domenica 14 giugno 2020

LUCIANO FABRIS - Montefibre - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Nel 1959, come primo lavoro, ho fatto l'ascensorista a Roma per otto mesi, poi ho frequentato la scuola alberghiera in varie parti d’Italia, a Bardonecchia e a Bellagio. Nel frattempo ho fatto otto mesi di lavoro in Francia come cameriere e ho continuato a lavorare negli alberghi fino a quando ho conosciuto mia moglie e sono venuto a Milano facendo lavoretti vari. 

Il primo lavoro regolare è stato in una consociata della Pirelli, la Facea, che produceva cavi elettrici, dove sono stato assunto come operaio. Nel frattempo mia moglie è stata assunta alla Chatillon e dopo un po’ ha chiesto che venissi assunto anch'io. Mi sono licenziato dalla Facea e quindici giorni dopo sono entrato alla Chatillon come impiegato addetto alla fatturazione. Mi sono immediatamente iscritto a un corso di dattilografia e, prima di iniziare a lavorare nella nuova azienda, la sera andavo in quegli uffici a fare un po' di pratica.
A un certo punto avevano bisogno di qualcuno che seguisse i clienti esteri e siccome io conoscevo un pochino le lingue, anche se non particolarmente bene, ho iniziato a occuparmene. Dopo un po’ di tempo l'azienda ha costituito la Sinteco, che era una società che raggruppava la parte commerciale delle aziende fibrotessili di Chatillon, Rhodiatoce e Polymer. Un'esperienza durata meno di due anni e nel 1972 è stata costituita la Montefibre con sede in via Pola a Milano. A quel punto eravamo in 1.300 dipendenti. Io ho sempre continuato a occuparmi dei clienti.
Un giorno, era il 1983, mi ha chiamato il direttore del personale dicendomi che dovevo trasferirmi a Marghera. Era la fine dell’anno e ci sono andato come responsabile dei clienti estero e Italia. Inizialmente dormivo in albergo poi ho trovato una sistemazione fissa, ma la mia famiglia è rimasta a Milano. Occorre però dire che in un paio d'anni ho più che raddoppiato lo stipendio. Dopo due anni sono rientrato in via Pola e ho continuato a fare il mio lavoro, seguendo però solo l'estero. Lavoro che ho fatto fino a quando sono andato in pensione nel 1998.

Sindacato
Ho scoperto il sindacato quando sono entrato alla Chatillon nel 1969, dove pure il sindacato non c'era, però c'era un problema molto sentito dalla gente che erano le due ore di intervallo a mezzogiorno e il lavoro di quattro ore il sabato mattina. Qualcuno a mezzogiorno andava a casa, ma c'era tantissima gente che arrivava da Vercelli e da Novara e per loro non c'era la mensa e quel lungo intervallo era una perdita di tempo notevole. In azienda in quel momento eravamo circa 750, tutti impiegati salvo i fattorini, e in una decina di persone, tra cui mia moglie, siamo andati alla Cisl in via Tadino dove abbiamo incontrato il segretario dei chimici Lino Ogliari e abbiamo deciso di organizzare le elezioni per la commissione interna. Alla fine abbiamo ottenuto il cambiamento degli orari, l'intervallo è stato ridotto a tre quarti d'ora ed è stata organizzata una mensa. Siamo andati alla Cisl non per ragioni ideologiche né di schieramento, ma perché ci sembrava che gli impiegati fossero più moderati e quindi la Cisl fosse il sindacato più adatto.
Io ero appena arrivato e non sono stato candidato mentre quando in Montefibre è stato fatto il primo consiglio di fabbrica sono stato eletto delegato e sono rimasto rappresentante sindacale fino al momento della pensione, anche mentre ero a Marghera. In consiglio di fabbrica eravamo una quarantina di delegati ma non c'era un esecutivo.
Il periodo di Marghera dal punto di vista sindacale è stato molto pesante, con scontri duri con altri delegati, in particolare della Uil. Con la Cgil i rapporti erano più corretti, mentre a Milano tra di noi abbiamo sempre avuto buone relazioni. In Montefibre la Uil era estremamente minoritaria. Inizialmente la Cisl rappresentava il settanta per cento degli iscritti perché siamo stati noi ad aver portato il sindacato in azienda. Avevamo quattrocento iscritti e fino agli anni Novanta la Cisl ha sempre guidato l’iniziativa sindacale.
Le prime assemblee erano oceaniche, in un luogo di lavoro dove il sindacato non era mai entrato c’era grande partecipazione. I lavoratori prendevano parte più volentieri alle iniziative sindacali che riguardavano i problemi aziendali mentre aderivano meno agli scioperi di carattere generale. L'adesione era sempre molto alta in occasione delle iniziative di protesta per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Durante gli scioperi negli anni caldi facevamo il giro degli uffici per spingere la gente ad uscire.
Avevamo anche delle iniziative sindacali di tutto il gruppo Montedison, ad esempio per quanto riguarda il Camu, la Cassa mutua aziendale. C'erano vertenze di gruppo che magari non coinvolgevano Montefibre, ma c'era un discorso di solidarietà e noi si aderiva, anche se in questo caso la gente partecipava meno. C'era un coordinamento sindacale di gruppo, ma era gestito a livello nazionale e la solidarietà scattava in particolare quando c'erano problemi di ristrutturazione o chiusura di aziende.
C'è stato un periodo in cui nei bagni e negli spogliatoi si trovavano dei volantini di Potere operaio, ma è una vicenda che si è esaurita rapidamente e in azienda non si sono mai formate altre presenze al di fuori del sindacato.

Relazioni industriali
L'atteggiamento della direzione nei nostri confronti cambiava in base al tema in discussione. Complessivamente era un'azienda aperta al confronto, quando ponevamo dei problemi ci ascoltavano, anche perché altrimenti convocavamo immediatamente l'assemblea sul piazzale della direzione. I problemi sorgevano quando le questioni avevano implicazioni a livello di gruppo e notavamo che la direzione in quelle occasioni era un po' legata, perché non aveva l'autonomia sufficiente per rispondere alle nostre richieste e in quelle occasioni, a volte, abbiamo subito delle interferenze. Quando siamo diventati Enimont, nel 1988, le relazioni sindacali si sono irrigidite e si è un po' sfaldato tutto quanto. Dal punto di vista dei diritti sindacali e dell'agibilità abbiamo sempre trovato la massima disponibilità.

Contrattazione
Sulla sicurezza non abbiamo mai avuto problemi e solo intorno agli anni Novanta ci siamo preoccupati delle porte a vetri che potevano essere pericolose e che sono state modificate. Sul tema della flessibilità, oltre alla questione iniziale dell'orario di mensa, siamo intervenuti per chiedere una flessibilità di quindici minuti in ingresso perché bastava un minuto di ritardo che venivano fatte delle trattenute e su questo abbiamo fatto diverse battaglie per ottenerla.
Montefibre è stata in amministrazione controllata e per un certo tempo non ci pagavano gli stipendi e nel dicembre del 1976 sono partite le ristrutturazioni e i prepensionamenti. Abbiamo fatto delle lotte molto dure perché volevano mandare via trecento persone con una caterva di scioperi. Abbiamo avuto denunce dalla polizia perché bloccavamo la strada. Quando ho lasciato eravamo ridotti a 150 persone. In venticinque anni siamo passati da 1.500 a 150, però non è mai stato licenziato nessuno e abbiamo sempre trattato trovando le migliori soluzioni possibili.
Avevamo un premio di produzione fisso stabilito dal contratto nazionale, poi abbiamo iniziato ogni anno a contrattare il premio sulla base del Mol, il margine operativo lordo dell’azienda.
Per quanto riguarda l'inquadramento non abbiamo fatto delle vertenze, però più volte abbiamo chiesto dei passaggi di categoria e quando si spingeva un po' si ottenevano dei risultati, magari inizialmente veniva dato un aumento e poi il passaggio di categoria. Era un confronto a lungo termine. I problemi maggiori si sono avuti all'inizio, quando c'è stata la fusione delle diverse società e ci siamo resi conto che c'erano condizioni molto diverse a parità di lavoro e abbiamo scoperto che nelle altre aziende, dove la rappresentanza sindacale c'era già, i lavoratori avevano inquadramenti migliori. Abbiamo fatto delle richieste, ma nella maggior parte dei casi i passaggi li ha fatti la direzione senza bisogno di una nostra spinta.
Sul piano dell’occupazione le difficoltà maggiori sono arrivate con la perdita di alcuni mercati, la fine della produzione di alcune fibre e per noi impiegati il processo di informatizzazione che ha colpito in particolare il gruppo delle segretarie e degli addetti agli uffici telex. Noi cercavamo sempre di trovare nuove opportunità per i lavoratori, ma alla fine i nodi venivano al pettine.

Welfare aziendale
Inizialmente come Chatillon avevamo la cassa mutua interna che gestiva l'assistenza sanitaria e le colonie per i figli dei dipendenti. Successivamente tutte le iniziative di welfare aziendale di cui noi abbiamo goduto erano quelle del gruppo Montedison. La più significativa era la Camu (Cassa mutua aziendale) che è stata chiusa in occasione della nascita del sistema sanitario nazionale. I lavoratori non volevano che venisse chiusa, ma il sindacato unitariamente ha sostenuto la necessità di farlo, è stato un grande errore, io ero per mantenerla e tra di noi c’è stata battaglia. La Montedison era per tenerla aperta, anche se non mi ricordo cosa volesse in cambio. La cassa era gestita paritariamente da azienda e lavoratori e il presidente era di nomina sindacale, i contributi erano quasi tutti aziendali, i lavoratori mettevano una quota minima. In Montedison poi è stato creato il primo fondo previdenziale integrativo d'Italia il Fiprem (Fondo integrativo di previdenza Montedison) nato nell'aprile 1985, una iniziativa che è stata voluta più dall'azienda che dal sindacato. La gente era contraria e inizialmente si sono iscritte pochissime persone. Io ho partecipato alla stesura di quell'accordo a Roma, mi ricordo che era la settimana di Pasqua perché la sera siamo andati tutti a vedere la Via crucis al Colosseo con il Papa. Quella è stata una bella conquista.