Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato l'8 gennaio
1952 a Brescia dove vive. Cresciuto nell’oratorio della Pace, è stato
segretario generale della Cisl di Brescia. Attualmente è il direttore
dell'Ufficio per l'impegno sociale diocesano, primo laico direttore di un
ufficio della curia.
Mio padre era un socialista, un attivista impegnato nel
partito. Lavorava alla Caffaro, è stato membro della commissione interna,
segretario della Camera del lavoro nel sindacato provinciale dei chimici, però
frequentavamo la messa e io sono andato all'oratorio fino all'età di quindici
anni e seguivo il catechismo. Ho girato tre diversi oratori perché ci siamo
trasferiti di casa e l'ultimo è stato quello della Pace.
La parrocchia era quella centrale di San Giovanni e accanto c'era l'oratorio della Pace che è gestito dai padri Filippini. In città è molto conosciuto perché è stato un luogo dove sacerdoti come padre Giulio Bevilacqua e padre Giulio Cittadini hanno fatto crescere persone mature e antifasciste.
La parrocchia era quella centrale di San Giovanni e accanto c'era l'oratorio della Pace che è gestito dai padri Filippini. In città è molto conosciuto perché è stato un luogo dove sacerdoti come padre Giulio Bevilacqua e padre Giulio Cittadini hanno fatto crescere persone mature e antifasciste.
L'ambiente dell'oratorio della Pace formava
all'impegno sul piano civile oltre che religioso, trasmetteva il senso del
dovere, faceva percepire la concretezza dell'azione rispetto a quanto veniva
detto nel Vangelo.
Ho iniziato a lavorare che avevo quattordici anni e
sono entrato in fabbrica a sedici. Alla Omap di Sant'Eufemia, che aveva
seicento dipendenti. Era il 1969, c'erano le grandi lotte sindacali e da subito
ho sentito il dovere di impegnarmi. È stato un percorso quasi naturale, ma in casa
mia è stato avversato, mio padre era contrario. Un giorno sono stato invitato
dall'operatore socialista che seguiva la mia azienda al congresso della Fiom
provinciale, ci sono andato e mio padre, in parte perché pensava che la mia
fosse una infatuazione giovanile, in parte perché non voleva che io ripetessi
la sua esperienza - il lavoro e poi le riunioni la sera, il sabato e la
domenica - addirittura ha fatto in modo che interrompessi i rapporti con
l'organizzazione provinciale. Io ho proseguito ugualmente il mio impegno in
Omap e ho fatto tutta l'esperienza dei comitati unitari di base che erano
precedenti ai consigli di fabbrica. Quindi sono stato eletto delegato.
La mia prima tessera sindacale è stata quella della
Fiom, presto sostituita da quella unitaria della Flm e a quel punto ho scelto
la Cisl come riferimento perché era il sindacato che sentivo più vicino ai miei
valori e al mio percorso formativo, anche se probabilmente allora in modo
abbastanza istintivo.
I valori di giustizia e solidarietà che mi erano
stati trasmessi hanno supportato la mia scelta.
Ho incontrato le Acli forse dieci anni dopo, quando
sono andato ad abitare in una zona nuova della città, in una parrocchia che era
ancora da strutturare e dove è nata l'idea di dare vita a un circolo. Io avevo
partecipato a degli incontri di riflessione che le Acli promuovevano ogni anno
a Ponte di Legno e in altre occasioni in relazione alla mia attività sindacale.
L'impegno nelle Acli e nella Cisl li ho vissuti come
un percorso quasi naturale, anzi più cresceva il mio impegno e più sentivo di
essere nel posto più coerente rispetto ai miei valori. Si è trattato di una
progressiva condivisione che trovava conferma in continuazione e che veniva
alimentata con l'azione.
Ho studiato il
catechismo, mi sono confrontato più volte con i contenuti della dottrina
sociale della Chiesa, ho letto parecchio di don Lorenzo Milani, don Tonino
Bello. Di uno per l'aspetto del “mi interessa”, I care,
dell'altro per gli aspetti della
mondialità, dell'immigrazione, Convivialità
delle differenze.
Trent'anni fa ho condiviso un'esperienza in una casa
colonica, una cascina a Valeggio sul Mincio di proprietà di un collega del
sindacato, che ispirava la propria attività a don Milani e a don Tonino Bello.
Anche a Brescia ho fatto parte del gruppo don Milani organizzando iniziative di
riflessione e percorsi formativi, siamo andati a Barbiana e abbiamo invitato
alcuni dei suoi allievi per una testimonianza da noi.
L'iniziativa della casa colonica è per sua natura
laica, ma è nata con un sacerdote rientrato dal Brasile, ed è basata sul tema dell'accoglienza,
della relazione e dello stare insieme. Si ospitano i gruppi, non c'è
televisione né telefono. Facciamo anche incontri formativi e alcuni sacerdoti
ci danno una mano in queste riflessioni.
Ho sempre detto ai miei
colleghi che fare il sindacalista senza fare altre esperienze sociali toglie
loro qualcosa, perché queste attività sul territorio ti arricchiscono. A me ha
aiutato molto avere un impegno in questa associazione piuttosto che nel circolo
Acli, in particolare mi ha aiutato a tenere i piedi piantati per terra perché
mi ha costretto a confrontarmi da pari a pari con le persone. Anzi, questo mi
ha rafforzato anche nel lavoro sindacale.
Contemporaneamente al mio
impegno in Cisl, negli ultimi dieci, dodici anni ho fatto parte della pastorale
sociale diocesana. Inizialmente le persone sono state scelte in rappresentanza
dell'associazione di cui erano espressione poi il vescovo ha cambiato
impostazione perché voleva uomini e donne che esprimessero qualcosa di proprio
e che non riportassero solamente le idee dell'associazione di provenienza.
Facevo parte anche del
consiglio pastorale in parrocchia e qualche volta ho dovuto discutere per
sostenere le mie posizioni perché sono stato accusato di essere troppo vicino a
idee che loro consideravano alternative. Questo è un tema forte all'interno
della Chiesa perché coloro che sono impegnati nel sociale, in particolare nel
mondo del lavoro, non sono mai stati visti troppo positivamente, a volte sono
stati considerati un elemento di disturbo anche dai parroci.
Quando il nostro
presidente del circolo Acli, cattolico convinto, praticante, si è candidato nel
Pds si è accesa una forte discussione e siamo finiti dall'ausiliare del vescovo
per ricomporre la frattura nel consiglio pastorale.
Dovevo ancora cessare il
mio impegno in Cisl quando il vescovo mi ha proposto di dare una mano a gestire,
in veste di segretario generale, una società che mettesse in rete gli enti e le
fondazioni della diocesi con l'obiettivo di riportare queste organizzazioni
sotto il tetto della casa madre. Avevo appena iniziato a ricoprire questo
incarico quando il vescovo mi ha richiamato e mi ha chiesto un impegno più
preciso nella pastorale sociale dove serviva un vicedirettore per sostenere il
direttore che non stava bene. Dopo sette mesi il direttore, che era un
sacerdote, si è dimesso, il vescovo, questa volta senza neppure chiedermi la
disponibilità, mi ha comunicato che sarei stato il nuovo direttore.
Da circa un anno sono quindi
il direttore dell'Ufficio per l'impegno sociale della diocesi di Brescia, primo
laico responsabile di un ufficio della curia. Gli impegni vanno dalla scuola di
formazione alla politica agli incontri con i candidati sindaci e con le persone
già coinvolte nelle amministrazioni. Sul versante lavoro si sta cercando di
costruire una presenza della Chiesa bresciana attenta ai problemi dei
lavoratori, intrecciando anche rapporti con le imprese, gestendo insieme una
scuola di economia civile. Una pastorale sociale che guarda alle novità che ci
sono nel mondo del lavoro, con un'attenzione al modello della partecipazione e
alle azioni delle imprese nella valorizzazione di persone. Un tema che è stato
al centro delle settimane sociali del 2017 con il lavoro libero, creativo,
partecipativo e solidale e su questo abbiamo organizzato alcuni incontri anche
sul territorio.
Tutti gli anni a maggio
il vescovo celebra la messa in un'azienda. Quest'anno l'abbiamo dedicata al
tema della settimana di Cagliari e abbiamo fatto due assemblee in preparazione
di questo evento in Valle Sabbia, uno con i segretari di Cgil-Cisl-Uil e
l'altro con il presidente dell'associazione industriali Giuseppe Pasini.
Sostenere
quest'impostazione del lavoro vuol dire proseguire sul cammino della dottrina
sociale della Chiesa tracciato dai Papi, dalla Rerum novarum alla Laudato
si’. Non il conflitto tra impresa e lavoratore, ma il dialogo e il rispetto
della persona favorendo la crescita dei lavoratori. Io mi trovo molto in
sintonia con tutto questo.
Devo dire che nonostante
l'impegno della Chiesa ufficiale, che ha dedicato un anno al tema del lavoro,
nelle parrocchie questo aspetto fatica a trovare spazio.
Cagliari ha voluto dire
alle persone di Chiesa che se affermano che il lavoro è importante per la
dignità della persona, non possono nel territorio e nella comunità essere
distanti da chi vive le difficoltà del lavoro. La Chiesa è in uscita se le
persone percepiscono che è vicina alla loro quotidianità, e se fanno fatica non
possono essere lasciate sole. Che non vuol dire che la Chiesa deve trovare
lavoro a chi non ce l’ha, anche se a Cagliari abbiamo messo in campo degli
strumenti, partendo dalle positive esperienze realizzate in qualche diocesi,
che vanno trasferiti e generalizzati. Sono stati individuati dei percorsi che
però faticano a diventare concreti.
Cagliari ci ha detto che
dobbiamo da un lato denunciare il lavoro nero, le situazioni irregolari di
sfruttamento, dall’altro dobbiamo chiedere di sostenere le aziende che operano
bene, anche con le risorse necessarie.
Le difficoltà dentro la
Chiesa nascono perché forse per troppo tempo di queste questioni non se n’è
parlato. Abbiamo pensato che fosse sufficiente fare qualche lettura sul tema il
1° maggio e poi è finita lì, manca preparazione e forse non c'è proprio
convinzione. Forse anche perché il problema della disoccupazione, delle
famiglie in difficoltà è distante dal sentire dei sacerdoti. Si è un po'
delegato alla Caritas, che è importante però non è la risposta. La Caritas
interviene nel momento più disperato, ma noi dobbiamo operare per evitare che
si arrivi a quel punto e questo lo si fa parlando anche con chi crea lavoro. La
Cei ha affidato a dei laici esperti come Leonardo Becchetti, Mauro Magatti,
Luigino Bruni, ma anche a suor Alessandra Smerilli, il compito di supportarci,
vuol dire che ce n’è bisogno.
Papa Francesco ha
costruito tutta la sua esperienza sui temi della povertà e del lavoro. Lui usa
termini e parole forti, ma sono quelle adeguate al momento. Forse dobbiamo
tornare a scoprire il senso delle cose, il perché le facciamo. Francesco ci
richiama continuamente a essere fedeli al Vangelo, alla coerenza nella
quotidianità, e non l'abbiamo ancora compreso. Paradossalmente le sue
riflessioni sono più condivise dai non cristiani, da molti laici.
La Laudato si’ e
l’Evangeli gaudium ci offrono un supporto. La Laudato si’ parla
dell'ambiente ma è integrale rispetto alla vita dell'uomo, parla del lavoro,
dell'economia e l’Evangeli gaudium scava dentro ai comportamenti e alle
coerenze, anche della Chiesa. Il Papa è severo con il mondo della Chiesa.
La mia esperienza nella
pastorale sociale è faticosa ma non smette mai di arricchirmi di nuovi stimoli,
di nuove esperienze - come nel caso dell'immigrazione - che solo chi non le
vive, può leggerle negativamente.