Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Dialogare
sempre
Che la crisi sarebbe arrivata lo avevano capito da
tempo. Terminata l’abbuffata dell’alta velocità, altre grandi opere
all’orizzonte non ce n’erano. Poi l’edilizia si è fermata e il bisogno di
cemento è irrimediabilmente crollato. Con una capacità produttiva installata
superiore ai 50 milioni di tonnellate e un mercato che oggi in Italia ne chiede
meno di venti non poteva essere altrimenti. Alla Italcementi hanno dovuto
adeguarsi, fermando alcune cementerie e chiedendo la cassa integrazione per 665
persone. La crisi però ha continuato a mordere e l’anno successivo l’azienda ha
deciso un inasprimento dei provvedimenti.
La risposta immediata dei lavoratori è stato uno
sciopero. Un successo, perché per la prima volta nella sede di Bergamo hanno
lavorato solo una cinquantina di persone su un migliaio di addetti. Una
adesione così massiccia forse c’era stata solo negli anni caldi della
contestazione operaia, la sede era vuota. Forti del buon esito della protesta i
rappresentanti sindacali aziendali hanno puntato a costruire un accordo che
garantisse nel migliore modo possibile i lavoratori, assicurando nel contempo
la tenuta del gruppo. Il risultato, pur con la conferma della cassa
integrazione e della mobilità, è stata un’intesa che prevede l’anticipo della
cassa, un sostegno al reddito per scuola e sanità, corsi di formazione per la
riqualificazione professionale, mobilità volontaria con integrazione al
reddito, mobilità infragruppo, incentivi all’autoimprenditorialità, buone
uscite, investimenti.
Nel corso della trattativa la Fillea Cgil voleva
replicare lo sciopero, ma la Filca Cisl si è opposta, ritenendo che non fosse
il caso di gestire un confronto minacciando scioperi, mirando invece ad un
accordo utile. Storicamente nella sede Italcementi la maggioranza degli
iscritti è sempre stata a favore della Fillea. Oggi non è più così, la Cgil ha
perso la maggioranza.
Angelo Dessì è delegato della Filca alla Italcementi,
45 anni, è nato e vive a Bergamo con la moglie e con un figlio piccolo di sei
anni. “Sono ragioniere e mi occupo di finanza – racconta di sé -, prima ho
lavorato in un'altra azienda del gruppo, sempre nel settore finanziario. Era
una società di Milano, la Società del gres ing. Sala, che ad un certo punto è
stata acquisita da Italcementi e si è trasferita a Bergamo e, siccome molti
dipendenti non hanno accettato il trasferimento, avendo bisogno di nuovi
impiegati, mi hanno assunto. Qualche tempo dopo, in un processo di
razionalizzazione, la mia funzione è stata portata dentro la sede centrale dove
sono occupato oggi.
Sono sempre stato un simpatizzante del sindacato, mi
era stato anche chiesto dalla Fillea di mettermi con loro, ma mi sono rifiutato
perché non avevo il giusto feeling con il loro modo di fare, alla fine sono
entrato in Filca quando lo storico delegato della Cisl sette anni fa è andato
in pensione. Fino ad allora non sono stato iscritto. Sono subito diventato
delegato. Nominato, non votato. Gli impiegati non sono propensi a tesserarsi,
siamo nella sede centrale e non sono molte le persone disponibili a fare
sindacato, stanno tutti un po' sulle loro.
Siamo circa un migliaio di impiegati, ma temiamo che
non si riesca a procedere ad una elezione diretta delle rappresentanze
sindacali. Se non raggiungessimo il 50% dei votanti sarebbero dei problemi
grossi, quindi per ora preferiamo essere nominati. Siamo comunque riconosciuti
dai nostri compagni di lavoro”.
Gli iscritti sono poco meno di 150 per le due
organizzazioni. La Fillea ha sempre la maggioranza. Risultato anche di una vicenda
occorsa diversi anni fa a due impiegati, marito e moglie, che avevano dato vita
a una lunga vertenza. Avendo scritto un volantino contro Italcementi l'azienda
li aveva lasciati a casa. In quell'occasione era intervenuto anche il premio
Nobel Dario Fo. Ci sono state numerose cause di lavoro che hanno sempre visto
la vittoria dei due coniugi sostenuti dalla Cgil, ma in azienda non sono mai
rientrati pur ricevendo regolarmente lo stipendio.
“Oggi la Cgil non ha più la maggioranza – prosegue
Dessì -. È il risultato di un lavoro che dura da diversi anni. Con il nostro
impegno siamo riusciti a far emergere il valore della Filca, con posizioni
innovative sulle relazioni sindacali, sui contratti. Una linea difficile da
portare avanti, perché la Fillea è sempre il solito sindacato antagonista che
si tira indietro fino all'ultimo salvo che poi, quando si ottiene un risultato,
allora è merito anche suo, mentre in realtà siamo noi che portiamo avanti le
proposte. Nonostante ciò, pian piano le nostre idee hanno prevalso e ora
abbiamo superato la Cgil e siamo il primo sindacato in Italcementi”.
Italcementi è una multinazionale che opera in
tantissimi paesi: Egitto, Kazakistan, Stati Uniti, Spagna, Francia e molti
altri. Pur scontando la crisi, il gruppo a livello mondiale sta andando bene.
Purtroppo nei paesi del sud Europa: Spagna, Grecia, e soprattutto Italia, dove
la crisi ha colpito duramente, invece no. Il gruppo, tra impiegati e operai,
conta in Italia circa 2.500 addetti, mentre a livello mondiale i dipendenti
sono circa 16mila. In Lombardia, oltre alla sede centrale di Bergamo, sono
attivi impianti a Rezzato, Calusco, Broni, in via di chiusura, e gli occupati
sono circa 1.500. In via di chiusura in Veneto c'è Monselice, in Friuli
Trieste. Il mercato è mondiale, anche se il cementificio per sua natura ha un
raggio d'azione molto limitato, pertanto gli insediamenti devono essere
numerosi. Prima dell'emergere delle difficoltà erano diciotto e ora vanno via
via diminuendo. Un tempo il loro raggio d'azione, entro il quale erano
convenienti, era di circa 50 km, oltre quel raggio il cemento era troppo caro,
non era più competitivo. Oggi questa distanza si va ampliando e anche questo
porta a una riduzione del numero dei cementifici, quantomeno in Italia.
Nel 2007 si stava costruendo l'alta velocità
Milano-Torino e quella è stata una buona opportunità per Italcementi. Terminata
la grande infrastruttura il mercato si è immediatamente deteriorato, ma i
segnali c'erano già prima perché si notava un calo nella domanda da parte dei
committenti comuni, si iniziava a costruire meno. L'unica cosa che teneva
ancora in piedi tutti quei cementifici, alcuni molto vecchi come Broni e Borgo
San Dalmazzo, era la tav da costruire e serviva cemento, perciò continuavano a
lavorare. Se non ci fosse stata l'alta velocità quei cementifici probabilmente
sarebbero stati chiusi prima. Finita l'opera è iniziato un crollo verticale,
con una flessione del consumo del 20%. Oggi il mercato del cemento in Italia è
passato da 42/43 milioni di tonnellate annue a 18/20 milioni.
“Ogni anno ci si diceva ‘speriamo che la riduzione si
fermi’ invece ogni anno è proseguita – spiega ancora Dessì -. Quest'anno è
previsto un ulteriore calo, fortunatamente solo del 2/3%, speriamo, perché non
si può dire di questi tempi, però crediamo di aver toccato il fondo. La cosa
certa è che non torneremo più al 2007, il mercato per i prossimi dieci,
quindici anni in Italia si attesterà intorno alle venti milioni di tonnellate
annue”.
A livello nazionale ancora oggi tra tutti cementieri
è installata una capacità produttiva superiore alle 50 milioni di tonnellate,
per cui la scelta è di ridurre sostanzialmente del 50% la capacità produttiva
italiana. La quota di mercato nazionale di Italcementi è compresa tra il 25 e
il 30%. Il principale concorrente in Italia è Buzzi Unicem, mentre Italcementi
rappresenta il quinto gruppo cementiero al mondo.
“Con l'esplodere della crisi, nel 2009 siamo stati
convocati presso l’associazione industriale Federmaco, la Federazione
italiana dei materiali di base per le costruzioni, dove ci hanno
presentato un primo piano di ristrutturazione con cui si definiva la chiusura
di alcuni siti produttivi – prosegue il delegato Filca – e si faceva ricorso
alla cassa integrazione ordinaria, che è diventata quasi subito cassa
straordinaria per ristrutturazione. Nei primi anni di crisi l'azienda ha
cercato di resistere, evitando interventi drastici. Pesenti non voleva arrivare
a una riduzione di personale, in particolare a Bergamo, però le difficoltà sono
cresciute e si è dovuti ricorrere alla cassa integrazione straordinaria e alla
mobilità. Abbiamo fatto un accordo in cui abbiamo chiesto e ottenuto dei
sostegni per coloro che erano coinvolti. Con l'intesa del dicembre 2012 le
persone poste in cassa integrazione sono state 665, sparse su tutto il
territorio nazionale. Per quanto riguarda la sede erano previste duecento
persone in cassa, ma in realtà alla fine ne saranno state coinvolte una
ventina. L'accordo divideva le cementerie in tre fasce: A, B e C, e già da questa
scelta si poteva vedere quello che succederà entro il 2015. Avremo infatti le
cementerie di serie A, che rappresenteranno il core business dell'azienda per
il futuro, mentre purtroppo per le altre ci sono solo segnali negativi. Bisogna
tenere presente che nel momento in cui si trasforma una cementeria in centro di
macinazione il personale si riduce da
100/150 a 25/30 addetti, ancora meno se si parla di depositi.
Dato che la situazione ha continuato a peggiorare,
nel dicembre 2013 abbiamo raggiunto un altro accordo che in qualche modo
ridefinisce la distribuzione dei cassintegrati e dove emerge chiaramente che
gli impianti di Scafa e Monselice sono di fatto fermi essendo tutto il
personale in cassa integrazione. Per quanto riguarda la sede centrale temiamo
che una settantina di impiegati sia destinato ad andarsene.
Quando la proprietà ha chiesto la revisione
dell'accordo del 2012, a Roma c'è stato un coordinamento sindacale molto
vivace, perché secondo la Fillea quell'intesa non si doveva toccare. Come Filca
– sottolinea Dessì - ci siamo imposti e ne abbiamo fatta un’altra e alla fine
anche la Cgil ha firmato. È un po' il solito schema: Fillea fa l'antagonista,
noi arriviamo con le proposte e il risultato raggiunto è frutto del nostro
lavoro. Con la nuova intesa abbiamo riconosciuto l’aggravarsi delle difficoltà
e allo stesso tempo abbiamo aumentato i contributi al welfare da parte
dell'azienda.
A sostegno della nostra azione abbiamo fatto uno
sciopero nazionale con manifestazione a Bergamo, davanti alla sede di
Italcementi. La richiesta era quella di rispettare gli accordi precedenti,
sapendo peraltro che si doveva cambiarli. Serviva fare lo sciopero, serviva
farlo a Bergamo, e l’abbiamo fatto. Era l’11 ottobre 2013. Hanno partecipato
lavoratori di tutte le sedi italiane e dopo quello sciopero l'azienda ha
iniziato a trattare con maggiore disponibilità. In particolare, volevamo degli
impegni precisi sulle cementerie destinate alla chiusura, anche se nell'accordo
questo non è scritto, chiedendo un sostegno maggiore per quei lavoratori che
perderanno l'occupazione.
Lo sciopero è stato un successo e per la prima volta
in sede hanno lavorato solo una cinquantina di persone. La sede era vuota, lo
sciopero ha funzionato e Fillea voleva ripeterlo, noi ci siamo opposti perché
non è il caso di andare ad un confronto con l'azienda a suon di scioperi, anche
perché in questo momento di crisi continuare a far perdere reddito ai colleghi
non è il caso e poi non ci avrebbero più seguiti, inoltre sappiamo bene qual è
la situazione ed è inutile far finta di non sapere. Questa è la nostra
prerogativa: conosciamo la realtà, cerchiamo di gestirla e di trovare le
soluzioni più adeguate. Questo è il modo di fare sindacato della Filca da
sempre. L'accordo del dicembre 2013 ripercorre sostanzialmente lo stesso schema
di quello precedente del 2012, sono stati solamente aumentati in valore gli
interventi a favore dei lavoratori”.
Numerose le azioni di sostegno concordate. “Abbiamo
ottenuto l'anticipo della cassa integrazione, che nel caso di Italcementi è
scontato perché quando si è reso necessario è sempre stato così, era previsto
un sostegno al reddito di 550 euro che è passato fino a un massimo di 700,
l'aiuto per le spese sanitarie e le spese per le scuole dei figli è passato da
mille a 1.500 euro per i lavoratori sospesi per almeno dieci mesi e a duemila
per quelli sospesi per almeno dodici. Piccole cose, ma penso che in questo
momento siano segnali che aiutano. L’elemento nuovo è la formazione per la
riqualificazione professionale per coloro che sono destinati a lasciare
l'azienda, i corsi dovrebbero partire tra aprile e maggio 2014 e noi come Filca
vogliamo essere presenti, siamo in attesa che la direzione ci comunichi la
società che ha scelto per realizzare la formazione e, con la collaborazione dei
nostri esperti dello Ial, valuteremo le proposte. Certo è un po' difficile
parlare di outplacement oggi con la situazione che c'è, però è una opportunità
in più da offrire ai lavoratori, l'ipotesi è che l'azienda possa investire
circa mezzo milione di euro per la realizzazione dei corsi. Insieme al percorso
di cassa integrazione straordinaria abbiamo aperto anche una mobilità
volontaria per l’accompagnamento alla pensione, con una integrazione
riparametrata alla pensione futura. Un altro strumento che abbiamo previsto è
la possibilità del trasferimento infragruppo, parliamo di piccoli numeri, però
ci sono colleghi che si sono trasferiti in aziende del gruppo all'estero e
altri che si sono trasferiti da un impianto all'altro in Italia.
Un altro elemento introdotto è quello degli incentivi
all’autoimprenditorialità e alla ricollocazione, questo vuol dire che l'azienda
è disposta ad aiutare una start up. Ad esempio, se alcuni dipendenti con
particolare professionalità decidessero di mettersi in proprio, Italcementi è
disposta a sostenerli dandogli un po' di contributi oppure passandogli degli
ordini. Nel caso poi che una persona in cassa integrazione trovi un lavoro per
conto proprio l'azienda gli riconosce ventimila euro di buona uscita. Italcementi
si è impegnata anche a realizzare degli investimenti, che vuol dire ad esempio
revamping di alcuni impianti. In questo momento si sta realizzando a Rezzato un
investimento da 150 milioni di euro. Le vecchie cementerie inquinano, consumano
tantissima energia e devono essere ristrutturate. Calusco è stata la prima in
Italia, poi è seguita Matera e così via. È cambiata la tecnologia e piano piano
le cementerie vengono riadattate. L'azienda si è impegnata col ministero a fare
gli investimenti in occasione della firma dell'accordo per ottenere la cassa
integrazione e li sta effettivamente realizzando. Fino ad oggi ha già investito
più di quello che aveva concordato. Le prospettive sono che passato questo
periodaccio la situazione si tranquillizzi e raggiunto l'equilibrio intorno ai
18/20 milioni di tonnellate, non dovremmo avere altre sorprese negative”.
Italcementi ha un settore di ricerca e sviluppo
i.Lab, presso il Kilometro rosso di Bergamo dove si studiano cementi speciali,
come ad esempio il cemento mangia smog. Produce cementi estremamente
sofisticati, quello utilizzato per sollevare la nave Concordia all’isola del
Giglio è stato studiato e messo a punto nel laboratorio di ricerca di via
Stezzano, così come il cemento trasparente del padiglione italiano all’Expo di
Shangai, peccato che questi cementi in Italia non abbiamo mercato. I prodotti
speciali vengono venduti, ma all'estero e in piccole quantità. Sono cementi che
potrebbero rivoluzionare il mercato, ma siccome costano, in Italia soldi non ce
ne sono e quindi non vengono utilizzati.
“Certo è un momento delicato, difficile e brutto –
spiega Angelo Dessì -, purtroppo un certo numero di persone dovrà lasciare e
questo ormai è ineluttabile. Però o si fa così o l’azienda muore.
Peraltro l'annuncio della crisi e del fatto che
avrebbero dovuto esserci dei tagli non mi ha sorpreso più di tanto perché mi ero
reso conto che in sede, anche nei momenti migliori, c'era del personale in più
e all'interno del sindacato avevo già detto che avrebbe potuto esserci una
riduzione di personale. Lavorando a contatto con gli impiegati di vari settori
abbiamo visto fin dall'inizio che gli ordini diminuivano e le produzioni si
riducevano. Personalmente non sono mai stato preoccupato per me, lo ero per i
miei colleghi. Anche perché Bergamo, che è sempre stata una provincia con tassi
di disoccupazione marginali, oggi invece si sta avvicinando ad un tasso tra il
sette e l’otto per cento che per questo territorio è altissimo.
La sede di Italcementi è proprio dentro la città e
occupa un intero isolato, è una istituzione e anche un potere forte in Bergamo,
per cui gli organi di stampa hanno molto attenuato la realtà della crisi
dell'azienda. Si parla poco della situazione italiana e si evidenziano i
successi nel mondo. Bisogna peraltro tenere presente che fino ad oggi non è
uscito nessuno dall'azienda se non per scelta volontaria. Lo sciopero generale
che abbiamo fatto è stato una sorpresa per la città, però la notizia è durata
un solo giorno”.
Negli accordi sono previste una serie di verifiche
trimestrali a livello nazionale sull'andamento della situazione e, a livello
locale, su richiesta sindacale, solo per la sede. Il clima non è tranquillo,
perché la cassa finisce a fine gennaio 2015 e le persone cominciano a
interrogarsi su chi sarà costretto a lasciare e la cosa brutta è che si è
innescata una battaglia tra poveri. La cassa integrazione formalmente è a
rotazione, ma in realtà è difficile da impostare perché in alcune aree le
persone non possono essere facilmente sostituibili. La cosa vera è che di fatto
si sa già quali sono le aree che l'azienda ha deciso di dismettere. Fino ad
oggi sono uscite in modo volontario una cinquantina di persone circa, si vedrà
a fine anno quale sarà la situazione e allora decideranno il da farsi. Alzare
il livello dello scontro oggi non serve, i delegati della Cisl cercano il
dialogo con l'azienda per trovare le soluzioni migliori, che pesino il meno
possibile sui lavoratori e allo stesso tempo contrastano il tentativo di Fillea
di impostare una linea antagonista.
“Ovvio che se le cose si metteranno al peggio non ci
sottrarremo alla necessità di alzare il livello del conflitto – conclude Dessì
-. Se serve lo faremo, ma fino a quando si riesce a discutere con l'azienda
siamo per seguire quella strada. Noi abbiamo questa visione”.