Ne mancano 50mila, ma li importiamo dall'estero. Ma si tratta di una professione che molti non vogliono più fare. Salari inadeguati rispetto ai compiti
Corriere Lavoro, Corriere della sera, Anno 11, numero 32, 1.10.2004
Nel rapporto operatori-cittadini il nostro Paese è la maglia nera dell'Europa
Maggiore dignità professionale e un giusto riconoscimento economico. E' un grido forte e compito quello che esprime i sentimenti più diffusi tra gli infermieri italiani, in gran parte donne. E' ima voce carica di rammarico per una condizione professionale non compresa né valorizzata a pieno. Reparti chiusi, servizi sottoutilizzati, corsie deserte sono la concreta conferma e la drammatica conseguenza: nella sola Lombardia mancano circa 8 mila infermieri. Il problema, più sentito nelle regioni del Nord, è nazionale e le stime variano da 20 a 40-50 mila posti non coperti. Il nostro Paese vanta il più basso tasso di infermieristica per numero di abitanti in Europa contro il più alto tasso di medici.
Il fenomeno non è nuovo ma è diventato più evidente col passaggio dalle scuole professionali all'istituzione del corso di laurea: tre anni di studi universitari, oltre ai tirocini, a molti sembrano eccessivi rispetto al riconoscimento sociale e agli stipendi che la professione offre.
«La prospettiva comune di noi studenti del corso di infermieristica è deludente - dice una tirocinante in un grande ospedale del Nord -. Le aspettative erano diverse, pensavo che il lavoro fosse di natura più tecnica rispetto a ciò che sono chiamata a fare. Ci accusano di avere la puzza sotto il naso all'arrivo nei reparti, ma per noi non c'è un giusto riconoscimento alla nostra competenza e c'è poca differenza tra noi infermieri e gli operatori socio-sanitari. E le mansioni, per mancanza di personale, se si esclude la terapia, spesso sono le stesse».
«La laurea è un fatto positivo e gli infermieri ci sono arrivati grazie alle battaglie dei loro colleghi che sono riusciti a migliorare il percorso formativo della professione - sostiene Rossana Dettori, responsabile nazionale Sanità per la Funzione pubblica Cgil, infermiera professionale -. La legge parla di professionista intellettuale, ma non è sufficiente una norma per cambiare un ruolo consolidato. E’ importante anche il modo in cui ciascuno percepisce il proprio lavoro».
Gli infermieri, che hanno una busta paga identica in tutta Italia, come molte altre categorie di lavoratori denunciano salari inadeguati. Un caposala guadagna circa 1500 euro al mese, l'infermiere professionale può arrivare a 1400 (ma in ingresso non supera i 1100 euro netti) mentre l'operatore socio-sanitario raggiunge i 1200. La questione che preme maggiormente è quella del riconoscimento del loro ruolo, aspetto che bra essersi esasperato con l'ingresso degli infermieri laureati.
«I contratti hanno riconosciuto queste nuove figure ma sono appiattite tra di loro - spiega Daniela Volpato, segretaria nazionale del sindacato di categoria della Cisl -. Per il futuro noi puntiamo sullo sviluppo del loro ruolo attraverso l'acquisizione di maggiore responsabilità e la Cisl è favorevole all'inserimento di un nuovo livello contrattuale».
«Un tempo nei reparti c'era un gran numero di infermieri generici e i professionali erano le figure responsabili - prosegue il segretario della Fps Cisl di Milano, Emilio Didonè -. Quando si è stabilito che gli infermieri fossero solo professionali la situazione si è degradata e oggi 1'infermiere si ritrova a fare di tutto».
Le diverse voci concordano su un fatto: manca chiarezza sulle mansioni. Serve dunque una messa a fuoco dei ruoli; nella situazione transitoria odierna, accanto a medici, caposala e infermieri professionali ci sono anche gli operatori socio-sanitari (Oss), ex generici; gli operatori tecnici addetti all'assistenza (Ota), ormai in via di esaurimento, e poi gli ausiliari socio-sanitari (Ass), essenzialmente addetti alle pulizie, la cui funzione è stata in gran parte esternalizzata.
In particolare è l'operatore socio-sanitario che nell'ambito delle attività assistenziali alberghiere deve avere più autonomia nel rapporto con l'ammalato e a cui andrebbero delegati i compiti di natura meno infermieristica, mentre agli infermieri professionali andrebbe riservata la figura dirigente del reparto. Va bene il riconoscimento economico per i laureati, ma poi gli si deve assicurare anche un lavoro adeguato.
Allo stesso tempo, come afferma Annalisa Silvestro, presidente della Federazione nazionale dei collegi infermieri (Ipasvi) che rappresenta quasi 330 mila associati, 250 mila dei quali donne, è necessario anche «far conoscere le molteplici opportunità formative e lavorative che la professione infermieristica offre”. Nonostante l’emergenza infermieri i corsi di 1aurea sono a nu mero chiuso e quest’anno i posti disponibili sono solo 12.300. "Per superare l’emergenza servono quattro fattori – precisa Didonè -: stipendio migliore, riconoscimento sociale della professione, rimotivazione delle persone sul valore dei servizi alla persona, strutture e servizi di supporto come residence e convitti”.