sabato 1 agosto 2020

CARMELA TASCONE - Cisl - Varese

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nata a Saronno il 27 maggio 1955, abita a Rovello Porro in provincia di Como. E’ stata segretaria dei tessili Cisl di Como e regionale, poi ha lasciato il sindacato e per quattro anni, dal ‘94 al ’98, è stata direttore della Fondazione San Carlo, per tornare poi alla Cisl di Varese con diversi incarichi fino alla segreteria generale. Ha collaborato con la pastorale del lavoro diocesana. Oggi è impegnata nelle Acli e in politica.

Provengo da una famiglia religiosa, più praticante mia madre che mio papà. Il mio percorso di formazione è avvenuto in oratorio e in Azione cattolica. L'oratorio l’ho frequentato per parecchi anni, partecipavo ai gruppi di Azione cattolica e sono stata impegnata a livello decanale. C'era un sacerdote che mi spingeva all’impegno sociale e mi ha fatto uscire dalla logica dell'azione solo pastorale. Poi, avendo iniziato a lavorare in fabbrica a quattordici anni e toccato con mano i problemi all'interno dell'azienda, le due cose si sono sposate.

Ho fatto l'operaia in una fabbrica tessile per dieci anni lavorando in magazzino, ma venivo spesso utilizzata per mansioni diverse. Avevo diciassette anni e, spostandomi tra i reparti, sono diventata un po' un punto di riferimento, così quando c'è stata l'elezione del consiglio di fabbrica sono stata eletta. Sono stata sollecitata ad assumermi un impegno in azienda grazie ai valori di riferimento che avevo e anche per il clima generale che si respirava in fabbrica. Ad un certo punto l'azienda mi ha proposto di passare all'ufficio acquisti, ma mi chiedevano di lasciare il consiglio di fabbrica e ho rifiutato.

Mentre lavoravo ho mantenuto un contatto diretto con il sacerdote che mi era vicino. Nel frattempo è cresciuto il rapporto con la Cisl e il sindacato. Ho iniziato a lavorare nel ‘70, sono entrata nel direttivo tessili nel 1974. In quegli anni molti della Cisl militavano anche in partiti extra parlamentari e la mia provenienza a volte mi ha causato qualche disagio. Problemi superati grazie alla reciproca conoscenza. La stima è cresciuta nel rapporto personale e anche le competenze professionali mi hanno aiutata ad andare oltre le incomprensioni.

La scelta della Cisl in fabbrica è dovuta soprattutto alla stima verso l'operatore che ci seguiva anche se sicuramente l'ambiente della mia formazione ha fatto la sua parte. In fabbrica era presente una cellula del Partito comunista e in alcuni reparti era maggioritaria la Cgil, con loro non ho mai avuto difficoltà e ci misuravamo sul consenso. Le diverse provenienze emergevano sulle questioni più ideologiche.

Mentre ero impegnata in azienda ho continuato a frequentare l'oratorio, fare catechismo e partecipare alle attività dell'Azione cattolica. I temi del lavoro però non erano quasi mai al centro dell'attenzione e venivo considerata un po’ lontana, staccata rispetto al loro mondo.

Il crescere degli impegni sindacali mi portava ad allontanarmi sempre più da quelli di carattere pastorale. In parrocchia ho cominciato ad essere criticata. Quando nel 1979 abbiamo attuato una lotta molto dura, con un picchetto forte, c’è stato un giudizio del preposto di Rovellasca molto pesante nei miei confronti e questa cosa mi ha fatto molto soffrire. Una fatica che dentro il mio mondo ho spesso vissuto, dovendomi quasi giustificare per ciò che facevo.

Mentre nel mondo del lavoro ero impegnata a sostenere il punto di vista di una credente rispetto al modo di agire, dentro la comunità cristiana qualcuno mi criticava. Nella comunità parrocchiale spaventava la mia militanza. Davano fastidio il sindacato, gli scioperi, i comunisti.

C'erano già alcune esperienze di pastorale del lavoro, si pregava in fabbrica, io ho provato anche ad avvicinarmi alla pastorale. Leggendo i documenti ufficiali della dottrina sociale della Chiesa però io mi ritrovavo molto, anche se l’idea della terza via, misurata con la concretezza della realtà, mi sembra sempre molto teorica. Però in generale quel pensiero mi faceva dire che era giusto quello che stavo facendo.

Ho letto i libri di don Milani o di figure come la Giorgio Pira, anche Simone Weil, Delbrel, Mazzolari. In queste letture trovavo una consolazione, una ragione al mio impegno. Nel sindacato ho conosciuto dei preti operai e ho partecipato a dei momenti di formazione con alcuni di loro. Tra gli operatori dei tessili, inoltre, c'erano alcuni dei ragazzi di Barbiana. L'idea che dentro la Cisl si potesse organizzare una componente caratterizzata dall’essere cristiani l’ho sempre considerata non possibile.

Ho sempre pensato che nella comunità cristiana ci dovessero essere spazi di riflessione sui temi attinenti il mondo del lavoro dove si potesse trovare il modo di crescere per poter poi confrontarsi sulle questioni di fondo con tutti. La mancanza di spazi di riflessione per potere poi dialogare con gli altri è una carenza che è tuttora presente nella comunità cristiana. Perché se hai delle idee dialoghi, se non ne hai ti chiudi.

Ho vissuto direttamente il problema del contrasto con la Chiesa sul tema del lavoro domenicale e del lavoro notturno delle donne. Ho fatto anche diversi accordi sindacali che contemplavano queste modalità di lavoro. Ricordo un accordo sindacale, che secondo me ha ottenuto dei risultati positivi, che prevedeva il lavoro domenicale e un orario settimanale di trentadue ore con quaranta assunzioni alla Saati di Appiano Gentile. Un accordo, presentato con undici assemblee di reparto fatte nello stesso giorno, che le donne hanno molto apprezzato e che prevedeva quattro giorni di lavoro e tre di riposo. Un’ottima intesa che ha trovato l'opposizione dei parroci e del mondo cattolico della zona. In quel momento non avevo più impegni di carattere pastorale e quindi non ho avuto modo di confrontarmi direttamente nella mia parrocchia su questa questione. Difficilmente comunque sarei stata chiamata a un confronto su questo tema. Con di mezzo le aziende non volevano schierarsi.

In un'altra situazione, quando in un'azienda si è posto il problema del lavoro domenicale, mentre noi stavamo facendo la trattativa, una dirigente dell'azienda, espressione del mondo cattolico, passava tra i lavoratori dicendo di rifiutare l'intesa. Il tema del lavoro domenicale si è poi generalizzato e tra le voci più critiche si è alzata quella di monsignor Ersilio Tonini, poi cardinale. Con lui ci siamo confrontati anche in un convegno.

Nel 1978 ho fatto un primo distacco sindacale e nel 1980 ho lasciato definitivamente la fabbrica per il sindacato. Il mio è stato un percorso lineare e sempre più convinto. Man mano che l'esperienza cresceva e mi accostavo ai problemi delle persone mi rendevo conto che il sindacato era fondamentale, che non era vero che se non c'era qualcuno che tutelava i tuoi interessi andavi avanti lo stesso. Questo aspetto faceva crescere in me la convinzione della bontà di un impegno.

Dopo i sei anni nel consiglio di fabbrica, sono entrata nella segreteria dei tessili di Como, poi nella segreteria regionale dei tessili, infine ho lasciato il sindacato e per quattro anni dal ‘94 al ‘98 sono stata il direttore della Fondazione San Carlo.

È stata un po' una sfida con me stessa e qualche volta mi sono chiesta se ero lì perché ci credevo davvero oppure perché non sapevo che cos’altro fare. Questa esperienza mi ha aiutato a prendere consapevolezza che il sindacato è una grande scuola.

Lasciando il sindacato mantenevo comunque un mio impegno a favore degli altri, dei più bisognosi, dei poveri e alla Fondazione San Carlo ho incrociato una realtà di immigrati senza tutele e con infiniti problemi.

Abbiamo realizzato molti interventi come il pensionato Belloni per dare un tetto a chi aveva il lavoro ma non una casa, passavo intere giornate in cantiere in via Fulvio Testi. Abbiamo sperimentato la scuola bottega, fatto esperienze di micro credito.

Questa operatività cozzava però con la mancanza di un collegamento con le ragioni del proprio agire, era come se lo facessi per me, c'era don Virginio che ogni tanto ricordava le motivazioni della nostra attività, ma erano più che altro degli spot, non c'era continuità. Il contesto era quello della diocesi guidata dal cardinale Martini, tuttavia le motivazioni di quell'impegno arrivavano in gran parte dalle esperienze e dalla formazione personale, non c'erano momenti organici di arricchimento.

Dopo quattro anni sono tornata a Busto Arsizio, ho fatto il segretario generale dei tessili della zona e poi dei tessili chimici, quindi nel 2004 sono entrata in segreteria della Cisl di Varese e quindi sono stata eletta segretario generale dal 2006 al 2014.

Quando ho lasciato definitivamente il sindacato, e non è stata una passeggiata, mi sono trovata dalla sera alla mattina senza un’attività precisa. Avevo però l'esigenza di continuare a impegnarmi in un ambito che mi portasse vicino ai bisogni delle persone. Le Acli mi hanno subito catturata e siccome la loro proposta era in continuità con quello che avevo sempre fatto ho accettato e ho iniziato a collaborare come volontaria nel patronato Acli a Saronno.

Ora sono nella presidenza provinciale delle Acli di Varese e presidente di zona e per quattro anni sono stata impegnata nella pastorale del lavoro diocesana. Mi sono anche candidata a sindaco ma avendo perso le elezioni guido l'opposizione.

Mentre ero in Cisl a Varese tutte le settimane praticamente ero invitata in qualche parrocchia, eravamo in piena crisi, il lavoro mancava ed era tornata un po’ di attenzione dei parroci, ma col superamento dei momenti più difficili e l'avvio alla ripresa l'attenzione è andata via via scemando.

Dal punto di vista più strettamente ecclesiale il cambiamento che si nota nei ragionamenti credo sia dovuto essenzialmente al Papa, perché sulla dignità del lavoro Papa Francesco torna più volte, anche se più in chiave planetaria. Non perde occasione per riaffermare il tema del lavoro e della giustizia. Il problema vero è che queste riflessioni rimangono lì e non si trasferiscono a livello della Chiesa locale. Una diocesi come la nostra dovrebbe avere ben altro impegno sul tema del lavoro, mentre oggi abbiamo una serie di momenti separati. E’ la politica del prezzemolo. Manca una lettura della pastorale del lavoro di cosa sia oggi il mondo del lavoro anche in Lombardia, siamo rimasti alla giornata della solidarietà, alla veglia.

Le motivazioni dal punto di vista cristiano sono quelle che danno fondamento e che alimentano il pensiero. I cattolici presenti nella realtà sociale oggi che pensiero esprimono? Credo ci sia bisogno di tornare a riflettere sulla centralità della persona in un mondo del lavoro come quello attuale, però questo non si può fare a slogan o con reazioni di pancia. Chi lo può fare oggi?