Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Voglia di
lavoro
La precarietà è i paradigma che ha segnato il mondo
del lavoro negli anni della crisi. I lavoratori precari sono stati i primi ad
essere espulsi dalle aziende in difficoltà, le opportunità per assunzioni con
contratti atipici e temporanei si sono drasticamente ridimensionate, gli spazi
per avviare attività in proprio si sono ridotti. A farne le spese sono stati in
particolare i lavoratori immigrati e i giovani. Il tasso di disoccupazione
degli under 29 è andato continuamente crescendo, fino a toccare percentuali mai
viste in precedenza.
Intorno alla condizione giovanile nella crisi si sono
aperti numerosi dibattiti, alimentati con continuità da esperti, politici e
mass media, che potremmo sintetizzare con due titoli: giovani fannulloni,
giovani in fuga all'estero. All'interno di questi grandi capitoli si sono
sviluppati filoni di pensiero spesso contraddittori e di poca sostanza, con
l'obiettivo di rinchiudere dentro rigidi parametri situazioni complesse,
mutevoli e assai varie.
L'esperienza che raccontiamo in queste pagine è
quella di Francesco Fiori, un giovane
laureato passato attraverso diverse esperienze e contratti, spinto sempre dal
desiderio forte di non restare fermo, di avere un lavoro, qualunque esso fosse,
anche se inizialmente non corrispondeva in alcun modo a ciò che aveva studiato
in università. E che, pur nella sua condizione di precario, si è impegnato ad
aiutare altri giovani a utilizzare gli strumenti adatti e a conoscere i
percorsi migliori per trovare un'occupazione.
“Sono nato a Soresina in provincia di Cremona, ho 29
anni. Ho studiato alla Facoltà di lingue all'università Cattolica di Milano,
dove mi sono laureato nel 2009. Vivo ancora in famiglia a Crema con i miei
genitori, ho sei fratelli di cui tre biologici, una sorella adottata e due in
affido.
Dieci giorni dopo la laurea sono stato assunto con
contratto di apprendistato presso uno studio di consulenza del lavoro a Crema
che però mi ha immediatamente girato in prestito per un progetto in Barclays a
Milano dove mi occupavo di mutui. Ad un certo punto l'attività che svolgevo è
stata ceduta in outsourcing e io sono stato assunto con contratto a termine da
questa nuova società. Con la stretta dei mutui, il lavoro è calato tantissimo
per cui, a fine 2011, sono stato lasciato a casa, poi ho avuto un contratto per
un mese di lavoro interinale attraverso l'agenzia Manpower e poi basta.
Nell'aprile del 2012 ho iniziato ad insegnare spagnolo in una scuola media di
Buccinasco per una sostituzione di maternità, fino al dicembre dello stesso
anno, successivamente ho fatto una breve sostituzione di un mese e mezzo di un
infortunio in una scuola a Milano, quindi sono passato alla Bachelet di
Cernusco sul Naviglio e dal settembre 2013 ho iniziato ad insegnare presso il centro
di formazione professionale Ikaros sede di Buccinasco. Nel frattempo prosegue
la sostituzione di maternità a Cernusco, per cui insegno contemporaneamente in
due scuole, in una spagnolo e nell'altra inglese.
I rapporti nelle scuole sono sempre stati a tempo
determinato. Ora ho un contratto della durata di un anno per l'anno scolastico
2013- 2014. I compensi per il periodo in cui ho lavorato a tempo pieno sono
sempre stati tra i 1.100 e 1.200 euro mensili. Quando ero occupato presso
l'azienda di outsourcing spesso questi soldi a fine mese non arrivavano e ho
dovuto anche minacciare uno sciopero. In quell'azienda è stata abbastanza dura
sotto l'aspetto dello stipendio, anche se poi lo stipendio l’ho sempre avuto.
Non ho mai avuto problemi con i miei datori di
lavoro, sono sempre stato trattato correttamente e dignitosamente. Gli unici
problemi che ho incontrato si sono manifestati nel momento in cui, da
dipendente di un'azienda esterna, dovevo andare in banca a lavorare ed ero
visto dagli interni come quello che arrivava a rubare il loro lavoro.
All'inizio ci sono stati dei momenti non belli e anche qualche ostilità che col
tempo fortunatamente è stata superata, c'erano occhiate in cagnesco che non
facilitavano certo il lavoro, se dovevo chiedere qualcosa dovevo fare mille
giri di parole e farmi vedere sempre gentile per ottenere una risposta.
Nella scuola pubblica per i giovani che vogliono
insegnare la precarietà è una costante. Qui alla Ikaros, essendo un centro di
formazione professionale, è possibile superare la precarietà perché non si
seguono i vincoli statali. Questo ordine di scuole, infatti, è soggetto a una
legge regionale per cui non è necessario ottenere delle abilitazioni e infatti
ho dei colleghi giovani che hanno contratti a tempo indeterminato. La
formazione professionale offre qualche opportunità in più.
Ikaros è una cooperativa, un ente accreditato presso
la regione Lombardia, che gestisce tre scuole: due nella bergamasca e questa di
Buccinasco, nata abbastanza recentemente. Le prime due sono sorte dieci anni fa
mentre questa è aperta da tre anni e infatti quest'anno per la prima volta
facciamo gli esami in sede.
Sentirsi precario a volte è un peso, soprattutto
quando si sta arrivando verso la conclusione del contratto. In questa scuola
invece sto vivendo il contratto a termine come una sfida, come l'occasione di
una verifica personale, anche perché è solo il secondo anno che insegno e per
la prima volta in un centro di formazione professionale. Una sfida,
un'occasione di verifica, una occasione di lavoro utilizzando quello che per
anni ho studiato, mentre prima, quando ero occupato nel settore dei mutui, era
soprattutto necessità e voglia di lavorare. A me insegnare sta piacendo molto,
sicuramente conta l'ambiente dove sono inserito perché siamo tanti giovani, si
lavora insieme. In questo momento la precarietà non la vedo come un di meno, ma
come un'opportunità. Però il primo periodo nella scuola non l'ho vissuto
assolutamente bene, era una continua preoccupazione perché dovevo essere
perfetto, preciso, non dovevo fare errori, perché volevo essere confermato.
Questa ansia di prestazione ha spesso comportato un'ulteriore fatica che non
era assolutamente richiesta, tant'è che nel momento in cui ho abbandonato
questa tendenza ad essere perfetto nel lavoro e, quando avevo bisogno, ho
iniziato a domandare ai colleghi, alla direttrice, agli amici, c'è stata una
svolta. Adesso sono molto più tranquillo nel mio lavoro.
La mia precarietà è stata essenzialmente un'occasione
di verifica per me stesso e ho capito di non avere niente di meno rispetto agli
altri se non dal punto di vista contrattuale, perché a giugno il mio contratto
finisce e ad altri no. Però l'aspetto formale del lavoro non deve assolutamente
essere più importante dell'aspetto sostanziale, perché altrimenti cresce
l'ansia da prestazione, al primo errore ci si sente abbattuti e si comincia a
temere per il rinnovo del contratto. Fino a quando ho pensato al contratto non
sono andato da nessuna parte, quando il problema invece ha cominciato a diventare
il mio lavoro, il mio rapporto con i ragazzi, con la materia che devo
insegnare, c'è stato un notevole cambiamento.
Nella ricerca del lavoro la strada che ho seguito è
stata quella della realtà. Appena terminata l'università il mio primo desiderio
era quello di lavorare, non tanto il desiderio di fare il lavoro per cui avevo
studiato, ma proprio l'idea di volere lavorare. Ho fatto dieci giorni a casa
dopo la laurea a cercare lavoro e quei pochi giorni mi sono bastati, per cui,
avendo alcuni amici che lavoravano nello studio di consulenza per il lavoro a
Crema che mi dicevano che lo studio si stava ingrandendo e aveva in programma
di assumere, ho mandato immediatamente un curriculum, anche se sapevo che in
quel posto, in quel momento, le lingue non sarebbero state molto utilizzate. Il
mio primo passo è stato proprio quello di seguire il desiderio di lavorare, ho
mandato il curriculum anche alle agenzie interinali, ho cercato su Internet, ma
soprattutto mi sono appoggiato sugli amici e non ho disdegnato le
raccomandazioni, le presentazioni, le conoscenze.
Il giorno in cui la società di outsourcing mi ha
detto che non mi avrebbe più rinnovato il contratto ero a pezzi. Ho iniziato a
pensare che non fossi capace di lavorare, che non valessi niente. Ero decisamente
abbattuto, così ho chiamato un amico chiedendogli di uscire con me a bere una
birra perché non sopportavo l'idea di stare in casa a pensare tutto il giorno
al mancato rinnovo del contratto di lavoro. La sera, quando mi ha telefonato
per confermarmi che ci saremmo visti, mi ha chiesto se sapevo lo spagnolo senza
aggiungere altro. Quando ci siamo ritrovati in birreria mi ha domandato se
fossi stato disposto a insegnare, cosa che avevo sempre escluso, tant'è che
alcuni esami per poter insegnare ho dovuto recuperarli successivamente, perché
durante il corso in università li sostituivo con esami di economia. La strada
dell'insegnamento non mi attirava in alcun modo. Però, di fronte alla richiesta
se fossi disponibile a fare dei colloqui ho risposto di sì, riservandomi
comunque la possibilità di scegliere nel caso fossero arrivate delle proposte
di lavoro non legate all'insegnamento.
Per me l'insegnamento non era certo la prima scelta,
però ero disponibile a fare tutti i colloqui possibili. Erano più o meno le
nove di sera, un'ora dopo il mio amico ha parlato al telefono con un suo
conoscente e me lo ha passato, e questi mi ha organizzato un colloquio con la
preside della sua scuola l'indomani mattina alle otto e mezza. Lì mi è stata
proposta la sostituzione di una maternità, era febbraio e sarebbe iniziata a
maggio inoltrato, ma per me quella data era troppo lontana, io cercavo qualcosa
da fare subito. Proprio mentre stavo andando via a questa preside è venuto in
mente che un’altra sua collega aveva anche lei un'insegnante che sarebbe andato
in maternità di lì a poco. Ha immediatamente chiamato la responsabile
dell'altra scuola, la media di Buccinasco, e sono subito andato da lei per un
colloquio. Lì la maternità iniziava dal 1° aprile. La settimana successiva mi
ha richiamato per un nuovo colloquio. E sono stato assunto.
Essere maschio nel mondo della scuola certamente
aiuta, perché i presidi preferiscono gli uomini e poi sono stato premiato da
una certa intraprendenza. Inoltre, nelle piccole scuole private i responsabili
degli istituti possono decidere in base al loro giudizio, le loro intuizioni,
senza nessun obbligo di seguire delle graduatorie. Tant'è vero che io non sono
ancora abilitato neppure oggi, ma continuo a lavorare nelle scuole paritarie.
Non avendo mai pensato di insegnare mi mancavano degli esami per
l'abilitazione, così due estati fa ne ho recuperato un paio, l'estate scorsa
l'ultimo e ora sono in attesa di poter partecipare al corso che porta verso
l'abilitazione.
Praticamente ho sempre lavorato, l'unico mese in cui
ero disoccupato è successo che un’insegnante si è rotta la caviglia e quindi
l'ho sostituita. I miei genitori hanno sempre apprezzato questa mia voglia di
lavorare e non hanno mai fatto obiezioni, neppure sul fatto che inizialmente
facessi un lavoro che non aveva nulla a che vedere con ciò che avevo studiato.
Mentre cercavo la mia strada, un po' di tempo fa
avevamo realizzato una sorta di sportello dove una volta alla settimana, il
sabato mattina, incontravamo le persone che stavano cercando un lavoro. Una esperienza che ho continuato fino a
quando ho iniziato ad insegnare anche di sabato. Non era una società e non
avevamo una struttura, eravamo un gruppo di amici mossi dal nostro desiderio di
lavorare e dall'urgenza della ricerca del lavoro che la situazione in questo
momento impone. Facevamo questa attività in un ufficio messo a disposizione da
amici a Crema.
E' stata un'esperienza abbastanza difficile, perché
il territorio non offre praticamente nulla. Il massimo del servizio che noi
potevamo offrire era quello di dare una sveglia ai ragazzi sulla ricerca del
lavoro, anche perché a fare questo
servizio eravamo tutti giovani, non avevamo grandi contatti con le aziende e
non offrivano lavoro, ci muovevamo come potevamo. Quello che noi potevamo fare
era di affiancare le persone nella ricerca del lavoro, concretamente ognuno di
noi si occupava di un disoccupato e verificava se aveva inviato il curriculum,
se si era dato da fare nella ricerca, lo spingevamo ad andare nelle agenzie,
gli segnalavamo eventuali inserzioni pubblicate dai giornali o sui siti.
Nella nostra attività allo sportello lavoro partivamo
innanzitutto dalla compilazione del curriculum, perché con un curriculum
scritto male si rischia di presentarsi non bene, poi col tempo abbiamo imparato
altre cose, abbiamo iniziato ad individuare i canali di ricerca più efficaci
per le diverse esigenze. Così, se
avevamo di fronte il cremasco tipico che non aveva tantissima disponibilità, gli
consigliavamo l'agenzia interinale, mentre se c'era una persona più disponibile
magari si andava su Internet. Quei pochi strumenti cercavamo di utilizzarli al
meglio e di calibrarli sulla base delle caratteristiche della persona che
avevamo davanti. La cosa bella di quello sportello lavoro è stato vedere alcune
persone rinascere, vedere alcuni che erano in preda a una certa depressione e
poi, solo per il fatto di stargli accanto, di aiutarli nel loro percorso,
osservare in loro un cambiamento profondo. Una delle nostre conquiste era
proprio verificare che una persona cominciava a muoversi da sola. Un bel
momento.
In questa attività abbiamo incontrato più volte
giovani che mettevano dei paletti allucinanti. Il cremasco tipico è molto
legato al territorio e se il territorio non offre lavoro piuttosto che andare a
Milano sta a casa, figuriamoci poi se l'eventuale opportunità si trova
dall'altra parte di Milano. Il massimo di spostamento ipotizzabile per un
ragazzo di Crema è San Donato, non oltre.
Per la mia esperienza è assolutamente concreta la realtà
di giovani che non sono disponibili a lavorare se le possibilità non
corrispondono esattamente a quello che hanno in mente: la distanza è un
problema, gli orari sono un problema, un altro problema è lo studio e la
pratica delle lingue. A dir la verità queste persone non le ho mai neanche
troppo aiutate, perché la ricerca di un lavoro diventava praticamente
impossibile fin dalla partenza e, visto che c'erano altri che avevano maggiore
disponibilità, e forse anche maggiore necessità, la precedenza andava a questi.
La maggioranza delle persone che cercava un lavoro era essenzialmente dedita al
lamento, perché magari dava una grande disponibilità poi concretamente non si
sforzava per raggiungere l'obiettivo del lavoro. Mi sono così trovato ad
aiutare individui che in realtà non volevano essere aiutati e anche questo ha
contribuito ad attenuare il mio impegno.
La scelta dei giovani di andare all'estero non è
sempre positiva, se dovessi fare io questa scelta penserei di dover partire
avendo già individuato delle opportunità di lavoro nel paese dove mi reco.
Trasferirmi all'estero perché sono senza lavoro, ma senza avere un riferimento
preciso, allora credo che una ricerca si possa fare tranquillamente anche in
Italia, perché di lavoro anche da noi, se c'è voglia e disponibilità, si può
trovare. Probabilmente lo si trova più facilmente all'estero, nei paesi
anglosassoni o in Germania, dove la richiesta è
maggiore, però, senza una spinta, una molla interiore, un desiderio di
lavorare, penso che Italia o estero siano la stessa cosa. Se uno mette tanti
paletti pensando alle comodità, credo che per lui andare all'estero non sia una
scelta felice.
Sono iscritto alla Felsa, ma a livello sindacale non
mi sono mai impegnato, però ho grande stima di chi si impegna nell'azione
sindacale. Un atteggiamento che nasce dalla mia voglia di lavorare e se
incontro qualcuno che aiuta gli altri a migliorare le proprie condizioni di
lavoro io sono più che volentieri disposto a sostenerlo, anche se personalmente
non ne ho mai avuto bisogno”.