giovedì 11 giugno 2020

FRANCESCO FIORI - Lavoratore atipico - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Voglia di lavoro
La precarietà è i paradigma che ha segnato il mondo del lavoro negli anni della crisi. I lavoratori precari sono stati i primi ad essere espulsi dalle aziende in difficoltà, le opportunità per assunzioni con contratti atipici e temporanei si sono drasticamente ridimensionate, gli spazi per avviare attività in proprio si sono ridotti. A farne le spese sono stati in particolare i lavoratori immigrati e i giovani. Il tasso di disoccupazione degli under 29 è andato continuamente crescendo, fino a toccare percentuali mai viste in precedenza.

Intorno alla condizione giovanile nella crisi si sono aperti numerosi dibattiti, alimentati con continuità da esperti, politici e mass media, che potremmo sintetizzare con due titoli: giovani fannulloni, giovani in fuga all'estero. All'interno di questi grandi capitoli si sono sviluppati filoni di pensiero spesso contraddittori e di poca sostanza, con l'obiettivo di rinchiudere dentro rigidi parametri situazioni complesse, mutevoli e assai varie.
L'esperienza che raccontiamo in queste pagine è quella di Francesco Fiori, un  giovane laureato passato attraverso diverse esperienze e contratti, spinto sempre dal desiderio forte di non restare fermo, di avere un lavoro, qualunque esso fosse, anche se inizialmente non corrispondeva in alcun modo a ciò che aveva studiato in università. E che, pur nella sua condizione di precario, si è impegnato ad aiutare altri giovani a utilizzare gli strumenti adatti e a conoscere i percorsi migliori per trovare  un'occupazione.
“Sono nato a Soresina in provincia di Cremona, ho 29 anni. Ho studiato alla Facoltà di lingue all'università Cattolica di Milano, dove mi sono laureato nel 2009. Vivo ancora in famiglia a Crema con i miei genitori, ho sei fratelli di cui tre biologici, una sorella adottata e due in affido.
Dieci giorni dopo la laurea sono stato assunto con contratto di apprendistato presso uno studio di consulenza del lavoro a Crema che però mi ha immediatamente girato in prestito per un progetto in Barclays a Milano dove mi occupavo di mutui. Ad un certo punto l'attività che svolgevo è stata ceduta in outsourcing e io sono stato assunto con contratto a termine da questa nuova società. Con la stretta dei mutui, il lavoro è calato tantissimo per cui, a fine 2011, sono stato lasciato a casa, poi ho avuto un contratto per un mese di lavoro interinale attraverso l'agenzia Manpower e poi basta. Nell'aprile del 2012 ho iniziato ad insegnare spagnolo in una scuola media di Buccinasco per una sostituzione di maternità, fino al dicembre dello stesso anno, successivamente ho fatto una breve sostituzione di un mese e mezzo di un infortunio in una scuola a Milano, quindi sono passato alla Bachelet di Cernusco sul Naviglio e dal settembre 2013 ho iniziato ad insegnare presso il centro di formazione professionale Ikaros sede di Buccinasco. Nel frattempo prosegue la sostituzione di maternità a Cernusco, per cui insegno contemporaneamente in due scuole, in una spagnolo e nell'altra inglese.
I rapporti nelle scuole sono sempre stati a tempo determinato. Ora ho un contratto della durata di un anno per l'anno scolastico 2013- 2014. I compensi per il periodo in cui ho lavorato a tempo pieno sono sempre stati tra i 1.100 e 1.200 euro mensili. Quando ero occupato presso l'azienda di outsourcing spesso questi soldi a fine mese non arrivavano e ho dovuto anche minacciare uno sciopero. In quell'azienda è stata abbastanza dura sotto l'aspetto dello stipendio, anche se poi lo stipendio l’ho sempre avuto.
Non ho mai avuto problemi con i miei datori di lavoro, sono sempre stato trattato correttamente e dignitosamente. Gli unici problemi che ho incontrato si sono manifestati nel momento in cui, da dipendente di un'azienda esterna, dovevo andare in banca a lavorare ed ero visto dagli interni come quello che arrivava a rubare il loro lavoro. All'inizio ci sono stati dei momenti non belli e anche qualche ostilità che col tempo fortunatamente è stata superata, c'erano occhiate in cagnesco che non facilitavano certo il lavoro, se dovevo chiedere qualcosa dovevo fare mille giri di parole e farmi vedere sempre gentile per ottenere una risposta.
Nella scuola pubblica per i giovani che vogliono insegnare la precarietà è una costante. Qui alla Ikaros, essendo un centro di formazione professionale, è possibile superare la precarietà perché non si seguono i vincoli statali. Questo ordine di scuole, infatti, è soggetto a una legge regionale per cui non è necessario ottenere delle abilitazioni e infatti ho dei colleghi giovani che hanno contratti a tempo indeterminato. La formazione professionale offre qualche opportunità in più.
Ikaros è una cooperativa, un ente accreditato presso la regione Lombardia, che gestisce tre scuole: due nella bergamasca e questa di Buccinasco, nata abbastanza recentemente. Le prime due sono sorte dieci anni fa mentre questa è aperta da tre anni e infatti quest'anno per la prima volta facciamo gli esami in sede.
Sentirsi precario a volte è un peso, soprattutto quando si sta arrivando verso la conclusione del contratto. In questa scuola invece sto vivendo il contratto a termine come una sfida, come l'occasione di una verifica personale, anche perché è solo il secondo anno che insegno e per la prima volta in un centro di formazione professionale. Una sfida, un'occasione di verifica, una occasione di lavoro utilizzando quello che per anni ho studiato, mentre prima, quando ero occupato nel settore dei mutui, era soprattutto necessità e voglia di lavorare. A me insegnare sta piacendo molto, sicuramente conta l'ambiente dove sono inserito perché siamo tanti giovani, si lavora insieme. In questo momento la precarietà non la vedo come un di meno, ma come un'opportunità. Però il primo periodo nella scuola non l'ho vissuto assolutamente bene, era una continua preoccupazione perché dovevo essere perfetto, preciso, non dovevo fare errori, perché volevo essere confermato. Questa ansia di prestazione ha spesso comportato un'ulteriore fatica che non era assolutamente richiesta, tant'è che nel momento in cui ho abbandonato questa tendenza ad essere perfetto nel lavoro e, quando avevo bisogno, ho iniziato a domandare ai colleghi, alla direttrice, agli amici, c'è stata una svolta. Adesso sono molto più tranquillo nel mio lavoro.
La mia precarietà è stata essenzialmente un'occasione di verifica per me stesso e ho capito di non avere niente di meno rispetto agli altri se non dal punto di vista contrattuale, perché a giugno il mio contratto finisce e ad altri no. Però l'aspetto formale del lavoro non deve assolutamente essere più importante dell'aspetto sostanziale, perché altrimenti cresce l'ansia da prestazione, al primo errore ci si sente abbattuti e si comincia a temere per il rinnovo del contratto. Fino a quando ho pensato al contratto non sono andato da nessuna parte, quando il problema invece ha cominciato a diventare il mio lavoro, il mio rapporto con i ragazzi, con la materia che devo insegnare, c'è stato un notevole cambiamento.
Nella ricerca del lavoro la strada che ho seguito è stata quella della realtà. Appena terminata l'università il mio primo desiderio era quello di lavorare, non tanto il desiderio di fare il lavoro per cui avevo studiato, ma proprio l'idea di volere lavorare. Ho fatto dieci giorni a casa dopo la laurea a cercare lavoro e quei pochi giorni mi sono bastati, per cui, avendo alcuni amici che lavoravano nello studio di consulenza per il lavoro a Crema che mi dicevano che lo studio si stava ingrandendo e aveva in programma di assumere, ho mandato immediatamente un curriculum, anche se sapevo che in quel posto, in quel momento, le lingue non sarebbero state molto utilizzate. Il mio primo passo è stato proprio quello di seguire il desiderio di lavorare, ho mandato il curriculum anche alle agenzie interinali, ho cercato su Internet, ma soprattutto mi sono appoggiato sugli amici e non ho disdegnato le raccomandazioni, le presentazioni, le conoscenze.
Il giorno in cui la società di outsourcing mi ha detto che non mi avrebbe più rinnovato il contratto ero a pezzi. Ho iniziato a pensare che non fossi capace di lavorare, che non valessi niente. Ero decisamente abbattuto, così ho chiamato un amico chiedendogli di uscire con me a bere una birra perché non sopportavo l'idea di stare in casa a pensare tutto il giorno al mancato rinnovo del contratto di lavoro. La sera, quando mi ha telefonato per confermarmi che ci saremmo visti, mi ha chiesto se sapevo lo spagnolo senza aggiungere altro. Quando ci siamo ritrovati in birreria mi ha domandato se fossi stato disposto a insegnare, cosa che avevo sempre escluso, tant'è che alcuni esami per poter insegnare ho dovuto recuperarli successivamente, perché durante il corso in università li sostituivo con esami di economia. La strada dell'insegnamento non mi attirava in alcun modo. Però, di fronte alla richiesta se fossi disponibile a fare dei colloqui ho risposto di sì, riservandomi comunque la possibilità di scegliere nel caso fossero arrivate delle proposte di lavoro non legate all'insegnamento.
Per me l'insegnamento non era certo la prima scelta, però ero disponibile a fare tutti i colloqui possibili. Erano più o meno le nove di sera, un'ora dopo il mio amico ha parlato al telefono con un suo conoscente e me lo ha passato, e questi mi ha organizzato un colloquio con la preside della sua scuola l'indomani mattina alle otto e mezza. Lì mi è stata proposta la sostituzione di una maternità, era febbraio e sarebbe iniziata a maggio inoltrato, ma per me quella data era troppo lontana, io cercavo qualcosa da fare subito. Proprio mentre stavo andando via a questa preside è venuto in mente che un’altra sua collega aveva anche lei un'insegnante che sarebbe andato in maternità di lì a poco. Ha immediatamente chiamato la responsabile dell'altra scuola, la media di Buccinasco, e sono subito andato da lei per un colloquio. Lì la maternità iniziava dal 1° aprile. La settimana successiva mi ha richiamato per un nuovo colloquio. E sono stato assunto.
Essere maschio nel mondo della scuola certamente aiuta, perché i presidi preferiscono gli uomini e poi sono stato premiato da una certa intraprendenza. Inoltre, nelle piccole scuole private i responsabili degli istituti possono decidere in base al loro giudizio, le loro intuizioni, senza nessun obbligo di seguire delle graduatorie. Tant'è vero che io non sono ancora abilitato neppure oggi, ma continuo a lavorare nelle scuole paritarie. Non avendo mai pensato di insegnare mi mancavano degli esami per l'abilitazione, così due estati fa ne ho recuperato un paio, l'estate scorsa l'ultimo e ora sono in attesa di poter partecipare al corso che porta verso l'abilitazione.
Praticamente ho sempre lavorato, l'unico mese in cui ero disoccupato è successo che un’insegnante si è rotta la caviglia e quindi l'ho sostituita. I miei genitori hanno sempre apprezzato questa mia voglia di lavorare e non hanno mai fatto obiezioni, neppure sul fatto che inizialmente facessi un lavoro che non aveva nulla a che vedere con ciò che avevo studiato.
Mentre cercavo la mia strada, un po' di tempo fa avevamo realizzato una sorta di sportello dove una volta alla settimana, il sabato mattina, incontravamo le persone che stavano cercando un lavoro.  Una esperienza che ho continuato fino a quando ho iniziato ad insegnare anche di sabato. Non era una società e non avevamo una struttura, eravamo un gruppo di amici mossi dal nostro desiderio di lavorare e dall'urgenza della ricerca del lavoro che la situazione in questo momento impone. Facevamo questa attività in un ufficio messo a disposizione da amici a Crema.
E' stata un'esperienza abbastanza difficile, perché il territorio non offre praticamente nulla. Il massimo del servizio che noi potevamo offrire era quello di dare una sveglia ai ragazzi sulla ricerca del lavoro, anche perché a  fare questo servizio eravamo tutti giovani, non avevamo grandi contatti con le aziende e non offrivano lavoro, ci muovevamo come potevamo. Quello che noi potevamo fare era di affiancare le persone nella ricerca del lavoro, concretamente ognuno di noi si occupava di un disoccupato e verificava se aveva inviato il curriculum, se si era dato da fare nella ricerca, lo spingevamo ad andare nelle agenzie, gli segnalavamo eventuali inserzioni pubblicate dai giornali o sui siti.
Nella nostra attività allo sportello lavoro partivamo innanzitutto dalla compilazione del curriculum, perché con un curriculum scritto male si rischia di presentarsi non bene, poi col tempo abbiamo imparato altre cose, abbiamo iniziato ad individuare i canali di ricerca più efficaci per le diverse esigenze.  Così, se avevamo di fronte il cremasco tipico che non aveva tantissima disponibilità, gli consigliavamo l'agenzia interinale, mentre se c'era una persona più disponibile magari si andava su Internet. Quei pochi strumenti cercavamo di utilizzarli al meglio e di calibrarli sulla base delle caratteristiche della persona che avevamo davanti. La cosa bella di quello sportello lavoro è stato vedere alcune persone rinascere, vedere alcuni che erano in preda a una certa depressione e poi, solo per il fatto di stargli accanto, di aiutarli nel loro percorso, osservare in loro un cambiamento profondo. Una delle nostre conquiste era proprio verificare che una persona cominciava a muoversi da sola. Un bel momento.
In questa attività abbiamo incontrato più volte giovani che mettevano dei paletti allucinanti. Il cremasco tipico è molto legato al territorio e se il territorio non offre lavoro piuttosto che andare a Milano sta a casa, figuriamoci poi se l'eventuale opportunità si trova dall'altra parte di Milano. Il massimo di spostamento ipotizzabile per un ragazzo di Crema è San Donato, non oltre.
Per la mia esperienza è assolutamente concreta la realtà di giovani che non sono disponibili a lavorare se le possibilità non corrispondono esattamente a quello che hanno in mente: la distanza è un problema, gli orari sono un problema, un altro problema è lo studio e la pratica delle lingue. A dir la verità queste persone non le ho mai neanche troppo aiutate, perché la ricerca di un lavoro diventava praticamente impossibile fin dalla partenza e, visto che c'erano altri che avevano maggiore disponibilità, e forse anche maggiore necessità, la precedenza andava a questi. La maggioranza delle persone che cercava un lavoro era essenzialmente dedita al lamento, perché magari dava una grande disponibilità poi concretamente non si sforzava per raggiungere l'obiettivo del lavoro. Mi sono così trovato ad aiutare individui che in realtà non volevano essere aiutati e anche questo ha contribuito ad attenuare il mio impegno.
La scelta dei giovani di andare all'estero non è sempre positiva, se dovessi fare io questa scelta penserei di dover partire avendo già individuato delle opportunità di lavoro nel paese dove mi reco. Trasferirmi all'estero perché sono senza lavoro, ma senza avere un riferimento preciso, allora credo che una ricerca si possa fare tranquillamente anche in Italia, perché di lavoro anche da noi, se c'è voglia e disponibilità, si può trovare. Probabilmente lo si trova più facilmente all'estero, nei paesi anglosassoni o in Germania, dove la richiesta è  maggiore, però, senza una spinta, una molla interiore, un desiderio di lavorare, penso che Italia o estero siano la stessa cosa. Se uno mette tanti paletti pensando alle comodità, credo che per lui andare all'estero non sia una scelta felice.
Sono iscritto alla Felsa, ma a livello sindacale non mi sono mai impegnato, però ho grande stima di chi si impegna nell'azione sindacale. Un atteggiamento che nasce dalla mia voglia di lavorare e se incontro qualcuno che aiuta gli altri a migliorare le proprie condizioni di lavoro io sono più che volentieri disposto a sostenerlo, anche se personalmente non ne ho mai avuto bisogno”.