Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Sono diplomato perito chimico e ho lavorato per ventidue anni
all'Istituto ricerche della Carlo Erba a Milano, in via Imbonati. Sono entrato
che avevo sedici anni e sono stato assunto così giovane perché il direttore era
un tedesco che durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale era stato
ospite a casa mia. Fu un'assunzione che sollevò problemi perché nessuno in quel
momento veniva preso in azienda sotto i diciotto anni. Studiavo la sera e
contemporaneamente lavoravo. Partivo da Carate con il tram alle 6,20 del mattino
e tornavo alla sera con quello delle 23,40.
Sono stato inquadrato come operaio addetto alla distribuzione dei
prodotti chimici ai periti che lavoravano nell'istituto di ricerca. Ancor prima
di prendere il diploma sono stato passato impiegato di seconda categoria.
Organizzazione del lavoro
La Carlo Erba era un'importantissima azienda farmaceutica, con diversi
farmaci nati in azienda, che aveva un grande prestigio. Proprietari erano i
Visconti di Modrone che negli anni Settanta l’hanno ceduta a Montedison. La
fusione con Farmitalia per Carlo Erba fu un passo indietro perché l'attenzione
fu posta più sui prodotti per il corpo che non per i farmaci e, dopo essere
finita nel 1983 in Erbamont sotto il controllo del gruppo Ferruzzi, nel 1993
arrivò il gruppo svedese Kabi Pharmacia che la assorbì. La Carlo Erba era
troppo piccola e prima la fusione con Farmitalia e poi l’ingresso in Erbamont
furono una necessità per cercare di competere con le grandi aziende del
settore.
Quando sono entrato in azienda vi lavoravano circa 1.500 persone, forse
anche di più. Nel laboratorio dove ho iniziato erano occupate una cinquantina
di persone. Quasi tutti i lavoratori erano addetti alla sintesi e quindi
lavoravano individualmente, mentre al confezionamento il lavoro era in linea.
C'erano parecchie donne e all'inizio quello fu un problema perché in camera
sterile si andava in condizioni non di sicurezza, anche se poi grazie ai nostri
interventi la situazione cambiò. Devo dire che non è stato solo merito nostro,
ma l'innovazione tecnologica e il clima generale esterno ci hanno aiutato.
Sindacato
Il mio impegno sindacale è nato nell'autunno caldo, nel 1969. Avevo
relazioni con la Pirelli e con Sergio Cofferati con cui eravamo amici fin da
scuola. Sono più vecchio di lui, però abbiamo avuto un periodo insieme, poi ci
siamo ritrovati nel sindacato, quindi a Roma e per un breve periodo anche a
Bruxelles.
Ho scelto la Cisl perché arrivavo da un impegno politico nella Democrazia
cristiana a Carate e mi sentivo più portato verso l'atteggiamento che la Cisl
teneva in azienda. Durante l'autunno caldo insieme alla Pirelli abbiamo fatto
cose turche, dal blocco delle merci agli scioperi, alle manifestazioni. Appena
mi sono avvicinato al sindacato mi hanno chiesto di rappresentare per la Cisl tutta
l'area della ricerca nell'ambito del consiglio di fabbrica. Ci fu una battaglia
abbastanza dura con la Cgil, ma fui eletto io come unico rappresentante di
quell'area. Finì che l'attività professionale pian piano perse di interesse,
perché l’impegno inizialmente era un'ora di sindacato e sette di lavoro, poi
finì per essere sette ore di sindacato e una di lavoro, e alla fine il mio
direttore - un chimico di prestigio, fratello dell'onorevole Giorgio Almirante,
- mi disse che la cosa non poteva continuare e fu così che Lino Ogliari mi
portò in segreteria dei chimici a Milano come distaccato nel 1972, ‘73.
In azienda ci sono state lotte molto dure, con blocchi della produzione,
ma questo avveniva soprattutto per le vicende di carattere generale, come il contratto
nazionale e gli scioperi per le riforme, mentre per le vertenze aziendali era
difficile arrivare a queste situazioni estreme, i margini erano tali che alla
fine c'era sempre la possibilità di trovare un'intesa. Il livello di
sindacalizzazione non era molto elevato. La Uil praticamente non esisteva, la
Cgil aveva un grosso potere ed era pilotata dalla cellula del Partito comunista
di Dergano. Avevano la maggioranza in fabbrica, ma non particolarmente grande,
e alla fine del mio periodo avevamo recuperato e Cisl e Cgil erano quasi
equivalenti.
Ho avuto parecchie frizioni con la cellula del Pci perché interveniva
anche sulle questioni aziendali, mentre nel periodo in cui sono rimasto in
azienda non ci sono state altre presenze sindacali o politiche.
C'è voluto un bel po' di lavoro per far capire alla gente il collegamento
tra quello che avveniva in fabbrica e quello che accadeva fuori e che non
potevano rimanere separati. Noi non siamo mai stati una punta avanzata della
capacità di risposta, ma dopo il 1967, grazie all'asse che abbiamo costruito
con la Pirelli, abbiamo realizzato delle iniziative nella zona molto
significative. Siamo stati tra i primi a dare vita ai consigli di zona e ad
avanzare richieste alle imprese su questi aspetti, mentre le aziende non
avevano il via da parte di Assolombarda per cui dovevano resistere, anche se da
parte di Carlo Erba la disponibilità c'era.
Ho avuto come destino nel sindacato quello di seguire Arnaldo Mariani,
eravamo amici ma eravamo un po' l'alternativa l'uno dell'altro. Lui passava,
secondo me erroneamente, come uno di sinistra mentre io rappresentavo l'altra
area. Una visione assolutamente non corretta guardando l'attività sindacale, ma
puntuale pensando alla politica. Ricordo benissimo vicende sindacali nella quale
ci trovavamo su parti avverse, ma su posizioni rovesciate. Fummo eletti
entrambi nella segreteria nazionale della Federchimici lo stesso giorno del
1979 in rappresentanza delle diverse posizioni che c’erano nell’organizzazione.
Segretario generale era Danilo Beretta, che lo è stato fino al 1980.
Una delle cose più drammatiche che ho vissuto quando ero in segreteria
nazionale è stata la fusione con i petrolieri. In categoria nazionale
segretario generale a quel punto era Domenico Trucchi, io seguivo il settore
della ceramica e del vetro e quando Sergio Gigli è stato assegnato come mio
operatore ho chiesto che venisse incaricato ad altro.
Relazioni industriali
Noi passiamo per il sindacato più attento alle esigenze imprenditoriali.
Occorre però dire che se da parte delle aziende c’è stata disponibilità al
confronto e ad ascoltare le nostre richieste, questo è dipeso soprattutto dalla
grande disponibilità economica del settore. Parliamoci chiaro, il valore
aggiunto dei metalmeccanici era decisamente minore di quello dei chimici, in
particolare il farmaceutico aveva ottimi margini, per cui chiedere una cappa di
aspirazione in un’azienda farmaceutica era certamente più facile che non
chiederla in un'azienda meccanica.
Era più facile fare sindacato con una controparte che aveva dei margini
su cui agire. Alcuni risultati raggiunti erano visti dalle altre categorie come
dei privilegi, in effetti erano il risultato di un sistema di relazioni
industriali frutto del fatto che la chimica disponeva di maggiori risorse. Alla
base di tutto c'era la capacità di pagare del settore. Il sistema di relazioni
industriali più costruttive che esisteva nell'ambito della chimica non è dovuto
solo alle nostre capacità. In gran parte era il risultato della diversa
attenzione da parte della controparte che era tra le più avanzate, in
particolare a Milano, dove Federchimica i problemi li affrontava. Noi abbiamo
sì fatto dei passi in avanti, ma li abbiamo fatti grazie a quel tipo di
controparte. Devo dire che abbiamo fatto un'attività sindacale che ha portato
dei vantaggi, ma non abbiamo pensato guardando più avanti. La tendenza è sempre
stata quella di bruciare le risorse per la nostra generazione, sull'immediato.
Forse abbiamo peccato nel fare rivendicazioni focalizzate a rispondere alle
necessità del momento, non alla generazione che veniva dopo.
Contrattazione
In fabbrica seguivo dai casi di una persona che aveva un problema alle
vertenze più generali, in particolare quelle di reparto, soprattutto sui
problemi ambientali. Era il momento in cui si è cominciato a preoccuparsi del
problema della protezione dei lavoratori, perché fino a quel momento non si era
fatto nulla o quasi. Io uscivo dall'Istituto di ricerche, andavo nei reparti e
vedevo fumi, gente che lavorava in condizioni terribili.
Le linee produttive erano a Rodano e lì feci delle battaglie perché mi
sono reso conto che le condizioni di lavoro erano un dato residuale. Fummo i
primi a mettere cappe e strumenti di aspirazione.
Ambiente e sicurezza venivano gestiti sostanzialmente insieme alla
direzione, qualche volta abbiamo avuto anche dei feriti perché fare dei
prodotti chimici vuol dire dover gestire dei rischi. Noi su questo eravamo
determinati e abbiamo costretto l'azienda ad attuare tutto quello che la
tecnologia in quel momento consentiva. Siamo riusciti a introdurre alcune
garanzie a tutela dei lavoratori, cosa che le aziende più piccole non avevano.
Quando sono uscito per il sindacato ho visitato altre fabbriche e mi sono reso
conto di quanto fosse diversa e più difficile la condizione di lavoro e di vita
di chi era occupato in piccole aziende rispetto a coloro che lavoravano in
Carlo Erba. Aziende di cento persone che non avevano né la forza contrattuale
né probabilmente margini di profitto tali da giustificare la protezione dei
lavoratori.
Avevo un po' di perplessità sulla battaglia per la riduzione degli orari
a 35 ore di lavoro settimanale, la mia idea era che fosse meglio essere sicuri
e tutelati piuttosto che fare qualche ora di lavoro in meno. La riduzione
dell’orario non migliora le condizioni del lavoro se quando va in azienda la
persona è in un ambiente nocivo e a rischio. Su questo tema seguivamo le
indicazioni nazionali. Mentre rivendico che sull'ambiente e la sicurezza noi
siamo stati in qualche modo anticipatori, sull'orario siamo stati al seguito.
Sul tema dell'inquadramento abbiamo fatto un lavoro capillare, sapendo
che essendoci disponibilità si rischiava di fare interventi a pioggia, invece
noi cercavamo di abbinare la professionalità del lavoro alla categoria di
appartenenza. Cosa che non sempre l'azienda accettava. All'inizio fu molto dura
e abbiamo fatto anche degli scioperi. Da noi gli scioperi si facevano e ne
abbiamo fatti molti. La scelta del conflitto però era l'ultima ratio, perché
avevamo scoperto che alla fine l'azienda preferiva sempre venire incontro alle
nostre richieste per evitare lo sciopero. Sapevamo che era meglio tener duro
perché tanto la nostra posizione sarebbe passata.
Sui premi di produzione la battaglia che abbiamo tentato di fare in azienda
era quella, una volta recuperati dei margini, di destinarli agli interventi
sull'ambiente e la sicurezza. Qualche discussione c'è stata anche con gli
stessi lavoratori e tra di noi perché qualcuno preferiva avere più soldi in
busta. Nel periodo in cui sono rimasto in azienda i nostri salari erano al
livello massimo e la Carlo Erba era un posto di lavoro ambito, mentre con la
fusione con Farmitalia ci fu un'armonizzazione verso il basso.
Problemi di occupazione non ne abbiamo mai avuto perché l'azienda ha
avuto un trend di sviluppo lento ma continuo. Problemi sono sorti con
l’assorbimento, ma io non ho vissuto questa esperienza direttamente anche se
l'ho seguita come segretario provinciale della Flerica a Milano.
Non siamo mai stati in grado di rivendicare degli investimenti, era
l'azienda che a volte, per rispondere alle nostre richieste che giudicava
eccessive, sosteneva che le risorse le destinava a investimenti per innovare
gli impianti e le produzioni. Creando così nuova occupazione. Investimenti che
effettivamente ci sono stati, ma la chimica in quel momento era un settore che
tirava.
L'organizzazione del lavoro è un altro dei temi su cui abbiamo operato,
nella convinzione che riguardasse i temi della sicurezza e dell'ambiente e
siamo riusciti a fare degli accordi aziendali che poi venivano in qualche modo
riproposti in altri ambiti.
Welfare aziendale
C'era un cral che funzionava molto bene, ma alla fine lo riducemmo
lentamente perché quando noi sollecitavamo interventi in altri settori le
risorse che l'azienda aveva destinato a questo scopo diminuivano. La Carlo Erba
era famosa perché i figli dei dipendenti andavano alle colonie e anche questo
pian piano si è esaurito.
Europa
Nel momento in cui si doveva fare il segretario generale della Flerica al
posto di Trucchi i candidati erano due: Mariani e il sottoscritto. Io avevo
nettamente la maggioranza in consiglio generale però ho riflettuto che sarebbe
stato difficilissimo, perché gli altri me l'avrebbero fatta pagare, perché non
controllavo tutta l'organizzazione e poi arrivavo da molti anni di un impegno
totale. Cominciavo ad avere anche problemi familiari, perché la vita era
difficile con tutti quegli impegni a livello nazionale. In quel momento Franco
Marini mi propose di candidarmi per il Senato, ma quest'operazione non riuscì e
quando mi si prospettò l'ipotesi di andare a Bruxelles al Comitato economico
sociale io accettai di buon grado e Mariani mi fece la proposta di restare in
segreteria cosa che feci, ma dopo un anno dissi basta perché ormai il mio
impegno prioritario era a Bruxelles.
Una delle cose che mi ha deluso di quell’esperienza è stata la mancanza
di collegamento tra la mia iniziativa in Europa e l'organizzazione sindacale in
Italia. Io pensavo di poter cambiare le cose, informavo i vari dirigenti delle
questioni di cui ci occupavamo, ma non ho mai trovato interesse. La mia
impressione è che il sindacato allora si occupasse delle sue cose, ma che
dell'Europa concretamente non gli interessasse poco o nulla. Era più facile
prendere contatto con i ministeri per capire quale fosse la posizione italiana
sui documenti di cui si discuteva che con il sindacato. Anche la parte
padronale non era in alcun modo interessata al confronto con i sindacati, ma si
dedicava esclusivamente all'azione di lobby. Le relazioni sindacali erano zero.
Anche col sindacato europeo non c'era nessun tipo di rapporto organico
seppure in quel momento avevamo il segretario generale Emilio Gabaglio.
Io sono stato quello che alla Ces ha fatto il più alto numero di pareri,
ne ho fatti 77. La mia competenza era di tipo ambientale e industriale. In
Europa ho lavorato parecchio anche se ho l'impressione che non sia servito a
molto. Pian piano ho perso contatto col mio sindacato. Non ho mai avuto una
protesta da parte della Cisl sulla mia attività nell'ambito della Ces, avrei
potuto dire qualunque cosa e questa per me è stata una delusione. All'inizio
pensavo di poter cambiare questa situazione, ma non è stato così. Però devo
dire che quando ero in segreteria nazionale della Flerica dell'attività del
Comitato economico sociale anche a me non interessava nulla.