domenica 7 giugno 2020

SERGIO COLOMBO - Carlo Erba - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono diplomato perito chimico e ho lavorato per ventidue anni all'Istituto ricerche della Carlo Erba a Milano, in via Imbonati. Sono entrato che avevo sedici anni e sono stato assunto così giovane perché il direttore era un tedesco che durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale era stato ospite a casa mia. Fu un'assunzione che sollevò problemi perché nessuno in quel momento veniva preso in azienda sotto i diciotto anni. Studiavo la sera e contemporaneamente lavoravo. Partivo da Carate con il tram alle 6,20 del mattino e tornavo alla sera con quello delle 23,40.

Sono stato inquadrato come operaio addetto alla distribuzione dei prodotti chimici ai periti che lavoravano nell'istituto di ricerca. Ancor prima di prendere il diploma sono stato passato impiegato di seconda categoria.

Organizzazione del lavoro
La Carlo Erba era un'importantissima azienda farmaceutica, con diversi farmaci nati in azienda, che aveva un grande prestigio. Proprietari erano i Visconti di Modrone che negli anni Settanta l’hanno ceduta a Montedison. La fusione con Farmitalia per Carlo Erba fu un passo indietro perché l'attenzione fu posta più sui prodotti per il corpo che non per i farmaci e, dopo essere finita nel 1983 in Erbamont sotto il controllo del gruppo Ferruzzi, nel 1993 arrivò il gruppo svedese Kabi Pharmacia che la assorbì. La Carlo Erba era troppo piccola e prima la fusione con Farmitalia e poi l’ingresso in Erbamont furono una necessità per cercare di competere con le grandi aziende del settore.
Quando sono entrato in azienda vi lavoravano circa 1.500 persone, forse anche di più. Nel laboratorio dove ho iniziato erano occupate una cinquantina di persone. Quasi tutti i lavoratori erano addetti alla sintesi e quindi lavoravano individualmente, mentre al confezionamento il lavoro era in linea. C'erano parecchie donne e all'inizio quello fu un problema perché in camera sterile si andava in condizioni non di sicurezza, anche se poi grazie ai nostri interventi la situazione cambiò. Devo dire che non è stato solo merito nostro, ma l'innovazione tecnologica e il clima generale esterno ci hanno aiutato.

Sindacato
Il mio impegno sindacale è nato nell'autunno caldo, nel 1969. Avevo relazioni con la Pirelli e con Sergio Cofferati con cui eravamo amici fin da scuola. Sono più vecchio di lui, però abbiamo avuto un periodo insieme, poi ci siamo ritrovati nel sindacato, quindi a Roma e per un breve periodo anche a Bruxelles.
Ho scelto la Cisl perché arrivavo da un impegno politico nella Democrazia cristiana a Carate e mi sentivo più portato verso l'atteggiamento che la Cisl teneva in azienda. Durante l'autunno caldo insieme alla Pirelli abbiamo fatto cose turche, dal blocco delle merci agli scioperi, alle manifestazioni. Appena mi sono avvicinato al sindacato mi hanno chiesto di rappresentare per la Cisl tutta l'area della ricerca nell'ambito del consiglio di fabbrica. Ci fu una battaglia abbastanza dura con la Cgil, ma fui eletto io come unico rappresentante di quell'area. Finì che l'attività professionale pian piano perse di interesse, perché l’impegno inizialmente era un'ora di sindacato e sette di lavoro, poi finì per essere sette ore di sindacato e una di lavoro, e alla fine il mio direttore - un chimico di prestigio, fratello dell'onorevole Giorgio Almirante, - mi disse che la cosa non poteva continuare e fu così che Lino Ogliari mi portò in segreteria dei chimici a Milano come distaccato nel 1972, ‘73.
In azienda ci sono state lotte molto dure, con blocchi della produzione, ma questo avveniva soprattutto per le vicende di carattere generale, come il contratto nazionale e gli scioperi per le riforme, mentre per le vertenze aziendali era difficile arrivare a queste situazioni estreme, i margini erano tali che alla fine c'era sempre la possibilità di trovare un'intesa. Il livello di sindacalizzazione non era molto elevato. La Uil praticamente non esisteva, la Cgil aveva un grosso potere ed era pilotata dalla cellula del Partito comunista di Dergano. Avevano la maggioranza in fabbrica, ma non particolarmente grande, e alla fine del mio periodo avevamo recuperato e Cisl e Cgil erano quasi equivalenti.
Ho avuto parecchie frizioni con la cellula del Pci perché interveniva anche sulle questioni aziendali, mentre nel periodo in cui sono rimasto in azienda non ci sono state altre presenze sindacali o politiche.
C'è voluto un bel po' di lavoro per far capire alla gente il collegamento tra quello che avveniva in fabbrica e quello che accadeva fuori e che non potevano rimanere separati. Noi non siamo mai stati una punta avanzata della capacità di risposta, ma dopo il 1967, grazie all'asse che abbiamo costruito con la Pirelli, abbiamo realizzato delle iniziative nella zona molto significative. Siamo stati tra i primi a dare vita ai consigli di zona e ad avanzare richieste alle imprese su questi aspetti, mentre le aziende non avevano il via da parte di Assolombarda per cui dovevano resistere, anche se da parte di Carlo Erba la disponibilità c'era.
Ho avuto come destino nel sindacato quello di seguire Arnaldo Mariani, eravamo amici ma eravamo un po' l'alternativa l'uno dell'altro. Lui passava, secondo me erroneamente, come uno di sinistra mentre io rappresentavo l'altra area. Una visione assolutamente non corretta guardando l'attività sindacale, ma puntuale pensando alla politica. Ricordo benissimo vicende sindacali nella quale ci trovavamo su parti avverse, ma su posizioni rovesciate. Fummo eletti entrambi nella segreteria nazionale della Federchimici lo stesso giorno del 1979 in rappresentanza delle diverse posizioni che c’erano nell’organizzazione. Segretario generale era Danilo Beretta, che lo è stato fino al 1980.
Una delle cose più drammatiche che ho vissuto quando ero in segreteria nazionale è stata la fusione con i petrolieri. In categoria nazionale segretario generale a quel punto era Domenico Trucchi, io seguivo il settore della ceramica e del vetro e quando Sergio Gigli è stato assegnato come mio operatore ho chiesto che venisse incaricato ad altro.

Relazioni industriali
Noi passiamo per il sindacato più attento alle esigenze imprenditoriali. Occorre però dire che se da parte delle aziende c’è stata disponibilità al confronto e ad ascoltare le nostre richieste, questo è dipeso soprattutto dalla grande disponibilità economica del settore. Parliamoci chiaro, il valore aggiunto dei metalmeccanici era decisamente minore di quello dei chimici, in particolare il farmaceutico aveva ottimi margini, per cui chiedere una cappa di aspirazione in un’azienda farmaceutica era certamente più facile che non chiederla in un'azienda meccanica.
Era più facile fare sindacato con una controparte che aveva dei margini su cui agire. Alcuni risultati raggiunti erano visti dalle altre categorie come dei privilegi, in effetti erano il risultato di un sistema di relazioni industriali frutto del fatto che la chimica disponeva di maggiori risorse. Alla base di tutto c'era la capacità di pagare del settore. Il sistema di relazioni industriali più costruttive che esisteva nell'ambito della chimica non è dovuto solo alle nostre capacità. In gran parte era il risultato della diversa attenzione da parte della controparte che era tra le più avanzate, in particolare a Milano, dove Federchimica i problemi li affrontava. Noi abbiamo sì fatto dei passi in avanti, ma li abbiamo fatti grazie a quel tipo di controparte. Devo dire che abbiamo fatto un'attività sindacale che ha portato dei vantaggi, ma non abbiamo pensato guardando più avanti. La tendenza è sempre stata quella di bruciare le risorse per la nostra generazione, sull'immediato. Forse abbiamo peccato nel fare rivendicazioni focalizzate a rispondere alle necessità del momento, non alla generazione che veniva dopo.

Contrattazione
In fabbrica seguivo dai casi di una persona che aveva un problema alle vertenze più generali, in particolare quelle di reparto, soprattutto sui problemi ambientali. Era il momento in cui si è cominciato a preoccuparsi del problema della protezione dei lavoratori, perché fino a quel momento non si era fatto nulla o quasi. Io uscivo dall'Istituto di ricerche, andavo nei reparti e vedevo fumi, gente che lavorava in condizioni terribili.
Le linee produttive erano a Rodano e lì feci delle battaglie perché mi sono reso conto che le condizioni di lavoro erano un dato residuale. Fummo i primi a mettere cappe e strumenti di aspirazione.
Ambiente e sicurezza venivano gestiti sostanzialmente insieme alla direzione, qualche volta abbiamo avuto anche dei feriti perché fare dei prodotti chimici vuol dire dover gestire dei rischi. Noi su questo eravamo determinati e abbiamo costretto l'azienda ad attuare tutto quello che la tecnologia in quel momento consentiva. Siamo riusciti a introdurre alcune garanzie a tutela dei lavoratori, cosa che le aziende più piccole non avevano. Quando sono uscito per il sindacato ho visitato altre fabbriche e mi sono reso conto di quanto fosse diversa e più difficile la condizione di lavoro e di vita di chi era occupato in piccole aziende rispetto a coloro che lavoravano in Carlo Erba. Aziende di cento persone che non avevano né la forza contrattuale né probabilmente margini di profitto tali da giustificare la protezione dei lavoratori.
Avevo un po' di perplessità sulla battaglia per la riduzione degli orari a 35 ore di lavoro settimanale, la mia idea era che fosse meglio essere sicuri e tutelati piuttosto che fare qualche ora di lavoro in meno. La riduzione dell’orario non migliora le condizioni del lavoro se quando va in azienda la persona è in un ambiente nocivo e a rischio. Su questo tema seguivamo le indicazioni nazionali. Mentre rivendico che sull'ambiente e la sicurezza noi siamo stati in qualche modo anticipatori, sull'orario siamo stati al seguito.
Sul tema dell'inquadramento abbiamo fatto un lavoro capillare, sapendo che essendoci disponibilità si rischiava di fare interventi a pioggia, invece noi cercavamo di abbinare la professionalità del lavoro alla categoria di appartenenza. Cosa che non sempre l'azienda accettava. All'inizio fu molto dura e abbiamo fatto anche degli scioperi. Da noi gli scioperi si facevano e ne abbiamo fatti molti. La scelta del conflitto però era l'ultima ratio, perché avevamo scoperto che alla fine l'azienda preferiva sempre venire incontro alle nostre richieste per evitare lo sciopero. Sapevamo che era meglio tener duro perché tanto la nostra posizione sarebbe passata.
Sui premi di produzione la battaglia che abbiamo tentato di fare in azienda era quella, una volta recuperati dei margini, di destinarli agli interventi sull'ambiente e la sicurezza. Qualche discussione c'è stata anche con gli stessi lavoratori e tra di noi perché qualcuno preferiva avere più soldi in busta. Nel periodo in cui sono rimasto in azienda i nostri salari erano al livello massimo e la Carlo Erba era un posto di lavoro ambito, mentre con la fusione con Farmitalia ci fu un'armonizzazione verso il basso.
Problemi di occupazione non ne abbiamo mai avuto perché l'azienda ha avuto un trend di sviluppo lento ma continuo. Problemi sono sorti con l’assorbimento, ma io non ho vissuto questa esperienza direttamente anche se l'ho seguita come segretario provinciale della Flerica a Milano.
Non siamo mai stati in grado di rivendicare degli investimenti, era l'azienda che a volte, per rispondere alle nostre richieste che giudicava eccessive, sosteneva che le risorse le destinava a investimenti per innovare gli impianti e le produzioni. Creando così nuova occupazione. Investimenti che effettivamente ci sono stati, ma la chimica in quel momento era un settore che tirava.
L'organizzazione del lavoro è un altro dei temi su cui abbiamo operato, nella convinzione che riguardasse i temi della sicurezza e dell'ambiente e siamo riusciti a fare degli accordi aziendali che poi venivano in qualche modo riproposti in altri ambiti.

Welfare aziendale
C'era un cral che funzionava molto bene, ma alla fine lo riducemmo lentamente perché quando noi sollecitavamo interventi in altri settori le risorse che l'azienda aveva destinato a questo scopo diminuivano. La Carlo Erba era famosa perché i figli dei dipendenti andavano alle colonie e anche questo pian piano si è esaurito.

Europa
Nel momento in cui si doveva fare il segretario generale della Flerica al posto di Trucchi i candidati erano due: Mariani e il sottoscritto. Io avevo nettamente la maggioranza in consiglio generale però ho riflettuto che sarebbe stato difficilissimo, perché gli altri me l'avrebbero fatta pagare, perché non controllavo tutta l'organizzazione e poi arrivavo da molti anni di un impegno totale. Cominciavo ad avere anche problemi familiari, perché la vita era difficile con tutti quegli impegni a livello nazionale. In quel momento Franco Marini mi propose di candidarmi per il Senato, ma quest'operazione non riuscì e quando mi si prospettò l'ipotesi di andare a Bruxelles al Comitato economico sociale io accettai di buon grado e Mariani mi fece la proposta di restare in segreteria cosa che feci, ma dopo un anno dissi basta perché ormai il mio impegno prioritario era a Bruxelles.
Una delle cose che mi ha deluso di quell’esperienza è stata la mancanza di collegamento tra la mia iniziativa in Europa e l'organizzazione sindacale in Italia. Io pensavo di poter cambiare le cose, informavo i vari dirigenti delle questioni di cui ci occupavamo, ma non ho mai trovato interesse. La mia impressione è che il sindacato allora si occupasse delle sue cose, ma che dell'Europa concretamente non gli interessasse poco o nulla. Era più facile prendere contatto con i ministeri per capire quale fosse la posizione italiana sui documenti di cui si discuteva che con il sindacato. Anche la parte padronale non era in alcun modo interessata al confronto con i sindacati, ma si dedicava esclusivamente all'azione di lobby. Le relazioni sindacali erano zero.
Anche col sindacato europeo non c'era nessun tipo di rapporto organico seppure in quel momento avevamo il segretario generale Emilio Gabaglio.
Io sono stato quello che alla Ces ha fatto il più alto numero di pareri, ne ho fatti 77. La mia competenza era di tipo ambientale e industriale. In Europa ho lavorato parecchio anche se ho l'impressione che non sia servito a molto. Pian piano ho perso contatto col mio sindacato. Non ho mai avuto una protesta da parte della Cisl sulla mia attività nell'ambito della Ces, avrei potuto dire qualunque cosa e questa per me è stata una delusione. All'inizio pensavo di poter cambiare questa situazione, ma non è stato così. Però devo dire che quando ero in segreteria nazionale della Flerica dell'attività del Comitato economico sociale anche a me non interessava nulla.