domenica 7 giugno 2020

ANGELO DESSI’ - Italcementi – Bergamo

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Dialogare sempre
Che la crisi sarebbe arrivata lo avevano capito da tempo. Terminata l’abbuffata dell’alta velocità, altre grandi opere all’orizzonte non ce n’erano. Poi l’edilizia si è fermata e il bisogno di cemento è irrimediabilmente crollato. Con una capacità produttiva installata superiore ai 50 milioni di tonnellate e un mercato che oggi in Italia ne chiede meno di venti non poteva essere altrimenti. Alla Italcementi hanno dovuto adeguarsi, fermando alcune cementerie e chiedendo la cassa integrazione per 665 persone. La crisi però ha continuato a mordere e l’anno successivo l’azienda ha deciso un inasprimento dei provvedimenti.

La risposta immediata dei lavoratori è stato uno sciopero. Un successo, perché per la prima volta nella sede di Bergamo hanno lavorato solo una cinquantina di persone su un migliaio di addetti. Una adesione così massiccia forse c’era stata solo negli anni caldi della contestazione operaia, la sede era vuota. Forti del buon esito della protesta i rappresentanti sindacali aziendali hanno puntato a costruire un accordo che garantisse nel migliore modo possibile i lavoratori, assicurando nel contempo la tenuta del gruppo. Il risultato, pur con la conferma della cassa integrazione e della mobilità, è stata un’intesa che prevede l’anticipo della cassa, un sostegno al reddito per scuola e sanità, corsi di formazione per la riqualificazione professionale, mobilità volontaria con integrazione al reddito, mobilità infragruppo, incentivi all’autoimprenditorialità, buone uscite, investimenti.
Nel corso della trattativa la Fillea Cgil voleva replicare lo sciopero, ma la Filca Cisl si è opposta, ritenendo che non fosse il caso di gestire un confronto minacciando scioperi, mirando invece ad un accordo utile. Storicamente nella sede Italcementi la maggioranza degli iscritti è sempre stata a favore della Fillea. Oggi non è più così, la Cgil ha perso la maggioranza.
Angelo Dessì è delegato della Filca alla Italcementi, 45 anni, è nato e vive a Bergamo con la moglie e con un figlio piccolo di sei anni. “Sono ragioniere e mi occupo di finanza – racconta di sé -, prima ho lavorato in un'altra azienda del gruppo, sempre nel settore finanziario. Era una società di Milano, la Società del gres ing. Sala, che ad un certo punto è stata acquisita da Italcementi e si è trasferita a Bergamo e, siccome molti dipendenti non hanno accettato il trasferimento, avendo bisogno di nuovi impiegati, mi hanno assunto. Qualche tempo dopo, in un processo di razionalizzazione, la mia funzione è stata portata dentro la sede centrale dove sono occupato oggi.
Sono sempre stato un simpatizzante del sindacato, mi era stato anche chiesto dalla Fillea di mettermi con loro, ma mi sono rifiutato perché non avevo il giusto feeling con il loro modo di fare, alla fine sono entrato in Filca quando lo storico delegato della Cisl sette anni fa è andato in pensione. Fino ad allora non sono stato iscritto. Sono subito diventato delegato. Nominato, non votato. Gli impiegati non sono propensi a tesserarsi, siamo nella sede centrale e non sono molte le persone disponibili a fare sindacato, stanno tutti un po' sulle loro.
Siamo circa un migliaio di impiegati, ma temiamo che non si riesca a procedere ad una elezione diretta delle rappresentanze sindacali. Se non raggiungessimo il 50% dei votanti sarebbero dei problemi grossi, quindi per ora preferiamo essere nominati. Siamo comunque riconosciuti dai nostri compagni di lavoro”.
Gli iscritti sono poco meno di 150 per le due organizzazioni. La Fillea ha sempre la maggioranza. Risultato anche di una vicenda occorsa diversi anni fa a due impiegati, marito e moglie, che avevano dato vita a una lunga vertenza. Avendo scritto un volantino contro Italcementi l'azienda li aveva lasciati a casa. In quell'occasione era intervenuto anche il premio Nobel Dario Fo. Ci sono state numerose cause di lavoro che hanno sempre visto la vittoria dei due coniugi sostenuti dalla Cgil, ma in azienda non sono mai rientrati pur ricevendo regolarmente lo stipendio.
“Oggi la Cgil non ha più la maggioranza – prosegue Dessì -. È il risultato di un lavoro che dura da diversi anni. Con il nostro impegno siamo riusciti a far emergere il valore della Filca, con posizioni innovative sulle relazioni sindacali, sui contratti. Una linea difficile da portare avanti, perché la Fillea è sempre il solito sindacato antagonista che si tira indietro fino all'ultimo salvo che poi, quando si ottiene un risultato, allora è merito anche suo, mentre in realtà siamo noi che portiamo avanti le proposte. Nonostante ciò, pian piano le nostre idee hanno prevalso e ora abbiamo superato la Cgil e siamo il primo sindacato in Italcementi”.
Italcementi è una multinazionale che opera in tantissimi paesi: Egitto, Kazakistan, Stati Uniti, Spagna, Francia e molti altri. Pur scontando la crisi, il gruppo a livello mondiale sta andando bene. Purtroppo nei paesi del sud Europa: Spagna, Grecia, e soprattutto Italia, dove la crisi ha colpito duramente, invece no. Il gruppo, tra impiegati e operai, conta in Italia circa 2.500 addetti, mentre a livello mondiale i dipendenti sono circa 16mila. In Lombardia, oltre alla sede centrale di Bergamo, sono attivi impianti a Rezzato, Calusco, Broni, in via di chiusura, e gli occupati sono circa 1.500. In via di chiusura in Veneto c'è Monselice, in Friuli Trieste. Il mercato è mondiale, anche se il cementificio per sua natura ha un raggio d'azione molto limitato, pertanto gli insediamenti devono essere numerosi. Prima dell'emergere delle difficoltà erano diciotto e ora vanno via via diminuendo. Un tempo il loro raggio d'azione, entro il quale erano convenienti, era di circa 50 km, oltre quel raggio il cemento era troppo caro, non era più competitivo. Oggi questa distanza si va ampliando e anche questo porta a una riduzione del numero dei cementifici, quantomeno in Italia.
Nel 2007 si stava costruendo l'alta velocità Milano-Torino e quella è stata una buona opportunità per Italcementi. Terminata la grande infrastruttura il mercato si è immediatamente deteriorato, ma i segnali c'erano già prima perché si notava un calo nella domanda da parte dei committenti comuni, si iniziava a costruire meno. L'unica cosa che teneva ancora in piedi tutti quei cementifici, alcuni molto vecchi come Broni e Borgo San Dalmazzo, era la tav da costruire e serviva cemento, perciò continuavano a lavorare. Se non ci fosse stata l'alta velocità quei cementifici probabilmente sarebbero stati chiusi prima. Finita l'opera è iniziato un crollo verticale, con una flessione del consumo del 20%. Oggi il mercato del cemento in Italia è passato da 42/43 milioni di tonnellate annue a 18/20 milioni.
“Ogni anno ci si diceva ‘speriamo che la riduzione si fermi’ invece ogni anno è proseguita – spiega ancora Dessì -. Quest'anno è previsto un ulteriore calo, fortunatamente solo del 2/3%, speriamo, perché non si può dire di questi tempi, però crediamo di aver toccato il fondo. La cosa certa è che non torneremo più al 2007, il mercato per i prossimi dieci, quindici anni in Italia si attesterà intorno alle venti milioni di tonnellate annue”.
A livello nazionale ancora oggi tra tutti cementieri è installata una capacità produttiva superiore alle 50 milioni di tonnellate, per cui la scelta è di ridurre sostanzialmente del 50% la capacità produttiva italiana. La quota di mercato nazionale di Italcementi è compresa tra il 25 e il 30%. Il principale concorrente in Italia è Buzzi Unicem, mentre Italcementi rappresenta il quinto gruppo cementiero al mondo.
“Con l'esplodere della crisi, nel 2009 siamo stati convocati presso l’associazione industriale Federmaco, la Federazione italiana dei materiali di base per le costruzioni, dove ci hanno presentato un primo piano di ristrutturazione con cui si definiva la chiusura di alcuni siti produttivi – prosegue il delegato Filca – e si faceva ricorso alla cassa integrazione ordinaria, che è diventata quasi subito cassa straordinaria per ristrutturazione. Nei primi anni di crisi l'azienda ha cercato di resistere, evitando interventi drastici. Pesenti non voleva arrivare a una riduzione di personale, in particolare a Bergamo, però le difficoltà sono cresciute e si è dovuti ricorrere alla cassa integrazione straordinaria e alla mobilità. Abbiamo fatto un accordo in cui abbiamo chiesto e ottenuto dei sostegni per coloro che erano coinvolti. Con l'intesa del dicembre 2012 le persone poste in cassa integrazione sono state 665, sparse su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda la sede erano previste duecento persone in cassa, ma in realtà alla fine ne saranno state coinvolte una ventina. L'accordo divideva le cementerie in tre fasce: A, B e C, e già da questa scelta si poteva vedere quello che succederà entro il 2015. Avremo infatti le cementerie di serie A, che rappresenteranno il core business dell'azienda per il futuro, mentre purtroppo per le altre ci sono solo segnali negativi. Bisogna tenere presente che nel momento in cui si trasforma una cementeria in centro di macinazione il personale si riduce da  100/150 a 25/30 addetti, ancora meno se si parla di depositi.
Dato che la situazione ha continuato a peggiorare, nel dicembre 2013 abbiamo raggiunto un altro accordo che in qualche modo ridefinisce la distribuzione dei cassintegrati e dove emerge chiaramente che gli impianti di Scafa e Monselice sono di fatto fermi essendo tutto il personale in cassa integrazione. Per quanto riguarda la sede centrale temiamo che una settantina di impiegati sia destinato ad andarsene.
Quando la proprietà ha chiesto la revisione dell'accordo del 2012, a Roma c'è stato un coordinamento sindacale molto vivace, perché secondo la Fillea quell'intesa non si doveva toccare. Come Filca – sottolinea Dessì - ci siamo imposti e ne abbiamo fatta un’altra e alla fine anche la Cgil ha firmato. È un po' il solito schema: Fillea fa l'antagonista, noi arriviamo con le proposte e il risultato raggiunto è frutto del nostro lavoro. Con la nuova intesa abbiamo riconosciuto l’aggravarsi delle difficoltà e allo stesso tempo abbiamo aumentato i contributi al welfare da parte dell'azienda.
A sostegno della nostra azione abbiamo fatto uno sciopero nazionale con manifestazione a Bergamo, davanti alla sede di Italcementi. La richiesta era quella di rispettare gli accordi precedenti, sapendo peraltro che si doveva cambiarli. Serviva fare lo sciopero, serviva farlo a Bergamo, e l’abbiamo fatto. Era l’11 ottobre 2013. Hanno partecipato lavoratori di tutte le sedi italiane e dopo quello sciopero l'azienda ha iniziato a trattare con maggiore disponibilità. In particolare, volevamo degli impegni precisi sulle cementerie destinate alla chiusura, anche se nell'accordo questo non è scritto, chiedendo un sostegno maggiore per quei lavoratori che perderanno l'occupazione.
Lo sciopero è stato un successo e per la prima volta in sede hanno lavorato solo una cinquantina di persone. La sede era vuota, lo sciopero ha funzionato e Fillea voleva ripeterlo, noi ci siamo opposti perché non è il caso di andare ad un confronto con l'azienda a suon di scioperi, anche perché in questo momento di crisi continuare a far perdere reddito ai colleghi non è il caso e poi non ci avrebbero più seguiti, inoltre sappiamo bene qual è la situazione ed è inutile far finta di non sapere. Questa è la nostra prerogativa: conosciamo la realtà, cerchiamo di gestirla e di trovare le soluzioni più adeguate. Questo è il modo di fare sindacato della Filca da sempre. L'accordo del dicembre 2013 ripercorre sostanzialmente lo stesso schema di quello precedente del 2012, sono stati solamente aumentati in valore gli interventi a favore dei lavoratori”.
Numerose le azioni di sostegno concordate. “Abbiamo ottenuto l'anticipo della cassa integrazione, che nel caso di Italcementi è scontato perché quando si è reso necessario è sempre stato così, era previsto un sostegno al reddito di 550 euro che è passato fino a un massimo di 700, l'aiuto per le spese sanitarie e le spese per le scuole dei figli è passato da mille a 1.500 euro per i lavoratori sospesi per almeno dieci mesi e a duemila per quelli sospesi per almeno dodici. Piccole cose, ma penso che in questo momento siano segnali che aiutano. L’elemento nuovo è la formazione per la riqualificazione professionale per coloro che sono destinati a lasciare l'azienda, i corsi dovrebbero partire tra aprile e maggio 2014 e noi come Filca vogliamo essere presenti, siamo in attesa che la direzione ci comunichi la società che ha scelto per realizzare la formazione e, con la collaborazione dei nostri esperti dello Ial, valuteremo le proposte. Certo è un po' difficile parlare di outplacement oggi con la situazione che c'è, però è una opportunità in più da offrire ai lavoratori, l'ipotesi è che l'azienda possa investire circa mezzo milione di euro per la realizzazione dei corsi. Insieme al percorso di cassa integrazione straordinaria abbiamo aperto anche una mobilità volontaria per l’accompagnamento alla pensione, con una integrazione riparametrata alla pensione futura. Un altro strumento che abbiamo previsto è la possibilità del trasferimento infragruppo, parliamo di piccoli numeri, però ci sono colleghi che si sono trasferiti in aziende del gruppo all'estero e altri che si sono trasferiti da un impianto all'altro in Italia.
Un altro elemento introdotto è quello degli incentivi all’autoimprenditorialità e alla ricollocazione, questo vuol dire che l'azienda è disposta ad aiutare una start up. Ad esempio, se alcuni dipendenti con particolare professionalità decidessero di mettersi in proprio, Italcementi è disposta a sostenerli dandogli un po' di contributi oppure passandogli degli ordini. Nel caso poi che una persona in cassa integrazione trovi un lavoro per conto proprio l'azienda gli riconosce ventimila euro di buona uscita. Italcementi si è impegnata anche a realizzare degli investimenti, che vuol dire ad esempio revamping di alcuni impianti. In questo momento si sta realizzando a Rezzato un investimento da 150 milioni di euro. Le vecchie cementerie inquinano, consumano tantissima energia e devono essere ristrutturate. Calusco è stata la prima in Italia, poi è seguita Matera e così via. È cambiata la tecnologia e piano piano le cementerie vengono riadattate. L'azienda si è impegnata col ministero a fare gli investimenti in occasione della firma dell'accordo per ottenere la cassa integrazione e li sta effettivamente realizzando. Fino ad oggi ha già investito più di quello che aveva concordato. Le prospettive sono che passato questo periodaccio la situazione si tranquillizzi e raggiunto l'equilibrio intorno ai 18/20 milioni di tonnellate, non dovremmo avere altre sorprese negative”.
Italcementi ha un settore di ricerca e sviluppo i.Lab, presso il Kilometro rosso di Bergamo dove si studiano cementi speciali, come ad esempio il cemento mangia smog. Produce cementi estremamente sofisticati, quello utilizzato per sollevare la nave Concordia all’isola del Giglio è stato studiato e messo a punto nel laboratorio di ricerca di via Stezzano, così come il cemento trasparente del padiglione italiano all’Expo di Shangai, peccato che questi cementi in Italia non abbiamo mercato. I prodotti speciali vengono venduti, ma all'estero e in piccole quantità. Sono cementi che potrebbero rivoluzionare il mercato, ma siccome costano, in Italia soldi non ce ne sono e quindi non vengono utilizzati.
“Certo è un momento delicato, difficile e brutto – spiega Angelo Dessì -, purtroppo un certo numero di persone dovrà lasciare e questo ormai è ineluttabile. Però o si fa così o l’azienda muore.
Peraltro l'annuncio della crisi e del fatto che avrebbero dovuto esserci dei tagli non mi ha sorpreso più di tanto perché mi ero reso conto che in sede, anche nei momenti migliori, c'era del personale in più e all'interno del sindacato avevo già detto che avrebbe potuto esserci una riduzione di personale. Lavorando a contatto con gli impiegati di vari settori abbiamo visto fin dall'inizio che gli ordini diminuivano e le produzioni si riducevano. Personalmente non sono mai stato preoccupato per me, lo ero per i miei colleghi. Anche perché Bergamo, che è sempre stata una provincia con tassi di disoccupazione marginali, oggi invece si sta avvicinando ad un tasso tra il sette e l’otto per cento che per questo territorio è altissimo.
La sede di Italcementi è proprio dentro la città e occupa un intero isolato, è una istituzione e anche un potere forte in Bergamo, per cui gli organi di stampa hanno molto attenuato la realtà della crisi dell'azienda. Si parla poco della situazione italiana e si evidenziano i successi nel mondo. Bisogna peraltro tenere presente che fino ad oggi non è uscito nessuno dall'azienda se non per scelta volontaria. Lo sciopero generale che abbiamo fatto è stato una sorpresa per la città, però la notizia è durata un solo giorno”.
Negli accordi sono previste una serie di verifiche trimestrali a livello nazionale sull'andamento della situazione e, a livello locale, su richiesta sindacale, solo per la sede. Il clima non è tranquillo, perché la cassa finisce a fine gennaio 2015 e le persone cominciano a interrogarsi su chi sarà costretto a lasciare e la cosa brutta è che si è innescata una battaglia tra poveri. La cassa integrazione formalmente è a rotazione, ma in realtà è difficile da impostare perché in alcune aree le persone non possono essere facilmente sostituibili. La cosa vera è che di fatto si sa già quali sono le aree che l'azienda ha deciso di dismettere. Fino ad oggi sono uscite in modo volontario una cinquantina di persone circa, si vedrà a fine anno quale sarà la situazione e allora decideranno il da farsi. Alzare il livello dello scontro oggi non serve, i delegati della Cisl cercano il dialogo con l'azienda per trovare le soluzioni migliori, che pesino il meno possibile sui lavoratori e allo stesso tempo contrastano il tentativo di Fillea di impostare una linea antagonista.
“Ovvio che se le cose si metteranno al peggio non ci sottrarremo alla necessità di alzare il livello del conflitto – conclude Dessì -. Se serve lo faremo, ma fino a quando si riesce a discutere con l'azienda siamo per seguire quella strada. Noi abbiamo questa visione”.