venerdì 5 giugno 2020

PINUCCIA GAZZANIGA - Innocenti - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “I motori di Milano. Tute blu per il secolo veloce”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2013

Sono nata a Voghera, in provincia di Pavia, il 13 luglio 1947. Dopo le commerciali ho frequentato la scuola di segretariato d’azienda e poi ho smesso di studiare perché i miei avevano bisogno che lavorassi. Compiuti i 18 anni, sono stata occupata per un anno e mezzo in un’azienda a Casteggio, ero impiegata nel settore amministrativo e aiutavo a fare gli stipendi. Pur essendo una ditta abbastanza grande, era molto paternalista. C’era un rapporto troppo soffocante con il padrone, pertanto ho cercato un lavoro che mi consentisse di fare un’esperienza diversa, che mi aprisse altri orizzonti e così nel 1967 sono venuta a Milano.

A Milano c’era mia sorella che lavorava già qui e con me c’era anche una cugina che ha la mia stessa età, e abitavamo tutte insieme. L’impatto con la città non mi ha creato particolari problemi, è stato stimolante. A Milano avevamo degli amici e avevamo una buona vita di relazioni.
Non ho invece molto frequentato i miei colleghi di lavoro. Erano due mondi separati, anzi tre, perché ho mantenuto anche rapporti con i mie amici giù in campagna, dove c’era la mia famiglia.

Avevo 20 anni e ho trovato posto alla Innocenti, dove sono entrata dopo una prova di stenodattilo. Sono stata assunta nel settore amministrativo come segretaria del capoufficio del settore dove si recuperavano i crediti. Emettevamo e mandavamo all’incasso le cambiali che in quel periodo si riferivano alle vendite della Lambretta. Quando le cambiali non venivano pagate ci attivavamo per cercare di recuperare i crediti.
L’azienda era come una città, era impressionante vedere la marea di persone che lasciava la fabbrica, soprattutto la sera.
Per me arrivare a Milano ed entrare in una grande fabbrica voleva dire innanzitutto lavoro sicuro, perché ero occupata in uno stabilimento che in quel momento aveva 4.500 dipendenti. Dopo la Fiat era forse l’azienda più grande di Milano. Quando sono stata assunta c’erano ancora la meccanica, la Lambretta e anche l’automobile. La sicurezza del posto poi non si è concretizzata, ma allora non c’erano preoccupazioni di quel genere. Per me era un aprirsi rispetto ad una dimensione molto provinciale da cui provenivo. Per me l’Innocenti è stata un’ottima scuola di vita e di partecipazione. Lì ho scoperto l’impegno sindacale, ho imparato a capire cosa succedeva in politica, mi ha aperto la mente, mi ha fatto crescere. Probabilmente se non ci fosse stata l’Innocenti, per come sono fatta io, sarei stata molto competitiva, avrei lavorato e fatto carriera, invece grazie ad un’esperienza più vicina al mondo del lavoro, al mondo operaio, ho acquisito dei valori differenti.

In ufficio eravamo una ventina di impiegati e lì ho conosciuto Renzo Oriani, rappresentante Cisl, perché lavorava in quel reparto. E’ stato lui che mi ha stimolata ad occuparmi delle condizioni di lavoro, capire come si lavorava, quali erano i problemi della fabbrica.

Arrivando da un piccolo paese dell’Oltrepò non avevo una cultura sindacale. Prima di prendere parte ad un’assemblea ho resistito un poco, poi ho iniziato a partecipare e a poco a poco è sorto in me l’interessa e quindi anche l’impegno personale nel sindacato.
Mia mamma ha molto sofferto le mie partecipazioni alle manifestazioni. Ho visto mia mamma piangere quando ha saputo che andavo alle manifestazioni, quando sentiva che c’erano dei disordini. In occasione della strage di Piazza Fontana lei era molto preoccupata. E devo dire che a me dispiaceva per lei, però erano scelte che avevo fatto e non sono tornata indietro.

Sono rimasta a lavorare nel settore recupero crediti fino al 1972, poi con la dismissione della Lambretta agli indiani sono stata trasferita a Città studi, nel palazzo uffici, dove curavamo la parte commerciale. Questo fino all’occupazione del 1975, dopo di che non sono più stata richiamata perché nel frattempo ero stata eletta delegata degli impiegati e probabilmente ero diventata un po’ scomoda, pur non facendo io nulla di particolare e non avendo un ruolo particolarmente significativo. I leader sindacali per la Cisl erano Oriani, Marino Gamba e .... Mariot.
Il consiglio di fabbrica aveva un esecutivo composto da un numero limitato di membri che costituivano la delegazione che manteneva i rapporti con la direzione. Io non ho mai fatto parte dell’esecutivo.
Prima della crisi e dell’occupazione le relazioni con la proprietà erano di normale conflittualità, ma senza nessun particolare problema.
Alla ripresa del lavoro, dopo l’occupazione dello stabilimento, sono stata tra coloro che sono andati in cassa integrazione dal 1975 al 1976, però tutte le mattine andavo in fabbrica. C’erano le manifestazioni, frequentavo le diverse iniziative, partecipavo alle riunioni del consiglio di fabbrica, a quelle sindacali, ho iniziato a dare una mano alla Fim, fino a quando mi è stata offerta la possibilità di entrare nell’apparto della Flm di Milano come impiegata della Fim all’interno della Federazione unitaria. Anche in quel caso mi occupavo di amministrazione e di stipendi. Nel sindacato mi sono sempre occupata di questo.
Ufficialmente sono stata collocata in aspettativa sindacale dal primo di luglio del 1979 quando è stata costituita la Flm regionale. Sono stata licenziata ufficialmente nel 1982, ero una delle ultime.

I rapporti personali e anche di lavoro con i miei colleghi in ufficio sono sempre stati buoni, non c’erano tensioni. Ho un ottimo ricordo di quel periodo. Mi sono divertita tanto.
Ero la segretaria del capoufficio per cui avevo la scrivania rivolta verso i miei colleghi i quali ogni tanto si divertivano a fare scherzi al capo. Ho iniziato a lavorare in Innocenti alla fine di novembre, in primavera erano pochi mesi che stavo in quell’ufficio quando il primo di aprile suona il telefono e una voce chiede: “C’è il dottore?”. “No, non c’è. Chi lo desidera?”. “Sono il dottor Leone. Mi fa richiamare?”. “Va bene, d’accordo”. Prendo nota del numero di telefono e quando arriva il capoufficio glielo passo. Lui si siede alla sua scrivania, compone il numero e dall’altra parte risponde lo zoo di Milano.
Il mio capo aveva l’abitudine di tenere la sveglia sulla scrivania, allora i miei colleghi di nascosto puntavano la suoneria alle sei meno un quarto e quando lui era sull’autobus, il 75, pieno di operai, di lavoratori dell’Innocenti che tornavano a casa, la sveglia si metteva a suonare tra il divertimento dei passeggeri.

Gli impiegati erano particolari perché quando si facevano scioperi o manifestazioni si doveva fare il giro degli uffici per sbatterli fuori, perché si nascondevano in bagno o in altri locali pur di non partecipare. Sono sempre stati un po’ crumiri e, pur negli ottimi rapporti, siccome non volevano scioperare si doveva pressarli un po’.
Mi ricordo di una manifestazione e uno sciopero per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Siamo andati fuori dal palazzo dove c’era la sede dell’azienda aspettando che gli impiegati uscissero e abbiamo cominciato a tirargli le uova. Questi passavano a testa bassa, bombardati dal lancio di uova, tra due fila di operai che urlavano contro di loro.

Lavorare in Innocenti è stato un bel periodo, ma dal punto di vista professionale non ho acquisito nessuna nuova competenza e la mia professionalità non è cresciuta. Ho sempre fatto dei lavori abbastanza semplici, d’altro canto devo dire che anche nel sindacato la professionalità uno se la deve costruire per proprio conto. Mi sono iscritta a scuola e sono arrivata al diploma di ragioneria nel 1980 frequentando i corsi serali. Mi sono anche iscritta all’università, ma ho frequentato solo per un anno e poi ho lasciato perdere perché era troppo faticoso.

Nei primi anni 70 venne costituito un consiglio di fabbrica composto da un cinquantina di delegati. Non c’erano tensioni tra le varie organizzazioni. I problemi sono stati affrontati e gestiti unitariamente. Io avevo scelto la Cisl semplicemente perché ero in ufficio con Oriani, credo che per molti in quel periodo contasse dove si era finiti e chi c’era in quel reparto più che gli orientamenti ideologici. Non avevo nessuna formazione sindacale e la scelta è stata casuale. Probabilmente non mi sarei iscritti alla Cgil perché la mia famiglia non è mai stata comunista, però la mia scelta è stata assolutamente casuale. Anche quando è toccato a me iscrivere i miei colleghi al sindacato, questi hanno scelto la Fim perché c’ero io, non per altro o per convinzioni politiche.

Era un momento in cui c’era tanta partecipazione. Quando si facevano le manifestazioni da via Rubattino a piazza Duomo la popolazione partecipava, c’era un clima di solidarietà.
Sono diventata delegata nel 1972, ma già prima partecipavo alle iniziative sindacali. Le assemblee in mensa erano emozionanti, con un sacco di gente, era bello. La prima volta mi ero sentita fuori posto, poi pian pianino la curiosità di capire cosa avveniva mi ha spinto a partecipare sempre più attivamente e a cercare di convincere a partecipare anche i miei colleghi. Ne ho anche iscritti tanti al sindacato.

I problemi sono iniziati a partire dagli anni ’70, prima con la vendita della meccanica, poi con la vendita della Lambretta agli indiani e quindi con l’ingresso della Leyland.
Le cose avevano iniziato a cambiare già appena dopo la morte del vecchio Innocenti nel 1966 e alla direzione dell’azienda era passato il figlio Luigi, che a detta di molti non aveva le capacità per gestire una fabbrica complessa come l’Innocenti.
Il settore auto ha vissuto parecchie vicissitudini. Noi facevamo solo montaggio perché i pezzi arrivavano direttamente dall’Inghilterra. In Innocenti non sono mai stati fatti investimenti. Non si facevano ricerca ne progettazione. Tant’è vero che quando la Leyland si è ritirata e abbiamo smesso di produrre la mini ci siamo trovati abbandonati e senza nostri prodotti.

La lotta è durata 8 mesi e l’occupazione 117 giorni. In quel periodo ci furono moltissime iniziative a sostegno dei lavoratori della fabbrica. C’è stato un concerto con Abbado, una mostra di quadri la cui vendita era a sostegno della nostra battaaglia. Nel 1975 abbiamo fatto una manifestazione il sabato mattina coinvolgendo le famiglie, i bambini. Fu la prima manifestazione fatta di sabato e il clima intorno a noi era di sostegno, di partecipazione della popolazione sui problemi di una grande fabbrica. E’ stata la prima grande azienda milanese ad entrare in crisi. In quel momento non c’erano situazioni difficili diffuse, erano difficoltà solo della Innocenti.
Sono state fatte delle lotte molto dure e molto partecipate. Negli uffici non sono state attuate forme particolari di lotta, come invece avveniva nei reparti produttivi, noi ci limitavamo a sollecitare gli impiegati che erano sempre un po’ restii a lasciare le scrivanie.

In fabbrica erano presenti alcuni lavoratori legati ad Autonomia operaia per cui c’era vigilanza e molta attenzione, ma non ricordo particolari episodi di violenza. Quando si facevano le manifestazioni questi erano tenuti sotto controllo dai delegati, sempre in coda ai cortei, qualche volta addirittura accerchiati per evitare che accadessero episodi spiacevoli. Il periodo non era tranquillo, ma in azienda non abbiamo mai avuto segnalazioni della presenza di Brigate Rosse o altro.

Chiusa l’intesa per l’abbandono della Leyland e dopo un periodo di transizione con cassa integrazione  c’è stato l’accordo con De Tomaso. Ci sono state trattative anche con Fiat e Alfa Romeo, ma sono fallite. Io a quel punto non ero più in azienda. Anche De Tomaso non ha fatto grandi investimenti. La fabbrica è stata usata per avere sovvenzioni e contributi. Mancanza di autonomia e problemi di gestione hanno portato l’Innocenti nell’impossibilità di proseguire l’attività.
L’arrivo di De Tomaso è stato salutato con soddisfazione dai lavoratori e della organizzazioni sindacali che intravedevano la possibilità di dare una prospettiva allo stabilimento di Lambrate, ma ben presto questa si è dimostrata un’illusione. L’intesa prevedeva la rioccupazione di tutti i 2.500 addetti, ma la gran parte non ha mai più rimesso piede in fabbrica.