirelli abbiamo firmato un accordo quadro sull'ambiente. In azienda
c'era un Centro dedicato ai temi ambientali che aveva il compito di fare i
rilievi sui fumi, sul calore, sulle polveri. I risultati però erano visti con
diffidenza dai lavoratori, anche se in quel Centro avevamo un delegato sindacale,
e questo in qualche modo limitava la nostra possibilità di azione. La prima
azione era chiedere al Centro di fare dei rilievi e sulla base dei risultati si
avviava una discussione e si interveniva su eventuali problemi. Seguivo i
reparti vulcanizzazione e nerofumo. Nella vulcanizzazione il problema era il
calore e ci siamo mossi per realizzare interventi che potessero attenuare le
temperature, anche rivedendo, dove possibile, l'organizzazione del lavoro. Nel
nerofumo il problema erano le polveri. Altra questione importante in tema di
salute era la presenza di sostanze cancerogene la cui consapevolezza non era
ancora molto diffusa. Le sostanze che si usavano nelle lavorazioni non venivano
chiamate con il loro nome reale, ma con nomi di fantasia, ad esempio nomi di
città: una miscela si faceva con 50 gr. di Genova più 50 gr. di Milano e così
via. I lavoratori non conoscevano che tipo di sostanza stavano trattando perché
sulle specifiche di lavorazione trovavano scritti quei nomi di fantasia. Grazie
alla crescita della consapevolezza, molto anche dovuto all'esterno all'azienda,
alcuni prodotti sono stati eliminati dalla produzione.
Si
lavorava su turni e quindi non c'era molto spazio per discutere di orari e flessibilità,
salvo qualche caso personale. Grande discussione c'era sempre intorno alla
questione degli straordinari e sul lavoro notturno. Qualcuno sosteneva che
avrebbero dovuto costare tantissimo di modo che l'azienda non li avrebbe più
chiesti, ma altri aggiungevano che se la paga oraria fosse stata molto alta sarebbero
stati gli stessi operai a volerli fare. Abbiamo avuto la possibilità di
togliere il turno di notte nel reparto cinturato, ma abbiamo avuto grossi problemi
con i lavoratori perché avrebbero perso la maggiorazione del lavoro notturno.
La discussione ha allungato i tempi e nel frattempo la situazione è cambiata e
quell'opportunità è stata persa.
Avevamo
un premio di produzione che era calcolato con la formula del P su H, ma non
aveva una grande incidenza sulla busta paga e credo che abbiamo fatto una sola
vertenza su questo.
Quando
nel 1973 sono iniziati i processi di ristrutturazione abbiamo trattato su tutto,
ma senza incidere molto, più che altro ritardando i processi, salvaguardando
l'occupazione con l'utilizzo degli incentivi e tutti gli ammortizzatori
disponibili senza che ci sia mai stato nessun licenziamento, un processo che è
durato fino all'inizio degli anni Novanta. Questi processi sono sempre stati
gestiti a livello nazionale, ma con la presenza dei rappresentanti sindacali
aziendali. L'esecutivo della Pirelli aveva un peso molto forte nel sindacato
nazionale.
Nel
1974 sono iniziati i prepensionamenti e in Bicocca sono uscite circa mille
persone, parte volontari con dei premi e il resto per aver aggiunto il limite
d'età. Noi ci siamo dati da fare perché i lavoratori che avevano problemi
familiari, che erano in difficoltà a rimanere a casa, non dovessero lasciare il
lavoro e, attraverso una trattativa con l'azienda, siamo riusciti a farli
rimanere in fabbrica.
In
fabbrica, spesso anche nei singoli reparti, si discuteva dell'organizzazione
del lavoro. Una questione di cui mi sono occupato, ad esempio, è stata quella
di verificare se le donne potessero svolgere alcune mansioni che abitualmente
erano affidate agli uomini. C'era chi era favorevole e chi era contrario, io ho
sostenuto che dovessimo verificare, eventualmente attraverso l'inserimento di
ausili, se questo cambiamento potesse effettivamente essere realizzato. Le
donne sono sempre state marginali nel processo produttivo, ma tutti
dimenticavano che durante il periodo bellico la produzione era affidata
esclusivamente a loro.
Welfare aziendale
Quando
sono stato assunto la Pirelli aveva ancora il cinema aziendale in viale Sarca,
c'era il gruppo di mineralogia, c'era il tiro con l'arco, c'erano gli impianti
sportivi con i tornei aziendali di calcio, c'erano le colonie per i bambini e
le terme e i fanghi per gli anziani. Tutto questo è finito all'inizio degli
anni Settanta, quando si è chiusa l'epoca del padrone papà e l'azienda non ha
più ritenuto utili quei servizi. Le colonie per i bambini però sono andate
avanti ancora per molto tempo.
Personalmente
ero contrario al mantenimento di quelle attività, anche se ho partecipato al
torneo di pallavolo tra i reparti della Bicocca, anche perché questo consentiva
di uscire due volte alla settimana dalla fabbrica per fare gli allenamenti e
conservo ancora la medaglia conquistata in quell'occasione. Le attività
sportive erano seguite dal discobolo Consolini che lavorava in Pirelli.
È
rimasto il Fas, di cui noi avevamo la vicepresidenza, era cogestito ed era
mantenuto con il versamento di una quota da parte del lavoratore e di una quota
da parte dell'azienda e offriva numerosi servizi sanitari per i lavoratori e
per i familiari a carico. Secondo me era una buona forma di welfare che proseguiva
anche quando si andava in pensione.