sabato 18 luglio 2020

GRAZIANO RESTEGHINI - Cisl - Varese

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato il 25 maggio 1958 a Varese, abita ad Arcisate dove ha sempre vissuto. Nel 1979 è entrato in Aermacchi e lavora ancora lì. Impegnato nel sindacato in azienda in modo continuativo tranne il periodo in cui ha fatto il segretario della Fim fuori dalla fabbrica. 

Sono il quarto di sei figli maschi. I miei genitori vivevano a Milano e sono sfollati ad Arcisate durante la guerra. Lì ho frequentato la parrocchia e l'oratorio fino all'età di quattordici, quindici anni. Poi ho fatto un periodo di volontariato all'interno di una comunità sorta in paese che si occupava soprattutto dei bambini della scuola speciale. Inizialmente li seguivamo la domenica pomeriggio poi abbiamo organizzato una vacanza estiva e quindi creato una vera e propria comunità. Abbiamo ristrutturato uno stabile che era stato donato al Comune, facendolo diventare la nostra sede. Ci chiamavamo Gruppo biblico ed eravamo animati da un professore che aveva raccolto le sensibilità sociali di persone eterogenee che provenivano dalla tradizione cattolica oltre che da esperienze politiche marcatamente socialiste o comuniste. Ci si trovava senza particolari problemi. La nostra azione, però, faticava a essere accolta dentro la parrocchia. È stata sicuramente una delle esperienze che mi ha formato di più e ha reso ancora più grande la mia sensibilità sociale che era nata nella famiglia, si era strutturata in oratorio ma che in questa esperienza ha avuto il suo culmine.
Dopo il servizio militare, nel 1979 sono entrato in Aermacchi, lavoro ancora lì. Il mio impegno sindacale in azienda è stato continuativo tranne il periodo in cui ho fatto il segretario della Fim fuori dalla fabbrica. Appena arrivato mi sono iscritto alla Flm, mi sembrava un po' come la mia comunità, c'erano persone che provenivano da mondi diversi.
Mi interessavano le pubblicazioni del sindacato, mi ricordo in particolare Lettera Fim che era per me un riferimento anche culturale non solo di carattere sindacale. Uno strumento che mi ha aiutato molto, attraverso i vari contributi che pubblicava, a farmi un'opinione più approfondita.
In azienda era attivo un gruppo della pastorale del lavoro e lì ho conosciuto don Giuseppe Noli, un sacerdote che oggi è in Niger e allora seguiva la pastorale nel decanato di Varese. Una delle persone che mi ha aiutato di più a discernere, a capire e a strutturare il mio impegno sindacale. Con don Noli ci trovavamo una volta alla settimana, il mercoledì, insieme un gruppo di impiegati e operai, giovani e anziani. Un gruppo vivo che si interrogava sulle questioni legate sia alla politica che alla vita del sindacato dentro la fabbrica e fuori. Si iniziava con la preghiera. Un'esperienza che mi manca molto. Con il trasferimento dell'azienda e i conseguenti problemi di trasporto, con l'andata in pensione di qualcuno o l'uscita di altri, non abbiamo più potuto continuare.
Un paio d'anni dopo che don Giuseppe è andato in Perù, abbiamo avuto la fortuna dell’arrivo di don Cesare Villa, anch’egli responsabile della pastorale del lavoro della zona di Varese, che aveva concluso la sua esperienza a Sesto San Giovanni.
Io sentivo molto vicino l'insegnamento della Chiesa sui temi del lavoro e dell'impegno sociale, ma facevo fatica a viverlo dentro la mia comunità. Con il matrimonio, mia moglie mi ha aiutato ad affrontare più pacatamente questa mia difficoltà di rapporto nella parrocchia. Ancora oggi mi accorgo di quante siano nella comunità le ambiguità, anche se ora siamo maggiormente richiamati a prestare attenzione a chi ha bisogno. Un tempo, quando in occasione della giornata della solidarietà il parroco ci faceva fare un intervento alla fine della messa, mi accorgevo che la gente mi guardava come un comunista di sacrestia.
Il primo insegnamento che ho appreso frequentando la pastorale lavoro era che noi avremmo dovuto portare la tuta in chiesa e la veste battesimale nei luoghi di lavoro. Nella realtà c’è una separazione profonda tra vita religiosa e vita sociale. Non si riesce a far diventare l'elemento religioso una costante della nostra vita, sembra troppo difficile. C'è una citazione significativa di Paul Claudel: “Parla di Cristo solo quando ti viene chiesto, ma vivi in modo tale che ti si chieda di Cristo”. Oggi ci sono persone che fanno dell'essere cristiano una bandiera e creano divisione. C'è una parte della Chiesa che guarda solo alla forma.
Fortunatamente ci sono invece persone che riescono nella loro vita a essere un segno. Ma resta la difficoltà a tradurre nella quotidianità la pastorale di papa Francesco che va a pregare sulla tomba di don Milani, Mazzolari, Tonino Bello che sono stati considerati tre sacerdoti di rottura, quasi eretici. Si stanno inaridendo tante realtà. Non è solo incoerenza, è l’incapacità a tradurre in pratica il messaggio. E più che responsabilità del parroco è responsabilità del laico che chiede al sacerdote di limitarsi a spiegare il Vangelo mentre a tutto il resto pensa lui.
Il fatto di essere riconosciuto come credente non ha mai creato incomprensioni o problemi sul luogo di lavoro, ma semmai delle situazioni curiose. Hanno tentato di buttarmi addosso il lenzuolo del cattolico moderato, ma questa cosa non ha funzionato anche perché io mi sono sempre esposto rispetto al compito che mi era stato assegnato dai miei compagni di lavoro.
Ho avuto più problemi dentro la Cisl, prima quando Sergio D’Antoni ha tentato l'esperienza del "cristianamente ispirato" che è diventato quasi un elemento di rottura dentro l'organizzazione. In quell'occasione ho ribadito che l'idea fondativa della Cisl non era quella di fare una Cgil bianca ma un sindacato nuovo. Questa cosa mi ha creato molto imbarazzo perché i principi devono essere giocati in termini di proposte e non in termini di facciata, nella formazione e non solo nella bandiera. Invece il tentativo di Raffaele Bonanni di dare vita a un Forum delle associazioni e delle persone di ispirazione cattolica l'ho criticato aspramente.
Sono stato iscritto al circolo Acli di Arcisate e mi hanno anche chiesto di assumere l'incarico di presidente, cosa che ho fatto per un anno, ma lo ricordo come un periodo complicato da questioni amministrative in una realtà che non era particolarmente brillante.
Ho collaborato con la pastorale del lavoro diocesana prima con don Angelo Sala e poi con don Raffaello Ciccone. Per me don Raffaello è stato molto importante, siamo diventati amici. Una persona che mi ha aiutato molto più di tanti libri. Oggi, insieme a qualche amico, stiamo dando una mano a don Walter Magnoni il cui lavoro, dopo la scomparsa di don Raffaello e di Lorenzo Cantù, è stato reso anche più difficile dalla ristrutturazione dell’ufficio con l'assegnazione alla pastorale anche delle attività relative alla politica.
La pastorale del lavoro è nata con Montini arcivescovo e le scelte del pastore hanno orientato la sua attività. Io la vivo come un fiume che continua il suo cammino. Rileggere il lavoro all'interno di un discorso di fede, di valore e di rispetto delle persone, nei luoghi dove il lavoro si svolge, è l'elemento su cui occorre impegnarsi.
Oggi il problema è quello di legare i momenti di riflessione e di proposta, che ci sono, con la traduzione operativa perché abbiamo una grande fetta di clero che ha un'idea del lavoro che è ancora quella di quando c'erano le grandi fabbriche di Sesto San Giovanni. In verità ci sono processi di trasformazione velocissimi e bisogna ugualmente far capire alle persone che ci sono dei valori che devono sempre essere tenuti presenti, che non ci si deve fare sopraffare dall’agire quotidiano.
L'elaborazione è attuale e attenta, deve però tradursi in scelte di pastorale operativa. Gli oratori devono cambiare, devono diventare un luogo di incontro tra le generazioni, dove si impara a tirare fuori il buono che c'è in ogni persona e ad aiutare a guardare gli altri con occhio diverso. Dove si intercettano i bisogni delle persone così come avviene per il sindacato in fabbrica. Non è uno sguardo nostalgico bensì un guardare al futuro.