lunedì 8 giugno 2020

ENZO TORRI - Cisl - Brescia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato l'8 gennaio 1952 a Brescia dove vive. Cresciuto nell’oratorio della Pace, è stato segretario generale della Cisl di Brescia. Attualmente è il direttore dell'Ufficio per l'impegno sociale diocesano, primo laico direttore di un ufficio della curia.

Mio padre era un socialista, un attivista impegnato nel partito. Lavorava alla Caffaro, è stato membro della commissione interna, segretario della Camera del lavoro nel sindacato provinciale dei chimici, però frequentavamo la messa e io sono andato all'oratorio fino all'età di quindici anni e seguivo il catechismo. Ho girato tre diversi oratori perché ci siamo trasferiti di casa e l'ultimo è stato quello della Pace.

La parrocchia era quella centrale di San Giovanni e accanto c'era l'oratorio della Pace che è gestito dai padri Filippini. In città è molto conosciuto perché è stato un luogo dove sacerdoti come padre Giulio Bevilacqua e padre Giulio Cittadini hanno fatto crescere persone mature e antifasciste.
L'ambiente dell'oratorio della Pace formava all'impegno sul piano civile oltre che religioso, trasmetteva il senso del dovere, faceva percepire la concretezza dell'azione rispetto a quanto veniva detto nel Vangelo.
Ho iniziato a lavorare che avevo quattordici anni e sono entrato in fabbrica a sedici. Alla Omap di Sant'Eufemia, che aveva seicento dipendenti. Era il 1969, c'erano le grandi lotte sindacali e da subito ho sentito il dovere di impegnarmi. È stato un percorso quasi naturale, ma in casa mia è stato avversato, mio padre era contrario. Un giorno sono stato invitato dall'operatore socialista che seguiva la mia azienda al congresso della Fiom provinciale, ci sono andato e mio padre, in parte perché pensava che la mia fosse una infatuazione giovanile, in parte perché non voleva che io ripetessi la sua esperienza - il lavoro e poi le riunioni la sera, il sabato e la domenica - addirittura ha fatto in modo che interrompessi i rapporti con l'organizzazione provinciale. Io ho proseguito ugualmente il mio impegno in Omap e ho fatto tutta l'esperienza dei comitati unitari di base che erano precedenti ai consigli di fabbrica. Quindi sono stato eletto delegato.
La mia prima tessera sindacale è stata quella della Fiom, presto sostituita da quella unitaria della Flm e a quel punto ho scelto la Cisl come riferimento perché era il sindacato che sentivo più vicino ai miei valori e al mio percorso formativo, anche se probabilmente allora in modo abbastanza istintivo.
I valori di giustizia e solidarietà che mi erano stati trasmessi hanno supportato la mia scelta.
Ho incontrato le Acli forse dieci anni dopo, quando sono andato ad abitare in una zona nuova della città, in una parrocchia che era ancora da strutturare e dove è nata l'idea di dare vita a un circolo. Io avevo partecipato a degli incontri di riflessione che le Acli promuovevano ogni anno a Ponte di Legno e in altre occasioni in relazione alla mia attività sindacale.
L'impegno nelle Acli e nella Cisl li ho vissuti come un percorso quasi naturale, anzi più cresceva il mio impegno e più sentivo di essere nel posto più coerente rispetto ai miei valori. Si è trattato di una progressiva condivisione che trovava conferma in continuazione e che veniva alimentata con l'azione.
Ho studiato il catechismo, mi sono confrontato più volte con i contenuti della dottrina sociale della Chiesa, ho letto parecchio di don Lorenzo Milani, don Tonino Bello. Di uno per l'aspetto del “mi interessa”, I care, dell'altro per gli aspetti della mondialità, dell'immigrazione,  Convivialità delle differenze.
Trent'anni fa ho condiviso un'esperienza in una casa colonica, una cascina a Valeggio sul Mincio di proprietà di un collega del sindacato, che ispirava la propria attività a don Milani e a don Tonino Bello. Anche a Brescia ho fatto parte del gruppo don Milani organizzando iniziative di riflessione e percorsi formativi, siamo andati a Barbiana e abbiamo invitato alcuni dei suoi allievi per una testimonianza da noi.
L'iniziativa della casa colonica è per sua natura laica, ma è nata con un sacerdote rientrato dal Brasile, ed è basata sul tema dell'accoglienza, della relazione e dello stare insieme. Si ospitano i gruppi, non c'è televisione né telefono. Facciamo anche incontri formativi e alcuni sacerdoti ci danno una mano in queste riflessioni.
Ho sempre detto ai miei colleghi che fare il sindacalista senza fare altre esperienze sociali toglie loro qualcosa, perché queste attività sul territorio ti arricchiscono. A me ha aiutato molto avere un impegno in questa associazione piuttosto che nel circolo Acli, in particolare mi ha aiutato a tenere i piedi piantati per terra perché mi ha costretto a confrontarmi da pari a pari con le persone. Anzi, questo mi ha rafforzato anche nel lavoro sindacale.
Contemporaneamente al mio impegno in Cisl, negli ultimi dieci, dodici anni ho fatto parte della pastorale sociale diocesana. Inizialmente le persone sono state scelte in rappresentanza dell'associazione di cui erano espressione poi il vescovo ha cambiato impostazione perché voleva uomini e donne che esprimessero qualcosa di proprio e che non riportassero solamente le idee dell'associazione di provenienza.
Facevo parte anche del consiglio pastorale in parrocchia e qualche volta ho dovuto discutere per sostenere le mie posizioni perché sono stato accusato di essere troppo vicino a idee che loro consideravano alternative. Questo è un tema forte all'interno della Chiesa perché coloro che sono impegnati nel sociale, in particolare nel mondo del lavoro, non sono mai stati visti troppo positivamente, a volte sono stati considerati un elemento di disturbo anche dai parroci.
Quando il nostro presidente del circolo Acli, cattolico convinto, praticante, si è candidato nel Pds si è accesa una forte discussione e siamo finiti dall'ausiliare del vescovo per ricomporre la frattura nel consiglio pastorale.
Dovevo ancora cessare il mio impegno in Cisl quando il vescovo mi ha proposto di dare una mano a gestire, in veste di segretario generale, una società che mettesse in rete gli enti e le fondazioni della diocesi con l'obiettivo di riportare queste organizzazioni sotto il tetto della casa madre. Avevo appena iniziato a ricoprire questo incarico quando il vescovo mi ha richiamato e mi ha chiesto un impegno più preciso nella pastorale sociale dove serviva un vicedirettore per sostenere il direttore che non stava bene. Dopo sette mesi il direttore, che era un sacerdote, si è dimesso, il vescovo, questa volta senza neppure chiedermi la disponibilità, mi ha comunicato che sarei stato il nuovo direttore.
Da circa un anno sono quindi il direttore dell'Ufficio per l'impegno sociale della diocesi di Brescia, primo laico responsabile di un ufficio della curia. Gli impegni vanno dalla scuola di formazione alla politica agli incontri con i candidati sindaci e con le persone già coinvolte nelle amministrazioni. Sul versante lavoro si sta cercando di costruire una presenza della Chiesa bresciana attenta ai problemi dei lavoratori, intrecciando anche rapporti con le imprese, gestendo insieme una scuola di economia civile. Una pastorale sociale che guarda alle novità che ci sono nel mondo del lavoro, con un'attenzione al modello della partecipazione e alle azioni delle imprese nella valorizzazione di persone. Un tema che è stato al centro delle settimane sociali del 2017 con il lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale e su questo abbiamo organizzato alcuni incontri anche sul territorio.
Tutti gli anni a maggio il vescovo celebra la messa in un'azienda. Quest'anno l'abbiamo dedicata al tema della settimana di Cagliari e abbiamo fatto due assemblee in preparazione di questo evento in Valle Sabbia, uno con i segretari di Cgil-Cisl-Uil e l'altro con il presidente dell'associazione industriali Giuseppe Pasini.
Sostenere quest'impostazione del lavoro vuol dire proseguire sul cammino della dottrina sociale della Chiesa tracciato dai Papi, dalla Rerum novarum alla Laudato si’. Non il conflitto tra impresa e lavoratore, ma il dialogo e il rispetto della persona favorendo la crescita dei lavoratori. Io mi trovo molto in sintonia con tutto questo.
Devo dire che nonostante l'impegno della Chiesa ufficiale, che ha dedicato un anno al tema del lavoro, nelle parrocchie questo aspetto fatica a trovare spazio.
Cagliari ha voluto dire alle persone di Chiesa che se affermano che il lavoro è importante per la dignità della persona, non possono nel territorio e nella comunità essere distanti da chi vive le difficoltà del lavoro. La Chiesa è in uscita se le persone percepiscono che è vicina alla loro quotidianità, e se fanno fatica non possono essere lasciate sole. Che non vuol dire che la Chiesa deve trovare lavoro a chi non ce l’ha, anche se a Cagliari abbiamo messo in campo degli strumenti, partendo dalle positive esperienze realizzate in qualche diocesi, che vanno trasferiti e generalizzati. Sono stati individuati dei percorsi che però faticano a diventare concreti.
Cagliari ci ha detto che dobbiamo da un lato denunciare il lavoro nero, le situazioni irregolari di sfruttamento, dall’altro dobbiamo chiedere di sostenere le aziende che operano bene, anche con le risorse necessarie.
Le difficoltà dentro la Chiesa nascono perché forse per troppo tempo di queste questioni non se n’è parlato. Abbiamo pensato che fosse sufficiente fare qualche lettura sul tema il 1° maggio e poi è finita lì, manca preparazione e forse non c'è proprio convinzione. Forse anche perché il problema della disoccupazione, delle famiglie in difficoltà è distante dal sentire dei sacerdoti. Si è un po' delegato alla Caritas, che è importante però non è la risposta. La Caritas interviene nel momento più disperato, ma noi dobbiamo operare per evitare che si arrivi a quel punto e questo lo si fa parlando anche con chi crea lavoro. La Cei ha affidato a dei laici esperti come Leonardo Becchetti, Mauro Magatti, Luigino Bruni, ma anche a suor Alessandra Smerilli, il compito di supportarci, vuol dire che ce n’è bisogno.
Papa Francesco ha costruito tutta la sua esperienza sui temi della povertà e del lavoro. Lui usa termini e parole forti, ma sono quelle adeguate al momento. Forse dobbiamo tornare a scoprire il senso delle cose, il perché le facciamo. Francesco ci richiama continuamente a essere fedeli al Vangelo, alla coerenza nella quotidianità, e non l'abbiamo ancora compreso. Paradossalmente le sue riflessioni sono più condivise dai non cristiani, da molti laici.
La Laudato si’ e l’Evangeli gaudium ci offrono un supporto. La Laudato si’ parla dell'ambiente ma è integrale rispetto alla vita dell'uomo, parla del lavoro, dell'economia e l’Evangeli gaudium scava dentro ai comportamenti e alle coerenze, anche della Chiesa. Il Papa è severo con il mondo della Chiesa.
La mia esperienza nella pastorale sociale è faticosa ma non smette mai di arricchirmi di nuovi stimoli, di nuove esperienze - come nel caso dell'immigrazione - che solo chi non le vive, può leggerle negativamente.