martedì 14 ottobre 2025

Recuperi. 50mila infermieri

Ne mancano 50mila, ma li importiamo dall'estero. Ma si tratta di una professione che molti non vogliono più fare. Salari inadeguati rispetto ai compiti
Corriere Lavoro, Corriere della sera, Anno 11, numero 32, 1.10.2004

Nel rapporto operatori-cittadini il nostro Paese è la maglia nera dell'Europa

Maggiore dignità profes­sionale e un giusto rico­noscimento economico. E' un grido forte e com­pito quello che esprime i sentimenti più diffusi tra gli infermieri italiani, in gran parte donne. E' ima voce carica di rammarico per una condizione professionale non compresa né valorizzata a pieno. Reparti chiusi, servizi sottoutiliz­zati, corsie deserte sono la con­creta conferma e la drammatica conseguenza: nella sola Lombar­dia mancano circa 8 mila infermie­ri. Il problema, più sentito nelle regioni del Nord, è nazio­nale e le stime variano da 20 a 40-50 mila posti non coperti. Il nostro Paese vanta il più basso tasso di infermieristica per numero di abitanti in Europa contro il più alto tasso di medici.
Il fenomeno non è nuo­vo ma è diventato più evi­dente col passaggio dal­le scuole professionali all'istitu­zione del corso di laurea: tre an­ni di studi universitari, oltre ai tirocini, a molti sembrano ecces­sivi rispetto al riconoscimento sociale e agli stipendi che la pro­fessione offre.

«La prospettiva comune di noi studenti del corso di infermieristi­ca è deludente - dice una tiroci­nante in un grande ospedale del Nord -. Le aspettative erano di­verse, pensavo che il lavoro fosse di natura più tecnica rispetto a ciò che sono chiamata a fare. Ci accu­sano di avere la puzza sotto il na­so all'arrivo nei reparti, ma per noi non c'è un giusto riconoscimento alla nostra competenza e c'è poca differenza tra noi infer­mieri e gli operatori socio-sanita­ri. E le mansioni, per mancanza di personale, se si esclude la tera­pia, spesso sono le stesse».

«La laurea è un fatto positivo e gli infermieri ci sono arrivati gra­zie alle battaglie dei loro colleghi che sono riusciti a migliorare il percorso formativo della profes­sione - sostiene Rossana Dettori, responsabile nazionale Sanità per la Funzione pubblica Cgil, in­fermiera professionale -. La leg­ge parla di professionista intellettuale, ma non è sufficiente una norma per cambiare un ruolo con­solidato. E’ importante anche il modo in cui ciascuno percepisce il proprio lavoro».

Gli infermieri, che hanno una busta paga identica in tutta Italia, come molte altre categorie di la­voratori denunciano salari inade­guati. Un caposala guadagna circa 1500 euro al mese, l'infermiere professionale può arrivare a 1400 (ma in ingresso non supera i 1100 euro netti) mentre l'operatore socio-sanitario raggiunge i 1200. La questione che preme maggior­mente è quella del riconoscimen­to del loro ruolo, aspetto che bra essersi esasperato con l'in­gresso degli infermieri laureati.

«I contratti hanno riconosciuto queste nuove figure ma sono ap­piattite tra di loro - spiega Danie­la Volpato, segretaria nazionale del sindacato di categoria della Cisl -. Per il futuro noi puntiamo sul­lo sviluppo del loro ruolo attraver­so l'acquisizione di maggiore re­sponsabilità e la Cisl è favorevole all'inserimento di un nuovo livel­lo contrattuale».

«Un tempo nei reparti c'era un gran numero di infermieri generi­ci e i professionali erano le figure responsabili - prosegue il segretario della Fps Cisl di Milano, Emilio Didonè -. Quando si è stabilito che gli infermieri fossero solo professionali la situa­zione si è degradata e og­gi 1'infermiere si ritrova a fare di tutto».

Le diverse voci concordano su un fatto: manca chiarezza sulle mansioni. Serve dunque una messa a fuoco dei ruoli; nella situazione transi­toria odierna, accanto a medici, caposala e infermieri professiona­li ci sono anche gli operatori socio-sanitari (Oss), ex generici; gli operatori tecnici addetti all'assi­stenza (Ota), ormai in via di esau­rimento, e poi gli ausiliari socio-sanitari (Ass), essenzialmen­te addetti alle pulizie, la cui fun­zione è stata in gran parte esternalizzata.

In particolare è l'operatore so­cio-sanitario che nell'ambito del­le attività assistenziali alberghie­re deve avere più autonomia nel rapporto con l'ammalato e a cui andrebbero delegati i compiti di natura meno infermieristica, mentre agli infermieri professio­nali andrebbe riservata la figura dirigente del reparto. Va bene il riconoscimento economico per i laureati, ma poi gli si deve assicu­rare anche un lavoro adeguato.

Allo stesso tempo, come affer­ma Annalisa Silvestro, presiden­te della Federazione nazionale dei collegi infermieri (Ipasvi) che rappresenta quasi 330 mila asso­ciati, 250 mila dei quali donne, è necessario anche «far conoscere le molteplici opportunità formative e lavorative che la professione infermieristica offre”. Nonostante l’emergenza infermieri i corsi di 1aurea sono a nu mero chiuso e quest’anno i posti disponibili sono solo 12.300. "Per superare l’emergenza servono quattro fattori – precisa Didonè -: stipendio migliore, riconoscimento sociale della professione, rimotivazione delle persone sul valore dei servizi alla persona, strutture e servizi di supporto come residence e convitti”.