Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono nato il 22 febbraio 1952 a Clusone, in provincia di Bergamo, e abito a Milano dall'età di sei anni. Sono diplomato ragioniere. Eravamo quattro figli, tre sorelle e io, l'ultimo dei quattro, l'unico della famiglia che ha potuto studiare. Mio padre faceva il calzolaio, mia madre la casalinga. La famiglia era cattolica, con il papà che simpatizzava per i socialisti. Ho iniziato a lavorare in nero come garzone in un negozio di scarpe, di pomeriggio, mentre ancora andavo a scuola, e facevo le consegne a domicilio.
Il
mio primo lavoro regolare ha coinciso con l'assunzione in banca l'8 novembre
1971. Nel giro di un mese dopo la maturità mi hanno chiamato cinque o sei
banche e tra queste il Banco di Napoli che poi mi ha assunto. Attraverso vari
cambiamenti il Banco è diventato Banca Intesa. Sono rimasto lì per 41 anni e
sono andato in pensione l’1 novembre 2012.
Il
luogo di lavoro era in centro a Milano, in piazza Cordusio, la mia prima
mansione era quella di compilare a mano gli assegni circolari per la Polizia di
Stato.
Avevo
una certa passione per il sociale, nato in parte in famiglia ma soprattutto nella
scuola, ero attento a quello che accadeva intorno a me e mi sono iscritto al
sindacato. In quel momento si parlava di sindacato unitario per cui, senza
saperlo, mi sono trovato iscritto alla Cgil. Avevo aderito compilando una
scheda su cui c'erano le tre sigle, ma la crocetta su una delle tre la metteva
il commissario interno. Sono rimasto iscritto alla Cgil per un anno e mezzo
fino a quando il delegato della Cisl, ascoltando i miei interventi in assemblea,
mi ha chiesto come mai fossi iscritto alla Cgil e in commissione interna ha concordato
il mio passaggio alla Cisl. Dall'inizio del 1973 sono diventato Cisl e lo sono
ancora oggi. Politicamente facevo riferimento alla Democrazia cristiana e sono
sempre stato legato a questo mondo, ma non ho mai fatto attività politica.
Ho
avuto la fortuna di entrare in banca un anno dopo l'introduzione della legge
300, la nostra categoria oltre a ciò che era garantito dallo Statuto dei lavoratori
aveva degli accordi che assicuravano le libertà sindacale, per cui c'era una
forte attività in azienda. In quegli anni avevamo un grande successo con i
lavoratori che si iscrivevano perché facevamo le cause per il riconoscimento
delle mansioni e riuscimmo portare a casa un sacco di passaggi di categoria.
Era un periodo positivo, c'era entusiasmo e mi ricordo i primi rinnovi
contrattuali in cui la categoria iniziava ad uscire dalle logiche corporative
per diventare sempre più sindacato confederale, in particolare la Cisl. Ma in
quegli anni tutta la categoria iniziava ad aprirsi al mondo del lavoro nel suo
complesso, anche affrontando nuove sfide, perché nel frattempo le banche iniziavano
a cambiare e si facevano moltissime assunzioni perché c'era la novità
dell'informatica. Il Banco di Napoli aveva uno dei più grandi centri di elaborazione
dati d'Europa, con ottocento addetti, che si trovava a Napoli. Quando ho
iniziato a impegnarmi nel sindacato si cominciava a uscire da un modello
organizzativo molto standardizzato e molto segmentato dal punto di vista delle
mansioni e con l'informatica si iniziava a cambiare modo di lavorare e
affrontavamo questi cambiamenti. Cambiava anche l'orario di lavoro, si iniziavano
ad aprire gli sportelli anche di pomeriggio. Prima era quasi impossibile, perché
c'era il problema delle chiusure: al mattino si facevano le operazioni e al
pomeriggio bisognava fare le chiusure contabili. Con l'informatizzazione questo
processo era molto più rapido e si iniziò ad aprire un'ora e un quarto il
pomeriggio.
Il
sindacato era restio ad accettare questo cambiamento, i lavoratori erano
contrari. Furono però le sigle sindacali confederali a far passare il
cambiamento perché i processi produttivi stavano cambiando e serviva maggiore
flessibilità. Quello della modifica dell'orario di lavoro fu un tema di grande
tensione. Cambio di mansioni e orario di lavoro furono le questioni più
importanti di cui ci si occupava, non avevamo problemi di salario se non più
avanti quando si pose il problema dell'eliminazione della nostra scala mobile
anomala. Quella fu occasione di uno scontro fortissimo dentro la categoria,
anche perché ci fu una riduzione assai forte dei nostri stipendi, perché
l'aumento dell'inflazione andava a incidere su tutte le voci della busta paga.
In quell'occasione i sindacati autonomi ebbero particolare successo perché noi
andavamo a dire ai lavoratori che dovevano rinunciare a una parte del loro
salario.
Il
sindacato autonomo Fabi aveva una presenza diffusa, nelle banche di diritto
pubblico era forte la Cgil, la Cisl era organizzata soprattutto nelle banche
popolari, in quelle di credito cooperativo, nelle banche locali in genere. Nel
tempo la Cisl ha guadagnato posizioni riuscendo per un certo periodo a
diventare il primo sindacato del settore, coniugando il pragmatismo di una
categoria abbastanza corporativa con le esigenze di nuova confederalità e di
uno sguardo più aperto sul mondo del lavoro.
Il
mio primo contatto con il sindacato è avvenuto nel dicembre del 1972. In occasione
del Natale avevo visto che in azienda era pieno di panettoni, regali, cose
natalizie e mi sembrava che mancasse il senso, il valore del Natale per cui
andai dal capo del personale a chiedergli se si poteva celebrare una messa. Il
capo del personale mi disse che nei locali della banca non si poteva e mi suggerì
di provare a chiedere nei locali del circolo aziendale. Allora andai dal
presidente del circolo che mi disse di sì, però aggiunse che bisognava
chiederlo ai sindacati. Allora andai in commissione interna dove c'erano i
rappresentanti di Cgil-Cisl-Uil e feci di nuovo la richiesta. Quello della Cisl
era assolutamente favorevole - e fu lì tra l'altro che mi chiese come facevo a
essere iscritto alla Cgil - e dopo una discussione consentirono la celebrazione
della messa. Dopo qualche tempo il capo del personale, che era cattolico, mi
chiamò e mi sgridò perché mi disse che se il circolo aziendale consentiva di
celebrare la messa nei suoi locali allora anche i comunisti avrebbero potuto
chiedere di fare delle loro manifestazioni. A me sembrava giusto, gli dissi.
Quello fu il primo contatto con i sindacati e capii che il sindacato
nell'ambiente di lavoro, nel governo del potere, nelle relazioni tra le
persone, contava e mi sono detto che forse stare nel sindacato poteva essere
utile. In quel momento avevo in mente di fare altro, correvo in bicicletta e
quando sono stato assunto in banca uscivo tutte le sere alle cinque, andavo a
casa in Porta Venezia e un giorno sì e uno no saltavo in bicicletta, con la pila
in tasca perché tornavo alle dieci di sera, e andavo a fare il Ghisallo, fare
salite, almeno 120, 130 km. Il sabato e la domenica andavo a correre. Non sono
riuscito a diventare un professionista, però sono diventato il campione italiano
di ciclismo dei bancari.
Il
Banco di Napoli era una banca molto sindacalizzata con il problema, in più
rispetto alle altre banche, dei trasferimenti del personale. Le assunzioni,
essendo una banca di diritto pubblico, avvenivano solo per concorso ed essendo
la sede a Napoli molti dei nuovi assunti venivano dal sud, erano assegnati al nord,
ma con l'aspettativa di rientrare al sud. In conseguenza di questa aspettativa erano
tutte persone molto legate al sindacato, perché il sindacato rispetto a questi
trasferimenti contava. C'era quindi una buona partecipazione. Mi ricordo
picchetti, manifestazioni, presenze davanti alla banca molto vivaci, più che le
altre banche. C'era un abisso tra noi e la Cariplo. Cariplo era difficile che scioperasse,
noi ci siamo presi anche una denuncia per blocco stradale. Una partecipazione
che si manifestava anche nelle lotte e negli scioperi di carattere generale,
non solo in quelli aziendali. Una delle prime manifestazioni a cui ho
partecipato è stata un’iniziativa confederale a Torino mentre ero ancora
iscritto alla Cgil.
Sono
uscito in distacco sindacale a tempo pieno nel 1981, prima facevo un'attività a
tempo parziale, ero rappresentante in azienda e nel sindacato mi occupavo di
formazione. Avevamo ancora le commissioni interne e questo sistema venne messo
in discussione solo dopo la rottura dell'unità sindacale, quando si
costituirono le sezioni aziendali sindacali, le Sas. E io sono diventato
segretario della sezione sindacale. Avevamo fatto i consigli dei delegati, ma
questi avevano solo un valore politico perché contrattualmente erano
riconosciute solo le Sas.
Ho
iniziato a lavorare quando si stava costruendo il processo unitario e la Fib
fece addirittura il congresso di scioglimento salvo poi, pochi giorni dopo,
indire un nuovo congresso per la ricostituzione. La delega unitaria è finita
quasi subito, tra il ‘71 e il ‘73.
Partecipavo
alla vita della Cisl, la Fib era molto legata alla confederazione, ma non
c'erano particolari iniziative condivise con le altre categorie, prendevo parte
ai consigli generali e alle attività formative, in particolare a Loano, ma
niente di più. Ad uno dei primi corsi di formazione cui ho partecipato a Loano
un relatore era Sandro Antoniazzi.
La
nostra sede nel 1971 era in via Meravigli, poi ci siamo spostati in via del Don
e quando sono diventato segretario generale della Fiba di Milano ho portato la
sede in via Tadino. Nel 1981 abbiamo iniziato il processo di accorpamento con
gli assicurativi che si è concluso nel 1985. Sono entrato in segreteria provinciale
nel 1981 e nel 1985 sono diventato segretario generale lombardo, avevo 29 anni.
Nel 1989 sono tornato a Milano come segretario generale della Fiba territoriale,
un passo indietro fatto perché nel 1988 ho rifiutato di andare a Roma. Nel 1995
sono entrato in segreteria provinciale della Cisl e sono rimasto fino al 2007.
In
azienda c'era una presenza di gruppi extraparlamentari non in grande misura,
perché i criteri di selezione da questo punto di vista erano molto stringenti.
Erano presenze che non incidevano sull'iniziativa sindacale, erano vivaci e
molto visibili nelle assemblee e nelle manifestazioni. Nella nostra portineria
trovammo dei volantini delle Brigate rosse che poi denunciamo alla Polizia.
Le
donne fino a un certo punto hanno avuto l'obbligo di mettere il grembiule, ma
già da qualche anno prima della mia assunzione questo non era più in uso e si
raggiunse la parità salariale. Nei rinnovi contrattuali puntammo molto sugli
scatti di anzianità per favorire elementi di egualitarismo, inoltre a tutti
veniva garantito un certo percorso attraverso gli scatti automatici di
carriera. La distinzione di ruolo nasceva da capo ufficio in poi. Quando sono
stato assunto le donne non erano molte nelle banche, ma al Banco di Napoli,
dove le assunzioni avvenivano per concorso pubblico, le donne erano di più
perché erano più brave. Queste donne erano molto attive sui temi che le
riguardavano direttamente. Quando nella società si proponeva la questione del
femminismo, c'erano anche delegate sindacali.
Quando
la Cisl si è divisa sull'unità sindacale, a Milano tutta la mia federazione era
con Carniti. Pur avendo all'interno una maggioranza di democristiani, avevamo
un'idea di sindacato autonomo. Dentro la categoria questa vicenda non provocò
particolari tensioni e anzi in questo modo noi recuperammo una componente di
extraparlamentari che avevamo al nostro interno. Il fatto che fossimo di
cultura cattolica, ma orientati su Carniti bloccò le velleità di quei gruppi.
In azienda era un tema che coinvolgeva essenzialmente i delegati più sensibili,
non ricordo di aver fatto un'assemblea degli iscritti Cisl su questa questione.
Non
abbiamo mai avuto operatori esterni, con il rischio che fossero vissuti come
estranei. Nella categoria i dirigenti erano tutti dei bancari che utilizzavano
la legge 300 e gli accordi sui permessi, il rapporto era sempre con dipendenti
dell'azienda e quindi si misuravano sul comportamento, nel quotidiano.
I
lavoratori si fidavano di me come persona, c'era una fiducia personale
addirittura indipendentemente dal fatto di essere iscritto a una sigla o
all'altra. C'erano ovviamente gli orientamenti, ma questi non sempre contavano
nelle relazioni sul posto di lavoro. Essere serio, un bravo lavoratore veniva
molto apprezzato dai colleghi. Quando sono entrato al Banco di Napoli la Cisl
aveva 43 iscritti su seicento, quando sono uscito ne aveva cento.
La
Cisl aveva un forte vantaggio che era quello di avere sensibilità sui temi di
carattere generale, ma anche la capacità di fare in modo pragmatico il
sindacato di categoria. In quegli anni il nostro punto di forza era che la Cgil
si era spostata tutta sulla politica, trascurando un presidio contrattuale
aziendale, in un mondo molto caratterizzato dalla contrattazione di secondo
livello. La Fabi, sindacato autonomo, era sbilanciata sull'altro lato. Mi
ricordo il segretario dei bancari della Cgil, Gianni Bombaci, che mi diceva che
noi eravamo un sindacato anomalo, ma gli davamo fastidio perché riuscivamo a
stare sul carro del sociale e allo stesso tempo presidiavamo l'area più
contrattualista e pragmatica. In quegli anni la posizione della Cisl attenta
alle questioni generali, ma presente sulle questioni aziendali, ha avuto un
ruolo significativo perché ci ha posto come alternativa tra il tutto politico
della Cgil e il tutto aziendale della Fabi. Non è un caso che alla fine di
questo percorso la Fiba è diventata il primo sindacato di categoria, poi negli
anni più recenti a causa delle difficoltà delle grandi riconversioni abbiamo
perso qualche colpo. La cultura della Cisl in quegli anni rispondeva meglio ai
bisogni che i lavoratori esprimevano.
La
Fiba nella categoria è sempre stata il sindacato trainante sul versante delle
innovazioni e questo deriva certamente dallo stare dentro la Cisl. Abbiamo
saputo interpretare il cambiamento in occasione dei rinnovi contrattuali, a
volte assumendo anche posizioni scomode che gli altri non avevano il coraggio
di prendere. A volte non firmava la Cgil, a volte non firmava la Fabi, la Cisl
ha sempre avuto il coraggio di decidere e di scegliere e a me questo modo di
operare piace, a volte meglio rischiare che stare fermi.
Nel
periodo dei governi di solidarietà nazionale il grande dibattito che avevamo
era quello intorno ai governi amici e come Cisl non eravamo molto convinti.
Siccome avevamo la cultura della controparte e non del governo nemico
guardavamo con un certo sospetto quest'esperienza. Ricordo in particolare un
grande dibattito con gli amici socialisti della Uil e della Cgil che spingevano
su alcune questioni con la cultura del governo amico e volevano che si
chiudessero gli occhi su alcune situazioni. Io ero democristiano e gli scioperi
li ho sempre fatti contro governi democristiani, poi più tardi ho avuto anche
la soddisfazione di fare scioperi contro governi che non avevo votato, ma in
quegli anni erano governi espressione del partito che sostenevo. Mi ricordo la
discussione che si apriva in azienda quando veniva nominato un dirigente che
veniva dalla sinistra e si dovesse dargli del credito solo per questa ragione. A
noi della Cisl questo approccio non ha mai convinto. Dentro il Banco di Napoli
a Milano era la Cgil che aveva rapporti più stretti con la dirigenza, noi
eravamo un po' orfani. Diversa era la situazione nella sede centrale di Napoli.
Io ho sempre giudicato molto sul merito, un metodo che ho utilizzato per
valutare le scelte politiche e sindacali, ma anche le persone. Secondo me la
Cisl è un'organizzazione sindacale nella quale non vige la regola del
pregiudizio a priori. Ho imparato dalla Cisl ad andare a vedere le cose per
come sono.
In
quegli anni si iniziava a restituire e i governi di solidarietà nazionale hanno
favorito atteggiamenti molto più disponibili rispetto a politiche di sacrificio.
Probabilmente sarebbe stato comunque inevitabile fare un percorso che ha
portato alla trasformazione del settore e della categoria, però il fatto di
essere meno forti nel contrastare certe posizioni, e disponibili nel chiudere
un occhio, certamente era conseguenza anche del nuovo clima politico. Ricordo
ad esempio che in occasione dell'introduzione del badge io ero contrario mentre
quelli della Cgil lo sostenevano. C'era il governo amico, il capo del personale
a Napoli era fratello di Bombaci e quindi doveva essere amico per forza e io
ero contrario. Loro erano a favore a prescindere, io ero contrario, magari
perché sbagliavo il criterio di valutazione, ma non perché era amico o nemico
chi lo voleva proporre. Concretamente ero contrario al badge perché lo volevano
mettere a Milano e non a Napoli.
Sul
primo accordo di concertazione ero scettico, poi mi convinsero. In occasione del
famoso accordo di luglio ero segretario della Cisl di Milano e non ero
favorevole e tra l'altro, io che non potevo certo essere considerato uomo di
sinistra, ero schierato con alcune categorie tradizionalmente a sinistra della
Cisl. Mi sembrava di andare a giocare su un campo che non era il nostro, dove
altri erano più attrezzati di noi, dimenticando di presidiare l'azione
contrattuale.
Negli
anni Settanta può essere sembrato che la Cisl abbandonasse le ragioni ideali
dell'origine, ma questo è vero secondo me solo in un alcune manifestazioni,
perché dentro il corpo dell'organizzazione, nel modo di operare, nel
quotidiano, nel fare i contratti la cultura della Cisl non si è mai persa. È
come se in vetrina la Cisl avesse messo nuovi prodotti, ma dentro il negozio ci
fossero ancora dirigenti che curavano il particolare, che seguivano l'iscritto,
che facevano contratti. Nei corsi di formazione io dicevo che la Cisl doveva
fare gli iscritti non fare proselitismo, poi mi spiegavano che era importante,
ma io sostenevo che uno doveva aderire alla Cisl. Questo approccio non
l'abbiamo mai perso.
L'impegno
nel sindacato è stato un'esperienza che mi ha consentito di stare nel mondo del
lavoro come persona, di non lasciare fuori dalla porta nel tempo del lavoro la
mia personalità, il mio pensare, i miei sentimenti. L'esperienza sindacale mi ha
aiutato a stare nel percorso lavorativo non mutilato. È stata un'esperienza
forte, positiva. Poi, se sono stato utile anche agli altri nelle vicende
contrattuali, nella tutela dei lavoratori, sono ben contento e qualcosa credo
di aver fatto. E’ stato un percorso impegnativo, anche con delle difficoltà, in
particolare negli anni trascorsi nell'Unione sindacale, perché non sempre valeva
la regola del non pregiudizio. Il mio modo di stare nel sindacato, i miei
valori, la mia esperienza personale anche di fede, qualche volta hanno dovuto
fare i conti con delle preclusioni, ma questo fa parte dei limiti di ogni
azione umana. Ma se penso all'esperienza della Cisl mi vengono in mente i volti
che ho incontrato in categoria, molti di questi oggi non ci sono più. Ho
conosciuto dei maestri che mi hanno aiutato a fare il sindacato ma anche ad
avere uno sguardo sull'umano e sulla realtà. Io sono molto contento di essere
stato dentro la Cisl, una grande esperienza che rifarei.