Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Sono stato assunto all'Eni
come tecnico al palazzo di vetro, nella direzione, dove eravamo circa 1.500,
tutti impiegati e tecnici. Ho iniziato da impiegato e sono arrivato fino a
capufficio.
Mi sono iscritto alla Cisl,
che era il sindacato di maggioranza e si chiamava Spem, il sindacato dei
petrolieri e metanieri pubblici e privati. All'Eni la stragrande maggioranza
dei lavoratori era iscritta alla Cisl, la Cgil era marginale e la Uil quasi
inesistente.
Sono stato eletto in
commissione interna in maniera quasi inconsapevole appena arrivato, dopodiché
ci fu quasi subito il passaggio alle sezioni aziendali sindacali, poi sono
diventato segretario di Roma e quindi distaccato come operatore nazionale nel
settore energia prima dell'accorpamento con i chimici. Attualmente sono presidente
di Fondenergia.
Nel 1969 abbiamo fatto il
primo accorpamento con il gas e l'acqua ed è nata la Federenergia. Nel 1981 ci
fu la fusione con i chimici e la nascita della Flerica, noi eravamo
piccolissimi, eravamo solo 13mila iscritti contro i 75, 80mila dei chimici. La
nostra preoccupazione era che saremmo stati mangiati, invece venne costruita
una struttura garantista organizzata per comparti: chimico, manifatturiero,
energia con una serie di autonomie contrattuali, ma naturalmente con la stessa
politica federale.
Molti dei dipendenti Eni
erano quadri e abbiamo fatto ripetuti tentativi per organizzarli. Quando fu
avviato il processo di privatizzazione costituimmo una associazione dei
dipendenti azionisti, con la speranza anche in questo caso di riuscire ad
aggregarli, ma il quadro è sempre stato appannaggio dell’azienda. Personalmente,
quando sono diventato quadro capufficio ho dovuto scegliere: o il lavoro oppure
distaccarmi e fare il sindacalista.
Le relazioni in Eni erano
costruite insieme, nel senso che si parlava e ci si confrontava prima di
arrivare al contratto, credo che di scioperi non ne abbiamo quasi mai fatti.
Forse ne abbiamo minacciato qualcuno, ma non ricordo di averne mai fatti per il
rinnovo del contratto nazionale. In Eni avevamo agibilità sindacale totale.
Relazioni industriali
positive sono state possibili perché il nostro settore è un po' più opulento,
più ricco e con maggiore disponibilità rispetto ad altri, ma a coloro che ci
accusavano di non essere bravi sindacalisti, ma semplicemente di avere i
padroni bravi, noi rispondevamo che probabilmente quei padroni li “costruivamo”
insieme.
Un problema si è creato
quando all’Eni arrivarono anche le organizzazioni politiche, inquinando un po'
i rapporti: la sezione d'ambiente della Dc, le cellule comuniste, i Nas
socialisti, i Cad repubblicani che avevano rapporti con i vertici perché questi
erano gestiti dalla politica. Il cambiamento da feudo democristiano a
socialista ha cambiato anche la storia del sindacato all'interno dell'Eni. Prima
eravamo solo Cisl poi, con l'arrivo dei socialisti alla guida dell'Eni, sono
iniziate le assunzioni nell’ambito della sinistra e sono cambiati i rapporti
tra le diverse organizzazioni. Dal punto di vista dei contenuti però le
proposte erano sempre e solo le nostre.
Le trattative in Eni, anche
quando riguardavano una singola azienda, avvenivano sempre a livello centrale.
L'esperienza maggiore è stata quella del nuovo sistema di classificazione
innovativo che abbiamo chiamato “la job”, intesa firmata solo dalla Cisl. In
quell’occasione si fecero i comitati misti nei quali insieme, azienda e
sindacato, abbiamo girato tutta l'Italia per definire le diverse posizioni dei
lavoratori e questo ha consentito allo Spem di conoscere l’intero territorio
nazionale. In tutti gli impianti abbiamo subito accuse di essere il sindacato
dei padroni perché avevamo fatto quell'accordo. Un paio d'anni dopo ha firmato
anche la Cgil.
L'altra grande vicenda
contrattuale in ambito Eni è stata vissuta quando l’Asap, guidata da Benedetto
De Cesaris, nel rinnovo del 1969/’70, ha trasferito al sindacato una grossa
fetta di gestione. Parliamo dell'accordo sul Fondo sociale che ha dato al
sindacato uno spazio che fino a quel momento era stato gestito solo dalla
direzione del personale, dall'ufficio assistenza che amministrava colonie,
campeggi, tempo libero, lavoratori studenti, medicina preventiva. In
quell’occasione fu deciso che tutto sarebbe stato riunito in un Fondo sociale
gestito totalmente dal sindacato, con una sola figura tecnica di nomina
aziendale. Le risorse erano di parte aziendale con un piccolo contributo da
parte dei lavoratori. Questo accordo ha aperto la strada a tutto quanto avvenuto
successivamente rispetto ai fondi.
Fondi aziendali e contrattuali
Nel 1978 si è fatta la
riforma sanitaria e il sindacato ha portato i lavoratori a scioperare per
averla. Nell’Eni c'era la mutua più ricca del paese, l’Enpedep, quella dei
dipendenti degli enti pubblici, che rimborsava tutto, anche più di quello che si
spendeva, non si pagava nulla per medicine, ricoveri, visite. I lavoratori che
avevano scioperato per chiedere la riforma, al momento dell'entrata in vigore
si sono resi conto che non avevano più i vantaggi di cui godevano in
precedenza. Si è cominciato così a pensare a qualcosa che in qualche modo
sostituisse ciò ch'era venuto a mancare e si è dato vita al Fis, Fondo
integrativo sanitario dei lavoratori dell’Eni. Abbiamo iniziato con due,
tremila iscritti e siamo arrivati alla totalità di tutta l'Italia, in tutti i
settori. Il Fis inizialmente era pagato solo dai lavoratori perché l’Eni, come
ente pubblico, per l'articolo 47 della riforma sanitaria, non poteva destinare
risorse a questo scopo. Noi abbiamo iniziato a erodere un po' delle risorse che
stavano nel Fondo sociale, destinate alla medicina preventiva, promuovendo
screening di massa per la ricerca di tumori o altro, con un servizio
generalizzato per tutti i dipendenti dell'Eni, i familiari e anche i
pensionati. Dall'inizio del ‘79 fino al 1992 ci siamo autofinanziati, fino a
quando abbiamo fatto un accordo per cui l'azienda ha deciso di finanziare il
fondo con un piccolo contributo, senza però entrare nella gestione. Nel 2009 si
è passati dal fondo aziendale Eni al fondo contrattuale energia e petrolio
Fasie. A promuoverlo sono stati l'associazione imprenditoriale di settore Asiep
(Confindustria energia) e i sindacati dei chimici di Cgil Cisl Uil, con una
gestione scelta dai lavoratori attraverso elezioni. Le aziende stanno in una
consulta con la funzione di indirizzo e controllo.
Il fondo Fasie è separato
rispetto a Faschim, che nell'accordo per la sua costituzione ha fatto salve le
realtà preesistenti, dando però la possibilità di confluire in seguito. I
chimici dell’Eni, nel settore del petrolio, hanno il fondo Fida, che è parallelo
al fondo sociale, presente a Ravenna e in altri petrolchimici ed è rimasto
autonomo. A Gela c'era una struttura similare a quella del Fondo sociale con gli
stessi contenuti, ma con una gestione autonoma, mentre a Ferrara, Augusta e in
altri luoghi il Fida si è sciolto ed è confluito in Faschim.
Anche tutte le
multinazionali del settore farmaceutico avevano al proprio interno un fondo
aziendale e alcune continuano ad averlo anche se piano piano si sciolgono e
vanno in Faschim.
Dopo i fondi integrativi
sanitari sono nati i fondi previdenziali e noi come chimici siamo stati i primi
in assoluto in Italia a costituirli. In Fonchim è avviato il percorso per la
confluenza del Fiprem, nato in Montedison, che si è deciso di sciogliere anche
dietro sollecitazione della Covip e per scelta della Cisl, perché fondi così
piccoli non reggono. Il secondo fondo creato è stato Fondenergia, di fatto il
fondo dell'Eni più i privati. Nel nostro settore i fondi sono sette, i più
significativi sono Pegaso, per il settore di gas e acqua ed elettrici privati,
e il Fopem, grosso fondo dei lavoratori dell'Enel. Contrari alle fusioni sono
spesso le associazioni datoriali.
I numeri delle adesioni a
Fonchim sono stati subito notevoli e oggi arrivano tra l'85 e il 90%. Abbiamo
avuto qualche difficoltà in più nelle adesioni all'avvio del fondo sanitario,
mentre al fondo pensione c'è stata un'adesione senza problemi, non ci sono
state grosse contestazioni. Anche in questa occasione c'è stata la battaglia della
sinistra che ci accusava di fare i fondi privati per smontare la previdenza
pubblica, però nella chimica e nell'energia non ci sono state le opposizioni
che si sono avute in altri settori.
Per preparare il terreno per
l'avvio dei fondi abbiamo fatto iniziative di discussione e approfondimento
insieme alle imprese. Anche in questo caso le relazioni sindacali diverse
rispetto ad altri settori hanno aiutato il raggiungimento di alte adesioni.
Personalmente, insieme a
Nicola Messina, ho fatto il giro d'Italia a presentare Fonchim e lo stesso
abbiamo fatto con gli uomini dell'Eni per presentare Fondenergia. La gente ci
ha visto insieme, noi della Fulc con i rappresentanti di Federchimica e di Asap,
e si è fidata anche per questo. Qualche problema l'abbiamo avuto alla partenza
nel settore delle municipalizzate, che è stata lenta e abbiamo dovuto chiedere
una proroga per raggiungere il numero minimo indispensabile per l'avvio del
fondo Pegaso.