domenica 31 maggio 2020

ALESSANDRO BRINI - Autobianchi - Desio (Mb)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “I motori di Milano. Tute blu per il secolo veloce”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2013

Sono nato a Monza il 9 settembre 1947. Ho frequentato le scuole elementari e le due medie, poi sono andato a lavorare, e ho preso la licenza di terza media con le 150 ore.
Il mio primo lavoro è stato quello di elettrauto, avevo 13 anni, poi sono stato occupato in una officina di carpenteria il cui titolare era di origine tedesche, quindi sono andato a fare il tornitore in una officina fino a quando sono partito per il servizio militare. Al ritorno mi hanno assunto sempre come tornitore, ma in un’altra aziendina che faceva stampi per la Pirelli. Qui ho litigato con il principale, che oltretutto era amico di mio papà, e me ne sono andato. Oggi facciamo entrambi parte dell’associazione degli ex marinai. 

Rimasto senza lavoro ho letto un’inserzione sul giornale per un posto come guardia giurata a Milano. Ho risposto e mi hanno preso. Lì ci sono stato per un anno. Mi piaceva il lavoro di guardia notturna, ma non c’era un giorno di risposo, né feste di Natale né Capodanno, se capitavi di turno dovevi lavorare, alla sera non eri mai libero e quando sei giovane non è molto piacevole, così quando si è presentata l’opportunità ho lasciato anche quel posto e nel 1973 sono entrato in Autobianchi.
Grazie ad un mio amico che ci lavorava sapevo che assumevano e così ho fatto la domanda che lui ha portato in fabbrica e mi hanno preso. Nel frattempo avevo fatto domanda anche in un’officina, sempre a Desio, e anche lì mi avevano assunto, ma ho scelto l’Autobianchi. Ci sono rimasto fino al 1992, quando ha chiuso.

Ho preferito la grande fabbrica perché c’è il mio amico e il lavoro richiedeva meno responsabilità. Da giovani si fanno questi ragionamenti. La mia idea era che si lavorasse anche con impegno, ma senza pensieri e alla sera si potesse andare tranquillamente a ballare. Sono stato assunto come operaio comune, in lastroferratura. All’ingresso in reparto mi sono un po’ spaventato, all’alto scendevano tutti i fili elettrici e mi sembrava di essere entrato in una giungla. Quando qualche tempo dopo è stato assunto nel mio stesso reparto un altro amico, anche lui mi ha confessato di aver avuto la mia stessa impressione. La prima busta paga è stata di circa 90mila lire al mese.

Quando sono entrato in Autobianchi vi lavorano più di tremila persone, che poi sono cresciute fino ad oltre cinquemila. La proprietà era già tutta Fiat. L’azienda andava bene e con me ne sono entrati molti altri. Si producevano la 500, la Primula, la Bianchina. Poi l’A 112, la 127 ed altre ancora. C’erano tre linee di montaggio. Alcune vetture uscivano con il marchio Fiat, altre con quello Autobianchi.

Al momento dell’assunzione avevo 25 anni, non ero più giovanissimo. Il rapporto con i colleghi più anziani è stato subito positivo. Ho cambiato mansione ma non ho mai fatto lavori specializzati. Io sono entrato con il terzo livello, quello dell’operaio generico e sono uscito con il terzo livello. Il riconoscimento della specializzazione era frutto dei accordi sindacali più che delle mansioni, che erano tutte di scarsa qualità. Portavamo tutti la tuta blu che ci dava l’azienda. Nel mio reparto c’erano ritmi precisi, dettati dalla cadenza del lavoro decisa dai responsabili dei tempi e metodi, ma non era come stare in catena di montaggio, dove il lavoro di ognuno dipendeva da quello degli altri, noi dovevamo fare un certo numero di pezzi, ma indipendentemente dagli altri lavoratori del reparto.
Il mio impegno non era pesante, lavoravo su due turni, dalle 6 alle 14,30 e dalle 14,30 alle 23, con la pausa mensa di mezzora, e per fare la produzione programmata in una giornata io non  impiegavo mai tutte le ore previste e quindi avevo del tempo libero, oppure riducevo i ritmi. Prima che entrassi io si facevano tre turni, ma in quel momento erano stati sospesi. Dopo un certo periodo di tempo gli orari sono stati cambiati dal contratto nazionale e si è passati dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22. La pausa mensa, sempre di mezzora, è stata assorbita, con 20 minuti retribuiti e 10 a carico dei lavoratori.

Ad un certo punto, un anno prima circa della decisione, abbiamo cominciato a sentire delle voci di una possibile chiusura dello stabilimento di Desio, senza saperne le fonti. In quel periodo ero delegato e facevo parte dell’esecutivo del consiglio di fabbrica, non avevo sentito nessuno parlare di chiusura, eppure sapevo che quelle voci nascevano proprio all’interno del cdf. Qualcuno evidentemente aveva legami più diretti con la direzione. Giravano voci, domandavamo ai capi, ma anche loro dicevano di non sapere niente. Forse avevano solo l’ordine di non dirlo.
In quel momento, peraltro, le linee lavoravano a pieno regime e non c’erano segnali di crisi.
Addirittura, poco prima, durante un incontro di studio dell’esecutivo del cdf con la direzione, i capi reparto e il capo del personale ci avevano informato che l’azienda aveva acquistato un terreno lì vicino per far parcheggiare i tir che non trovavano spazio nei cortili interni in attesa di scaricare o di caricare. Qualcuno in quell’occasione cominciò a pensare che si trattasse di un piano per ampliare gli impianti.
Autobianchi aveva i livelli più alti di produttività nella Fiat pur essendo la meno automatizzata e conquistava sempre il premio qualità.
La chiusura è stata motivata con la necessità di razionalizzare il gruppo Fiat, dopo l’acquisto dell’Alfa Romeo. Occorre anche ricordare che da anni gli abitanti delle villette vicine alla fabbrica si lamentavano per il rumore e l’inquinamento. Da quando sono iniziate le voci a quando gli impianti si sono fermati sono trascorsi meno di tre anni.

Al momento della chiusura dello stabilimento di Desio avevo 45 anni ed ero molto preoccupato, non avevo alcuna specializzazione e dovevo trovare un nuovo lavoro, a casa avevo i genitori vecchi. Si diceva che ci avrebbero trasferiti all’Alfa Romeo, ma per me sarebbe stato un problema. Molti ci sono andati con un accordo sindacale che prevedeva assunzioni anche in una fabbrica americana di componenti per auto che si era insediata in alcuni capannoni dell’Autobianchi.
Altri sono stati assunti da enti pubblici, chi ne aveva la possibilità è andato in prepensionamento, anche con la mobilità. L’ultimo anno c’erano anche gli incentivi, che mediamente erano di 30 milioni. Quelli rimasti, il giorno della chiusura sono stati messi in cassa integrazione a zero ore. Io ero tra costoro. Quel giorno ho pianto.
Negli ultimi mesi ho abbandonato anche l’impegno sindacale, pur rimanendo delegato, perché non me la sentivo di andare in assemblea a spiegare che si doveva chiudere.
Successivamente ho lavorato (in nero) all’Ipsia, un istituto tecnico di Lissone, dove facevo il barista. Finita la cassa integrazione sono stato assunto regolarmente e sono rimato fino all’età della pensione.

La mia esperienza sindacale è nata subito dopo la mia assunzione. Quindici giorni dopo il mio ingresso in Autobianchi, mentre stavo lavorando è venuto da me Emilio Mariani che si è presentato come rappresentante della Fim Cisl e mi ha proposto di fare il delegato perché c’erano le elezioni per il rinnovo del cdf. La proposta mi ha sorpreso, anche perché prima di allora non avevo mai incontrato il sindacato e non ero iscritto. Ci ho pensato un po’ ed ho accettato. Mi ha fatto compilare il modulo per l’iscrizione e sono stato subito candidato ed eletto.
Non mi ero mai esposto e non ero conosciuto, non avevo mai avuto occasione di esprimere una mia idea politica o sindacale. E’ stata una sorpresa, anche se in quel reparto la Fim era in maggioranza.
Ho fatto il delegato dal primo giorno che sono entrato in fabbrica fino alla chiusura dello stabilimento.
Nelle prime settimane ero un po’ spaesato, mi sentivo un po’ abbandonato a me stesso e di fronte avevo una Fiom molto forte e la cellula Gramsci del Pci ben organizzata. Ogni mattina c’erano dei loro incaricati che giravano nei reparti a vendere l’Unità e l’azienda non diceva niente. Anche con gli altri delegati Fim non andavo molto d’accordo, perché c’era gente di Lotta Continua, Democrazia proletaria, Servire il popolo. Il consiglio di fabbrica in quel momento era composto da 70 delegati, noi saremmo stati al massimo in 15, quelli della Uilm erano in 5, mentre tutti gli altri erano iscritti alla Fiom. In fabbrica c’era anche un nucleo della Dc, ma contava poco e con noi non aveva molti contatti. Io votavo Dc, ma non ero iscritto al partito.
Ho dovuto imparare quasi da solo, anche perché chi mi aveva proposto, che era uno dei più anziani, non aveva molto tempo da dedicarmi. Anche dal sindacato esterno non avevamo molto supporto.
Sulle vicende aziendali si andava d’accordo con la Fiom se gli davamo ragione, ma quando non eravamo d’accordo noi soccombevamo sempre perché eravamo una minoranza. Eppure molti lavoratori avrebbero potuto sostenere la Fim in un territorio come quello brianzolo, ma spesso votavano per la Fiom perché quella era l’organizzazione maggioritaria.
Nel mio reparto, al contrario, la maggioranza è sempre stata della Fim e la cellula del Pci era praticamente assente. Non so come mai.
Nel montaggio, quando si votava c’era un solo candidato, quello della Fiom, ma non perché ci fossero delle azioni di contrasto, ma perché non c’era nessuno della Fim che si presentava. E allora tutti votavano quello in lista.

In Autobianchi non abbiamo avuto una presenza di nuclei di terroristi, anche se alcuni lavoratori sono stati fermati, seppure solo per accertamenti. Uno è stato arrestato per delle rapine che si diceva servissero come iniziative per sostenere i brigatisti. Uno lavorava con me, iscritto anche lui alla Fim, e io gli avevo sentito dire alcune cose a favore dei terroristi. Una volta hanno trovato una stella a cinque punte disegnata su una scocca mentre passava sulla linea, ma atti violenti in Autobianchi non ci sono mai stati.

Nel reparto della lastroferratura, in alcune zone, in inverno si lavorava al gelo perché c’erano gli aspiratori che aspiravano il fumo delle saldatrici e la caldaia non riusciva a scaldare tutto il reparto perché il calore se ne andava con il fumo. Ho promosso uno sciopero per far cambiare la situazione. Ho ottenuto che fossero messe delle stufette elettriche nelle postazioni più fredde, ma ho dovuto scioperare da solo perché negli altri reparti, dove c’era la Fiom, faceva più caldo.

Una delle vertenze più significative che abbiamo condotto in Autobianchi ha riguardato i passaggi di categoria. Un’altra vertenza importante, ma questa volta di tutto il gruppo Fiat, è stata la conquista della mezzora di mensa retribuita.

Per informare i lavoratori si convocavano le assemblee generali e quelle di reparto. Io preferivo quelle di reparto, intanto perché nel mio le facevo io e poi perché consentivano di capire meglio e permettevano a chi lo voleva di intervenire, mentre non lo avrebbero mai fatto nelle grandi assemblee con migliaia di persone. Avevamo le bacheche per le affissioni di volantini e manifesti. In fabbrica avevamo anche un giornalino e io ero l’unico della Fim che ci scriveva. Sul giornalino di parlava di tutto, non solo di questioni sindacali.

Nella zona di Desio eravamo l’azienda più grande e punto di riferimento per tutte le altre fabbriche della Brianza. Se non ci fermavamo noi in occasione degli scioperi, non lo faceva nessuno.

Ho avuto rapporti con l’Innocenti, ho partecipato ad un incontro in fabbrica a Milano e una volta sono andato con loro in Inghilterra ad un incontro con i sindacati inglesi. Bello, anche se non ho capito molto di quello che ci dicevano. Abbiamo visitato la Rover, la Lucas che costruiva batterie, un’altra fabbrica di componenti. Ho assistito ad una trattativa tra azienda e sindacato. Le nostre riunioni durano giorni, loro in quindici minuti hanno chiuso l’incontro.
Una volta, in occasione del passaggio dell’Alfa alla Fiat, sono andato anche ad un incontro con il consiglio di fabbrica in Alfa Romeo.
In quanto membro dell’esecutivo del cdf Autobianchi, ho fatto parte del coordinamento Fiat auto che si riuniva a Torino, dove si affrontavano i problemi del gruppo. Mi ricordo che una volta si è discusso dei sabati lavorativi, e ci siamo riuniti anche quando è stata annunciata la chiusura del Lingotto.