sabato 6 giugno 2020

MARIANO CECCARELLI - Direzione Eni, Fondenergia - Roma

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono stato assunto all'Eni come tecnico al palazzo di vetro, nella direzione, dove eravamo circa 1.500, tutti impiegati e tecnici. Ho iniziato da impiegato e sono arrivato fino a capufficio.
Mi sono iscritto alla Cisl, che era il sindacato di maggioranza e si chiamava Spem, il sindacato dei petrolieri e metanieri pubblici e privati. All'Eni la stragrande maggioranza dei lavoratori era iscritta alla Cisl, la Cgil era marginale e la Uil quasi inesistente.

Sono stato eletto in commissione interna in maniera quasi inconsapevole appena arrivato, dopodiché ci fu quasi subito il passaggio alle sezioni aziendali sindacali, poi sono diventato segretario di Roma e quindi distaccato come operatore nazionale nel settore energia prima dell'accorpamento con i chimici. Attualmente sono presidente di Fondenergia.
Nel 1969 abbiamo fatto il primo accorpamento con il gas e l'acqua ed è nata la Federenergia. Nel 1981 ci fu la fusione con i chimici e la nascita della Flerica, noi eravamo piccolissimi, eravamo solo 13mila iscritti contro i 75, 80mila dei chimici. La nostra preoccupazione era che saremmo stati mangiati, invece venne costruita una struttura garantista organizzata per comparti: chimico, manifatturiero, energia con una serie di autonomie contrattuali, ma naturalmente con la stessa politica federale.
Molti dei dipendenti Eni erano quadri e abbiamo fatto ripetuti tentativi per organizzarli. Quando fu avviato il processo di privatizzazione costituimmo una associazione dei dipendenti azionisti, con la speranza anche in questo caso di riuscire ad aggregarli, ma il quadro è sempre stato appannaggio dell’azienda. Personalmente, quando sono diventato quadro capufficio ho dovuto scegliere: o il lavoro oppure distaccarmi e fare il sindacalista.
Le relazioni in Eni erano costruite insieme, nel senso che si parlava e ci si confrontava prima di arrivare al contratto, credo che di scioperi non ne abbiamo quasi mai fatti. Forse ne abbiamo minacciato qualcuno, ma non ricordo di averne mai fatti per il rinnovo del contratto nazionale. In Eni avevamo agibilità sindacale totale.
Relazioni industriali positive sono state possibili perché il nostro settore è un po' più opulento, più ricco e con maggiore disponibilità rispetto ad altri, ma a coloro che ci accusavano di non essere bravi sindacalisti, ma semplicemente di avere i padroni bravi, noi rispondevamo che probabilmente quei padroni li “costruivamo” insieme.
Un problema si è creato quando all’Eni arrivarono anche le organizzazioni politiche, inquinando un po' i rapporti: la sezione d'ambiente della Dc, le cellule comuniste, i Nas socialisti, i Cad repubblicani che avevano rapporti con i vertici perché questi erano gestiti dalla politica. Il cambiamento da feudo democristiano a socialista ha cambiato anche la storia del sindacato all'interno dell'Eni. Prima eravamo solo Cisl poi, con l'arrivo dei socialisti alla guida dell'Eni, sono iniziate le assunzioni nell’ambito della sinistra e sono cambiati i rapporti tra le diverse organizzazioni. Dal punto di vista dei contenuti però le proposte erano sempre e solo le nostre.
Le trattative in Eni, anche quando riguardavano una singola azienda, avvenivano sempre a livello centrale. L'esperienza maggiore è stata quella del nuovo sistema di classificazione innovativo che abbiamo chiamato “la job”, intesa firmata solo dalla Cisl. In quell’occasione si fecero i comitati misti nei quali insieme, azienda e sindacato, abbiamo girato tutta l'Italia per definire le diverse posizioni dei lavoratori e questo ha consentito allo Spem di conoscere l’intero territorio nazionale. In tutti gli impianti abbiamo subito accuse di essere il sindacato dei padroni perché avevamo fatto quell'accordo. Un paio d'anni dopo ha firmato anche la Cgil.
L'altra grande vicenda contrattuale in ambito Eni è stata vissuta quando l’Asap, guidata da Benedetto De Cesaris, nel rinnovo del 1969/’70, ha trasferito al sindacato una grossa fetta di gestione. Parliamo dell'accordo sul Fondo sociale che ha dato al sindacato uno spazio che fino a quel momento era stato gestito solo dalla direzione del personale, dall'ufficio assistenza che amministrava colonie, campeggi, tempo libero, lavoratori studenti, medicina preventiva. In quell’occasione fu deciso che tutto sarebbe stato riunito in un Fondo sociale gestito totalmente dal sindacato, con una sola figura tecnica di nomina aziendale. Le risorse erano di parte aziendale con un piccolo contributo da parte dei lavoratori. Questo accordo ha aperto la strada a tutto quanto avvenuto successivamente rispetto ai fondi.

Fondi aziendali e contrattuali
Nel 1978 si è fatta la riforma sanitaria e il sindacato ha portato i lavoratori a scioperare per averla. Nell’Eni c'era la mutua più ricca del paese, l’Enpedep, quella dei dipendenti degli enti pubblici, che rimborsava tutto, anche più di quello che si spendeva, non si pagava nulla per medicine, ricoveri, visite. I lavoratori che avevano scioperato per chiedere la riforma, al momento dell'entrata in vigore si sono resi conto che non avevano più i vantaggi di cui godevano in precedenza. Si è cominciato così a pensare a qualcosa che in qualche modo sostituisse ciò ch'era venuto a mancare e si è dato vita al Fis, Fondo integrativo sanitario dei lavoratori dell’Eni. Abbiamo iniziato con due, tremila iscritti e siamo arrivati alla totalità di tutta l'Italia, in tutti i settori. Il Fis inizialmente era pagato solo dai lavoratori perché l’Eni, come ente pubblico, per l'articolo 47 della riforma sanitaria, non poteva destinare risorse a questo scopo. Noi abbiamo iniziato a erodere un po' delle risorse che stavano nel Fondo sociale, destinate alla medicina preventiva, promuovendo screening di massa per la ricerca di tumori o altro, con un servizio generalizzato per tutti i dipendenti dell'Eni, i familiari e anche i pensionati. Dall'inizio del ‘79 fino al 1992 ci siamo autofinanziati, fino a quando abbiamo fatto un accordo per cui l'azienda ha deciso di finanziare il fondo con un piccolo contributo, senza però entrare nella gestione. Nel 2009 si è passati dal fondo aziendale Eni al fondo contrattuale energia e petrolio Fasie. A promuoverlo sono stati l'associazione imprenditoriale di settore Asiep (Confindustria energia) e i sindacati dei chimici di Cgil Cisl Uil, con una gestione scelta dai lavoratori attraverso elezioni. Le aziende stanno in una consulta con la funzione di indirizzo e controllo.
Il fondo Fasie è separato rispetto a Faschim, che nell'accordo per la sua costituzione ha fatto salve le realtà preesistenti, dando però la possibilità di confluire in seguito. I chimici dell’Eni, nel settore del petrolio, hanno il fondo Fida, che è parallelo al fondo sociale, presente a Ravenna e in altri petrolchimici ed è rimasto autonomo. A Gela c'era una struttura similare a quella del Fondo sociale con gli stessi contenuti, ma con una gestione autonoma, mentre a Ferrara, Augusta e in altri luoghi il Fida si è sciolto ed è confluito in Faschim.
Anche tutte le multinazionali del settore farmaceutico avevano al proprio interno un fondo aziendale e alcune continuano ad averlo anche se piano piano si sciolgono e vanno in Faschim.
Dopo i fondi integrativi sanitari sono nati i fondi previdenziali e noi come chimici siamo stati i primi in assoluto in Italia a costituirli. In Fonchim è avviato il percorso per la confluenza del Fiprem, nato in Montedison, che si è deciso di sciogliere anche dietro sollecitazione della Covip e per scelta della Cisl, perché fondi così piccoli non reggono. Il secondo fondo creato è stato Fondenergia, di fatto il fondo dell'Eni più i privati. Nel nostro settore i fondi sono sette, i più significativi sono Pegaso, per il settore di gas e acqua ed elettrici privati, e il Fopem, grosso fondo dei lavoratori dell'Enel. Contrari alle fusioni sono spesso le associazioni datoriali.
I numeri delle adesioni a Fonchim sono stati subito notevoli e oggi arrivano tra l'85 e il 90%. Abbiamo avuto qualche difficoltà in più nelle adesioni all'avvio del fondo sanitario, mentre al fondo pensione c'è stata un'adesione senza problemi, non ci sono state grosse contestazioni. Anche in questa occasione c'è stata la battaglia della sinistra che ci accusava di fare i fondi privati per smontare la previdenza pubblica, però nella chimica e nell'energia non ci sono state le opposizioni che si sono avute in altri settori.
Per preparare il terreno per l'avvio dei fondi abbiamo fatto iniziative di discussione e approfondimento insieme alle imprese. Anche in questo caso le relazioni sindacali diverse rispetto ad altri settori hanno aiutato il raggiungimento di alte adesioni.
Personalmente, insieme a Nicola Messina, ho fatto il giro d'Italia a presentare Fonchim e lo stesso abbiamo fatto con gli uomini dell'Eni per presentare Fondenergia. La gente ci ha visto insieme, noi della Fulc con i rappresentanti di Federchimica e di Asap, e si è fidata anche per questo. Qualche problema l'abbiamo avuto alla partenza nel settore delle municipalizzate, che è stata lenta e abbiamo dovuto chiedere una proroga per raggiungere il numero minimo indispensabile per l'avvio del fondo Pegaso.