giovedì 7 maggio 2020

GIANBATTISTA MOMBELLI - Lanfranchi – Palazzolo sull'Oglio

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Memorie in tuta blu. Gli anni caldi dei metalmeccanici bresciani”, di Costantino Corbari, Edizioni Lavoro, Roma 2005

Sono nato a Palazzolo il 23.10.1946 e vivo ancora lì. Dopo i tre anni di avviamento ho frequentato la scuola professionale triennale diurno per disegnatore meccanico. Ho iniziato a lavorare un anno prima del servizio militare in un ufficio tecnico privato. Subito dopo il servizio militare sono entrato in Lanfranchi. Lanfranchi produce cerniere lampo. E’ una delle maggiori in Italia ed è titolare del marchio “Lampo”. Mia sorella era impiegata in ufficio nella stessa azienda e ha chiesto al principale se c’era un posto per suo fratello. Il giorno successivo al ritorno dalla caserma sono entrato in fabbrica. 

Mi hanno portato su in ufficio tecnico dal capo, un signore di Pontoglio, e ho cominciato subito a lavorare. Sono stato assunto come impiegato e ho sempre lavorato nell’ufficio tecnico. Era un settore che stava nascendo in quel periodo, era all’inizio e non c’erano disegni di progetto, noi dovevamo trasferire su disegno pezzi e piccoli macchinari costruiti da un piccolo nucleo di meccanici provetti che attraverso più tentativi riuscivano a realizzare le nuove apparecchiature utili alla produzione. Queste attrezzature servivano essenzialmente a sostituire il lavoro manuale.
Non esistono quasi fabbriche che costruiscono attrezzature per produrre cerniere, ogni produttore realizza in proprio le attrezzature che gli servono. Le uniche macchine acquistate all’esterno sono quelle per la produzione dei dentini, ma il montaggio e le altre lavorazioni sono prodotte con tecnologie interne.
Come ufficio tecnico non avevamo un ruolo fondamentale per lo sviluppo della produzione, la nostra era una funzione di supporto per meccanizzare produzioni già esistenti.
In azienda, al momento del mio ingresso, lavoravano circa 500 persone e oggi sono quasi 300. Non abbiamo vissuto grandi processi di ristrutturazione ne crisi particolari, ma l’evoluzione delle tecnologie ha portato ad una naturale riduzione del personale. Quando si meccanizzavano certe lavorazioni in un reparto si riduceva il numero degli addetti, in particolare le donne, queste venivano passate a fare dei lavori manuali. Non ci sono state espulsioni, anche se l’azienda ha sempre patito la ciclicità del lavoro. Un tempo si compensava con il ricorso alla cassa integrazione ordinaria, ma ora sono state introdotte la banca ore e una serie di flessibilità concordate, e oggi le modalità produttive ammortizzano e tendono a smorzare la ciclicità dei mercati.
I primi processi di innovazione hanno riguardato la meccanizzazione delle produzioni, poi si è passati a organizzare e automatizzare fortemente la movimentazione dei "cestini" e dei "bidoni" per rincorrere la tecnologia giapponese. In quel periodo si è cercato di contrastare la concorrenza di Tokio e molte aziende italiane sono saltate. Poi c’è stato un cambiamento di strategia puntando sulla qualità delle produzioni e si è deciso di seguire solo l’alta moda, le grandi firme: clienti come Prada, Gucci, Fendi, lasciando ai giapponesi le quantità. "Il titolare ha detto che non serve più fare un milione di cerniere, ma fare la cerniera da un milione".
L’azienda è una Spa ma a gestione familiare.

Quando sono entrato gli impiegati non facevano sciopero, ma gli operai si. I primi cambiamenti  sono avvenuti in occasione dell’autunno caldo, quando c’è stata una rottura negli impiegati tra il ramo tecnico e gli altri. I tecnici e qualche capo meccanica hanno iniziato a partecipare agli scioperi. Io ho subito aderito, anche perché avevo già maturato una mia sensibilità sociale partecipando a dei movimenti giovanili sorti nell’ambiente dell’oratorio.
In ufficio tecnico qualcuno voleva fare la tessera della Fiom e altri quella della Fim. Mentre ne discutevamo è venuto in ufficio un delegato della Uilm che ci ha proposto di fare tutti quella della Uilm e abbiamo fatto così. Quando partecipavamo alle prime assemblee noi ci mettevamo un po’ in disparte e gli operai ci guardavano con una certa diffidenza. Era una manodopera fortemente femminile, ci accettavano, ma senza tanta convinzione.
In occasione dell’elezione del primo consiglio di fabbrica hanno proposto il mio nome e sono stato eletto in rappresentanza degli impiegati tecnici, poi c’era un rappresentante degli impiegati amministrativi. Io non ero per nulla convinto e non pensavo di impegnarmi più di tanto nel sindacato. Alla prima riunione del consiglio di fabbrica ci sono andato per dire che mi sarei ritirato. Alla riunione c’era un operaio, Giuseppe Turra, la persona che aveva creato il sindacato alla Lanfranchi. Era il leader del sindacato in fabbrica e tutti quanti pendevano un po’ dalle sue labbra. Era un uomo Cisl. Un duro. Quando sono arrivato mi ha detto: ci servirebbe una persona per fare i cartelloni da mettere in bacheca, magari qualche relazione, mi piacerebbe che tu ci dessi una mano e poi sarebbe il caso che qualche impiegato si impegnasse. Io non ho saputo dire di no e ho cominciato a partecipare agli incontri del consiglio di fabbrica con regolarità. Ma all’inizio gli altri mi guardavano sempre con una certa diffidenza. Sono andato avanti così per circa due anni, fino a quando si è aperta una vertenza aziendale sull’anticipo della casa integrazione e altre questioni. Dopo un incontro con la proprietà mi sono rivolto a Turra e gli ho detto che secondo me non aveva argomentato bene le nostre ragioni. A quel punto Turra organizza un altro incontro con l’azienda e ha chiesto a me di esporre le nostre richieste. Al termine della riunione, il dirigente, che era un cognato dei Lanfranchi, risalì in direzione e dopo un paio d’ore ridiscese da noi dicendoci che le richieste erano state accolte.
In seguito a questa vicenda Turra mi disse che da quel momento le trattative con l’azienda le avrei sempre condotte io. Gli altri delegati hanno accettato questa sua decisione e da quel momento mi sono trovato in una situazione particolare, quasi di privilegio. Dal canto loro anche gli operai hanno accettato questa scelta. La prima firma su una trattativa l’ho messa nel 1974 e nel 1975 ho firmato per la prima volta un accordo integrativo.
Turra aveva due donne che lo sostenevano tra gli operai: una era sua sorella e l’altra sua cognata, che si davano da fare per organizzare il consenso sulle sue scelte tra le donne. Lui non voleva nemmeno sentire parlare di preti, mentre la sorella era sempre in chiesa, ma evidentemente in azienda erano ascoltati. Quando è morto, nel 95,  sua sorella mi ha dato i suoi appunti sul suo impegno sindacale e io scritto un epitaffio in ricordo della sua figura.

Non abbiamo mai avuto grandi scontri con la Fiom, anche perché la Fiom ha sempre accettato una certa supremazia della Fim essendo sempre stati il doppio di loro. Questo sia prima che dopo la Flm. Il rapporto con le donne era molto fideistico, partecipavano agli scioperi ma non facevano grande differenza tra Fim e Fiom, ma la maggior parte aveva fiducia in Turra. Gli uomini erano più difficili. Gli impiegati una volta facevano sciopero e l’altra no, anche se poi quelli che erano sempre arrabbiati con il padrone erano più gli impiegati che gli operai.
Un momento di difficoltà con la Fiom l’abbiamo avuto quando un giornalista aveva scritto che non era giusto che un democristiano fosse a capo di un consiglio di fabbrica così importante. Questo giornalista era Maurizio Belpietro che allora era a Brescia Oggi ed era di sinistra (vedi ritagli di giornali). Ci accusava di essere moderati ma in quell’occasione, in una situazione non facile, nell’80, '81siamo riusciti a portare a casa dei miglioramenti.
Un secondo momento di difficoltà nei rapporti sindacali l’abbiamo avuto nel 2003, quando la Fim nazionale ha fatto un accordo separato con Federmeccanica, anche perché non riuscivo a comunicare con i lavoratori, dato che la Fiom aveva una cassa di risonanza fortissima su giornali e televisione. Allora ho fatto un volantino a titolo personale, scritto in modo che le donne capissero.

Palazzolo è un po’ terra di confine e le vicende bresciane arrivavano un po’ attutite. In occasione delle vicende dell’accordo di San Valentino e del referendum ci furono assemblee in fabbrica con la partecipazione degli operatori sindacali, ma le donne non davano molto peso alle vicende di carattere generale, forse qualcuno nemmeno le capiva. Era normale sentire dire: sui temi nazionali lasciamo fare a loro e poi in azienda facciamo come vogliamo noi.

Dal '70 al '90 abbiamo fatto sette contratti aziendali e attraverso la contrattazione aziendale degli anni successivi all’accordo del luglio ’93, con l’introduzione del salario variabile legato alla produttività e ai risultati, siamo sempre riusciti ad ottenere buone integrazioni salariali, premi e altro e questo era ciò che più apprezzano i lavoratori della Lanfranchi. Questo vuol dire anche che l’azione sindacale in fabbrica aveva ottenuto buoni risultati e il consiglio di fabbrica aveva lavorato bene.
Nel '96 abbiamo fatto un contratto sulla banca a ore per abbattere la ciclicità che ha consentito di reggere una certa flessibilità del mercato e questo ci ha permesso di  evitare ripercussioni pesanti sui lavoratori.
Ci sono stati contratti aziendali conclusi con applausi finali dei lavoratori, che facevano sempre piacere, e ci sono stati altri momenti in cui ci dicevano "ma che cosa avete fatto?".

In azienda non abbiamo mai avuto problemi di violenza, ma c’era un delegato che diceva che le Brigate rosse erano vicine ai lavoratori, che non erano delinquenti, era un ragazzo giovane. L’abbiamo richiamato dicendogli di non venire più a fare certe affermazioni. Quando è scoppiata la bomba in Piazza della Loggia, lui era lì, io ero a casa perché era la mattina che tornava a casa mia moglie dall’ospedale che era appena nato mio figlio.

Ho sempre partecipato ai percorsi formativi della Fim. Ho sempre lavorato in rapporto con la segreteria provinciale, perché quando hai un certo numero di tessere il telefono con la segreteria è diretto e hai sempre le risposte che ti servono. Mi confrontavo sempre con la segreteria e non è che facessi a modo mio, la Fim era sempre al corrente della situazione in azienda, ancor prima che le cose succedessero. Questo perché Lanfranchi è il padrone di una volta. Quando prendono una decisione non tornano indietro. Nella mia situazione di impiegato che aveva contatti con i livelli dirigenziali, riuscivo ad avere informazioni di prima mano e riuscivo a condizionare certe scelte, era importante conoscere le situazioni e avere la possibilità di intervenire prima che le decisioni venissero prese. Certo quando serviva si faceva sciopero e si andava sui cancelli senza problemi. Personalmente, dal punto di vista sindacale, mi realizzavo più nella trattativa che nella lotta. La lotta serviva quando la trattativa si fermava e si doveva smuoverla. Io ho proseguito l’esperienza del Turra, ma in un modo più democratico, meno da boss. Nessuno osava contestarlo in assemblea  e anch’io per certi versi ho proseguito lungo la strada che lui aveva aperto e in qualche modo potevo gestire le trattative come piaceva a me.

Non ho mai avuto impegni politici diretti. Oggi sono iscritto alla Margherita. Negli anni scorsi più volte mi hanno proposto di andare in lista, ma facendo parte del direttivo provinciale della Fim c’era l’incompatibilità e ho sempre scelto il sindacato. Anche perché la politica sindacale è più immediata e io la preferisco.
Oggi la gente ha bisogno di servizi. Chiari è il centro zona dell’Inas. Io esco dalla fabbrica in permesso sindacale con tutte le pratiche dei lavoratori dell’azienda e le porto all’operatore zona. In questo modo riesco a dare risposte a tutte le richieste che ci sono in azienda senza che i lavoratori siano costretti a muoversi. Questo è molto apprezzato e la gente gradisce molto avere risposte precise sui propri problemi personali.
Quando andrò in pensione penso che continuerò ad impegnarmi in questo ambito.
Sono presidente del gruppo sportivo di calcio dell’oratorio.

Mia moglie non mi ha mai contrastato nei miei impegni. Lei ha i suoi giri, il suo mondo e non ci sono mai stati problemi particolari. E’ una casalinga convinta.