Sono nata a Voghera,
in provincia di Pavia, il 13 luglio 1947. Dopo le commerciali ho frequentato la
scuola di segretariato d’azienda e poi ho smesso di studiare perché i miei avevano
bisogno che lavorassi. Compiuti i 18 anni, sono stata occupata per un anno e
mezzo in un’azienda a Casteggio, ero impiegata nel settore amministrativo e
aiutavo a fare gli stipendi. Pur essendo una ditta abbastanza grande, era molto
paternalista. C’era un rapporto troppo soffocante con il padrone, pertanto ho
cercato un lavoro che mi consentisse di fare un’esperienza diversa, che mi
aprisse altri orizzonti e così nel 1967 sono venuta a Milano.
A Milano c’era
mia sorella che lavorava già qui e con me c’era anche una cugina che ha la mia
stessa età, e abitavamo tutte insieme. L’impatto con la città non mi ha creato
particolari problemi, è stato stimolante. A Milano avevamo degli amici e
avevamo una buona vita di relazioni.
Non ho invece
molto frequentato i miei colleghi di lavoro. Erano due mondi separati, anzi tre,
perché ho mantenuto anche rapporti con i mie amici giù in campagna, dove c’era
la mia famiglia.
Avevo 20 anni e
ho trovato posto alla Innocenti, dove sono entrata dopo una prova di
stenodattilo. Sono stata assunta nel settore amministrativo come segretaria del
capoufficio del settore dove si recuperavano i crediti. Emettevamo e mandavamo
all’incasso le cambiali che in quel periodo si riferivano alle vendite della
Lambretta. Quando le cambiali non venivano pagate ci attivavamo per cercare di
recuperare i crediti.
L’azienda era
come una città, era impressionante vedere la marea di persone che lasciava la
fabbrica, soprattutto la sera.
Per me arrivare
a Milano ed entrare in una grande fabbrica voleva dire innanzitutto lavoro
sicuro, perché ero occupata in uno stabilimento che in quel momento aveva 4.500
dipendenti. Dopo la Fiat era forse l’azienda più grande di Milano. Quando sono
stata assunta c’erano ancora la meccanica, la Lambretta e anche l’automobile.
La sicurezza del posto poi non si è concretizzata, ma allora non c’erano
preoccupazioni di quel genere. Per me era un aprirsi rispetto ad una dimensione
molto provinciale da cui provenivo. Per me l’Innocenti è stata un’ottima scuola
di vita e di partecipazione. Lì ho scoperto l’impegno sindacale, ho imparato a
capire cosa succedeva in politica, mi ha aperto la mente, mi ha fatto crescere.
Probabilmente se non ci fosse stata l’Innocenti, per come sono fatta io, sarei
stata molto competitiva, avrei lavorato e fatto carriera, invece grazie ad
un’esperienza più vicina al mondo del lavoro, al mondo operaio, ho acquisito
dei valori differenti.
In ufficio
eravamo una ventina di impiegati e lì ho conosciuto Renzo Oriani, rappresentante
Cisl, perché lavorava in quel reparto. E’ stato lui che mi ha stimolata ad
occuparmi delle condizioni di lavoro, capire come si lavorava, quali erano i
problemi della fabbrica.
Arrivando da un
piccolo paese dell’Oltrepò non avevo una cultura sindacale. Prima di prendere
parte ad un’assemblea ho resistito un poco, poi ho iniziato a partecipare e a
poco a poco è sorto in me l’interessa e quindi anche l’impegno personale nel
sindacato.
Mia mamma ha
molto sofferto le mie partecipazioni alle manifestazioni. Ho visto mia mamma
piangere quando ha saputo che andavo alle manifestazioni, quando sentiva che
c’erano dei disordini. In occasione della strage di Piazza Fontana lei era
molto preoccupata. E devo dire che a me dispiaceva per lei, però erano scelte
che avevo fatto e non sono tornata indietro.
Sono rimasta a
lavorare nel settore recupero crediti fino al 1972, poi con la dismissione
della Lambretta agli indiani sono stata trasferita a Città studi, nel palazzo
uffici, dove curavamo la parte commerciale. Questo fino all’occupazione del
1975, dopo di che non sono più stata richiamata perché nel frattempo ero stata
eletta delegata degli impiegati e probabilmente ero diventata un po’ scomoda,
pur non facendo io nulla di particolare e non avendo un ruolo particolarmente
significativo. I leader sindacali per la Cisl erano Oriani, Marino Gamba e ....
Mariot.
Il consiglio di
fabbrica aveva un esecutivo composto da un numero limitato di membri che
costituivano la delegazione che manteneva i rapporti con la direzione. Io non
ho mai fatto parte dell’esecutivo.
Prima della
crisi e dell’occupazione le relazioni con la proprietà erano di normale
conflittualità, ma senza nessun particolare problema.
Alla ripresa del
lavoro, dopo l’occupazione dello stabilimento, sono stata tra coloro che sono
andati in cassa integrazione dal 1975 al 1976, però tutte le mattine andavo in
fabbrica. C’erano le manifestazioni, frequentavo le diverse iniziative,
partecipavo alle riunioni del consiglio di fabbrica, a quelle sindacali, ho
iniziato a dare una mano alla Fim, fino a quando mi è stata offerta la
possibilità di entrare nell’apparto della Flm di Milano come impiegata della
Fim all’interno della Federazione unitaria. Anche in quel caso mi occupavo di
amministrazione e di stipendi. Nel sindacato mi sono sempre occupata di questo.
Ufficialmente
sono stata collocata in aspettativa sindacale dal primo di luglio del 1979
quando è stata costituita la Flm regionale. Sono stata licenziata ufficialmente
nel 1982, ero una delle ultime.
I rapporti
personali e anche di lavoro con i miei colleghi in ufficio sono sempre stati
buoni, non c’erano tensioni. Ho un ottimo ricordo di quel periodo. Mi sono
divertita tanto.
Ero la
segretaria del capoufficio per cui avevo la scrivania rivolta verso i miei
colleghi i quali ogni tanto si divertivano a fare scherzi al capo. Ho iniziato
a lavorare in Innocenti alla fine di novembre, in primavera erano pochi mesi
che stavo in quell’ufficio quando il primo di aprile suona il telefono e una
voce chiede: “C’è il dottore?”. “No, non c’è. Chi lo desidera?”. “Sono il
dottor Leone. Mi fa richiamare?”. “Va bene, d’accordo”. Prendo nota del numero
di telefono e quando arriva il capoufficio glielo passo. Lui si siede alla sua
scrivania, compone il numero e dall’altra parte risponde lo zoo di Milano.
Il mio capo
aveva l’abitudine di tenere la sveglia sulla scrivania, allora i miei colleghi
di nascosto puntavano la suoneria alle sei meno un quarto e quando lui era
sull’autobus, il 75, pieno di operai, di lavoratori dell’Innocenti che
tornavano a casa, la sveglia si metteva a suonare tra il divertimento dei
passeggeri.
Gli impiegati
erano particolari perché quando si facevano scioperi o manifestazioni si doveva
fare il giro degli uffici per sbatterli fuori, perché si nascondevano in bagno
o in altri locali pur di non partecipare. Sono sempre stati un po’ crumiri e,
pur negli ottimi rapporti, siccome non volevano scioperare si doveva pressarli
un po’.
Mi ricordo di
una manifestazione e uno sciopero per il rinnovo del contratto nazionale di
lavoro. Siamo andati fuori dal palazzo dove c’era la sede dell’azienda
aspettando che gli impiegati uscissero e abbiamo cominciato a tirargli le uova.
Questi passavano a testa bassa, bombardati dal lancio di uova, tra due fila di
operai che urlavano contro di loro.
Lavorare in
Innocenti è stato un bel periodo, ma dal punto di vista professionale non ho
acquisito nessuna nuova competenza e la mia professionalità non è cresciuta. Ho
sempre fatto dei lavori abbastanza semplici, d’altro canto devo dire che anche
nel sindacato la professionalità uno se la deve costruire per proprio conto. Mi
sono iscritta a scuola e sono arrivata al diploma di ragioneria nel 1980
frequentando i corsi serali. Mi sono anche iscritta all’università, ma ho
frequentato solo per un anno e poi ho lasciato perdere perché era troppo
faticoso.
Nei primi anni
70 venne costituito un consiglio di fabbrica composto da un cinquantina di
delegati. Non c’erano tensioni tra le varie organizzazioni. I problemi sono
stati affrontati e gestiti unitariamente. Io avevo scelto la Cisl semplicemente
perché ero in ufficio con Oriani, credo che per molti in quel periodo contasse
dove si era finiti e chi c’era in quel reparto più che gli orientamenti
ideologici. Non avevo nessuna formazione sindacale e la scelta è stata casuale.
Probabilmente non mi sarei iscritti alla Cgil perché la mia famiglia non è mai
stata comunista, però la mia scelta è stata assolutamente casuale. Anche quando
è toccato a me iscrivere i miei colleghi al sindacato, questi hanno scelto la
Fim perché c’ero io, non per altro o per convinzioni politiche.
Era un momento
in cui c’era tanta partecipazione. Quando si facevano le manifestazioni da via
Rubattino a piazza Duomo la popolazione partecipava, c’era un clima di
solidarietà.
Sono diventata
delegata nel 1972, ma già prima partecipavo alle iniziative sindacali. Le
assemblee in mensa erano emozionanti, con un sacco di gente, era bello. La
prima volta mi ero sentita fuori posto, poi pian pianino la curiosità di capire
cosa avveniva mi ha spinto a partecipare sempre più attivamente e a cercare di
convincere a partecipare anche i miei colleghi. Ne ho anche iscritti tanti al
sindacato.
I problemi sono
iniziati a partire dagli anni ’70, prima con la vendita della meccanica, poi
con la vendita della Lambretta agli indiani e quindi con l’ingresso della
Leyland.
Le cose avevano
iniziato a cambiare già appena dopo la morte del vecchio Innocenti nel 1966 e
alla direzione dell’azienda era passato il figlio Luigi, che a detta di molti
non aveva le capacità per gestire una fabbrica complessa come l’Innocenti.
Il settore auto
ha vissuto parecchie vicissitudini. Noi facevamo solo montaggio perché i pezzi arrivavano
direttamente dall’Inghilterra. In Innocenti non sono mai stati fatti
investimenti. Non si facevano ricerca ne progettazione. Tant’è vero che quando
la Leyland si è ritirata e abbiamo smesso di produrre la mini ci siamo trovati
abbandonati e senza nostri prodotti.
La lotta è
durata 8 mesi e l’occupazione 117 giorni. In quel periodo ci furono moltissime
iniziative a sostegno dei lavoratori della fabbrica. C’è stato un concerto con
Abbado, una mostra di quadri la cui vendita era a sostegno della nostra
battaaglia. Nel 1975 abbiamo fatto una manifestazione il sabato mattina
coinvolgendo le famiglie, i bambini. Fu la prima manifestazione fatta di sabato
e il clima intorno a noi era di sostegno, di partecipazione della popolazione
sui problemi di una grande fabbrica. E’ stata la prima grande azienda milanese
ad entrare in crisi. In quel momento non c’erano situazioni difficili diffuse,
erano difficoltà solo della Innocenti.
Sono state fatte
delle lotte molto dure e molto partecipate. Negli uffici non sono state attuate
forme particolari di lotta, come invece avveniva nei reparti produttivi, noi ci
limitavamo a sollecitare gli impiegati che erano sempre un po’ restii a
lasciare le scrivanie.
In fabbrica
erano presenti alcuni lavoratori legati ad Autonomia operaia per cui c’era
vigilanza e molta attenzione, ma non ricordo particolari episodi di violenza.
Quando si facevano le manifestazioni questi erano tenuti sotto controllo dai
delegati, sempre in coda ai cortei, qualche volta addirittura accerchiati per
evitare che accadessero episodi spiacevoli. Il periodo non era tranquillo, ma
in azienda non abbiamo mai avuto segnalazioni della presenza di Brigate Rosse o
altro.
Chiusa l’intesa per
l’abbandono della Leyland e dopo un periodo di transizione con cassa
integrazione c’è stato l’accordo con De
Tomaso. Ci sono state trattative anche con Fiat e Alfa Romeo, ma sono fallite. Io
a quel punto non ero più in azienda. Anche De Tomaso non ha fatto grandi
investimenti. La fabbrica è stata usata per avere sovvenzioni e contributi.
Mancanza di autonomia e problemi di gestione hanno portato l’Innocenti
nell’impossibilità di proseguire l’attività.
L’arrivo di De
Tomaso è stato salutato con soddisfazione dai lavoratori e della organizzazioni
sindacali che intravedevano la possibilità di dare una prospettiva allo
stabilimento di Lambrate, ma ben presto questa si è dimostrata un’illusione.
L’intesa prevedeva la rioccupazione di tutti i 2.500 addetti, ma la gran parte
non ha mai più rimesso piede in fabbrica.